Il caso della coppia di Milano che aveva chiesto la diagnosi preimpianto
Un giudice di Firenze ha dato loro ragione. La replica dell'istituto toscano
"Il rifiuto di svolgere test sugli embrioni è avvenuto a norma di legge"
Mentre l'avvocato dell'associazione "Madre provetta" sottolinea il valore della sentenza.
FIRENZE - "Il rifiuto di svolgere test sugli embrioni è avvenuto a norma di legge. Non si poteva decidere diversamente", osserva l'avvocato Cristina Baldi, spiegando perché il Centro Demetra si era espresso negativamente sulla richiesta di una coppia milanese, che avrebbe voluto effettuare la diagnosi preimpianto sugli embrioni fecondati. Diritto di cui invece è titolare, secondo quanto ha stabilito un'ordinanza di un giudice di Firenze. L'avvocato Baldi sottolinea però come "la decisione del giudice sia stata estremamente coraggiosa aprendo spiragli significativi per una revisione della legge".
Infatti l'ordinanza viene accolta con soddisfazione non soltanto dalla coppia interessata, ma anche dallo stesso Centro Demetra: "Questa decisione - sostengono Claudia Livi ed Elisabetta Chelo,
responsabili del Centro - apre nuove prospettive per un recupero di una autonomia decisionale del medico che, sino a qui è stato sostanzialmente costretto dalla legge ad una scelta terapeutica obbligata. Come si legge nel dispositivo, l'operatore è tenuto ad operare 'secondo le migliori regole della scienza in relazione alla salute della madre' come d'altra parte previste dallo stesso codice deontologico medico".
La coppia aveva chiesto la diagnosi preimpianto dal momento che la donna è portatrice di una grave malattia, la esostosi, malattia genetica che porta all'accrescimento esagerato della cartilagine delle ossa: c'è una percentuale molto elevata che venga trasmessa al figlio, esiste la possibilità che sia mortale.
"La decisione scardina la legge sulla fecondazione assistita", ha detto, riferendosi alla sentenza di Firenze, l'avvocato Gianni Baldini, docente di biodiritto all'università di Firenze e legale dell'associazione "Madre provetta". "Questa malattia - ha spiegato Baldini - ha una trasmissibilità superiore al 50%, ecco perché la coppia ha chiesto il test sugli embrioni".
Grande apprezzamento esprime anche Monica Soldano, presidente dell'associazione Madre Provetta che da anni si batte "per modificare nell'interesse dei pazienti una legge brutta e crudele, causa di un esodo dal nostro Paese di tante coppie (secondo l'Istat circa il 20% delle giovani coppie manifesta problemi procreativi) che vanno a cercare soluzione all'estero".
Donatella Poretti, parlamentare radicale della Rosa nel Pugno e segretaria della Commissione Affari Sociali, ricorda che "mancano "9 giorni alla scadenza delle famigerate linee guida. La capogruppo dei Verdi in commissione Giustizia alla Camera, Paola Balducci, osserva che "la sentenza di Firenze, che, di fatto, aggiorna le linee guida che ad oggi vietano la diagnosi preimpianto degli embrioni, è un provvedimento da accogliere con favore".
Anche il professor Severino Antinori plaude alla sentenza: "Mi pare una sentenza assolutamente importante che fa chiarezza e dice che questa legge 40 viola i diritti umani, i diritti alla salute e alla procreazione. Credo che debba indurre finalmente il ministro alla Salute Livia Turco a fare un cambiamento alle linee guida, a fare qualcosa di sinistra".
Padre Roberto Colombo, docente dell'Università Cattolica di Milano e direttore del Laboratorio di biologia molecolare genetica umana dello stesso ateneo, ritiene invece che "la genetica preimpianto aprirebbe la strada a una concezione eugenetica della procreazione geneticamente assistita".
(22 dicembre 2007)
domenica 23 dicembre 2007
Fecondazione, il giudice dà ragione alle donne
di MIRIAM MAFAI
Adesso, dopo le due sentenze del Tribunale di Cagliari e di quello di Firenze, la parola passa al ministro della Salute, Livia Turco che dovrà sbrogliare la complicata matassa della norma più assurda contenuta nella nostra legge sulla fecondazione assistita. La norma impedisce infatti quella diagnosi preimpianto considerata del tutto normale fino al febbraio del 2004.
Che da quel giorno, data di approvazione della legge, è stata sempre richiesta e messa in atto non per selezionare il colore degli occhi del nascituro (come qualcuno polemicamente sostiene) ma per impedire la trasmissione al figlio di gravi malattie da parte di una coppia di genitori che ne sia affetta. La norma è stata giustamente definita "feroce" perché, quando applicata, obbligherebbe la madre a subire l'impianto di tutti gli embrioni prodotti, fatta salva la possibilità di ricorrere poi all'aborto una volta accertati nel feto rischi di malformazione o malattie genetiche.
Una donna sarda, talassemica, ha rifiutato qualche mese fa di subire questa violenza. Ha fatto ricorso al Tribunale di Cagliari che le ha dato ragione affermando che l'embrione, sottoposto alla diagnosi genetica poteva essere impiantato solo nel caso si fosse rivelato sano, evitando in questo caso il doloroso ricorso all'aborto. Ieri una analoga sentenza, del Tribunale di Firenze, ha sostenuto, con altrettanta nettezza, lo stesso principio, facendo riferimento non solo a una precedente sentenza della nostra Corte Costituzionale, ma anche alla Convenzione di Oviedo che consente i test prenatali, purché non abbiano finalità eugenetica.
Il Centro medico cui la madre, affetta da una grave e rara malattia genetica si era rivolta, dovrà dunque provvedere all'impianto solo quando avrà verificato le buone condizioni dell'embrione.
Le precedenti "linee guida" , emesse nel luglio 2004 sotto la gestione del ministro Sirchia, che mettevano fuori legge l'indagine genetica reimpianto vanno dunque disapplicate, afferma l'ordinanza del Tribunale di Firenze. Le nuove "linee guida" la cui responsabilità spetta al ministro della Salute dovranno, inevitabilmente, tener conto di queste sentenze della magistratura che tutelano il diritto della madre e insieme il diritto alla salute del nascituro.
Ancora una volta, come nel controverso caso del testamento biologico in discussione al Senato, siamo di fronte ad uno di quei problemi che si è convenuto chiamare "eticamente sensibili". Un problema cioè che divide le coscienze e rischia di vedere schierati e contrapposti, da una parte i laici e dall'altra la Chiesa Cattolica contraria ad ogni intervento sull'embrione.
L'inizio della vita e la sua conclusione non sono più affidati, come è accaduto per tutta la storia dell'umanità, alla natura (o a una volontà superiore). La nascita e la morte sono eventi sui quali ormai incide in modo decisivo la medicina, la scienza, la volontà dell'uomo, della sua capacità di scegliere.
E' una condizione del tutto nuova, aperta a prospettive affascinanti ma anche, per alcuni versi inquietanti. Mai prima d'ora una donna ha potuto decidere se e come divenire madre, mai prima d'ora una donna ha potuto - grazie ai progressi della medicina - mettere il nascituro al riparo da gravi malattie ereditarie.
Il legislatore non può, in questi casi così delicati, imporre una scelta che, anche se confortata dalla maggioranza non consente la convivenza di valori diversi. Vale la pena a questo proposito di citare un liberale come Dworkin che scriveva: "L'istituzione dei diritti è cruciale perché rappresenta la promessa della maggioranza alla minoranza che la sua dignità ed eguaglianza saranno rispettatele".
La laicità, che ci è cara, consiste proprio in questo: nella capacità di allargare l'area dei diritti di ognuno di noi senza imporne l'adozione a nessuno. E' la scelta che venne fatta in occasione del voto sul divorzio e sull'aborto. E' la scelta che, speriamo, verrà adottata in occasione della elaborazione delle nuove linee guida per l'applicazione della legge sulla fecondazione assistita.
Adesso, dopo le due sentenze del Tribunale di Cagliari e di quello di Firenze, la parola passa al ministro della Salute, Livia Turco che dovrà sbrogliare la complicata matassa della norma più assurda contenuta nella nostra legge sulla fecondazione assistita. La norma impedisce infatti quella diagnosi preimpianto considerata del tutto normale fino al febbraio del 2004.
Che da quel giorno, data di approvazione della legge, è stata sempre richiesta e messa in atto non per selezionare il colore degli occhi del nascituro (come qualcuno polemicamente sostiene) ma per impedire la trasmissione al figlio di gravi malattie da parte di una coppia di genitori che ne sia affetta. La norma è stata giustamente definita "feroce" perché, quando applicata, obbligherebbe la madre a subire l'impianto di tutti gli embrioni prodotti, fatta salva la possibilità di ricorrere poi all'aborto una volta accertati nel feto rischi di malformazione o malattie genetiche.
Una donna sarda, talassemica, ha rifiutato qualche mese fa di subire questa violenza. Ha fatto ricorso al Tribunale di Cagliari che le ha dato ragione affermando che l'embrione, sottoposto alla diagnosi genetica poteva essere impiantato solo nel caso si fosse rivelato sano, evitando in questo caso il doloroso ricorso all'aborto. Ieri una analoga sentenza, del Tribunale di Firenze, ha sostenuto, con altrettanta nettezza, lo stesso principio, facendo riferimento non solo a una precedente sentenza della nostra Corte Costituzionale, ma anche alla Convenzione di Oviedo che consente i test prenatali, purché non abbiano finalità eugenetica.
Il Centro medico cui la madre, affetta da una grave e rara malattia genetica si era rivolta, dovrà dunque provvedere all'impianto solo quando avrà verificato le buone condizioni dell'embrione.
Le precedenti "linee guida" , emesse nel luglio 2004 sotto la gestione del ministro Sirchia, che mettevano fuori legge l'indagine genetica reimpianto vanno dunque disapplicate, afferma l'ordinanza del Tribunale di Firenze. Le nuove "linee guida" la cui responsabilità spetta al ministro della Salute dovranno, inevitabilmente, tener conto di queste sentenze della magistratura che tutelano il diritto della madre e insieme il diritto alla salute del nascituro.
Ancora una volta, come nel controverso caso del testamento biologico in discussione al Senato, siamo di fronte ad uno di quei problemi che si è convenuto chiamare "eticamente sensibili". Un problema cioè che divide le coscienze e rischia di vedere schierati e contrapposti, da una parte i laici e dall'altra la Chiesa Cattolica contraria ad ogni intervento sull'embrione.
L'inizio della vita e la sua conclusione non sono più affidati, come è accaduto per tutta la storia dell'umanità, alla natura (o a una volontà superiore). La nascita e la morte sono eventi sui quali ormai incide in modo decisivo la medicina, la scienza, la volontà dell'uomo, della sua capacità di scegliere.
E' una condizione del tutto nuova, aperta a prospettive affascinanti ma anche, per alcuni versi inquietanti. Mai prima d'ora una donna ha potuto decidere se e come divenire madre, mai prima d'ora una donna ha potuto - grazie ai progressi della medicina - mettere il nascituro al riparo da gravi malattie ereditarie.
Il legislatore non può, in questi casi così delicati, imporre una scelta che, anche se confortata dalla maggioranza non consente la convivenza di valori diversi. Vale la pena a questo proposito di citare un liberale come Dworkin che scriveva: "L'istituzione dei diritti è cruciale perché rappresenta la promessa della maggioranza alla minoranza che la sua dignità ed eguaglianza saranno rispettatele".
La laicità, che ci è cara, consiste proprio in questo: nella capacità di allargare l'area dei diritti di ognuno di noi senza imporne l'adozione a nessuno. E' la scelta che venne fatta in occasione del voto sul divorzio e sull'aborto. E' la scelta che, speriamo, verrà adottata in occasione della elaborazione delle nuove linee guida per l'applicazione della legge sulla fecondazione assistita.
Il giudice: sì ai test sugli embrioni E' possibile la diagnosi preventiva
Firenze, sentenza accoglie il ricorso di una donna affetta da una rara malattia
"Lecito anche rifiutare i tre impianti se la salute è in pericolo"
di MARINA CAVALLIERI
ROMA - Arriva da Firenze l'ordinanza, con valore di sentenza, che scardina la legge sulla fecondazione assistita. Il giudice ha accolto il ricorso di una coppia e ha stabilito che le linee guida che vietano la diagnosi preimpianto degli embrioni sono inapplicabili perché contro la legge stessa e contro la Costituzione. È possibile quindi la diagnosi preventiva se c'è il rischio di trasmettere una grave malattia genetica, è lecito rifiutare il numero obbligatorio di tre embrioni se una gravidanza gemellare può compromettere la salute della donna.
Torna ancora nelle aule giudiziarie la battaglia sulla procreazione assistita, e dopo il caso del tribunale di Cagliari arriva un altro giudice a dare ragione alle coppie che lottano per cambiare le norme. Questa volta a sollevare la questione è stata una coppia trentenne di Milano, lei è portatrice di una grave malattia, la esostosi, malattia genetica che porta all'accrescimento esagerato della cartilagine delle ossa: c'è una percentuale molto elevata che venga trasmessa al figlio, esiste la possibilità che sia mortale.
La coppia si rivolge al centro Demetra di Firenze e chiede di poter fare la diagnosi preimpianto, inoltre chiede che la fivet sia adeguata allo stato di salute della donna che non può rischiare una gravidanza gemellare. Il centro risponde che tutto questo la legge non lo consente. "La coppia deve per forza sottoporsi alla roulette russa con il rischio di avere gli embrioni malati", racconta l'avvocato Gianni Baldini che ha curato il ricorso. "Così i coniugi si rivolgono al sito www. madreprovetta. org per chiedere una consulenza e iniziamo un'azione legale".
Alla base del ricorso, spiega l'avvocato, ci sono diverse considerazioni. "C'è il fatto che la legge 40 non stabilisce espressamente il divieto di diagnosi preimpianto, sono le linee guida a stabilirlo dicendo che le indagini preventive non possono essere di natura genetica ma solo osservazionale cioè morfologica". Questo divieto incide su un diritto soggettivo assoluto, dice l'avvocato Baldini, qual è quello dell'autodeterminazione, incide sul diritto alla procreazione cosciente e responsabile, al consenso informato.
"Il giudice Isabella Mariani accoglie il ricorso, "dicendo che è fondata l'illegittimità delle linee guida che espressamente disapplica, un provvedimento con efficacia vincolante per altri giudizi e per il Tar". Il giudice inoltre prende altre due iniziative contrarie alla legge. "Condanna il centro ad eseguire la diagnosi e stabilisce la crioconservazione degli embrioni malati, che la legge vieta, e dice che il medico deve seguire le regole della migliore scienza ed esperienza con specifico riguardo alla salute della donna. Questo è un altro colpo al cuore della legge 40, perché ristabilisce l'ordine gerarchico previsto dalla Costituzione e dalla legge 194 che antepone la salute della donna a quella del nascituro".
L'ordinanza non è revocabile, vale quanto una sentenza, se il centro Demetra non ricorre in appello diventa definitiva. È la seconda sentenza a favore della diagnosi preimpianto nel caso di malattie genetiche, a settembre il tribunale di Cagliari aveva dato ragione ad una donna portatrice di talassemia. "Da quando è andata in vigore la legge arrivano molte richieste di sostegno legale, è aumentato il contenzioso giudiziario, la legge 40 è avvertita contro il bene della coppia", dice Monica Soldano, presidente dell'associazione "Madreprovetta", "la legge viene sempre più percepita come ostile a un progetto genitoriale".
(22 dicembre 2007)
Fonte: repubblica.it
"Lecito anche rifiutare i tre impianti se la salute è in pericolo"
di MARINA CAVALLIERI
ROMA - Arriva da Firenze l'ordinanza, con valore di sentenza, che scardina la legge sulla fecondazione assistita. Il giudice ha accolto il ricorso di una coppia e ha stabilito che le linee guida che vietano la diagnosi preimpianto degli embrioni sono inapplicabili perché contro la legge stessa e contro la Costituzione. È possibile quindi la diagnosi preventiva se c'è il rischio di trasmettere una grave malattia genetica, è lecito rifiutare il numero obbligatorio di tre embrioni se una gravidanza gemellare può compromettere la salute della donna.
Torna ancora nelle aule giudiziarie la battaglia sulla procreazione assistita, e dopo il caso del tribunale di Cagliari arriva un altro giudice a dare ragione alle coppie che lottano per cambiare le norme. Questa volta a sollevare la questione è stata una coppia trentenne di Milano, lei è portatrice di una grave malattia, la esostosi, malattia genetica che porta all'accrescimento esagerato della cartilagine delle ossa: c'è una percentuale molto elevata che venga trasmessa al figlio, esiste la possibilità che sia mortale.
La coppia si rivolge al centro Demetra di Firenze e chiede di poter fare la diagnosi preimpianto, inoltre chiede che la fivet sia adeguata allo stato di salute della donna che non può rischiare una gravidanza gemellare. Il centro risponde che tutto questo la legge non lo consente. "La coppia deve per forza sottoporsi alla roulette russa con il rischio di avere gli embrioni malati", racconta l'avvocato Gianni Baldini che ha curato il ricorso. "Così i coniugi si rivolgono al sito www. madreprovetta. org per chiedere una consulenza e iniziamo un'azione legale".
Alla base del ricorso, spiega l'avvocato, ci sono diverse considerazioni. "C'è il fatto che la legge 40 non stabilisce espressamente il divieto di diagnosi preimpianto, sono le linee guida a stabilirlo dicendo che le indagini preventive non possono essere di natura genetica ma solo osservazionale cioè morfologica". Questo divieto incide su un diritto soggettivo assoluto, dice l'avvocato Baldini, qual è quello dell'autodeterminazione, incide sul diritto alla procreazione cosciente e responsabile, al consenso informato.
"Il giudice Isabella Mariani accoglie il ricorso, "dicendo che è fondata l'illegittimità delle linee guida che espressamente disapplica, un provvedimento con efficacia vincolante per altri giudizi e per il Tar". Il giudice inoltre prende altre due iniziative contrarie alla legge. "Condanna il centro ad eseguire la diagnosi e stabilisce la crioconservazione degli embrioni malati, che la legge vieta, e dice che il medico deve seguire le regole della migliore scienza ed esperienza con specifico riguardo alla salute della donna. Questo è un altro colpo al cuore della legge 40, perché ristabilisce l'ordine gerarchico previsto dalla Costituzione e dalla legge 194 che antepone la salute della donna a quella del nascituro".
L'ordinanza non è revocabile, vale quanto una sentenza, se il centro Demetra non ricorre in appello diventa definitiva. È la seconda sentenza a favore della diagnosi preimpianto nel caso di malattie genetiche, a settembre il tribunale di Cagliari aveva dato ragione ad una donna portatrice di talassemia. "Da quando è andata in vigore la legge arrivano molte richieste di sostegno legale, è aumentato il contenzioso giudiziario, la legge 40 è avvertita contro il bene della coppia", dice Monica Soldano, presidente dell'associazione "Madreprovetta", "la legge viene sempre più percepita come ostile a un progetto genitoriale".
(22 dicembre 2007)
Fonte: repubblica.it
venerdì 21 dicembre 2007
Dalle canzoni dello Zecchino d'oro allo sfruttamento della prostituzione
Nel 1969 Vincenza Pastorelli fu protagonista all'Antoniano a 4 anni con "Il gatto nero"
Gestiva due centri massaggi nel Salento ma aveva vinto un concorso da maestra elementare
Vincenza Pastorelli allo Zecchino d'oro del '69 quando aveva 4 anni
BARI - Nel 1969 Vincenza fu protagonista all'Antoniano di Bologna, a soli quattro anni scalò le hit con la canzone 'Volevo un gatto nero', autentico successo anche internazionale: tre milioni di copie vendute in Giappone (il Festival fu vinto da Paolo Lanzini con "Tippy, un tenero coniglietto").
Oggi quella bimba bionda che arrossiva davanti a Mago Zurlì torna agli onori della cronaca ma per una vicenda di tutt'altro tenore: l'ex piccola diva Vincenza Pastorelli, oggi quarantaduenne, è stata arrestata dai carabinieri a Lecce per sfruttamento della prostituzione. Insieme con lei è finito in manette Pasquale Trevisi, suo ex fidanzato, di 29 anni, in cura presso una comunità terapeutica.
I carabinieri hanno appurato che la coppia aveva gestito a Guagnano e a Lecce, due case d'appuntamento, nelle quali si prostituivano quattro ragazze. Nelle case d'appuntamento camuffate da centri massaggi, l'ex protagonista dello Zecchino d'oro leggeva anche le carte ai clienti che volevano previsioni sul futuro. Gli affari andavano bene: secondo gli inquirenti, in un giorno, l'incasso raggiungeva anche i 1.000 euro, metà dei quali spettavano alla tenutaria che pagava le spese dell'appartamento.
Le due case di Guagnano e Lecce sono state chiuse a fine agosto, quando la donna ha vinto la cattedra per maestra elementare a Stradella dove si è trasferita interrompendo il rapporto col fidanzato. Per circa un mese, le due case sono state gestite dalle prostitute, che continuavano però a riconoscere la percentuale alla Pastorelli, pronta a minacciarle se non le inviavano i soldi.
Cino Tortorella, in arte Mago Zurlì, commenta addolorato: "E' una brutta cosa, che mi addolora profondamente, mi dispiace soprattutto che si avvicini una notizia così sgradevole allo Zecchino d'oro. Dal '69 hanno partecipato alle selezioni più di un milione di bambini, e su un milione di bambini può succedere anche questo".
(20 dicembre 2007)
Fonte: repubblica.it
Gestiva due centri massaggi nel Salento ma aveva vinto un concorso da maestra elementare
Vincenza Pastorelli allo Zecchino d'oro del '69 quando aveva 4 anni
BARI - Nel 1969 Vincenza fu protagonista all'Antoniano di Bologna, a soli quattro anni scalò le hit con la canzone 'Volevo un gatto nero', autentico successo anche internazionale: tre milioni di copie vendute in Giappone (il Festival fu vinto da Paolo Lanzini con "Tippy, un tenero coniglietto").
Oggi quella bimba bionda che arrossiva davanti a Mago Zurlì torna agli onori della cronaca ma per una vicenda di tutt'altro tenore: l'ex piccola diva Vincenza Pastorelli, oggi quarantaduenne, è stata arrestata dai carabinieri a Lecce per sfruttamento della prostituzione. Insieme con lei è finito in manette Pasquale Trevisi, suo ex fidanzato, di 29 anni, in cura presso una comunità terapeutica.
I carabinieri hanno appurato che la coppia aveva gestito a Guagnano e a Lecce, due case d'appuntamento, nelle quali si prostituivano quattro ragazze. Nelle case d'appuntamento camuffate da centri massaggi, l'ex protagonista dello Zecchino d'oro leggeva anche le carte ai clienti che volevano previsioni sul futuro. Gli affari andavano bene: secondo gli inquirenti, in un giorno, l'incasso raggiungeva anche i 1.000 euro, metà dei quali spettavano alla tenutaria che pagava le spese dell'appartamento.
Le due case di Guagnano e Lecce sono state chiuse a fine agosto, quando la donna ha vinto la cattedra per maestra elementare a Stradella dove si è trasferita interrompendo il rapporto col fidanzato. Per circa un mese, le due case sono state gestite dalle prostitute, che continuavano però a riconoscere la percentuale alla Pastorelli, pronta a minacciarle se non le inviavano i soldi.
Cino Tortorella, in arte Mago Zurlì, commenta addolorato: "E' una brutta cosa, che mi addolora profondamente, mi dispiace soprattutto che si avvicini una notizia così sgradevole allo Zecchino d'oro. Dal '69 hanno partecipato alle selezioni più di un milione di bambini, e su un milione di bambini può succedere anche questo".
(20 dicembre 2007)
Fonte: repubblica.it
Dalle canzoni dello Zecchino d'oro allo sfruttamento della prostituzione
Nel 1969 Vincenza Pastorelli fu protagonista all'Antoniano a 4 anni con "Il gatto nero"
Gestiva due centri massaggi nel Salento ma aveva vinto un concorso da maestra elementare
Vincenza Pastorelli allo Zecchino d'oro del '69 quando aveva 4 anni
BARI - Nel 1969 Vincenza fu protagonista all'Antoniano di Bologna, a soli quattro anni scalò le hit con la canzone 'Volevo un gatto nero', autentico successo anche internazionale: tre milioni di copie vendute in Giappone (il Festival fu vinto da Paolo Lanzini con "Tippy, un tenero coniglietto").
Oggi quella bimba bionda che arrossiva davanti a Mago Zurlì torna agli onori della cronaca ma per una vicenda di tutt'altro tenore: l'ex piccola diva Vincenza Pastorelli, oggi quarantaduenne, è stata arrestata dai carabinieri a Lecce per sfruttamento della prostituzione. Insieme con lei è finito in manette Pasquale Trevisi, suo ex fidanzato, di 29 anni, in cura presso una comunità terapeutica.
I carabinieri hanno appurato che la coppia aveva gestito a Guagnano e a Lecce, due case d'appuntamento, nelle quali si prostituivano quattro ragazze. Nelle case d'appuntamento camuffate da centri massaggi, l'ex protagonista dello Zecchino d'oro leggeva anche le carte ai clienti che volevano previsioni sul futuro. Gli affari andavano bene: secondo gli inquirenti, in un giorno, l'incasso raggiungeva anche i 1.000 euro, metà dei quali spettavano alla tenutaria che pagava le spese dell'appartamento.
Le due case di Guagnano e Lecce sono state chiuse a fine agosto, quando la donna ha vinto la cattedra per maestra elementare a Stradella dove si è trasferita interrompendo il rapporto col fidanzato. Per circa un mese, le due case sono state gestite dalle prostitute, che continuavano però a riconoscere la percentuale alla Pastorelli, pronta a minacciarle se non le inviavano i soldi.
Cino Tortorella, in arte Mago Zurlì, commenta addolorato: "E' una brutta cosa, che mi addolora profondamente, mi dispiace soprattutto che si avvicini una notizia così sgradevole allo Zecchino d'oro. Dal '69 hanno partecipato alle selezioni più di un milione di bambini, e su un milione di bambini può succedere anche questo".
(20 dicembre 2007)
Fonte: repubblica.it
Gestiva due centri massaggi nel Salento ma aveva vinto un concorso da maestra elementare
Vincenza Pastorelli allo Zecchino d'oro del '69 quando aveva 4 anni
BARI - Nel 1969 Vincenza fu protagonista all'Antoniano di Bologna, a soli quattro anni scalò le hit con la canzone 'Volevo un gatto nero', autentico successo anche internazionale: tre milioni di copie vendute in Giappone (il Festival fu vinto da Paolo Lanzini con "Tippy, un tenero coniglietto").
Oggi quella bimba bionda che arrossiva davanti a Mago Zurlì torna agli onori della cronaca ma per una vicenda di tutt'altro tenore: l'ex piccola diva Vincenza Pastorelli, oggi quarantaduenne, è stata arrestata dai carabinieri a Lecce per sfruttamento della prostituzione. Insieme con lei è finito in manette Pasquale Trevisi, suo ex fidanzato, di 29 anni, in cura presso una comunità terapeutica.
I carabinieri hanno appurato che la coppia aveva gestito a Guagnano e a Lecce, due case d'appuntamento, nelle quali si prostituivano quattro ragazze. Nelle case d'appuntamento camuffate da centri massaggi, l'ex protagonista dello Zecchino d'oro leggeva anche le carte ai clienti che volevano previsioni sul futuro. Gli affari andavano bene: secondo gli inquirenti, in un giorno, l'incasso raggiungeva anche i 1.000 euro, metà dei quali spettavano alla tenutaria che pagava le spese dell'appartamento.
Le due case di Guagnano e Lecce sono state chiuse a fine agosto, quando la donna ha vinto la cattedra per maestra elementare a Stradella dove si è trasferita interrompendo il rapporto col fidanzato. Per circa un mese, le due case sono state gestite dalle prostitute, che continuavano però a riconoscere la percentuale alla Pastorelli, pronta a minacciarle se non le inviavano i soldi.
Cino Tortorella, in arte Mago Zurlì, commenta addolorato: "E' una brutta cosa, che mi addolora profondamente, mi dispiace soprattutto che si avvicini una notizia così sgradevole allo Zecchino d'oro. Dal '69 hanno partecipato alle selezioni più di un milione di bambini, e su un milione di bambini può succedere anche questo".
(20 dicembre 2007)
Fonte: repubblica.it
giovedì 20 dicembre 2007
Stupro di gruppo a Dorgali, condanna in appello
Ribaltata la sentenza di assoluzione pronunciata dal tribunale dei minori
Simonetta Selloni
Cinque anni al ragazzo ritenuto complice delle violenze su una donna di cinquant’anni
SASSARI. In primo grado era stato assolto dall'accusa di aver partecipato allo stupro di gruppo compiuto in una villetta alla periferia di Dorgali, il 14 febbraio di tre anni fa. Ma Sebastiano Sale, 20 anni (e minorenne all'epoca dei fatti), è stato condannato dai giudici della sezioni minori corte d'appello di Sassari una pena esemplare: 5 anni. Un verdetto che ribalta completamente la sentenza assolutoria pronunciata un anno fa dal tribunale dei minori del capoluogo sassarese, che aveva completamente scagionato il giovane, difeso dall'avvocato Basilio Brodu.
Contro la sentenza di primo grado aveva proposto appello il pubblico ministero, Luisella Fenu, che aveva solleciatato la condanna di Sale a 10 anni di carcere. I capi di imputazione erano pesanti: sequestro di persona, furto, oltre che gli abusi sessuali compiuti nei confronti di una donna di cinquant'anni, che aveva denunciato di esser stata violentata da tre persone. Le indagini avevano condotto all'arresto e alla condanna di altri due giovani, tutti di Dorgali. Uno, Luigi Fancello, l'unico maggiorenne del gruppo, era stato condannato a 5 anni (con rito abbreviato) dal tribunale di Nuoro, mentre Gabriele Piredda, 21 anni, minorenne all'epoca dei fatti, si è visto attribuire 3 anni e dieci mesi dai giudici del tribunale dei minori di Sassari.
Sale era stato chiamato in causa da Piredda, che era stato arrestato appena una settimana prima di lui. Contro Piredda, così come Fancello, c'era la prova del Dna: nella villetta dove era stato compiuto lo stupro erano stati recuperati alcuni profilattici utilizzati dai malviventi. Gli inquirenti erano riusciti a risalire al profilo genetico, che, messo a confronto con quello di Fancello e Piredda, aveva dato esito positivo. Nei confronti di Sebastiano Sale invece non c'era la prova del Dna. L'accusa gli attribuiva il ruolo del bandito, che, con una pistola alla mano, avrebbe incitato gli altri due componenti il gruppo alla violenza, avrebbe frugato tra le cose della donna, rubando persino 50 euro dalla sua borsetta.
Le indagini su questo punto, o meglio, su questa figura, avevano preso diverse strade. In un primo tempo, al principio dell'inchiesta, la figura del "terzo uomo" sarebbe stata attribuita al fratello della vittima. L'uomo però (difeso dall'avvocato Cecilia Bassu) era stato interrogato, aveva dato le sue spiegazioni, ed effettivamente era stato scagionato dalla successiva incriminazione di Sebastiano Sale.
I giudici di primo grado avevano però creduto alla tesi difensiva. Completamente ribaltata dai giudici d'appello, presidente Marongiu, consiglieri Demuro e Giacalone e integrata da due esperti psicologi. A Sale sono state concesse le attenuanti generiche e la diminuente dovuta alla minore età.
A guardare tra le righe della vicenda, i verdetti hanno identificato una sorta di baby-gang, composta da due 17enni e un maggiorenne (per pochi giorni), che, armi in pugno, avrebbe portato a termine uno stupro nei confronti di una povera donna di cinquant'anni. Tutti e tre i suoi aguzzini, messi insieme, superano di poco l'età della loro vittima; una storia tremenda, sulla quale Dorgali era insorta, dando vita a manifestazioni di sdegno e condanna.
(19 dicembre 2007)
Fonte: espresso.repubblica.it
Simonetta Selloni
Cinque anni al ragazzo ritenuto complice delle violenze su una donna di cinquant’anni
SASSARI. In primo grado era stato assolto dall'accusa di aver partecipato allo stupro di gruppo compiuto in una villetta alla periferia di Dorgali, il 14 febbraio di tre anni fa. Ma Sebastiano Sale, 20 anni (e minorenne all'epoca dei fatti), è stato condannato dai giudici della sezioni minori corte d'appello di Sassari una pena esemplare: 5 anni. Un verdetto che ribalta completamente la sentenza assolutoria pronunciata un anno fa dal tribunale dei minori del capoluogo sassarese, che aveva completamente scagionato il giovane, difeso dall'avvocato Basilio Brodu.
Contro la sentenza di primo grado aveva proposto appello il pubblico ministero, Luisella Fenu, che aveva solleciatato la condanna di Sale a 10 anni di carcere. I capi di imputazione erano pesanti: sequestro di persona, furto, oltre che gli abusi sessuali compiuti nei confronti di una donna di cinquant'anni, che aveva denunciato di esser stata violentata da tre persone. Le indagini avevano condotto all'arresto e alla condanna di altri due giovani, tutti di Dorgali. Uno, Luigi Fancello, l'unico maggiorenne del gruppo, era stato condannato a 5 anni (con rito abbreviato) dal tribunale di Nuoro, mentre Gabriele Piredda, 21 anni, minorenne all'epoca dei fatti, si è visto attribuire 3 anni e dieci mesi dai giudici del tribunale dei minori di Sassari.
Sale era stato chiamato in causa da Piredda, che era stato arrestato appena una settimana prima di lui. Contro Piredda, così come Fancello, c'era la prova del Dna: nella villetta dove era stato compiuto lo stupro erano stati recuperati alcuni profilattici utilizzati dai malviventi. Gli inquirenti erano riusciti a risalire al profilo genetico, che, messo a confronto con quello di Fancello e Piredda, aveva dato esito positivo. Nei confronti di Sebastiano Sale invece non c'era la prova del Dna. L'accusa gli attribuiva il ruolo del bandito, che, con una pistola alla mano, avrebbe incitato gli altri due componenti il gruppo alla violenza, avrebbe frugato tra le cose della donna, rubando persino 50 euro dalla sua borsetta.
Le indagini su questo punto, o meglio, su questa figura, avevano preso diverse strade. In un primo tempo, al principio dell'inchiesta, la figura del "terzo uomo" sarebbe stata attribuita al fratello della vittima. L'uomo però (difeso dall'avvocato Cecilia Bassu) era stato interrogato, aveva dato le sue spiegazioni, ed effettivamente era stato scagionato dalla successiva incriminazione di Sebastiano Sale.
I giudici di primo grado avevano però creduto alla tesi difensiva. Completamente ribaltata dai giudici d'appello, presidente Marongiu, consiglieri Demuro e Giacalone e integrata da due esperti psicologi. A Sale sono state concesse le attenuanti generiche e la diminuente dovuta alla minore età.
A guardare tra le righe della vicenda, i verdetti hanno identificato una sorta di baby-gang, composta da due 17enni e un maggiorenne (per pochi giorni), che, armi in pugno, avrebbe portato a termine uno stupro nei confronti di una povera donna di cinquant'anni. Tutti e tre i suoi aguzzini, messi insieme, superano di poco l'età della loro vittima; una storia tremenda, sulla quale Dorgali era insorta, dando vita a manifestazioni di sdegno e condanna.
(19 dicembre 2007)
Fonte: espresso.repubblica.it
venerdì 14 dicembre 2007
"Io, violentata nel paradiso dei turisti"
La donna era su una barca da immersioni insieme ad altre dieci persone
"Sapevo di essere in un paese musulmano: non mi facevo vedere mai in costume"
Il dramma di un'italiana alle Maldive
Nel Paese lo stupro non è reato: "Mi hanno detto che non c'è una legge"
di CATERINA PASOLINI
"Io, violentata nel paradiso dei turisti"
Il dramma di un'italiana alle Maldive
Un atollo delle Maldive
ROMA - Ultima notte di quiete nel paradiso dei turisti tra spiagge bianche, acque limpide e barriere coralline. Poi all'improvviso la violenza. "Sento ancora le sue mani addosso, il cuscino premuto sulla bocca fino a togliermi il fiato per non farmi gridare, mentre quell'uomo mi schiaccia, mi imprigiona col suo peso e mi stupra".
Per una giovane architetta bolognese in vacanza in barca alle Maldive con un gruppo di dieci subacquei il sogno pagato 1300 euro con un biglietto last minute si è trasformato in un inferno. Violentata da un marinaio dell'equipaggio, trattata come una che "ha avuto un brutto sogno", guardata con "indifferenza dalla polizia di Malé tanto lì la violenza contro le donne non è neppure considerato un reato".
Elena, nome, città e mestiere di fantasia per proteggere chi ha già subito troppo, parla con tono pacato ma la rabbia è profonda come la ferita di chi ha subito una doppia violenza. E si sente trattato come una cosa, come un oggetto neppure degno di essere protetto dalla legge, che punisce i ladri ma non gli stupratori. "La violenza mi poteva capitare ovunque, a Milano come a Roma, ma almeno da noi è reato". Un delitto contro la persona dal '96, prima era solo contro la pubblica morale.
Parla, racconta, rivive cercando di mettere una barriera di distacco, senza enfasi, con la lucidità di chi vuole giustizia. Con la concretezza di chi è abituato a girare il mondo, di chi ha viaggiato dall'Africa all'oriente, conosce mondi e tradizioni diverse e non metterebbe mai in imbarazzo chi ha culture opposte. "Tanto che sapendo di essere in un paese musulmano non stavo in costume anche perché facendo quattro immersioni al giorno si viveva praticamente con la muta", dice. Quasi ci fosse bisogno di sottolineare che lei non ha messo in tentazione nessuno, che non cercava avventure. Come se dovesse giustificarsi per aver subito violenza.
"Siamo partiti a fine novembre, ci siamo ritrovati a Malé con la comitiva italiana, tutti appassionati di fondali, e il giorno dopo siamo partiti per la crociera". Ogni giorno un atollo diverso, una barriera nuova accompagnati dal doney, la piccola imbarcazione per le gite con le bombole, oltre alla barca dove dormivano turisti e nove persone di equipaggio.
Una settimana da sogno. Poi la violenza. "Quella notte l'equipaggio maldiviano deve aver bevuto, non ci sono abituati. Verso le quattro di notte mi sveglio, c'è qualcuno nella mia stanza, mi si getta addosso mi preme il cuscino sulla faccia mi violenta senza che riesca a gridare. Quando ce la faccio a divincolarmi scappa nel buio e io finalmente chiamo aiuto".
Accorrono gli altri turisti, ma l'atteggiamento del capitano è ambiguo. "Mi dice: è stato solo un brutto sogno, però si scusa a nome dell'equipaggio e mi chiede di non chiamare la polizia". Ma Elena ha già parlato col console italiano che le ha consigliato di fare la denuncia e con un carabiniere che era in barca si fa portare dalla police a Malè. "Raccolgono la mia versione, mi dicono che tanto lì non c'è una legge per la violenza alle donne, ma io non mi fermo. Voglio giustizia, voglio che tutti sappiano come sono le leggi in certi paesi, cosa può accadere se un tour operator organizza le cose in modo superficiale".
(14 dicembre 2007)
"Sapevo di essere in un paese musulmano: non mi facevo vedere mai in costume"
Il dramma di un'italiana alle Maldive
Nel Paese lo stupro non è reato: "Mi hanno detto che non c'è una legge"
di CATERINA PASOLINI
"Io, violentata nel paradiso dei turisti"
Il dramma di un'italiana alle Maldive
Un atollo delle Maldive
ROMA - Ultima notte di quiete nel paradiso dei turisti tra spiagge bianche, acque limpide e barriere coralline. Poi all'improvviso la violenza. "Sento ancora le sue mani addosso, il cuscino premuto sulla bocca fino a togliermi il fiato per non farmi gridare, mentre quell'uomo mi schiaccia, mi imprigiona col suo peso e mi stupra".
Per una giovane architetta bolognese in vacanza in barca alle Maldive con un gruppo di dieci subacquei il sogno pagato 1300 euro con un biglietto last minute si è trasformato in un inferno. Violentata da un marinaio dell'equipaggio, trattata come una che "ha avuto un brutto sogno", guardata con "indifferenza dalla polizia di Malé tanto lì la violenza contro le donne non è neppure considerato un reato".
Elena, nome, città e mestiere di fantasia per proteggere chi ha già subito troppo, parla con tono pacato ma la rabbia è profonda come la ferita di chi ha subito una doppia violenza. E si sente trattato come una cosa, come un oggetto neppure degno di essere protetto dalla legge, che punisce i ladri ma non gli stupratori. "La violenza mi poteva capitare ovunque, a Milano come a Roma, ma almeno da noi è reato". Un delitto contro la persona dal '96, prima era solo contro la pubblica morale.
Parla, racconta, rivive cercando di mettere una barriera di distacco, senza enfasi, con la lucidità di chi vuole giustizia. Con la concretezza di chi è abituato a girare il mondo, di chi ha viaggiato dall'Africa all'oriente, conosce mondi e tradizioni diverse e non metterebbe mai in imbarazzo chi ha culture opposte. "Tanto che sapendo di essere in un paese musulmano non stavo in costume anche perché facendo quattro immersioni al giorno si viveva praticamente con la muta", dice. Quasi ci fosse bisogno di sottolineare che lei non ha messo in tentazione nessuno, che non cercava avventure. Come se dovesse giustificarsi per aver subito violenza.
"Siamo partiti a fine novembre, ci siamo ritrovati a Malé con la comitiva italiana, tutti appassionati di fondali, e il giorno dopo siamo partiti per la crociera". Ogni giorno un atollo diverso, una barriera nuova accompagnati dal doney, la piccola imbarcazione per le gite con le bombole, oltre alla barca dove dormivano turisti e nove persone di equipaggio.
Una settimana da sogno. Poi la violenza. "Quella notte l'equipaggio maldiviano deve aver bevuto, non ci sono abituati. Verso le quattro di notte mi sveglio, c'è qualcuno nella mia stanza, mi si getta addosso mi preme il cuscino sulla faccia mi violenta senza che riesca a gridare. Quando ce la faccio a divincolarmi scappa nel buio e io finalmente chiamo aiuto".
Accorrono gli altri turisti, ma l'atteggiamento del capitano è ambiguo. "Mi dice: è stato solo un brutto sogno, però si scusa a nome dell'equipaggio e mi chiede di non chiamare la polizia". Ma Elena ha già parlato col console italiano che le ha consigliato di fare la denuncia e con un carabiniere che era in barca si fa portare dalla police a Malè. "Raccolgono la mia versione, mi dicono che tanto lì non c'è una legge per la violenza alle donne, ma io non mi fermo. Voglio giustizia, voglio che tutti sappiano come sono le leggi in certi paesi, cosa può accadere se un tour operator organizza le cose in modo superficiale".
(14 dicembre 2007)
martedì 11 dicembre 2007
Il 90% degli stupri commesso da italiani Il rischio maggiore da familiari e conoscenti
Una ricerca dell'Istat sfata molti luoghi comuni sui reati a sfondo sessuale. Secondo i dati resi noti dall'istituto solo il 10% delle violenze arriva da stranieri.
ROMA - Non sono immigrati ma italiani i responsabili della piaga della violenza sulle donne nel nostro Paese. Secondo le stime dell'Istat, non più del 10% degli stupri commessi in Italia è attribuibile a stranieri, contro un 69% di violenze domestiche commesso a opera di partner, mariti e fidanzati. Dati che fanno crollare d'un colpo il luogo comune che associa l'immigrazione a una diminuzione della sicurezza nelle città italiane.
Secondo l'Istat, che oggi ha aperto, nella sua sede centrale a Roma, il Global Forum sulle statistiche di genere, solo il 6% degli stupri in Italia è commesso da persone estranee alla vittima: "Se anche considerassimo che di questi autori estranei la metà sono immigrati - ha spiegato Linda Laura Sabbadini, direttore centrale dell'istituto di statistica - si arriverebbe al 3% degli stupri; se ci aggiungessimo il 50% dei conoscenti, al massimo si arriverebbe al 10% del totale degli stupri a opera di stranieri".
Le forze politiche di sinistra denunciano una realtà "oscurata e alterata" dai media e "strumentalizzata dai partiti di minoranza". "Una doccia fredda per il narcisismo nazionale": così il portavoce dell'Idv, Leoluca Orlando, commenta la ricerca. Paola Balducci, responsabile giustizia del Sole che ride, ricorda "l'ostruzionismo della destra che alla Camera ha ritardato l'approvazione del disegno di legge contro le discriminazioni sessuali e la violenza sulle donne" e evidenzia la necessità di "un salto di qualità nelle politiche culturali e informative". "I dati rafforzano le ragioni e lo spirito della manifestazione del 24 novembre" commenta la senatrice Prc Giovanna Capelli.
Il lavoro dell'Istat non si ferma qui. "Ora dovremo porre l'attenzione - osserva Luigi Biggeri, presidente dell'istituto - anche su altre tematiche come la discriminazione, terreno difficilissimo ma che ormai necessita di essere misurato in tutte le sue manifestazioni".
(10 dicembre 2007)
Fonte: repubblica.it
ROMA - Non sono immigrati ma italiani i responsabili della piaga della violenza sulle donne nel nostro Paese. Secondo le stime dell'Istat, non più del 10% degli stupri commessi in Italia è attribuibile a stranieri, contro un 69% di violenze domestiche commesso a opera di partner, mariti e fidanzati. Dati che fanno crollare d'un colpo il luogo comune che associa l'immigrazione a una diminuzione della sicurezza nelle città italiane.
Secondo l'Istat, che oggi ha aperto, nella sua sede centrale a Roma, il Global Forum sulle statistiche di genere, solo il 6% degli stupri in Italia è commesso da persone estranee alla vittima: "Se anche considerassimo che di questi autori estranei la metà sono immigrati - ha spiegato Linda Laura Sabbadini, direttore centrale dell'istituto di statistica - si arriverebbe al 3% degli stupri; se ci aggiungessimo il 50% dei conoscenti, al massimo si arriverebbe al 10% del totale degli stupri a opera di stranieri".
Le forze politiche di sinistra denunciano una realtà "oscurata e alterata" dai media e "strumentalizzata dai partiti di minoranza". "Una doccia fredda per il narcisismo nazionale": così il portavoce dell'Idv, Leoluca Orlando, commenta la ricerca. Paola Balducci, responsabile giustizia del Sole che ride, ricorda "l'ostruzionismo della destra che alla Camera ha ritardato l'approvazione del disegno di legge contro le discriminazioni sessuali e la violenza sulle donne" e evidenzia la necessità di "un salto di qualità nelle politiche culturali e informative". "I dati rafforzano le ragioni e lo spirito della manifestazione del 24 novembre" commenta la senatrice Prc Giovanna Capelli.
Il lavoro dell'Istat non si ferma qui. "Ora dovremo porre l'attenzione - osserva Luigi Biggeri, presidente dell'istituto - anche su altre tematiche come la discriminazione, terreno difficilissimo ma che ormai necessita di essere misurato in tutte le sue manifestazioni".
(10 dicembre 2007)
Fonte: repubblica.it
giovedì 29 novembre 2007
Condannati gli stupratori di Angy
Leggi anche Stupro, la donna ha una crisi isterica? La Cassazione: è prova di violenza del 2010
Condannati gli stupratori di Angy
Condannati gli stupratori di Angy
Due anni e dieci mesi di carcere e una provvisionale di 30 mila euro. Condannati Federico Fildani e Francesco Liori, 27 e 20 anni, per violenza sessuale di gruppo, violenza privata e lesioni. Lo stupro denunciato da una studentessa bolognese di 27 anni che all´epoca frequentava uno dei due. La vittima: "Denunciare aiuta, anche se la mia vita è cambiata" di Alessandro Cori
Il primo pensiero di Angy dopo la sentenza che condanna i suoi due aggressori è per le "farfalle", come chiama lei le sue amiche, quelle donne che non l´hanno mai abbandonata e per il "brucaliffo", il suo ragazzo. Molte "farfalle" ieri erano lì, insieme a lei, davanti al cancello della Procura in piazza Trento e Trieste. Striscioni appesi sulle panchine, slogan contro i «maschi stupratori» e poi quei palloncini rosa lasciati librare in aria a giochi fatti. Una liberazione, peccato il messaggio: «Un uomo morto non stupra».
La sentenza del Gup Andrea Scarpa arriva dopo nove ore d´attesa, una di camera di consiglio, e stabilisce che Federico Fildani, 27 anni, romano e Francesco Liori, 20, cagliaritano, sono colpevoli di violenza sessuale di gruppo e lesioni, per aver stuprato Angy in un appartamento di via Libia il 24 settembre del 2006. Entrambi si sono sempre detti innocenti e l´hanno ribadito anche ieri. Ora però i due ragazzi dovranno scontare una condanna di due anni e dieci mesi a testa. Tre anni era stata la richiesta del pm Maria Gabriella Tavano per i due imputati, tenuto conto dello sconto previsto dal rito abbreviato e concesse le attenuanti generiche. I ragazzi per adesso rimarranno agli arresti domiciliari.
L´ultima volta che le "donne di Angy" e gli amici dei due imputati si erano trovati faccia a faccia, il settembre scorso, c´è mancato poco che non venissero a contatto. I cori pieni di rabbia ed emozione delle femministe della "Rete delle donne" hanno risuonato anche ieri, «Liori, Fildani venite fuori adesso ve lo facciamo noi un bel processo», ma chi sostiene l´innocenza di Francesco e Federico non c´è ad ascoltarli. Parenti e amici dei due ragazzi si fanno vedere per poco, sistemandosi nel parchetto dall´altra parte della strada, poi spariscono. Quando l´avvocato Antonio Petroncini, che difende Liori, gli comunica la sentenza di condanna sono già sulla strada per tornare in Sardegna.
Ad annunciare per prima l´esito della sentenza ai cronisti, che presidiano fin dal mattino il palazzo di giustizia, è la mamma di Angy, che dall´emozione per poco non sviene. Poi, spunta anche lei, la ragazza che «non ha avuto paura di denunciare i suoi aggressori», come continuano a ripetere le amiche. A chi le chiede se è stata dura e se perdonerà i due ragazzi, la 27enne risponde che «bisogna togliere l´odio dal proprio cuore». Dice poi che «la cosa più importante è riuscire a riprendere la propria vita» e che, per fare questo, «sicuramente denunciare aiuta. Io lo rifarei, nonostante qualcosa è cambiato». Angy ora infatti studia all´estero, perché nonostante a Bologna molte persone l´hanno sostenuta, «stare qui era diventato difficile». Per la mamma questa è stata una «sentenza simbolica che deve convincere le donne vittime di abusi a denunciare, perché saranno credute».
Quello che accadde in via Libia monopolizzò per molto tempo l´attenzione di giornali e televisioni. I due imputati e la ragazza si conoscevano (il più giovane dei due aveva avuto in passato una relazione con la studentessa) e quel 24 settembre passarono la serata insieme. Le versioni sulla prima parte della serata furono concordanti, ma completamente divergenti sul finale. Dopo una notte in compagnia dei due, la ragazza venne soccorsa in ospedale per «evidenti segni di percosse al volto, al tronco e agli arti superiori ed inferiori». Ma per i due il rapporto era consenziente. «Noi ci aspettavamo l´assoluzione - dice il padre di Francesco, Gianfranco Liori - il giudice non ha creduto a tutto, ma ha emesso un verdetto senza avere prove basandosi solo sulle parole della ragazza. Sono riuscito a parlare con mio figlio solo per pochissimo, era pessimista. In appello verrà fuori la verità».
(28 novembre 2007)
lunedì 26 novembre 2007
Arriva il congegno antistupro
Sicurezza. L’apparecchio al servizio dell’uso sociale e familiare.
In viale Martelli avrebbe risolto la situazione
Schiacci un tasto e ti trovano attraverso la tecnologia satellitare
Egrave; un apparecchio simile al telefonino, ma consente la localizzazione personale e il tracciamento satellitare direttamente sul computer. Insomma, un Gps portatile studiato e pensato come sistema di sicurezza per donne, bambini e anziani. A produrre l’apparecchio che avrebbe probabilmente consentito di evitare la violenza di viale Martelli è una società di Codroipo presieduta dal dottor Domenico Mangiacapra, 41 anni.
Il suo nome è “Perdix”. In via Circonvallazione sud, vicino al parco delle Risorgive di Codroipo, alla “Qnet srl”, lo producono circa trenta persone, prevalentemente programmatori. «Siamo una software house», dice il presidente Mangiacapra. L’azienda è nata nel 1996. Così è spiegato, in sintesi, il prodotto: «Vi trovate in una situazione di pericolo? La sera vostra moglie torna a casa da sola? Temete che vostro figlio esca da scuola a vostra insaputa? Avete genitori anziani che vivono lontani?». Non temono un uso distorto del prodotto, del tipo amante o coniuge geloso, rivale in affari eccetera. Ancora il presidente: «Noi non sappiamo a chi è associato il dispositivo, sappiamo solo dov’è; l’utilizzatore deve e s’impegna per contratto a rispettare la privacy e quindi a darlo solo a persone consenzienti. L’idea del servizio nasce da utilizzi a fini sociali: sicurezza, servizi socio-sanitari, da richieste di applicazione in questi settori».
Giancarlo Buonocore, procuratore aggiunto di Udine, commenta così: «Di per sè è una iniziativa molto positiva perché consentirebbe d’individuare anziani che si perdono, minori che potrebbero essere portati via, quindi ha una valenza positiva. È chiaro che può anche essere utilizzato per pedinamenti, ma mi pare ci siano garanzie. Addirittura è possibile controllare il minore che non devii dal percorso; potrebbe essere un ottimo rimedio sotto il profilo preventivo, che comporta una possibile riduzione di fatti criminosi. Se poi esiste una “tracciabilità ex post”, tipo il tabulato, potrebbe diventare una prova a carico o a discarico, anche utile per portare a un risparmio in caso di previsione di reati».
Favorevole anche Elio Carchietti, direttore Elisoccorso regionale e centrale operativa 118 Udine: «Dal punto di vista strettamente sanitario e in particolare per quanto attiene alla gestione del soccorso in emergenza un dispositivo in grado di localizzare la persona che necessita di aiuto è una risorsa molto utile, in alcuni casi può risultare determinante per il buon fine del soccorso, sempre che l’allarme venga inoltrato tempestivamente. Un limite all’efficacia di dispositivi tecnologici è determinato dalla necessità che sia attiva una terza persona fra il sistema d’emergenza e la vittima».
(23 novembre 2007)
Fonte: espresso.repubblica.it
In viale Martelli avrebbe risolto la situazione
Schiacci un tasto e ti trovano attraverso la tecnologia satellitare
Egrave; un apparecchio simile al telefonino, ma consente la localizzazione personale e il tracciamento satellitare direttamente sul computer. Insomma, un Gps portatile studiato e pensato come sistema di sicurezza per donne, bambini e anziani. A produrre l’apparecchio che avrebbe probabilmente consentito di evitare la violenza di viale Martelli è una società di Codroipo presieduta dal dottor Domenico Mangiacapra, 41 anni.
Il suo nome è “Perdix”. In via Circonvallazione sud, vicino al parco delle Risorgive di Codroipo, alla “Qnet srl”, lo producono circa trenta persone, prevalentemente programmatori. «Siamo una software house», dice il presidente Mangiacapra. L’azienda è nata nel 1996. Così è spiegato, in sintesi, il prodotto: «Vi trovate in una situazione di pericolo? La sera vostra moglie torna a casa da sola? Temete che vostro figlio esca da scuola a vostra insaputa? Avete genitori anziani che vivono lontani?». Non temono un uso distorto del prodotto, del tipo amante o coniuge geloso, rivale in affari eccetera. Ancora il presidente: «Noi non sappiamo a chi è associato il dispositivo, sappiamo solo dov’è; l’utilizzatore deve e s’impegna per contratto a rispettare la privacy e quindi a darlo solo a persone consenzienti. L’idea del servizio nasce da utilizzi a fini sociali: sicurezza, servizi socio-sanitari, da richieste di applicazione in questi settori».
Giancarlo Buonocore, procuratore aggiunto di Udine, commenta così: «Di per sè è una iniziativa molto positiva perché consentirebbe d’individuare anziani che si perdono, minori che potrebbero essere portati via, quindi ha una valenza positiva. È chiaro che può anche essere utilizzato per pedinamenti, ma mi pare ci siano garanzie. Addirittura è possibile controllare il minore che non devii dal percorso; potrebbe essere un ottimo rimedio sotto il profilo preventivo, che comporta una possibile riduzione di fatti criminosi. Se poi esiste una “tracciabilità ex post”, tipo il tabulato, potrebbe diventare una prova a carico o a discarico, anche utile per portare a un risparmio in caso di previsione di reati».
Favorevole anche Elio Carchietti, direttore Elisoccorso regionale e centrale operativa 118 Udine: «Dal punto di vista strettamente sanitario e in particolare per quanto attiene alla gestione del soccorso in emergenza un dispositivo in grado di localizzare la persona che necessita di aiuto è una risorsa molto utile, in alcuni casi può risultare determinante per il buon fine del soccorso, sempre che l’allarme venga inoltrato tempestivamente. Un limite all’efficacia di dispositivi tecnologici è determinato dalla necessità che sia attiva una terza persona fra il sistema d’emergenza e la vittima».
(23 novembre 2007)
Fonte: espresso.repubblica.it
domenica 25 novembre 2007
Violenza donne: Human Rights, Italia quinta per stupri
24 novembre 2007 alle 13:45 — Fonte: repubblica.it
In Italia i casi di violenza sessuale sulle donne sono tanti, in aumento, ma gli atti certificati dalle organizzazioni internazionali, collocano il nostro paese al quinto posto.
Nel suo libro “Fallocrazia” edito da Rizzoli il massmediologo Klaus Davi pubblica in esclusiva i dati dell’associazione Human Rights, monitorati nel periodo 2005-2006, che hanno messo a confronto vari paesi d’Europa. Davi riporta anche il parere di Condoleezza Rice che ha commentato il rapporto. Il record delle denunce è in Inghilterra con 13.721 stupri effettivamente denunciati, ma il Guardian stima in un anno circa 47.000 stupri. Segue la Francia con 9.993 casi nel 2006 anche se solo l’8% delle donne francesi denuncia lo stupro. Al terzo posto la Germania, con 8.133 stupri, quasi tutti denunciati.
Da sottolineare che in Germania, una donna su sette ha subito violenze sessuali gravi. Segue la Spagna con 6.382 stupri. Italia al quinto posto della classifica. Sono 2.000 gli stupri denunciati contro i 4.578 effettivi. I dati Istat pubblicati in occasione dell’8 marzo 2007 riportano che in totale almeno un milione di donne in Italia sono state violentate. In Belgio 2.559 stupri, solo il 40 % di questi vengono però denunciati, mentre il Svezia (2.226 casi nel 2005) i casi sono quadruplicati in 20 anni. In Olanda 1.174 casi nel 2004, documenta Klaus Davi, ma il Country Report on Human Rights afferma che i tentativi di stupro e molestie sessuali sarebbero circa 15.000.
Dati in crescita in Norvegia (689 stupri) Solo ad Oslo se ne sono registrati 300 nel 2006. In Danimarca, invece, 475 stupri nel 2005, il 46% commesso da immigrati. Sono 249, invece, gli stupri nel 2006 in Finlandia e in totale le finlandesi vittime di violenze fisiche, sessuali o anche solo minacciate di violenze sono il 40% di tutte le donne finlandesi. In Austria mediamente vengono violentate 20 donne al giorno. Stupisce, inoltre, che negli Stati Uniti stupri, tentati stupri o aggressioni a sfondo sessuale vedono 200.780 vittime ogni anno. In media viene violentata una donna ogni 90 secondi, (Rapporto di Amnisty Making violence against women count: facts and figures).
AGI
Altri link repubblica.it
In Italia i casi di violenza sessuale sulle donne sono tanti, in aumento, ma gli atti certificati dalle organizzazioni internazionali, collocano il nostro paese al quinto posto.
Nel suo libro “Fallocrazia” edito da Rizzoli il massmediologo Klaus Davi pubblica in esclusiva i dati dell’associazione Human Rights, monitorati nel periodo 2005-2006, che hanno messo a confronto vari paesi d’Europa. Davi riporta anche il parere di Condoleezza Rice che ha commentato il rapporto. Il record delle denunce è in Inghilterra con 13.721 stupri effettivamente denunciati, ma il Guardian stima in un anno circa 47.000 stupri. Segue la Francia con 9.993 casi nel 2006 anche se solo l’8% delle donne francesi denuncia lo stupro. Al terzo posto la Germania, con 8.133 stupri, quasi tutti denunciati.
Da sottolineare che in Germania, una donna su sette ha subito violenze sessuali gravi. Segue la Spagna con 6.382 stupri. Italia al quinto posto della classifica. Sono 2.000 gli stupri denunciati contro i 4.578 effettivi. I dati Istat pubblicati in occasione dell’8 marzo 2007 riportano che in totale almeno un milione di donne in Italia sono state violentate. In Belgio 2.559 stupri, solo il 40 % di questi vengono però denunciati, mentre il Svezia (2.226 casi nel 2005) i casi sono quadruplicati in 20 anni. In Olanda 1.174 casi nel 2004, documenta Klaus Davi, ma il Country Report on Human Rights afferma che i tentativi di stupro e molestie sessuali sarebbero circa 15.000.
Dati in crescita in Norvegia (689 stupri) Solo ad Oslo se ne sono registrati 300 nel 2006. In Danimarca, invece, 475 stupri nel 2005, il 46% commesso da immigrati. Sono 249, invece, gli stupri nel 2006 in Finlandia e in totale le finlandesi vittime di violenze fisiche, sessuali o anche solo minacciate di violenze sono il 40% di tutte le donne finlandesi. In Austria mediamente vengono violentate 20 donne al giorno. Stupisce, inoltre, che negli Stati Uniti stupri, tentati stupri o aggressioni a sfondo sessuale vedono 200.780 vittime ogni anno. In media viene violentata una donna ogni 90 secondi, (Rapporto di Amnisty Making violence against women count: facts and figures).
AGI
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venerdì 23 novembre 2007
Choc in Brasile, 15enne in cella con venti uomini: stuprata per un mese
Il governatore dello stato di Para
si è impegnato affinché possa
esserci una punizione esemplare
BRASILIA
È scandalo in Brasile. Una giovane adolescente di quindici anni sospettata di avere commesso un furto è stata rinchiusa in una cella con oltre 20 uomini per un mese. Durante questo periodo è stata ripetutamente violentata e obbligata a avere rapporti sessuali per procurarsi il cibo. Lo hanno denunciato oggi i membri dell’organizzazione umanitaria "Children and Adolescent Defense Center" (Cedeca) subito dopo il rilascio della ragazzina «È stata stuprata dal primo giorno» non appena è entrata in prigione nello stato di Parà dai suoi compagni di cella che avevano da 20 a 34 anni, hanno raccontato al Cedeca.
La giovane era stata arrestata nella capitale di Parà, Abaetetuba, il 21 ottobre e era finita in guardina nelle celle della stazione di polizia fino a quando qualcuno non ha informato con una soffiata alla stampa. La polizia, secondo il legale dell'adolescente non ha saputo indicare per quale caso di furto fosse stata imprigionata e si è difesa affermando che non si erano accorti che fosse minorenne. «Ma questa non è una giustificazione. Se avesse avuto 15, 20, 50, 80 o 100 anni non doveva essere rinchiusa con degli uomini», ha dichiarato il governatore locale, la signora Ana Julia Carepa annunciando che avrebbe chiesto una punizione esemplare. I media brasiliani hanno riportato che non si è trattato del primo caso del genere: in precedenza una ragazza di 23 anni era stata sbattuta in un altro carcere dello stesso stato per un mese, stavolta con 70 uomini.
Fonte: La Stampa.it
si è impegnato affinché possa
esserci una punizione esemplare
BRASILIA
È scandalo in Brasile. Una giovane adolescente di quindici anni sospettata di avere commesso un furto è stata rinchiusa in una cella con oltre 20 uomini per un mese. Durante questo periodo è stata ripetutamente violentata e obbligata a avere rapporti sessuali per procurarsi il cibo. Lo hanno denunciato oggi i membri dell’organizzazione umanitaria "Children and Adolescent Defense Center" (Cedeca) subito dopo il rilascio della ragazzina «È stata stuprata dal primo giorno» non appena è entrata in prigione nello stato di Parà dai suoi compagni di cella che avevano da 20 a 34 anni, hanno raccontato al Cedeca.
La giovane era stata arrestata nella capitale di Parà, Abaetetuba, il 21 ottobre e era finita in guardina nelle celle della stazione di polizia fino a quando qualcuno non ha informato con una soffiata alla stampa. La polizia, secondo il legale dell'adolescente non ha saputo indicare per quale caso di furto fosse stata imprigionata e si è difesa affermando che non si erano accorti che fosse minorenne. «Ma questa non è una giustificazione. Se avesse avuto 15, 20, 50, 80 o 100 anni non doveva essere rinchiusa con degli uomini», ha dichiarato il governatore locale, la signora Ana Julia Carepa annunciando che avrebbe chiesto una punizione esemplare. I media brasiliani hanno riportato che non si è trattato del primo caso del genere: in precedenza una ragazza di 23 anni era stata sbattuta in un altro carcere dello stesso stato per un mese, stavolta con 70 uomini.
Fonte: La Stampa.it
Stuprarono ragazzina nel bar
La violenza all’interno dei bagni del Fankool
Condannati ad otto anni due giovani salernitani
Otto anni di carcere ed una provvisionale dai 70mila euro da versare alla costituita parte civile: questa la sentenza di condanna emessa ieri dai giudici nei confronti dei 22enni salernitani Francesco De Sio e Attilio Francesco Rinaldi, accusati di aver abusato sessualmente di una minore all’interno dei bagni del bar "Fankool" di via Roma. I due imputati erano difesi dagli avvocati Massimo Torre e Pierluigi Spadafora. La ragazza oggetto della presunta violenza si era costituita parte civile, attraverso l’avvocato Lucio Basco.
I due giovani, secondo l’accusa prospettata dalla Procura, parteciparono ad un episodio di violenza avvenuto nel febbraio del 2004 all’interno dei bagni del bar "Fankool" di via Roma. Secondo l’accusa De Sio e Rinaldi, in concorso con un minore, bloccarono la vittima ed un’amica all’interno dei bagni del locale. Mentre un giovane teneva ferma la ragazzina che all’epoca non aveva ancora compiuto 14 anni, gli altri due iniziarono a violentarla. Uno stupro interrotto dall’intervento del proprietario del locale che li costrinse ad andare via dal bar. I due furono poi raggiunti da un’ordinanza di custodia in carcere e, quindi, rimessi in libert‡. L’episodio contestato a De Sio e Rinaldi si inserisce in una delicata inchiesta portata avanti dalla Procura ordinaria e da quella dei Minori. Nel giugno di due anni fa il gup del Tribunale di Largo San Tommaso rinviò a giudizio Matteo L., Francesco L., Vincenzo P., Cosimo D. C., Fabrizio U., Antonio B., difesi dagli avvocati Luigi Gargiulo, Michele Tedesco, Pierluigi Spadafora e Francesco Saverio Dambrosio. Il gup fissò l’inizio del dibattimento per il 16 marzo 2006, davanti ai giudici del Tribunale dei Minori. Le due studentesse, secondo l’accusa, furono costrette ad avere rapporti sessuali con coetanei. Episodi che sarebbero iniziati nel novembre del 2003 e protrattisi fino al marzo 2004. Furono le due vittime, ascoltate per la prima volta nell’aprile 2004 alla presenza di un assistente sociale, a ricostruire gli episodi poi contestati agli imputati. Le loro accuse furono poi vagliate in sede di incidente probatorio. Per i due maggiorenni scattò il processo che ieri si è concluso con la requisitoria del pm Giusti (che aveva chiesto 9 anni), la parte civile (rappresentata dall’avvocato Basco) e dei legali di fiducia dei due imputati poi condannati.
(21 novembre 2007)
fonte: espresso.repubblica.it
Condannati ad otto anni due giovani salernitani
Otto anni di carcere ed una provvisionale dai 70mila euro da versare alla costituita parte civile: questa la sentenza di condanna emessa ieri dai giudici nei confronti dei 22enni salernitani Francesco De Sio e Attilio Francesco Rinaldi, accusati di aver abusato sessualmente di una minore all’interno dei bagni del bar "Fankool" di via Roma. I due imputati erano difesi dagli avvocati Massimo Torre e Pierluigi Spadafora. La ragazza oggetto della presunta violenza si era costituita parte civile, attraverso l’avvocato Lucio Basco.
I due giovani, secondo l’accusa prospettata dalla Procura, parteciparono ad un episodio di violenza avvenuto nel febbraio del 2004 all’interno dei bagni del bar "Fankool" di via Roma. Secondo l’accusa De Sio e Rinaldi, in concorso con un minore, bloccarono la vittima ed un’amica all’interno dei bagni del locale. Mentre un giovane teneva ferma la ragazzina che all’epoca non aveva ancora compiuto 14 anni, gli altri due iniziarono a violentarla. Uno stupro interrotto dall’intervento del proprietario del locale che li costrinse ad andare via dal bar. I due furono poi raggiunti da un’ordinanza di custodia in carcere e, quindi, rimessi in libert‡. L’episodio contestato a De Sio e Rinaldi si inserisce in una delicata inchiesta portata avanti dalla Procura ordinaria e da quella dei Minori. Nel giugno di due anni fa il gup del Tribunale di Largo San Tommaso rinviò a giudizio Matteo L., Francesco L., Vincenzo P., Cosimo D. C., Fabrizio U., Antonio B., difesi dagli avvocati Luigi Gargiulo, Michele Tedesco, Pierluigi Spadafora e Francesco Saverio Dambrosio. Il gup fissò l’inizio del dibattimento per il 16 marzo 2006, davanti ai giudici del Tribunale dei Minori. Le due studentesse, secondo l’accusa, furono costrette ad avere rapporti sessuali con coetanei. Episodi che sarebbero iniziati nel novembre del 2003 e protrattisi fino al marzo 2004. Furono le due vittime, ascoltate per la prima volta nell’aprile 2004 alla presenza di un assistente sociale, a ricostruire gli episodi poi contestati agli imputati. Le loro accuse furono poi vagliate in sede di incidente probatorio. Per i due maggiorenni scattò il processo che ieri si è concluso con la requisitoria del pm Giusti (che aveva chiesto 9 anni), la parte civile (rappresentata dall’avvocato Basco) e dei legali di fiducia dei due imputati poi condannati.
(21 novembre 2007)
fonte: espresso.repubblica.it
sabato 17 novembre 2007
Non stuprò l´amica minorenne: assolto
Due anni fa il presunto aggressore era stato preso di peso da casa dallo zio della giovane e portato ai carabinieri
Franca Selvatici
Vent´anni lui, quindici lei. Michele e Giulia (i nomi sono di fantasia) fanno parte di una stessa comitiva di amici, si ritrovano nella piazza di un paese della provincia di Firenze. Lui sta con un´altra ragazzina, ma una sera - è l´8 ottobre 2005 - gli amici li vedono allontanarsi insieme in macchina. Qualcuno dice che sono abbracciati. Quando rientrano, circa mezz´ora più tardi, sembra tutto normale, salvo le lacrime della fidanzatina di Michele, che sospetta Giulia di averglielo soffiato.
Quattro giorni dopo, però, all´interno della piccola compagnia di adolescenti scoppia la bomba. Giulia accusa Michele: «Mi ha violentata, io non volevo neppure baciarlo ma lui mi ha costretto con la forza, mi ha immobilizzato e ha fatto il suo comodo senza curarsi del fatto che piangevo, che ero disperata e che schiacciandomi mi aveva anche fatto male a una spalla». Un´accusa gravissima che scombussola i ragazzini, sconvolge i genitori, manda nel panico il presunto colpevole, che viene addirittura prelevato in casa a notte fonda dallo zio di Giulia, strapazzato, minacciato e consegnato ai carabinieri perché lo arrestino (cosa che non accadrà).
Come si vede, è materia da maneggiare con la massima cura. Una ragazzina di 15 anni che piange e denuncia di aver sperimentato la brutalità nel suo primo rapporto sessuale. Un ragazzo di venti anni che nega di aver abusato di lei e rischia una dura condanna, quasi un marchio a vita. Il tribunale ha lavorato con estrema attenzione. Alla fine Michele è stato assolto.
Per due anni Michele, operaio, una infanzia difficile e una famiglia affidataria che lo adora, è stato sotto inchiesta per violenza sessuale e lesioni. Da due anni Giulia sostiene di aver subito un trauma gravissimo, tanto da aver abbandonato la scuola e da non essere più riuscita, in seguito, ad avere relazioni serene con i coetanei. Gli amici, disorientati, si sono divisi fra l´uno e l´altra.
Il tribunale si è mosso con scrupolo. L´istruttoria è stata minuziosa, ma alla fine è bastata una camera di consiglio di mezz´ora per concludere: i fatti non sussistono. Michele, difeso dall´avvocato Lucia Mininni, è stato assolto con formula piena. Alla lettura della sentenza gli occhi gli si sono riempiti di lacrime. Essere stato creduto, questo era fondamentale. Fin dal primo giorno lui non ha negato di aver avuto un rapporto con Giulia. Ha detto però che era stata lei, quella sera, ad avvicinarsi e a salutarlo con un bacio sulle labbra e che era andata ben volentieri in auto con lui. Era depressa per la fine di un altro piccolo grande amore, ma non era stata affatto contraria a fare petting, aveva avuto una crisi di tristezza ma poi aveva ripreso a baciare e ad accarezzare Michele e non si era opposta a un rapporto ancora più intimo. Però dopo quegli abbracci sperava che Michele si mettesse con lei e quando, qualche giorno più tardi, aveva capito che non sarebbe andata così gli aveva detto che gliela avrebbe fatta pagare.
Al processo, attraverso le testimonianze dei ragazzi della compagnia, sono venute alla luce delle conferme al racconto di Giulia ma anche le piccole crepe alla sua versione. Mentre era in corso la presunta violenza aveva risposto al telefonino senza manifestare turbamento. Dopo il ritorno in piazza era sembrata agli amici piuttosto tranquilla e tonica. La scuola, in verità, l´aveva lasciata prima del grande trauma. Anche del dolore alla spalla si era lamentata prima. E dopo il presunto stupro aveva continuato a frequentare la compagnia e nel corso di una festa per Halloween, circa venti giorni più tardi, aveva dormito con un gruppetto di amici e amiche.
In precedenza la visita ginecologica in ospedale non aveva rilevato tracce di violenze.
D´altra parte si può ben capire come - nel giorno della grande confessione - il pianto disperato di Giulia abbia sconvolto la sua famiglia. La notte del 12 ottobre 2005 lo zio, presso il quale la ragazzina era ospite, si fece accompagnare dal figlio e da un altro adolescente a casa di Michele, lo svegliò e gli ordinò di seguirlo così come si trovava, in pigiama e maglietta. In macchina gliene disse di tutti i colori. Lo portò a casa, dove nel frattempo era arrivata la madre di Giulia, che infuriata e sconvolta spalancò lo sportello dell´auto e strapazzò il ragazzo, avvertendolo che la sua vita era rovinata e rovesciandogli addosso il suo disprezzo. Poi lo zio rimise in moto la macchina, raggiunse la caserma dei carabinieri e consegnò il ragazzo al maresciallo. Soltanto allora Michele, ormai nel panico, capì che Giulia lo accusava di averla violentata. Ora lo zio della ragazzina è sotto accusa per sequestro di persona. Il processo è fissato in febbraio.
(15 novembre 2007)
Fonte: espresso.repubblica.it
Franca Selvatici
Vent´anni lui, quindici lei. Michele e Giulia (i nomi sono di fantasia) fanno parte di una stessa comitiva di amici, si ritrovano nella piazza di un paese della provincia di Firenze. Lui sta con un´altra ragazzina, ma una sera - è l´8 ottobre 2005 - gli amici li vedono allontanarsi insieme in macchina. Qualcuno dice che sono abbracciati. Quando rientrano, circa mezz´ora più tardi, sembra tutto normale, salvo le lacrime della fidanzatina di Michele, che sospetta Giulia di averglielo soffiato.
Quattro giorni dopo, però, all´interno della piccola compagnia di adolescenti scoppia la bomba. Giulia accusa Michele: «Mi ha violentata, io non volevo neppure baciarlo ma lui mi ha costretto con la forza, mi ha immobilizzato e ha fatto il suo comodo senza curarsi del fatto che piangevo, che ero disperata e che schiacciandomi mi aveva anche fatto male a una spalla». Un´accusa gravissima che scombussola i ragazzini, sconvolge i genitori, manda nel panico il presunto colpevole, che viene addirittura prelevato in casa a notte fonda dallo zio di Giulia, strapazzato, minacciato e consegnato ai carabinieri perché lo arrestino (cosa che non accadrà).
Come si vede, è materia da maneggiare con la massima cura. Una ragazzina di 15 anni che piange e denuncia di aver sperimentato la brutalità nel suo primo rapporto sessuale. Un ragazzo di venti anni che nega di aver abusato di lei e rischia una dura condanna, quasi un marchio a vita. Il tribunale ha lavorato con estrema attenzione. Alla fine Michele è stato assolto.
Per due anni Michele, operaio, una infanzia difficile e una famiglia affidataria che lo adora, è stato sotto inchiesta per violenza sessuale e lesioni. Da due anni Giulia sostiene di aver subito un trauma gravissimo, tanto da aver abbandonato la scuola e da non essere più riuscita, in seguito, ad avere relazioni serene con i coetanei. Gli amici, disorientati, si sono divisi fra l´uno e l´altra.
Il tribunale si è mosso con scrupolo. L´istruttoria è stata minuziosa, ma alla fine è bastata una camera di consiglio di mezz´ora per concludere: i fatti non sussistono. Michele, difeso dall´avvocato Lucia Mininni, è stato assolto con formula piena. Alla lettura della sentenza gli occhi gli si sono riempiti di lacrime. Essere stato creduto, questo era fondamentale. Fin dal primo giorno lui non ha negato di aver avuto un rapporto con Giulia. Ha detto però che era stata lei, quella sera, ad avvicinarsi e a salutarlo con un bacio sulle labbra e che era andata ben volentieri in auto con lui. Era depressa per la fine di un altro piccolo grande amore, ma non era stata affatto contraria a fare petting, aveva avuto una crisi di tristezza ma poi aveva ripreso a baciare e ad accarezzare Michele e non si era opposta a un rapporto ancora più intimo. Però dopo quegli abbracci sperava che Michele si mettesse con lei e quando, qualche giorno più tardi, aveva capito che non sarebbe andata così gli aveva detto che gliela avrebbe fatta pagare.
Al processo, attraverso le testimonianze dei ragazzi della compagnia, sono venute alla luce delle conferme al racconto di Giulia ma anche le piccole crepe alla sua versione. Mentre era in corso la presunta violenza aveva risposto al telefonino senza manifestare turbamento. Dopo il ritorno in piazza era sembrata agli amici piuttosto tranquilla e tonica. La scuola, in verità, l´aveva lasciata prima del grande trauma. Anche del dolore alla spalla si era lamentata prima. E dopo il presunto stupro aveva continuato a frequentare la compagnia e nel corso di una festa per Halloween, circa venti giorni più tardi, aveva dormito con un gruppetto di amici e amiche.
In precedenza la visita ginecologica in ospedale non aveva rilevato tracce di violenze.
D´altra parte si può ben capire come - nel giorno della grande confessione - il pianto disperato di Giulia abbia sconvolto la sua famiglia. La notte del 12 ottobre 2005 lo zio, presso il quale la ragazzina era ospite, si fece accompagnare dal figlio e da un altro adolescente a casa di Michele, lo svegliò e gli ordinò di seguirlo così come si trovava, in pigiama e maglietta. In macchina gliene disse di tutti i colori. Lo portò a casa, dove nel frattempo era arrivata la madre di Giulia, che infuriata e sconvolta spalancò lo sportello dell´auto e strapazzò il ragazzo, avvertendolo che la sua vita era rovinata e rovesciandogli addosso il suo disprezzo. Poi lo zio rimise in moto la macchina, raggiunse la caserma dei carabinieri e consegnò il ragazzo al maresciallo. Soltanto allora Michele, ormai nel panico, capì che Giulia lo accusava di averla violentata. Ora lo zio della ragazzina è sotto accusa per sequestro di persona. Il processo è fissato in febbraio.
(15 novembre 2007)
Fonte: espresso.repubblica.it
venerdì 16 novembre 2007
Arabia Saudita
Struprata dal branco: condannata al carcere e a 200 frustate
La ragazza ritenuta colpevole di essersi appartate con un uomo.
Agli aggressori solo pochi anni
ROMA
«Sei mesi di carcere e 200 frustrate». È questa la condanna inflitta in appello da un tribunale saudita a una «ragazza stuprata» da sei uomini che se la sono cavata con pene da 2 a 9 anni di reclusione. La colpa della ragazza? Farsi trovare dagli stupratori «appartata con un uomo». Reato gravissimo in Arabia saudita dove vige la legge islamica della Shariya. Un reato che oltre ad esporre la giovane alla pena carceraria ed alle frustrate in pubblico, "alleggerisce" la colpa dei membri del branco, che evitano cos? la sentenza capitale prevista per questo genere di reati dallo stesso codice islamico.
Succede nei nostri giorni nel Regno wahabita in una piccola città vicino ad al Qatif, ad una ragazza che all’epoca dei fatti aveva 19 anni. La sua storia, che risale a quasi due anni fa, è riportata oggi dal quotidiano palestinese al Quds al Arabi per riferire della sentenza definitiva. Nel marzo scorso, quando in primo grado fu condannata a ’solè 90 frustrate evitando il carcere, il quotidiano panarabo al Sharq al Awsat raccontava cos? come erano andate le cose.
Comincia tutto un anno prima dell’inizio del processo, con le telefonate di un uomo che chiedeva continuamente di incontrare l’allora 19nne. All'inizio la ragazza non gli dà peso, poi "lusingata", per ingenuità, accetta di far avere una sua foto all'ostinato ammiratore. Ma quando si fidanza con il futuro marito scelto dalla famiglia, la ragazza chiede indietro la sua fotografia. Fissa un appuntamento con l'uomo. Mentre è «appartata» con lui in macchina avviene l'assalto.
Sette uomini armati di coltelli la sequestrano puntandole una lama alla gola. La portano in una fattoria fuori città. E a turno, la violentano «due volte ciascuno». Uno del branco scatta anche delle foto usando il cellulare della vittima. «Mi hanno detto di non dire niente dello stupro, che altrimenti avrebbero spedito quelle foto a tutti dal mio telefonino».
Quando torna a casa, è una donna spezzata. Tenta il suicidio ma le pillole che ingoia la fanno solo stare male. Finisce in ospedale. Incapace di reggere il peso decide di parlare; e sorprendentemente il promesso sposo non la ripudia come gli consigliano di fare. Anzi si mette alla ricerca dei colpevoli che riesce a trovare in un mercato di pesci. «Uno di loro quando si era sfilato il cappuccio puzzava di pesce», ricordava la ragazza. Insieme, denunciano tutto alla polizia. E da allora sono cominciati i guai con la giustizia e la società.
Nell'aula del tribunale la giovane, da imputata, viene interrogata tre volte. Tre domande che non hanno nulla a che vedere con quello che ha subito. Per i giudici anche lei è colpevole, e da colpevole la trattano. Lei stessa riconosce di essere stata «stupida» ad incontrarsi con quell`uomo, ma accenna a una debole difesa: «Quello che mi è accaduto quella notte - dice - è peggio di qualsiasi punizione». E invece no, ora le spetta anche la pena decisa dai giudici. Al suo avvocato e attivista per i diritti civili Abdul Rahamn al Laham, che ha portato alla luce il caso, è stata revocata la licenza di esercitare la professione. Non solo ma ora dovrà sottoporsi ad «una commissione educativa», ordinata dal ministro della Giustizia, come racconta oggi ad al Quds al Arabi.
Nemmeno in casa la giovane ha trovato comprensione. Il fratello più giovane l'ha picchiata perché con lo stupro aveva gettato la famiglia nel disonore. I benpensanti sono invece scandalizzati perchè ’il fattò è avvenuto durante il sacro mese di Ramadan quando i rigidi dettami della Shriya proibiscono gli atti sessuali considerati ’impuri per il pio digiunante«, quali avrebbero dovuto essere anche gli stupratori. Le tribù sciite, cui appartiene la ragazza, criticano sì la condanna ma solo per la pena troppo lieve ai violentatori; non una parola per la giovane. L’unica cosa che le resta, forse, è l’amore: quello del suo fidanzato. Lui rimane al suo fianco.
Fonte: La Stampa
La ragazza ritenuta colpevole di essersi appartate con un uomo.
Agli aggressori solo pochi anni
ROMA
«Sei mesi di carcere e 200 frustrate». È questa la condanna inflitta in appello da un tribunale saudita a una «ragazza stuprata» da sei uomini che se la sono cavata con pene da 2 a 9 anni di reclusione. La colpa della ragazza? Farsi trovare dagli stupratori «appartata con un uomo». Reato gravissimo in Arabia saudita dove vige la legge islamica della Shariya. Un reato che oltre ad esporre la giovane alla pena carceraria ed alle frustrate in pubblico, "alleggerisce" la colpa dei membri del branco, che evitano cos? la sentenza capitale prevista per questo genere di reati dallo stesso codice islamico.
Succede nei nostri giorni nel Regno wahabita in una piccola città vicino ad al Qatif, ad una ragazza che all’epoca dei fatti aveva 19 anni. La sua storia, che risale a quasi due anni fa, è riportata oggi dal quotidiano palestinese al Quds al Arabi per riferire della sentenza definitiva. Nel marzo scorso, quando in primo grado fu condannata a ’solè 90 frustrate evitando il carcere, il quotidiano panarabo al Sharq al Awsat raccontava cos? come erano andate le cose.
Comincia tutto un anno prima dell’inizio del processo, con le telefonate di un uomo che chiedeva continuamente di incontrare l’allora 19nne. All'inizio la ragazza non gli dà peso, poi "lusingata", per ingenuità, accetta di far avere una sua foto all'ostinato ammiratore. Ma quando si fidanza con il futuro marito scelto dalla famiglia, la ragazza chiede indietro la sua fotografia. Fissa un appuntamento con l'uomo. Mentre è «appartata» con lui in macchina avviene l'assalto.
Sette uomini armati di coltelli la sequestrano puntandole una lama alla gola. La portano in una fattoria fuori città. E a turno, la violentano «due volte ciascuno». Uno del branco scatta anche delle foto usando il cellulare della vittima. «Mi hanno detto di non dire niente dello stupro, che altrimenti avrebbero spedito quelle foto a tutti dal mio telefonino».
Quando torna a casa, è una donna spezzata. Tenta il suicidio ma le pillole che ingoia la fanno solo stare male. Finisce in ospedale. Incapace di reggere il peso decide di parlare; e sorprendentemente il promesso sposo non la ripudia come gli consigliano di fare. Anzi si mette alla ricerca dei colpevoli che riesce a trovare in un mercato di pesci. «Uno di loro quando si era sfilato il cappuccio puzzava di pesce», ricordava la ragazza. Insieme, denunciano tutto alla polizia. E da allora sono cominciati i guai con la giustizia e la società.
Nell'aula del tribunale la giovane, da imputata, viene interrogata tre volte. Tre domande che non hanno nulla a che vedere con quello che ha subito. Per i giudici anche lei è colpevole, e da colpevole la trattano. Lei stessa riconosce di essere stata «stupida» ad incontrarsi con quell`uomo, ma accenna a una debole difesa: «Quello che mi è accaduto quella notte - dice - è peggio di qualsiasi punizione». E invece no, ora le spetta anche la pena decisa dai giudici. Al suo avvocato e attivista per i diritti civili Abdul Rahamn al Laham, che ha portato alla luce il caso, è stata revocata la licenza di esercitare la professione. Non solo ma ora dovrà sottoporsi ad «una commissione educativa», ordinata dal ministro della Giustizia, come racconta oggi ad al Quds al Arabi.
Nemmeno in casa la giovane ha trovato comprensione. Il fratello più giovane l'ha picchiata perché con lo stupro aveva gettato la famiglia nel disonore. I benpensanti sono invece scandalizzati perchè ’il fattò è avvenuto durante il sacro mese di Ramadan quando i rigidi dettami della Shriya proibiscono gli atti sessuali considerati ’impuri per il pio digiunante«, quali avrebbero dovuto essere anche gli stupratori. Le tribù sciite, cui appartiene la ragazza, criticano sì la condanna ma solo per la pena troppo lieve ai violentatori; non una parola per la giovane. L’unica cosa che le resta, forse, è l’amore: quello del suo fidanzato. Lui rimane al suo fianco.
Fonte: La Stampa
Arabia Saudita, struprata dal branco: condannata al carcere e a 200 frustate
La ragazza ritenuta colpevole di essersi appartate con un uomo.
Agli aggressori solo pochi anni
ROMA «Sei mesi di carcere e 200 frustrate». È questa la condanna inflitta in appello da un tribunale saudita a una «ragazza stuprata» da sei uomini che se la sono cavata con pene da 2 a 9 anni di reclusione. La colpa della ragazza? Farsi trovare dagli stupratori «appartata con un uomo». Reato gravissimo in Arabia saudita dove vige la legge islamica della Shariya. Un reato che oltre ad esporre la giovane alla pena carceraria ed alle frustrate in pubblico, "alleggerisce" la colpa dei membri del branco, che evitano cos? la sentenza capitale prevista per questo genere di reati dallo stesso codice islamico.
Succede nei nostri giorni nel Regno wahabita in una piccola città vicino ad al Qatif, ad una ragazza che all’epoca dei fatti aveva 19 anni. La sua storia, che risale a quasi due anni fa, è riportata oggi dal quotidiano palestinese al Quds al Arabi per riferire della sentenza definitiva. Nel marzo scorso, quando in primo grado fu condannata a ’solè 90 frustrate evitando il carcere, il quotidiano panarabo al Sharq al Awsat raccontava cos? come erano andate le cose.
Comincia tutto un anno prima dell’inizio del processo, con le telefonate di un uomo che chiedeva continuamente di incontrare l’allora 19nne. All'inizio la ragazza non gli dà peso, poi "lusingata", per ingenuità, accetta di far avere una sua foto all'ostinato ammiratore. Ma quando si fidanza con il futuro marito scelto dalla famiglia, la ragazza chiede indietro la sua fotografia. Fissa un appuntamento con l'uomo. Mentre è «appartata» con lui in macchina avviene l'assalto.
Sette uomini armati di coltelli la sequestrano puntandole una lama alla gola. La portano in una fattoria fuori città. E a turno, la violentano «due volte ciascuno». Uno del branco scatta anche delle foto usando il cellulare della vittima. «Mi hanno detto di non dire niente dello stupro, che altrimenti avrebbero spedito quelle foto a tutti dal mio telefonino».
Quando torna a casa, è una donna spezzata. Tenta il suicidio ma le pillole che ingoia la fanno solo stare male. Finisce in ospedale. Incapace di reggere il peso decide di parlare; e sorprendentemente il promesso sposo non la ripudia come gli consigliano di fare. Anzi si mette alla ricerca dei colpevoli che riesce a trovare in un mercato di pesci. «Uno di loro quando si era sfilato il cappuccio puzzava di pesce», ricordava la ragazza. Insieme, denunciano tutto alla polizia. E da allora sono cominciati i guai con la giustizia e la società.
Nell'aula del tribunale la giovane, da imputata, viene interrogata tre volte. Tre domande che non hanno nulla a che vedere con quello che ha subito. Per i giudici anche lei è colpevole, e da colpevole la trattano. Lei stessa riconosce di essere stata «stupida» ad incontrarsi con quell`uomo, ma accenna a una debole difesa: «Quello che mi è accaduto quella notte - dice - è peggio di qualsiasi punizione». E invece no, ora le spetta anche la pena decisa dai giudici. Al suo avvocato e attivista per i diritti civili Abdul Rahamn al Laham, che ha portato alla luce il caso, è stata revocata la licenza di esercitare la professione. Non solo ma ora dovrà sottoporsi ad «una commissione educativa», ordinata dal ministro della Giustizia, come racconta oggi ad al Quds al Arabi.
Nemmeno in casa la giovane ha trovato comprensione. Il fratello più giovane l'ha picchiata perché con lo stupro aveva gettato la famiglia nel disonore. I benpensanti sono invece scandalizzati perchè ’il fattò è avvenuto durante il sacro mese di Ramadan quando i rigidi dettami della Shriya proibiscono gli atti sessuali considerati ’impuri per il pio digiunante«, quali avrebbero dovuto essere anche gli stupratori. Le tribù sciite, cui appartiene la ragazza, criticano sì la condanna ma solo per la pena troppo lieve ai violentatori; non una parola per la giovane. L’unica cosa che le resta, forse, è l’amore: quello del suo fidanzato. Lui rimane al suo fianco.
Fonte: La Stampa.it
Agli aggressori solo pochi anni
ROMA «Sei mesi di carcere e 200 frustrate». È questa la condanna inflitta in appello da un tribunale saudita a una «ragazza stuprata» da sei uomini che se la sono cavata con pene da 2 a 9 anni di reclusione. La colpa della ragazza? Farsi trovare dagli stupratori «appartata con un uomo». Reato gravissimo in Arabia saudita dove vige la legge islamica della Shariya. Un reato che oltre ad esporre la giovane alla pena carceraria ed alle frustrate in pubblico, "alleggerisce" la colpa dei membri del branco, che evitano cos? la sentenza capitale prevista per questo genere di reati dallo stesso codice islamico.
Succede nei nostri giorni nel Regno wahabita in una piccola città vicino ad al Qatif, ad una ragazza che all’epoca dei fatti aveva 19 anni. La sua storia, che risale a quasi due anni fa, è riportata oggi dal quotidiano palestinese al Quds al Arabi per riferire della sentenza definitiva. Nel marzo scorso, quando in primo grado fu condannata a ’solè 90 frustrate evitando il carcere, il quotidiano panarabo al Sharq al Awsat raccontava cos? come erano andate le cose.
Comincia tutto un anno prima dell’inizio del processo, con le telefonate di un uomo che chiedeva continuamente di incontrare l’allora 19nne. All'inizio la ragazza non gli dà peso, poi "lusingata", per ingenuità, accetta di far avere una sua foto all'ostinato ammiratore. Ma quando si fidanza con il futuro marito scelto dalla famiglia, la ragazza chiede indietro la sua fotografia. Fissa un appuntamento con l'uomo. Mentre è «appartata» con lui in macchina avviene l'assalto.
Sette uomini armati di coltelli la sequestrano puntandole una lama alla gola. La portano in una fattoria fuori città. E a turno, la violentano «due volte ciascuno». Uno del branco scatta anche delle foto usando il cellulare della vittima. «Mi hanno detto di non dire niente dello stupro, che altrimenti avrebbero spedito quelle foto a tutti dal mio telefonino».
Quando torna a casa, è una donna spezzata. Tenta il suicidio ma le pillole che ingoia la fanno solo stare male. Finisce in ospedale. Incapace di reggere il peso decide di parlare; e sorprendentemente il promesso sposo non la ripudia come gli consigliano di fare. Anzi si mette alla ricerca dei colpevoli che riesce a trovare in un mercato di pesci. «Uno di loro quando si era sfilato il cappuccio puzzava di pesce», ricordava la ragazza. Insieme, denunciano tutto alla polizia. E da allora sono cominciati i guai con la giustizia e la società.
Nell'aula del tribunale la giovane, da imputata, viene interrogata tre volte. Tre domande che non hanno nulla a che vedere con quello che ha subito. Per i giudici anche lei è colpevole, e da colpevole la trattano. Lei stessa riconosce di essere stata «stupida» ad incontrarsi con quell`uomo, ma accenna a una debole difesa: «Quello che mi è accaduto quella notte - dice - è peggio di qualsiasi punizione». E invece no, ora le spetta anche la pena decisa dai giudici. Al suo avvocato e attivista per i diritti civili Abdul Rahamn al Laham, che ha portato alla luce il caso, è stata revocata la licenza di esercitare la professione. Non solo ma ora dovrà sottoporsi ad «una commissione educativa», ordinata dal ministro della Giustizia, come racconta oggi ad al Quds al Arabi.
Nemmeno in casa la giovane ha trovato comprensione. Il fratello più giovane l'ha picchiata perché con lo stupro aveva gettato la famiglia nel disonore. I benpensanti sono invece scandalizzati perchè ’il fattò è avvenuto durante il sacro mese di Ramadan quando i rigidi dettami della Shriya proibiscono gli atti sessuali considerati ’impuri per il pio digiunante«, quali avrebbero dovuto essere anche gli stupratori. Le tribù sciite, cui appartiene la ragazza, criticano sì la condanna ma solo per la pena troppo lieve ai violentatori; non una parola per la giovane. L’unica cosa che le resta, forse, è l’amore: quello del suo fidanzato. Lui rimane al suo fianco.
Fonte: La Stampa.it
martedì 13 novembre 2007
Violenza di gruppo, fratelli condannati
La sentenza. Lo stupro quattro anni fa a Montesilvano, la ragazza accompagnata in auto e picchiata a sangue
I due Rom sconteranno 10 e 8 anni, abusarono della fidanzata del cugino
PESCARA. Abusarono in macchina della fidanzata del cugino. Processati per violenza sessuale di gruppo, due fratelli rom, Nicola Di Rocco (29 anni) e Fiorindo Di Rocco (22) sono stati condannati, rispettivamente, a 10 e a 8 anni di reclusione dal tribunale di Pescara. È arrivata a una prima sentenza la vicenda dello stupro commesso nell’ottobre 2003 ai danni di una ragazza di Silvi Marina (Teramo) che all’epoca dei fatti aveva 19 anni. Il collegio presieduto dal giudice Carmelo De Santis ha pronunciato la sentenza dopo un’ora di camera di consiglio.
I due sono di Montesilvano. Nicola Di Rocco si trova in carcere a Teramo, dove sta scontando una condanna definitiva a quattro anni e mezzo. Il giovane era stato coinvolto in un episodio avvenuto la scorsa estate in un bar di Silvi dove aveva malmenato il proprietario dopo avergli chiesto 200 euro, rivendicando un vecchio debito. Era finito dentro per rapina, lesioni ed estorsione. I Di Rocco sono figli di Arcangelo Di Rocco e Maria Spinelli, coinvolti nell’operazione antidroga «Purò». Alla parte civile è stata riconosciuta una provvisionale di 10mila euro, immediatamente esecutiva. Il tribunale non ha concesso le attenuanti. Il pm Gennaro Varone aveva chiesto per entrambi otto anni.
La vittima della violenza è una ragazza di Silvi Marina, che oggi ha 23 anni. Il suo dramma si è consumato una notte di ottobre del 2003 a Montesilvano, in una zona non lontana dalla via Vestina. La ragazza era la fidanzata di un cugino dei due fratelli Di Rocco e frequentava la loro abitazione. Secondo la ricostruzione dei fatti, la sera dello stupro la ragazza prestò la sua macchina ai Di Rocco. Tornati tardi a casa, i due trovarono la ragazza preoccupata perché non era riuscita a comunicare con la madre per avvertirla che sarebbe rientrata tardi. Convinta dai due a farsi riaccompagnare, fu portata prima a Pescara e quindi a Montesilvano. Da lì, come ha raccontato la giovane, che ha trovato la forza di confidare a una cugina la violenza subita, i due la portarono in una strada isolata e lì, dietro minacce, avvenne la violenza, con schiaffi e pugni. I fatti furono denunciati dopo alcuni mesi perché, secondo quanto riferito dalla ragazza, furono fatte oggetto di minacce sia la madre sia la sorella. La violenza sessuale di gruppo (articolo 609 octies del codice penale) è punita con la reclusione dai 6 ai 12 anni. La parte offesa è stata rappresentata dagli avvocati Anna Bianca Cocciarficco e Monica Passamonti.
(09 novembre 2007)
Fonte: espresso.repubblica.it
I due Rom sconteranno 10 e 8 anni, abusarono della fidanzata del cugino
PESCARA. Abusarono in macchina della fidanzata del cugino. Processati per violenza sessuale di gruppo, due fratelli rom, Nicola Di Rocco (29 anni) e Fiorindo Di Rocco (22) sono stati condannati, rispettivamente, a 10 e a 8 anni di reclusione dal tribunale di Pescara. È arrivata a una prima sentenza la vicenda dello stupro commesso nell’ottobre 2003 ai danni di una ragazza di Silvi Marina (Teramo) che all’epoca dei fatti aveva 19 anni. Il collegio presieduto dal giudice Carmelo De Santis ha pronunciato la sentenza dopo un’ora di camera di consiglio.
I due sono di Montesilvano. Nicola Di Rocco si trova in carcere a Teramo, dove sta scontando una condanna definitiva a quattro anni e mezzo. Il giovane era stato coinvolto in un episodio avvenuto la scorsa estate in un bar di Silvi dove aveva malmenato il proprietario dopo avergli chiesto 200 euro, rivendicando un vecchio debito. Era finito dentro per rapina, lesioni ed estorsione. I Di Rocco sono figli di Arcangelo Di Rocco e Maria Spinelli, coinvolti nell’operazione antidroga «Purò». Alla parte civile è stata riconosciuta una provvisionale di 10mila euro, immediatamente esecutiva. Il tribunale non ha concesso le attenuanti. Il pm Gennaro Varone aveva chiesto per entrambi otto anni.
La vittima della violenza è una ragazza di Silvi Marina, che oggi ha 23 anni. Il suo dramma si è consumato una notte di ottobre del 2003 a Montesilvano, in una zona non lontana dalla via Vestina. La ragazza era la fidanzata di un cugino dei due fratelli Di Rocco e frequentava la loro abitazione. Secondo la ricostruzione dei fatti, la sera dello stupro la ragazza prestò la sua macchina ai Di Rocco. Tornati tardi a casa, i due trovarono la ragazza preoccupata perché non era riuscita a comunicare con la madre per avvertirla che sarebbe rientrata tardi. Convinta dai due a farsi riaccompagnare, fu portata prima a Pescara e quindi a Montesilvano. Da lì, come ha raccontato la giovane, che ha trovato la forza di confidare a una cugina la violenza subita, i due la portarono in una strada isolata e lì, dietro minacce, avvenne la violenza, con schiaffi e pugni. I fatti furono denunciati dopo alcuni mesi perché, secondo quanto riferito dalla ragazza, furono fatte oggetto di minacce sia la madre sia la sorella. La violenza sessuale di gruppo (articolo 609 octies del codice penale) è punita con la reclusione dai 6 ai 12 anni. La parte offesa è stata rappresentata dagli avvocati Anna Bianca Cocciarficco e Monica Passamonti.
(09 novembre 2007)
Fonte: espresso.repubblica.it
venerdì 2 novembre 2007
Stupro per scommessa libero lo studente del Dams
Il giudice non ha convalidato l'arresto di Daniele A., denunciato dall'amica che diceva di essere stata violentata in un residence. Il gip: "La ragazza non è credibile"
di Luigi Spezia
E' tornato subito libero lo studente del Dams, accusato di aver violentato una ragazza tedesca nel residence Terzo Millennio di Borgo Panigale. Sono insufficienti gli indizi di colpevolezza, secondo il gip Rita Zaccariello. «Il giudice ha scritto, nella sua ordinanza di 11 pagine, che la ragazza non è credibile anche per le molte contraddizioni del suo racconto», dicono gli avvocati Fulvio Toschi e Maria Silvia Cazzoli che difendono Daniele, 25 anni, di Bari. La decisione del gip, che nemmeno ha convalidato il fermo ritenendo insussistente il pericolo di fuga, viene accettata dal pm Antonello Gustapane, che però crede ancora alla sincerità della ragazza e quindi pianifica già le prossime mosse: riascolterà la ragazza e la metterà a confronto con l'indagato. Per l'accusa, non ci sarebbe motivo che lei si sia inventata tutto.
Le contraddizioni rilevate però nell'atto del gip e riferite dagli avvocati sono numerose. Intanto, l'arrivo al residence e soprattutto l'uscita dopo la nottata passata nella stanza: entrambi i momenti sono stati ripresi dalle telecamere esterne. «I ragazzi camminano tranquilli e nulla fa pensare a costrizioni o altro», dicono i legali. «Soprattutto come si fa a dire che c'è stata violenza se lei si fa riaccompagnare dopo essersi addormentata?». Secondo l'accusa, però, un caso del genere non sarebbe inedito. C'è il fatto della porta: lei racconta che lui l'ha aperta con una chiave e l'ha anche richiusa. Che quindi lei non è riuscita a riaprirla. Ma le indagini della polizia hanno appurato che l'unica chiave di quella porta era in portineria e che il ragazzo ha semplicemente usato un badge. Nella prova simulata ripetuta con lei presente, la ragazza ha infatti aperto la porta senza problemi. Anche qui l'accusa pensa ad una diversa scena: la ragazza era spaventata e pensava che la porta fosse stata veramente chiusa, al punto da non fare forza per aprirla.
La studentessa tedesca aveva anche la disponibilità di un cellulare e poteva chiamare un amico finanziere che già in un'altra occasione, molestata in un treno, aveva allertato. Non l'ha fatto e questo per il giudice è un altro indizio contro di lei. Ma per il pm Gustapane, invece, la scelta di non telefonare è giustificata dal fatto che lei non sapeva dove si trovava e temeva di farsi scoprire da lui. Sconcerta il giudice e gli avvocati anche il fatto che la ragazza abbia consegnato alla polizia un profilattico ancora sigillato, con le impronte di lui, a riprova dell'avvenuto rapporto. «Ma il giudice ha rilevato la stranezza di una ragazza spaventata che però mantiene la capacità di essere così razionale da precostituirsi una prova». Le indagini proseguono e mentre lei è ancora fortemente scossa, secondo la testimonianza di chi l'ha vista, lui è «del tutto incredulo che un rapporto consenziente possa essersi trasformato in una denuncia di violenza», dicono i suoi legali.
(30 ottobre 2007)
Fonte: repubblica.it
di Luigi Spezia
E' tornato subito libero lo studente del Dams, accusato di aver violentato una ragazza tedesca nel residence Terzo Millennio di Borgo Panigale. Sono insufficienti gli indizi di colpevolezza, secondo il gip Rita Zaccariello. «Il giudice ha scritto, nella sua ordinanza di 11 pagine, che la ragazza non è credibile anche per le molte contraddizioni del suo racconto», dicono gli avvocati Fulvio Toschi e Maria Silvia Cazzoli che difendono Daniele, 25 anni, di Bari. La decisione del gip, che nemmeno ha convalidato il fermo ritenendo insussistente il pericolo di fuga, viene accettata dal pm Antonello Gustapane, che però crede ancora alla sincerità della ragazza e quindi pianifica già le prossime mosse: riascolterà la ragazza e la metterà a confronto con l'indagato. Per l'accusa, non ci sarebbe motivo che lei si sia inventata tutto.
Le contraddizioni rilevate però nell'atto del gip e riferite dagli avvocati sono numerose. Intanto, l'arrivo al residence e soprattutto l'uscita dopo la nottata passata nella stanza: entrambi i momenti sono stati ripresi dalle telecamere esterne. «I ragazzi camminano tranquilli e nulla fa pensare a costrizioni o altro», dicono i legali. «Soprattutto come si fa a dire che c'è stata violenza se lei si fa riaccompagnare dopo essersi addormentata?». Secondo l'accusa, però, un caso del genere non sarebbe inedito. C'è il fatto della porta: lei racconta che lui l'ha aperta con una chiave e l'ha anche richiusa. Che quindi lei non è riuscita a riaprirla. Ma le indagini della polizia hanno appurato che l'unica chiave di quella porta era in portineria e che il ragazzo ha semplicemente usato un badge. Nella prova simulata ripetuta con lei presente, la ragazza ha infatti aperto la porta senza problemi. Anche qui l'accusa pensa ad una diversa scena: la ragazza era spaventata e pensava che la porta fosse stata veramente chiusa, al punto da non fare forza per aprirla.
La studentessa tedesca aveva anche la disponibilità di un cellulare e poteva chiamare un amico finanziere che già in un'altra occasione, molestata in un treno, aveva allertato. Non l'ha fatto e questo per il giudice è un altro indizio contro di lei. Ma per il pm Gustapane, invece, la scelta di non telefonare è giustificata dal fatto che lei non sapeva dove si trovava e temeva di farsi scoprire da lui. Sconcerta il giudice e gli avvocati anche il fatto che la ragazza abbia consegnato alla polizia un profilattico ancora sigillato, con le impronte di lui, a riprova dell'avvenuto rapporto. «Ma il giudice ha rilevato la stranezza di una ragazza spaventata che però mantiene la capacità di essere così razionale da precostituirsi una prova». Le indagini proseguono e mentre lei è ancora fortemente scossa, secondo la testimonianza di chi l'ha vista, lui è «del tutto incredulo che un rapporto consenziente possa essersi trasformato in una denuncia di violenza», dicono i suoi legali.
(30 ottobre 2007)
Fonte: repubblica.it
giovedì 1 novembre 2007
Roma: violentata e gettata in un fosso Donna in fin di vita, arrestato un rom
La vittima, moglie di un ufficiale di Marina, è in coma al Sant'Andrea
ROMA. Una donna è stata rapinata, picchiata e lasciata nuda in un fosso a Roma, nella zona di Tor di Quinto. Per il crimine la polizia ha arrestato un romeno di 24 anni. La donna, una italiana di 45 anni sposata con un ufficiale della Marina Militare, era stata aggredita secondo gli investigatori ieri sera intorno alle 20,30, mentre rientrava a casa appena uscita dalla stazione ferroviaria di Tor Di Quinto.
Arrestato un 24enne romeno
La vittima dell’aggressione, dopo essere stata rapinata, violentata e picchiata selvaggiamente era stata gettata nuda in un piccolo fosso poco distante la stazione, dove in seguito è stata rinvenuta in condizioni disperate. Ricoverata, infatti, all’Ospedale romano Sant’Andrea, le sue condizioni sono apparse subito gravissime. Dopo la scoperta del corpo, gli inquirenti hanno avviato le ricerche ed hanno individuato alcuni testimoni che hanno consentito di rintracciare l’aggressore, un romeno di 24 anni, che si trovava ancora in via di Camposampiero, poco distante dal burrone. La magistratura ha chiesto la convalida del fermo dell’aggressore, un romeno di 24 anni, Nicolae Romulus Mailat per il quale è stato ipotizzato il reato di omicidio volontario.
La vittima: Giovanna Reggiani
Una donna normale con una vita normale, Giovanna Reggiani, l'esile signora di 47 anni violentata a Roma. L’aggressione, la violenza, le sevizie e il suo corpo esanime abbandonato in un fossato nelle campagne che circondano la stazione. Gli investigatori della squadra mobile, ma anche i medici dell’ospedale Sant’Andrea, dove ora la donna è in stato di coma, parlano di una "violenza inaudita". Contusioni, ecchimosi al volto e in tutto il corpo. Il romeno fermato, che non ha precedenti penali in Italia ma che avrebbe alcune pendenze per furto in Romania, era arrivato da qualche mese e aveva scelto di vivere nelle baracche del campo rom abusivo della zona. Per lui la Procura di Roma ha ipotizzato il reato di omicidio volontario chiedendo la convalida del fermo avvenuto ieri sera.
La donna trovata nuda in un fossato
Ad indagare il procuratore aggiunto Italo Ormanni e il sostituto Maria Bice Barborini. Giovanna Reggiani, moglie del Capitano di Vascello della Marina Militare Giovanni Gumiero, Comandante delle Forze di Contromisure Mine a La Spezia, è stata trovata nel fossato accanto a via di Camposampiero non distante dall’accampamento rom dove vive l’uomo arrestato. Poco più in là, sempre in una zona isolata gli alloggi della Marina dove la coppia viveva. A dare l’allarme della brutale aggressione che il sindaco di Roma ha definito come «un vero e autentico orrore», è stata una donna rom, una anziana romena diventata adesso un testimone importante per la ricostruzione della vicenda. La donna probabilmente sarà ascoltata venerdì prossimo con la formula dell’incidente probatorio per fissare le sue parole come «fonte di prova».
La stazione ferroviaria di Tor di Quinto
La donna ieri sera aveva dato l’allarme alla polizia raccontando di aver visto un uomo allontanarsi «in un campo con una donna sulle spalle come se fosse svenuta». E grazie alle sue indicazioni la polizia ha trovato prima il corpo nel fossato, poi la baracca dove il romeno ha trascinato Giovanna Reggiani. All’interno dell’alloggio fatiscente fatto di lamiere e cartoni, la polizia ha trovato la borsa della vittima con dentro ancora gli scontrini delle compere effettuate in alcuni negozi del centro di Roma. I passeggeri della linea ferroviaria Roma-Viterbo dicono rassegnati, senza ombra di dubbio «la sera, appena è buio in questo posto non conviene venire neanche per un uomo». E c’è chi dice anche che quando si arriva nella stazione ferroviaria di Tor di Quinto «tutto fa paura, è in un punto isolato. È una piccola stazione che il 5 novembre sarà chiusa per lavori di ristrutturazione da parte della societa Met.Ro». E adesso gli investigatori della squadra mobile stanno cercando di capire se il romeno fosse solo quando ha aggredito la donna.
Fonte:La Stampa.it
ROMA. Una donna è stata rapinata, picchiata e lasciata nuda in un fosso a Roma, nella zona di Tor di Quinto. Per il crimine la polizia ha arrestato un romeno di 24 anni. La donna, una italiana di 45 anni sposata con un ufficiale della Marina Militare, era stata aggredita secondo gli investigatori ieri sera intorno alle 20,30, mentre rientrava a casa appena uscita dalla stazione ferroviaria di Tor Di Quinto.
Arrestato un 24enne romeno
La vittima dell’aggressione, dopo essere stata rapinata, violentata e picchiata selvaggiamente era stata gettata nuda in un piccolo fosso poco distante la stazione, dove in seguito è stata rinvenuta in condizioni disperate. Ricoverata, infatti, all’Ospedale romano Sant’Andrea, le sue condizioni sono apparse subito gravissime. Dopo la scoperta del corpo, gli inquirenti hanno avviato le ricerche ed hanno individuato alcuni testimoni che hanno consentito di rintracciare l’aggressore, un romeno di 24 anni, che si trovava ancora in via di Camposampiero, poco distante dal burrone. La magistratura ha chiesto la convalida del fermo dell’aggressore, un romeno di 24 anni, Nicolae Romulus Mailat per il quale è stato ipotizzato il reato di omicidio volontario.
La vittima: Giovanna Reggiani
Una donna normale con una vita normale, Giovanna Reggiani, l'esile signora di 47 anni violentata a Roma. L’aggressione, la violenza, le sevizie e il suo corpo esanime abbandonato in un fossato nelle campagne che circondano la stazione. Gli investigatori della squadra mobile, ma anche i medici dell’ospedale Sant’Andrea, dove ora la donna è in stato di coma, parlano di una "violenza inaudita". Contusioni, ecchimosi al volto e in tutto il corpo. Il romeno fermato, che non ha precedenti penali in Italia ma che avrebbe alcune pendenze per furto in Romania, era arrivato da qualche mese e aveva scelto di vivere nelle baracche del campo rom abusivo della zona. Per lui la Procura di Roma ha ipotizzato il reato di omicidio volontario chiedendo la convalida del fermo avvenuto ieri sera.
La donna trovata nuda in un fossato
Ad indagare il procuratore aggiunto Italo Ormanni e il sostituto Maria Bice Barborini. Giovanna Reggiani, moglie del Capitano di Vascello della Marina Militare Giovanni Gumiero, Comandante delle Forze di Contromisure Mine a La Spezia, è stata trovata nel fossato accanto a via di Camposampiero non distante dall’accampamento rom dove vive l’uomo arrestato. Poco più in là, sempre in una zona isolata gli alloggi della Marina dove la coppia viveva. A dare l’allarme della brutale aggressione che il sindaco di Roma ha definito come «un vero e autentico orrore», è stata una donna rom, una anziana romena diventata adesso un testimone importante per la ricostruzione della vicenda. La donna probabilmente sarà ascoltata venerdì prossimo con la formula dell’incidente probatorio per fissare le sue parole come «fonte di prova».
La stazione ferroviaria di Tor di Quinto
La donna ieri sera aveva dato l’allarme alla polizia raccontando di aver visto un uomo allontanarsi «in un campo con una donna sulle spalle come se fosse svenuta». E grazie alle sue indicazioni la polizia ha trovato prima il corpo nel fossato, poi la baracca dove il romeno ha trascinato Giovanna Reggiani. All’interno dell’alloggio fatiscente fatto di lamiere e cartoni, la polizia ha trovato la borsa della vittima con dentro ancora gli scontrini delle compere effettuate in alcuni negozi del centro di Roma. I passeggeri della linea ferroviaria Roma-Viterbo dicono rassegnati, senza ombra di dubbio «la sera, appena è buio in questo posto non conviene venire neanche per un uomo». E c’è chi dice anche che quando si arriva nella stazione ferroviaria di Tor di Quinto «tutto fa paura, è in un punto isolato. È una piccola stazione che il 5 novembre sarà chiusa per lavori di ristrutturazione da parte della societa Met.Ro». E adesso gli investigatori della squadra mobile stanno cercando di capire se il romeno fosse solo quando ha aggredito la donna.
Fonte:La Stampa.it
mercoledì 31 ottobre 2007
E lo studente del Dams non si pente
Oggi davanti al gip per l´aggressione nel residence della ragazza tedesca. Ripete: era consenziente
Nessuna «revisione critica del proprio operato». Nessun segno di pentimento. Anzi, un´insistenza a ripetere che quella ragazza era d´accordo, perché ora parla di stupro? Sono queste le ragioni per cui il pm Antonello Gustapane chiede oggi alla gip Rita Zaccariello che Daniele A., lo studente del Dams di 25 anni accusato di aver violentato una studentessa tedesca di 21, resti in carcere, dove è rinchiuso da venerdì, in regime di isolamento.
Gli inquirenti considerano la vittima credibilissima, per questo l´inconsapevolezza del giovane assume il significato di una mancata elaborazione delle proprie responsabilità, non un segno di innocenza. Anche l´altra sera dopo l´interrogatorio alla Mobile, Daniele non si aspettava di finire alla Dozza. Quando gliel´hanno detto è rimasto sbalordito. D´altra parte, ha raccontato la ragazza, la mattina dopo il presunto stupro, il giovane, accompagnandola a casa «mi ha salutato gentilmente. Voleva persino che gli dessi un bacio».
Ieri la giovane ha chiesto di essere nuovamente visitata dal dottor Franchina, il ginecologo perito del pm. E´ ancora sotto choc e non si sente bene. E´ stato Daniele stesso a confessarle, tra vino e spinelli, di aver scommesso con un amico comune: «Me la farò per primo». I particolari del suo racconto stanno trovando i riscontri degli investigatori. «Mi ha buttato un liquido sugli slip per costringermi a toglierli», ha detto. E in effetti è risultato che il ragazzo ha versato acqua minerale sugli indumenti intimi di lei. Altro particolare: la studentessa non è fuggita perché, sbagliando, era convinta che la porta della stanza fosse chiusa a chiave. «Le ho cercate mentre lui dormiva, ma non le ho trovate. E comunque il portone dall´interno si apriva solo col badge». Le stesse cose le ha dette all´amica poche ore dopo lo stupro. E in effetti, dal residence Terzo millennio, senza badge non si esce.
(p. c.)
(29 ottobre 2007)
Nessuna «revisione critica del proprio operato». Nessun segno di pentimento. Anzi, un´insistenza a ripetere che quella ragazza era d´accordo, perché ora parla di stupro? Sono queste le ragioni per cui il pm Antonello Gustapane chiede oggi alla gip Rita Zaccariello che Daniele A., lo studente del Dams di 25 anni accusato di aver violentato una studentessa tedesca di 21, resti in carcere, dove è rinchiuso da venerdì, in regime di isolamento.
Gli inquirenti considerano la vittima credibilissima, per questo l´inconsapevolezza del giovane assume il significato di una mancata elaborazione delle proprie responsabilità, non un segno di innocenza. Anche l´altra sera dopo l´interrogatorio alla Mobile, Daniele non si aspettava di finire alla Dozza. Quando gliel´hanno detto è rimasto sbalordito. D´altra parte, ha raccontato la ragazza, la mattina dopo il presunto stupro, il giovane, accompagnandola a casa «mi ha salutato gentilmente. Voleva persino che gli dessi un bacio».
Ieri la giovane ha chiesto di essere nuovamente visitata dal dottor Franchina, il ginecologo perito del pm. E´ ancora sotto choc e non si sente bene. E´ stato Daniele stesso a confessarle, tra vino e spinelli, di aver scommesso con un amico comune: «Me la farò per primo». I particolari del suo racconto stanno trovando i riscontri degli investigatori. «Mi ha buttato un liquido sugli slip per costringermi a toglierli», ha detto. E in effetti è risultato che il ragazzo ha versato acqua minerale sugli indumenti intimi di lei. Altro particolare: la studentessa non è fuggita perché, sbagliando, era convinta che la porta della stanza fosse chiusa a chiave. «Le ho cercate mentre lui dormiva, ma non le ho trovate. E comunque il portone dall´interno si apriva solo col badge». Le stesse cose le ha dette all´amica poche ore dopo lo stupro. E in effetti, dal residence Terzo millennio, senza badge non si esce.
(p. c.)
(29 ottobre 2007)
"Nessuna scommessa, lei era d'accordo"
Il racconto di Daniele al pm: "Poteva andarsene, la porta non era chiusa a chiave"
di Alessandro Cori
«Ma perché ha detto che l´ho violentata? Non capisco. Lei era d´accordo. Abbiamo anche dormito insieme, nel letto singolo. Perché non è scappata? Invece alle quattro del mattino di venerdì mi ha svegliato, voleva che l´accompagnassi a casa. Io che avevo bevuto ed ero stanchissimo, le ho detto che non ce la facevo. "O aspetti qualche ora, oppure prendi l´autobus". Lei ha aspettato».
Era sorpreso e incredulo, Daniele A., quando i poliziotti lo hanno raggiunto e arrestato con l´accusa di stupro e sequestro di persona. Davanti al pm Antonello Gustapane ha negato e negato ancora, racconta l´avvocato difensore Marco Salmon. «L´avrei fatto per una scommessa? - ha detto - Non è vero. Io non avevo scommesso proprio niente, con nessuno». Poi è tornato sui punti salienti della denuncia della ragazza. «Dice di non aver urlato perché la musica alta avrebbe coperto le sue grida, ma in quella casa nessuno può usare il volume al massimo, le pareti sono sottili, come di cartone, si sente tutto, i vicini si lamentano e poi arriva a bussare il portinaio». Altra incongruenza, secondo Daniele, la porta di casa che secondo la studentessa sarebbe stata chiusa a chiave. «Non è vero. La ragazza poteva sfilare il badge, come si fa in albergo, e andarsene. Non c´era niente che lo impedisse, nessuna chiave, nessuna serratura».
Monolocali con tutti i confort, palestra, sala video, telecamere della sicurezza sparse ovunque e una portineria attiva 24 ore su 24. Nella hall e nei corridoi regna il silenzio, l´atmosfera è davvero riservata, e nonostante la polizia negli ultimi due giorni abbia "disturbato" più volte gli inquilini del "Terzo Millennio", qui di quello che è successo nella stanza 119 (quella di Daniele) si sa poco o niente. Sembra un "bunker" il residence di via Miliani: 240 stanze occupate in gran parte da studenti che hanno accesso nella struttura e nei mini appartamenti solo grazie a un badge elettronico che registra tutti gli ingressi. Anche se le scappatoie per entrare senza essere visti ci sono. Dal garage per esempio, come hanno fatto Daniele e Inge l´altra sera. Gli ospiti infatti dovrebbero mostrare una carta d´identità, registrarsi e pagare 8 euro, «ma non sempre è così, a volte chiudiamo un occhio» si lasciano sfuggire dalla portineria.
Daniele, al terzo "Millennio" ci viveva da un paio d´anni, all´inizio in una stanza al terzo piano, poi invece, dopo l´estate, si era trasferito in un altro mini appartamento al primo. I suoi vicini lo conoscono poco, «non siamo mai andati oltre al 'ciao´, mi sembra una persona molto tranquilla e riservata», racconta l´inquilina della stanza accanto a quella del giovane barese. «Giovedì sera sono andata al cinema con il mio ragazzo - dice la ragazza - siamo rientrati verso l´1,15 e sono sicura di aver sentito una leggera musica di sottofondo e un vociare che veniva proprio dalla 119. Solo quando sono passata davanti alla porta però, poi più niente, l´ho raccontato anche alla polizia».
(28 ottobre 2007)
Fonte: repubblica.it
di Alessandro Cori
«Ma perché ha detto che l´ho violentata? Non capisco. Lei era d´accordo. Abbiamo anche dormito insieme, nel letto singolo. Perché non è scappata? Invece alle quattro del mattino di venerdì mi ha svegliato, voleva che l´accompagnassi a casa. Io che avevo bevuto ed ero stanchissimo, le ho detto che non ce la facevo. "O aspetti qualche ora, oppure prendi l´autobus". Lei ha aspettato».
Era sorpreso e incredulo, Daniele A., quando i poliziotti lo hanno raggiunto e arrestato con l´accusa di stupro e sequestro di persona. Davanti al pm Antonello Gustapane ha negato e negato ancora, racconta l´avvocato difensore Marco Salmon. «L´avrei fatto per una scommessa? - ha detto - Non è vero. Io non avevo scommesso proprio niente, con nessuno». Poi è tornato sui punti salienti della denuncia della ragazza. «Dice di non aver urlato perché la musica alta avrebbe coperto le sue grida, ma in quella casa nessuno può usare il volume al massimo, le pareti sono sottili, come di cartone, si sente tutto, i vicini si lamentano e poi arriva a bussare il portinaio». Altra incongruenza, secondo Daniele, la porta di casa che secondo la studentessa sarebbe stata chiusa a chiave. «Non è vero. La ragazza poteva sfilare il badge, come si fa in albergo, e andarsene. Non c´era niente che lo impedisse, nessuna chiave, nessuna serratura».
Monolocali con tutti i confort, palestra, sala video, telecamere della sicurezza sparse ovunque e una portineria attiva 24 ore su 24. Nella hall e nei corridoi regna il silenzio, l´atmosfera è davvero riservata, e nonostante la polizia negli ultimi due giorni abbia "disturbato" più volte gli inquilini del "Terzo Millennio", qui di quello che è successo nella stanza 119 (quella di Daniele) si sa poco o niente. Sembra un "bunker" il residence di via Miliani: 240 stanze occupate in gran parte da studenti che hanno accesso nella struttura e nei mini appartamenti solo grazie a un badge elettronico che registra tutti gli ingressi. Anche se le scappatoie per entrare senza essere visti ci sono. Dal garage per esempio, come hanno fatto Daniele e Inge l´altra sera. Gli ospiti infatti dovrebbero mostrare una carta d´identità, registrarsi e pagare 8 euro, «ma non sempre è così, a volte chiudiamo un occhio» si lasciano sfuggire dalla portineria.
Daniele, al terzo "Millennio" ci viveva da un paio d´anni, all´inizio in una stanza al terzo piano, poi invece, dopo l´estate, si era trasferito in un altro mini appartamento al primo. I suoi vicini lo conoscono poco, «non siamo mai andati oltre al 'ciao´, mi sembra una persona molto tranquilla e riservata», racconta l´inquilina della stanza accanto a quella del giovane barese. «Giovedì sera sono andata al cinema con il mio ragazzo - dice la ragazza - siamo rientrati verso l´1,15 e sono sicura di aver sentito una leggera musica di sottofondo e un vociare che veniva proprio dalla 119. Solo quando sono passata davanti alla porta però, poi più niente, l´ho raccontato anche alla polizia».
(28 ottobre 2007)
Fonte: repubblica.it
"L'aperitivo e poi la violenza"
L´aggressione nata per una scommessa. La ragazza: non potevo chiamare aiuto, ero paralizzata dallo choc di Paola Cascella
Violentata per una scommessa con un amico: «Vuoi vedere che riesco a farmela prima di te? Non ci credi? Scommettiamo». Per questa ragione Daniele A., 25 anni, barese, studente del Dams vicino alla laurea, giovedì notte avrebbe stuprato nel suo residence di lusso, al primo appuntamento, una ragazza tedesca di 21 anni, studentessa Erasmus, conosciuta tre settimane fa. E´ stata lei, Inge (non è il suo vero nome, ndr.) a Bologna da un mese e mezzo per studiare lingue, a raccontarlo venerdì pomeriggio ai poliziotti della Squadra mobile, sporgendo denuncia contro il giovane che è stato immediatamente arrestato per violenza sessuale e sequestro di persona.
Lui nega tutto, cade dalle nuvole, dice che un rapporto sessuale c´è stato, ma voluto da entrambi. Intanto il pm Antonello Gustapane ha già presentato la sua richiesta di convalida del fermo. Ora gli investigatori cercano i riscontri al racconto della vittima. La considerano assolutamente credibile: «E´ molto provata. Piange, sta male»
I due si sono conosciuti a Bologna tramite amici comuni (uno è quello col quale Daniele avrebbe fatto la scommessa). Si scambiano il numero del telefonino, qualche volta si messaggiano, ma in tre settimane non si vedono mai da soli. Giovedì sera il primo appuntamento. Decidono di incontrarsi. Lui passa a prenderla con la macchina poco dopo le nove, dalle parti di piazza dell´Unità, vogliono andare in un pub di via Mascarella, ma non c´è posto. In piazza San Francesco invece sì. I due si siedono in compagnia di una bottiglia di vino e qualche stuzzichino. Ma, dice Inge, a bere è soprattutto lui. Verso mezzanotte lei chiede di essere riportata a casa. Daniele però prende un´altra strada, quella del residence "Terzo millennio", in via Miliani. «Dai, vieni da me, mangiamo qualcosa e ci guardiamo un film».
La ragazza non ne vuol sapere, ma non riesce a sottrarsi. Quando lui parcheggia e entra passando dai garage, lei lo segue, fin nel miniappartamento al primo piano. «Ha usato un badge, come in albergo, poi ha chiuso la porta a chiave». La casa è minuscola, i due si siedono sul letto per guardare un film, «un porno», secondo lei, in realtà un film di Quentin Tarantino. Nel frattempo il ragazzo fuma hascisc «e tenta di baciarmi, mi mette le mani addosso, mi spoglia». Inge vorrebbe gridare, chiedere aiuto, ma, «la musica è altissima, nessuno mi avrebbe sentito. Poi ero come bloccata, paralizzata dallo choc». Anche scappare è impossibile perché lei è convinta che il badge sia indispensabile per uscire, come è stato per entrare. Non usa neppure il cellulare: «Chi potevo chiamare, non ero in grado di dire dove mi trovavo».
Dopo la violenza, un rapporto non completo, i due si addormentano. Lo dicono entrambi. E venerdì mattina lei si fa riaccompagnare in piazza dell´Unità, perché «non volevo che sapesse esattamente dove abito». Poi va a lezione. Solo quando torna a casa racconta all´amica che vive con lei dello stupro. Vuole sporgere denuncia, ma l´altra la sconsiglia, «non ti crederanno. Non hai nessuna prova». Allora Inge telefona alla mamma che invece la spinge ad andare alla polizia facendosi accompagnare da un amico di famiglia, un maresciallo della Finanza, dal quale ora la studentessa è ospite.
Alle 17,30 è in Questura. Di lì va al pronto soccorso ginecologico, e poi dai periti del pm Del Borrello e Franchina. Non è stata picchiata, ma spinta sì, strattonata, costretta. Forse per questo forse ha vari lividi sulle gambe.
I genitori di Daniele, buona famiglia della borghesia barese, sono arrivati a Bologna ieri pomeriggio. Sono sotto choc, distrutti. Fino a poche ore prima, aspettavano di sapere l´esito dell´esame che il figlio doveva dare in mattinata.
Violentata per una scommessa con un amico: «Vuoi vedere che riesco a farmela prima di te? Non ci credi? Scommettiamo». Per questa ragione Daniele A., 25 anni, barese, studente del Dams vicino alla laurea, giovedì notte avrebbe stuprato nel suo residence di lusso, al primo appuntamento, una ragazza tedesca di 21 anni, studentessa Erasmus, conosciuta tre settimane fa. E´ stata lei, Inge (non è il suo vero nome, ndr.) a Bologna da un mese e mezzo per studiare lingue, a raccontarlo venerdì pomeriggio ai poliziotti della Squadra mobile, sporgendo denuncia contro il giovane che è stato immediatamente arrestato per violenza sessuale e sequestro di persona.
Lui nega tutto, cade dalle nuvole, dice che un rapporto sessuale c´è stato, ma voluto da entrambi. Intanto il pm Antonello Gustapane ha già presentato la sua richiesta di convalida del fermo. Ora gli investigatori cercano i riscontri al racconto della vittima. La considerano assolutamente credibile: «E´ molto provata. Piange, sta male»
I due si sono conosciuti a Bologna tramite amici comuni (uno è quello col quale Daniele avrebbe fatto la scommessa). Si scambiano il numero del telefonino, qualche volta si messaggiano, ma in tre settimane non si vedono mai da soli. Giovedì sera il primo appuntamento. Decidono di incontrarsi. Lui passa a prenderla con la macchina poco dopo le nove, dalle parti di piazza dell´Unità, vogliono andare in un pub di via Mascarella, ma non c´è posto. In piazza San Francesco invece sì. I due si siedono in compagnia di una bottiglia di vino e qualche stuzzichino. Ma, dice Inge, a bere è soprattutto lui. Verso mezzanotte lei chiede di essere riportata a casa. Daniele però prende un´altra strada, quella del residence "Terzo millennio", in via Miliani. «Dai, vieni da me, mangiamo qualcosa e ci guardiamo un film».
La ragazza non ne vuol sapere, ma non riesce a sottrarsi. Quando lui parcheggia e entra passando dai garage, lei lo segue, fin nel miniappartamento al primo piano. «Ha usato un badge, come in albergo, poi ha chiuso la porta a chiave». La casa è minuscola, i due si siedono sul letto per guardare un film, «un porno», secondo lei, in realtà un film di Quentin Tarantino. Nel frattempo il ragazzo fuma hascisc «e tenta di baciarmi, mi mette le mani addosso, mi spoglia». Inge vorrebbe gridare, chiedere aiuto, ma, «la musica è altissima, nessuno mi avrebbe sentito. Poi ero come bloccata, paralizzata dallo choc». Anche scappare è impossibile perché lei è convinta che il badge sia indispensabile per uscire, come è stato per entrare. Non usa neppure il cellulare: «Chi potevo chiamare, non ero in grado di dire dove mi trovavo».
Dopo la violenza, un rapporto non completo, i due si addormentano. Lo dicono entrambi. E venerdì mattina lei si fa riaccompagnare in piazza dell´Unità, perché «non volevo che sapesse esattamente dove abito». Poi va a lezione. Solo quando torna a casa racconta all´amica che vive con lei dello stupro. Vuole sporgere denuncia, ma l´altra la sconsiglia, «non ti crederanno. Non hai nessuna prova». Allora Inge telefona alla mamma che invece la spinge ad andare alla polizia facendosi accompagnare da un amico di famiglia, un maresciallo della Finanza, dal quale ora la studentessa è ospite.
Alle 17,30 è in Questura. Di lì va al pronto soccorso ginecologico, e poi dai periti del pm Del Borrello e Franchina. Non è stata picchiata, ma spinta sì, strattonata, costretta. Forse per questo forse ha vari lividi sulle gambe.
I genitori di Daniele, buona famiglia della borghesia barese, sono arrivati a Bologna ieri pomeriggio. Sono sotto choc, distrutti. Fino a poche ore prima, aspettavano di sapere l´esito dell´esame che il figlio doveva dare in mattinata.
Botte e stupro dall'ex fidanzato
Notte d´incubo tra coltello e violenze per una diciottenne romena. "Lasciami, non ti denuncio" ma appena libera è andata dai carabinieri. Arrestato un marocchino di 23 anni. L´aggressione segue quella di giovedì notte a una studentessa. È il quinto caso in un mese di Paola Cascella
Un altro stupro - il quinto in un mese - un´altra ragazza giovanissima picchiata e violentata sotto la minaccia di un coltello da una persona che conosce bene e di cui si fida. E.A., un marocchino di 23 anni, è stato arrestato dai Carabinieri poche ore dopo gli abusi. Stavolta la vittima è una diciottenne romena che vive a Sasso Marconi con la famiglia e lavora a Bologna.
Fino alla scorsa settimana aveva una relazione con il maghrebino. Poi è successo qualcosa, i due hanno rotto. Sabato pomeriggio la ragazza viene contattata dal suo ex, lui si offre di riportarla a casa, vuole vederla, è l´anniversario del loro primo incontro. Appuntamento alla stazione di Bologna. Il ragazzo arriva in auto col fratello e un cugino. Lei sale a bordo, ma subito si accorge che l´ex fidanzato ha bevuto. Anzi è ubriaco, la insulta, guida come un pazzo. A Borgonuovo si ferma e, mentre i parenti vanno a comprare delle birre, porta la ragazza in un luogo appartato. Vuole fare sesso, e di fronte al suo rifiuto, apre il portabagagli della Mercedes, e prende un coltello. Con quello in mano, la minaccia, l´aggredisce e tenta di ferirla. Lei riesce a schivare il colpo che va rompere un fanale. Il maghrebino però continua a picchiarla con calci e pugni, tentando persino di strangolarla. E non è finita. Mentre i parenti tornano, il marocchino riporta a forza la ragazza sull´auto e si dirige verso la sua abitazione. Qui, mentre il fratello e il cugino restano in cucina, costringe la sua ex a seguirlo in una stanza e la violenta per due volte. E´ quasi mezzanotte quando lei riesce a convincere il giovane che non lo denuncerà. Lui la riaccompagna a casa.
Appena arrivata invece trova la forza di dare l´allarme. I Carabinieri individuano E.A., trovando anche numerose armi da taglio nel baule del suo veicolo. La romena intanto è stata sottoposta ad accertamenti che hanno confermato la violenza. Su disposizione del pm Enrico Cieri, all´alba di ieri il marocchino è stato arrestato.
E´ l´ultimo stupro in meno di un mese: a fine settembre toccò ad una ragazza spagnola in via Rimesse; il 7 ottobre la vittima chiede una sigaretta appena fuori dall´XM24 ad un uomo che poi abusa di lei in un cespuglio; il 14 una ragazza rumena denuncia il padre: «Mi ha violentata per la seconda volta». Venerdì uno studente del Dams stupra l´amica tedesca al primo appuntamento.
(29 ottobre 2007)
Un altro stupro - il quinto in un mese - un´altra ragazza giovanissima picchiata e violentata sotto la minaccia di un coltello da una persona che conosce bene e di cui si fida. E.A., un marocchino di 23 anni, è stato arrestato dai Carabinieri poche ore dopo gli abusi. Stavolta la vittima è una diciottenne romena che vive a Sasso Marconi con la famiglia e lavora a Bologna.
Fino alla scorsa settimana aveva una relazione con il maghrebino. Poi è successo qualcosa, i due hanno rotto. Sabato pomeriggio la ragazza viene contattata dal suo ex, lui si offre di riportarla a casa, vuole vederla, è l´anniversario del loro primo incontro. Appuntamento alla stazione di Bologna. Il ragazzo arriva in auto col fratello e un cugino. Lei sale a bordo, ma subito si accorge che l´ex fidanzato ha bevuto. Anzi è ubriaco, la insulta, guida come un pazzo. A Borgonuovo si ferma e, mentre i parenti vanno a comprare delle birre, porta la ragazza in un luogo appartato. Vuole fare sesso, e di fronte al suo rifiuto, apre il portabagagli della Mercedes, e prende un coltello. Con quello in mano, la minaccia, l´aggredisce e tenta di ferirla. Lei riesce a schivare il colpo che va rompere un fanale. Il maghrebino però continua a picchiarla con calci e pugni, tentando persino di strangolarla. E non è finita. Mentre i parenti tornano, il marocchino riporta a forza la ragazza sull´auto e si dirige verso la sua abitazione. Qui, mentre il fratello e il cugino restano in cucina, costringe la sua ex a seguirlo in una stanza e la violenta per due volte. E´ quasi mezzanotte quando lei riesce a convincere il giovane che non lo denuncerà. Lui la riaccompagna a casa.
Appena arrivata invece trova la forza di dare l´allarme. I Carabinieri individuano E.A., trovando anche numerose armi da taglio nel baule del suo veicolo. La romena intanto è stata sottoposta ad accertamenti che hanno confermato la violenza. Su disposizione del pm Enrico Cieri, all´alba di ieri il marocchino è stato arrestato.
E´ l´ultimo stupro in meno di un mese: a fine settembre toccò ad una ragazza spagnola in via Rimesse; il 7 ottobre la vittima chiede una sigaretta appena fuori dall´XM24 ad un uomo che poi abusa di lei in un cespuglio; il 14 una ragazza rumena denuncia il padre: «Mi ha violentata per la seconda volta». Venerdì uno studente del Dams stupra l´amica tedesca al primo appuntamento.
(29 ottobre 2007)
domenica 28 ottobre 2007
"Assisteremo chi ha sana sessualità"
La frase è contenuta nel provvedimento discusso in commissione Sanità. "Così si escludono i gay" di Laura Asnaghi
L´assistenza? Solo a chi pratica una "sana e responsabile sessualità". La Regione approva un articolo del piano del welfare lombardo ed è subito polemica. Nel mirino dell´opposizione c´è il provvedimento, discusso ieri dalla commissione regionale della Sanità, che riguarda il "Governo della rete dei servizi alla persona in ambito socio-sanitario".
Già una settimana fa questo documento aveva provocato una bufera politica. La frase incriminata era quella relativa alla "tutela della vita fin dal suo concepimento", giudicata un attacco alla 194, la legge sull´aborto. E ora, lo stesso documento, torna a scatenare un caso politico con un articolo, definito dai Verdi «di stampo medievale», in cui si precisa che «le prestazioni sanitarie e sociali sono finalizzate a sostenere la persona e la famiglia, con particolare riferimento allo sviluppo di una sana e responsabile sessualità». L´Unione al gran completo e il consigliere Alessandro Cè hanno proposto di stralciare la parte relativa alla "sana e consapevole sessualità". Ma l´emendamento è stato bocciato e la maggioranza ha votato all´unanimità la proposta, contenuta nell´articolo 5.
«Questa legge sta diventando ultrabigotta, prima attacca l´aborto e adesso chi fa scelte sessuali diverse - denuncia Carlo Monguzzi, consigliere dei Verdi - questo provvedimento lascia spazio alla discrezionalità degli operatori che potrebbero negare assistenza a chi non rientra nei parametri di una sana sessualità». Monguzzi si domanda «cosa succederà quando ai servizi socio sanitari busseranno persone che non sono eterosessuali. Verranno discriminati gli omosessuali? E le lesbiche, i voyeristi, i feticisti che fine faranno? Ci sarà la messa al bando dei sadomaso? Qualche adultero verrà lapidato? E i baci, quali saranno considerati sani e quali no? Siamo davvero alla follia».
I Verdi e tutta l´Unione sono pronti a dare battaglia in consiglio regionale, ma di fronte a questa levata di scudi non batte ciglio Margherita Peroni di Fi, relatrice del progetto. «Io non metto in discussione l´identità sessuale di nessuno - spiega - quella frase non è discriminatoria. Omosessuali che stanno bene con se stessi hanno una sana e responsabile sessualità. E lo stesso vale per le lesbiche. Ecco perché ritengo che le polemiche siano inutili». E aggiunge: «La frase tanto discussa è contenuta nella legge 44 del '76, quella che istituisce i consultori. È lì da più di 30 anni e nessuno l´ha mai contestata. E poi quando si parla di sana e responsabile sessualità, ci si riferisce non alla pura genitalità, ma a quella dimensione più ampia che comprende l´affettività e la capacità di relazione. Questo è il senso delle parole che abbiamo scelto».
«Basta polveroni - taglia corto Stefano Galli, il capogruppo della Lega - i termini sono giusti e corretti». «Quella della sinistra è una polemica con autogol - replica Giancarlo Abelli, l´assessore all´Assistenza - da quando esiste la legge sui consultori non è mai stato discriminato nessuno. Tutti i nostri interventi sono a tutela della maternità, del concepimento, della famiglia e dell´umanità che c´è in ogni uomo, al di là di qualsiasi distinzione di sesso o altro».
La maggioranza ha votato a favore del discusso provvedimento ma c´è chi, come Carlo Saffioti, consigliere di Fi, che ritiene che «quella frase sulla sana sessualità andava evitata perché si presta a equivoci. Io l´avrei tolta». Contro il provvedimento è Ardemia Oriani, consigliere regionale dei Ds. «Che cosa si intende per "sana sessualità"? Questa è una legge oscurantista che va cambiata». Dello stesso parere Susanna Camusso, il segretario generale della Cgil lombarda: «Qui si cancella chi manifesta un diverso orientamento sessuale».
(26 ottobre 2007)
Fonte: repubblica.it
L´assistenza? Solo a chi pratica una "sana e responsabile sessualità". La Regione approva un articolo del piano del welfare lombardo ed è subito polemica. Nel mirino dell´opposizione c´è il provvedimento, discusso ieri dalla commissione regionale della Sanità, che riguarda il "Governo della rete dei servizi alla persona in ambito socio-sanitario".
Già una settimana fa questo documento aveva provocato una bufera politica. La frase incriminata era quella relativa alla "tutela della vita fin dal suo concepimento", giudicata un attacco alla 194, la legge sull´aborto. E ora, lo stesso documento, torna a scatenare un caso politico con un articolo, definito dai Verdi «di stampo medievale», in cui si precisa che «le prestazioni sanitarie e sociali sono finalizzate a sostenere la persona e la famiglia, con particolare riferimento allo sviluppo di una sana e responsabile sessualità». L´Unione al gran completo e il consigliere Alessandro Cè hanno proposto di stralciare la parte relativa alla "sana e consapevole sessualità". Ma l´emendamento è stato bocciato e la maggioranza ha votato all´unanimità la proposta, contenuta nell´articolo 5.
«Questa legge sta diventando ultrabigotta, prima attacca l´aborto e adesso chi fa scelte sessuali diverse - denuncia Carlo Monguzzi, consigliere dei Verdi - questo provvedimento lascia spazio alla discrezionalità degli operatori che potrebbero negare assistenza a chi non rientra nei parametri di una sana sessualità». Monguzzi si domanda «cosa succederà quando ai servizi socio sanitari busseranno persone che non sono eterosessuali. Verranno discriminati gli omosessuali? E le lesbiche, i voyeristi, i feticisti che fine faranno? Ci sarà la messa al bando dei sadomaso? Qualche adultero verrà lapidato? E i baci, quali saranno considerati sani e quali no? Siamo davvero alla follia».
I Verdi e tutta l´Unione sono pronti a dare battaglia in consiglio regionale, ma di fronte a questa levata di scudi non batte ciglio Margherita Peroni di Fi, relatrice del progetto. «Io non metto in discussione l´identità sessuale di nessuno - spiega - quella frase non è discriminatoria. Omosessuali che stanno bene con se stessi hanno una sana e responsabile sessualità. E lo stesso vale per le lesbiche. Ecco perché ritengo che le polemiche siano inutili». E aggiunge: «La frase tanto discussa è contenuta nella legge 44 del '76, quella che istituisce i consultori. È lì da più di 30 anni e nessuno l´ha mai contestata. E poi quando si parla di sana e responsabile sessualità, ci si riferisce non alla pura genitalità, ma a quella dimensione più ampia che comprende l´affettività e la capacità di relazione. Questo è il senso delle parole che abbiamo scelto».
«Basta polveroni - taglia corto Stefano Galli, il capogruppo della Lega - i termini sono giusti e corretti». «Quella della sinistra è una polemica con autogol - replica Giancarlo Abelli, l´assessore all´Assistenza - da quando esiste la legge sui consultori non è mai stato discriminato nessuno. Tutti i nostri interventi sono a tutela della maternità, del concepimento, della famiglia e dell´umanità che c´è in ogni uomo, al di là di qualsiasi distinzione di sesso o altro».
La maggioranza ha votato a favore del discusso provvedimento ma c´è chi, come Carlo Saffioti, consigliere di Fi, che ritiene che «quella frase sulla sana sessualità andava evitata perché si presta a equivoci. Io l´avrei tolta». Contro il provvedimento è Ardemia Oriani, consigliere regionale dei Ds. «Che cosa si intende per "sana sessualità"? Questa è una legge oscurantista che va cambiata». Dello stesso parere Susanna Camusso, il segretario generale della Cgil lombarda: «Qui si cancella chi manifesta un diverso orientamento sessuale».
(26 ottobre 2007)
Fonte: repubblica.it
mercoledì 24 ottobre 2007
Crocetta choc "Ha tentato di stuprarmi"
Un drogato picchia e deruba una donna nei giardini dietro il Mauriziano
MASSIMO NUMA
TORINO. Aggredita, alle 18 di lunedì, in Largo Re Umberto. Sbattuta per terra da un tossico, che ha tentato di violentarla e poi l’ha rapinata, spariti soldi, documenti, borsetta. Enrica C., 39 anni, che vive in corso Duca Degli Abbruzzi, figlia di un professionista, è ancora sotto choc e ha dovuto ricorrere ai tranquillanti. «Sono uscita di casa e stavo andando all’ospedale Mauriziano a dare il cambio alla mamma che assiste mio padre, ricoverato da qualche tempo.
All’improvviso, mi s’è parato di fronte quel tossicodipendente, mi ha afferrato e io sono caduta. Sono riuscita a divincolarmi con la forza della disperazione. Mi sono messa a urlare, lui è fuggito con la borsa. E’ stata un’esperienza terribile, non riesco a riprendermi». Enrica è confortata dalla madre: «Torino è diventata una città invivibile. In ospedale ci hanno detto che episodi del genere, come quello capitato a mia figlia, sono all’ordine del giorno. Io stessa, recentemente, sono stata derubata al supermarket. Ogni volta che andiamo in ospedale, siamo circondata da questi tossicodipendenti, sempre più aggressivi e numerosi». Le due donne, adesso, hanno paura. Per compiere il breve tragitto che le separa dall’ospedale, vengono ora accompagnate e soervegliate a vista. Sull’episodio indagano gli agenti del commissariato San Secondo, dopo che il primo intervento, dopo la denuncia della donna, era stato portato a termine - senza esiti - dalle volanti del 113. Enrica C. ha descritto minuziosamente l’aggressore, che si aggirava tra i giardini in compagnia di un altro individuo, che però non sarebbe coinvolto nel tentativo di stupro. «E’ stata una sequenza da film dell’orrore - racconta la vittima - quell’uomo era deciso e violento, se sono salva è un miracolo». L’aggredita è stata poi medicata e assistita al pronto soccorso del Mauriziano, dove è stata raggiunta dai familiari.
Nella stessa zona di Largo Re Umberto, recentemente, è stato ritrovato il corpo di un marocchino di 44 anni, che era stato «adottato» dall’intero quartiere. Secondo alcune testimonianze, l’uomo sarebbe stato colpito dopo un lite «con un tossicodipendente». L’autopsia ha confermato la presenza di un trauma cranico ma non si può escludere che sia stato provocato anche da una caduta accidentale.
MASSIMO NUMA
TORINO. Aggredita, alle 18 di lunedì, in Largo Re Umberto. Sbattuta per terra da un tossico, che ha tentato di violentarla e poi l’ha rapinata, spariti soldi, documenti, borsetta. Enrica C., 39 anni, che vive in corso Duca Degli Abbruzzi, figlia di un professionista, è ancora sotto choc e ha dovuto ricorrere ai tranquillanti. «Sono uscita di casa e stavo andando all’ospedale Mauriziano a dare il cambio alla mamma che assiste mio padre, ricoverato da qualche tempo.
All’improvviso, mi s’è parato di fronte quel tossicodipendente, mi ha afferrato e io sono caduta. Sono riuscita a divincolarmi con la forza della disperazione. Mi sono messa a urlare, lui è fuggito con la borsa. E’ stata un’esperienza terribile, non riesco a riprendermi». Enrica è confortata dalla madre: «Torino è diventata una città invivibile. In ospedale ci hanno detto che episodi del genere, come quello capitato a mia figlia, sono all’ordine del giorno. Io stessa, recentemente, sono stata derubata al supermarket. Ogni volta che andiamo in ospedale, siamo circondata da questi tossicodipendenti, sempre più aggressivi e numerosi». Le due donne, adesso, hanno paura. Per compiere il breve tragitto che le separa dall’ospedale, vengono ora accompagnate e soervegliate a vista. Sull’episodio indagano gli agenti del commissariato San Secondo, dopo che il primo intervento, dopo la denuncia della donna, era stato portato a termine - senza esiti - dalle volanti del 113. Enrica C. ha descritto minuziosamente l’aggressore, che si aggirava tra i giardini in compagnia di un altro individuo, che però non sarebbe coinvolto nel tentativo di stupro. «E’ stata una sequenza da film dell’orrore - racconta la vittima - quell’uomo era deciso e violento, se sono salva è un miracolo». L’aggredita è stata poi medicata e assistita al pronto soccorso del Mauriziano, dove è stata raggiunta dai familiari.
Nella stessa zona di Largo Re Umberto, recentemente, è stato ritrovato il corpo di un marocchino di 44 anni, che era stato «adottato» dall’intero quartiere. Secondo alcune testimonianze, l’uomo sarebbe stato colpito dopo un lite «con un tossicodipendente». L’autopsia ha confermato la presenza di un trauma cranico ma non si può escludere che sia stato provocato anche da una caduta accidentale.
domenica 21 ottobre 2007
Stupro in collina i dubbi degli inquirenti
Nessuno ha sentito nulla, la casa era in ordine. Per la vittima cinque giorni di prognosi
Non è stato portato via nulla e non ci sono danni nella villa in via delle Lastre dove l'altro giorno la colf, una marocchina di 25 anni, ha denunciato di essere stata violentata durante un tentativo di rapina fallito, compiuto da tre uomini. Il test al pronto soccorso è negativo. Ora gli accertamenti verranno fatti anche sugli indumenti della ragazza e sugli oggetti in camera da letto dove la giovane ha detto di essere stata stuprata. Lei ha raccontato che tre uomini, passamontagna in testa, guanti, armati di coltello, avrebbero tentato di compiere una rapina in casa: dei tre non avrebbe notato nulla, nemmeno il colore della pelle, ma avrebbe capito da come parlavano che forse erano dell'Est.
Una volta dentro avrebbero cercato con insistenza la cassaforte e avrebbero strattonato la donna per farsi dire dov'era il forziere. Poi ci sarebbe stata la violenza, il tutto in una ventina di minuti. Il fatto sarebbe avvenuto verso le 9,30, ma l'allarme è scattato alle 13,30, quando il padrone di casa è rientrato. L'uomo ha riferito che la ragazza non voleva fare denuncia perché si vergognava e forse perché temeva conseguenze perché non è perfettamente in regola col soggiorno. Sono stati gli stessi proprietari a convincerla a denunciare l'accaduto. La ragazza presenta qualche abrasione, anche se non evidente. E' stata giudicata guaribile in cinque giorni. La giovane è stata interrogata a lungo ed è caduta in qualche contraddizione, che potrebbe essere legata alla stanchezza e allo choc subito.
(19 ottobre 2007)
Fonte: repubblica.it
Non è stato portato via nulla e non ci sono danni nella villa in via delle Lastre dove l'altro giorno la colf, una marocchina di 25 anni, ha denunciato di essere stata violentata durante un tentativo di rapina fallito, compiuto da tre uomini. Il test al pronto soccorso è negativo. Ora gli accertamenti verranno fatti anche sugli indumenti della ragazza e sugli oggetti in camera da letto dove la giovane ha detto di essere stata stuprata. Lei ha raccontato che tre uomini, passamontagna in testa, guanti, armati di coltello, avrebbero tentato di compiere una rapina in casa: dei tre non avrebbe notato nulla, nemmeno il colore della pelle, ma avrebbe capito da come parlavano che forse erano dell'Est.
Una volta dentro avrebbero cercato con insistenza la cassaforte e avrebbero strattonato la donna per farsi dire dov'era il forziere. Poi ci sarebbe stata la violenza, il tutto in una ventina di minuti. Il fatto sarebbe avvenuto verso le 9,30, ma l'allarme è scattato alle 13,30, quando il padrone di casa è rientrato. L'uomo ha riferito che la ragazza non voleva fare denuncia perché si vergognava e forse perché temeva conseguenze perché non è perfettamente in regola col soggiorno. Sono stati gli stessi proprietari a convincerla a denunciare l'accaduto. La ragazza presenta qualche abrasione, anche se non evidente. E' stata giudicata guaribile in cinque giorni. La giovane è stata interrogata a lungo ed è caduta in qualche contraddizione, che potrebbe essere legata alla stanchezza e allo choc subito.
(19 ottobre 2007)
Fonte: repubblica.it
sabato 20 ottobre 2007
"Violentata col coltello alla gola"
Assalto di tre banditi in una villa in via delle Lastre. La governante marocchina denuncia: mi hanno pestata e violentata
I carabinieri davanti alla villa
I carabinieri davanti alla villa
Non sapeva dove fosse la cassaforte, così uno dei rapinatori l´ha picchiata e violentata minacciandola con un coltello. Un´aggressione selvaggia avvenuta ieri mattina alle nove in una villa in via delle Lastre, quasi campagna, giardini e prati curati, vicinissima alla città. La vittima è una ragazza marocchina di 25 anni che da poco tempo è in Italia e lavora come domestica fissa presso la famiglia bolognese, una coppia giovane con un figlio adolescente e un altro più piccolo. Lei, sempre velata, è molto conosciuta nelle altre ville della piccola enclave.
I tre rapinatori incappucciati e con i guanti, probabilmente sono entrati da una porta finestra che dà sul giardino appena genitori e ragazzini sono usciti chi per andare al lavoro, chi a scuola, portandosi dietro anche il cane che forse se ci fosse stato avrebbe dato l´allarme, scoraggiando i malviventi. Fanno irruzione in casa. Vogliono i soldi, vogliono che la giovane colf gli dica dove è nascosta la cassaforte. Ma lei, che tra l´altro non parla bene l´italiano, non può rispondere, perché non ne sa niente. I tre si infuriano. Uno la prende a botte, la sbatte contro il muro e minacciandola col coltello la violenta. Incredibilmente quando se ne vanno i rapinatori sono a mani vuote, non portano via nulla, neanche il televisore che tentano di staccare dal muro, ma i poliziotti la trovano ancora al suo posto.
La ragazza è sotto choc, riesce a telefonare alla padrona di casa, la donna però fatica a capire cosa sia successo. Per questo si rivolge alla vicina della villa confinante: «Per piacere vai tu, intanto io arrivo». La signora va di corsa a suonare, ma si accorge che il campanello è muto. I fili sono stati staccati, lei grida, cerca di chiamare la colf. Da dentro però la ragazza non riesce a dare il tiro. Alla fine esce e va ad aprire. E´ stravolta. Piange, ha una ferita sul braccio, la maglietta strappata. «Ho male alla faccia», dice. E infatti ha lividi e graffi.
Nel frattempo arriva il padrone di casa. Ma la richiesta d´intervento arriva al 113 soltanto alle 13,30. Perché? La famiglia fatica a convincere la vittima a sporgere denuncia. Lei esita, è spaventata, si vergogna. Poi non ha il permesso di soggiorno del tutto in regola, quindi ha paura delle conseguenze. «Qui non ci sono mai stati episodi violenti – dice la vicina – non abbiamo mai visto facce strane». La signora racconta anche che ieri mattina dalla casa dell´aggressione non sono arrivati rumori allarmanti. Lei non ha sentito nulla, ma neppure il marito, né un amico che era ospite. Anche il giardiniere che pure stava lavorando all´esterno, nè la domestica hanno avuto sospetti di alcun genere. Persino il cane, un pastore tedesco, è stato tutto il tempo perfettamente tranquillo.
Secondo la Procura il racconto della vittima è credibile. La sua ricostruzione dell´aggressione non ha lati oscuri. «Nessun dubbio», dice il pm Lorenzo Gestri, che alle dieci di sera è ancora in Questura, dove sta sentendo i testimoni della bruttissima vicenda. Compresa la ragazza che in precedenza è stata visitata e medicata al pronto soccorso ginecologico dell´ospedale Maggiore. Ha molti lividi per le botte prese e segni compatibili con una violenza sessuale.
(18 ottobre 2007
I carabinieri davanti alla villa
I carabinieri davanti alla villa
Non sapeva dove fosse la cassaforte, così uno dei rapinatori l´ha picchiata e violentata minacciandola con un coltello. Un´aggressione selvaggia avvenuta ieri mattina alle nove in una villa in via delle Lastre, quasi campagna, giardini e prati curati, vicinissima alla città. La vittima è una ragazza marocchina di 25 anni che da poco tempo è in Italia e lavora come domestica fissa presso la famiglia bolognese, una coppia giovane con un figlio adolescente e un altro più piccolo. Lei, sempre velata, è molto conosciuta nelle altre ville della piccola enclave.
I tre rapinatori incappucciati e con i guanti, probabilmente sono entrati da una porta finestra che dà sul giardino appena genitori e ragazzini sono usciti chi per andare al lavoro, chi a scuola, portandosi dietro anche il cane che forse se ci fosse stato avrebbe dato l´allarme, scoraggiando i malviventi. Fanno irruzione in casa. Vogliono i soldi, vogliono che la giovane colf gli dica dove è nascosta la cassaforte. Ma lei, che tra l´altro non parla bene l´italiano, non può rispondere, perché non ne sa niente. I tre si infuriano. Uno la prende a botte, la sbatte contro il muro e minacciandola col coltello la violenta. Incredibilmente quando se ne vanno i rapinatori sono a mani vuote, non portano via nulla, neanche il televisore che tentano di staccare dal muro, ma i poliziotti la trovano ancora al suo posto.
La ragazza è sotto choc, riesce a telefonare alla padrona di casa, la donna però fatica a capire cosa sia successo. Per questo si rivolge alla vicina della villa confinante: «Per piacere vai tu, intanto io arrivo». La signora va di corsa a suonare, ma si accorge che il campanello è muto. I fili sono stati staccati, lei grida, cerca di chiamare la colf. Da dentro però la ragazza non riesce a dare il tiro. Alla fine esce e va ad aprire. E´ stravolta. Piange, ha una ferita sul braccio, la maglietta strappata. «Ho male alla faccia», dice. E infatti ha lividi e graffi.
Nel frattempo arriva il padrone di casa. Ma la richiesta d´intervento arriva al 113 soltanto alle 13,30. Perché? La famiglia fatica a convincere la vittima a sporgere denuncia. Lei esita, è spaventata, si vergogna. Poi non ha il permesso di soggiorno del tutto in regola, quindi ha paura delle conseguenze. «Qui non ci sono mai stati episodi violenti – dice la vicina – non abbiamo mai visto facce strane». La signora racconta anche che ieri mattina dalla casa dell´aggressione non sono arrivati rumori allarmanti. Lei non ha sentito nulla, ma neppure il marito, né un amico che era ospite. Anche il giardiniere che pure stava lavorando all´esterno, nè la domestica hanno avuto sospetti di alcun genere. Persino il cane, un pastore tedesco, è stato tutto il tempo perfettamente tranquillo.
Secondo la Procura il racconto della vittima è credibile. La sua ricostruzione dell´aggressione non ha lati oscuri. «Nessun dubbio», dice il pm Lorenzo Gestri, che alle dieci di sera è ancora in Questura, dove sta sentendo i testimoni della bruttissima vicenda. Compresa la ragazza che in precedenza è stata visitata e medicata al pronto soccorso ginecologico dell´ospedale Maggiore. Ha molti lividi per le botte prese e segni compatibili con una violenza sessuale.
(18 ottobre 2007
venerdì 19 ottobre 2007
Mutilata per stupro in casa Il giudice accusa i vicini
"Un loro comportamento più attivo avrebbe ridotto la gravità delle lesioni"
di Oriana Liso
Sette anni di carcere per una violenza brutale, andata avanti per ore, tra le grida di dolore della vittima e il volume dello stereo al massimo, per coprire proprio quelle grida. Con i vicini di casa che aspettavano due ore per chiamare i carabinieri e un'ambulanza che portasse in salvo quella ragazza. Forse, è il dubbio che si legge nella sentenza del gup Guido Salvini, se quei vicini avessero avuto un «comportamento più attivo e solidale» verso quella donna che «pur sconosciuta, si trovava all'evidenza in grave pericolo», le conseguenze per lei sarebbero state meno gravi.
È una storia di degrado e di alcol, quella che ha come vittima una ventenne romena, arrivata in Italia con la sua famiglia, finita a guardare in faccia l'orrore nelle sembianze di un suo amico, un coetaneo arrivato anche lui dalla Romania. Vasile Coman, vent'anni fra poco, vive - viveva, visto che ora è a San Vittore - con la madre e il convivente italiano di quest'ultima a Corsico. Il pomeriggio del 3 maggio scorso aveva invitato la sua amica - non erano fidanzati né avevano mai avuto una storia - a fare una passeggiata e poi a mangiare qualcosa a casa sua. Per lui, anche molto vino e molta grappa. La descrizione che la ragazza fa ai medici e ai carabinieri di quel che succede dopo il pranzo, «quando Vasile è diventato serio e mi ha spinto con forza contro il muro», è da galleria degli orrori: oltre due ore di brutalità, che i medici vedranno nelle lacerazioni evidenti ai genitali, nelle ecchimosi su tutto il corpo.
Una vicina di casa racconterà di aver sentito la musica e le urla, di aver pensato di chiamare i carabinieri preferendo poi rivolgersi alla padrona di casa, di essere uscita per rientrare dopo mezz'ora, trovando - solo allora - anche gli altri vicini preoccupati, che bussavano inutilmente alla porta del Coman. «Solo dopo le ore 19, quando ancora e nuovamente si sentivano le urla, i vicini di casa, dopo aver molto tergiversato, avevano finalmente chiamato l'ambulanza e i carabinieri», scrive il giudice Salvini. Ai soccorritori si presenta una scena raccapricciante. Vasile ubriaco sul divano, con i vestiti e le braccia sporche di sangue. La ragazza per terra, ormai semi incosciente, in una pozza di sangue. I medici la operano subito per asportare i tessuti interni ormai a brandelli, salvandole la vita, anche se gli organi riproduttivi hanno un «indebolimento permanente», come scrive il giudice. La condanna a sette anni, emessa ieri, è integrata da un risarcimento di 100mila euro, «somma che probabilmente rimarrà solo simbolica».
(17 ottobre 2007)
Fonte: repubblica
di Oriana Liso
Sette anni di carcere per una violenza brutale, andata avanti per ore, tra le grida di dolore della vittima e il volume dello stereo al massimo, per coprire proprio quelle grida. Con i vicini di casa che aspettavano due ore per chiamare i carabinieri e un'ambulanza che portasse in salvo quella ragazza. Forse, è il dubbio che si legge nella sentenza del gup Guido Salvini, se quei vicini avessero avuto un «comportamento più attivo e solidale» verso quella donna che «pur sconosciuta, si trovava all'evidenza in grave pericolo», le conseguenze per lei sarebbero state meno gravi.
È una storia di degrado e di alcol, quella che ha come vittima una ventenne romena, arrivata in Italia con la sua famiglia, finita a guardare in faccia l'orrore nelle sembianze di un suo amico, un coetaneo arrivato anche lui dalla Romania. Vasile Coman, vent'anni fra poco, vive - viveva, visto che ora è a San Vittore - con la madre e il convivente italiano di quest'ultima a Corsico. Il pomeriggio del 3 maggio scorso aveva invitato la sua amica - non erano fidanzati né avevano mai avuto una storia - a fare una passeggiata e poi a mangiare qualcosa a casa sua. Per lui, anche molto vino e molta grappa. La descrizione che la ragazza fa ai medici e ai carabinieri di quel che succede dopo il pranzo, «quando Vasile è diventato serio e mi ha spinto con forza contro il muro», è da galleria degli orrori: oltre due ore di brutalità, che i medici vedranno nelle lacerazioni evidenti ai genitali, nelle ecchimosi su tutto il corpo.
Una vicina di casa racconterà di aver sentito la musica e le urla, di aver pensato di chiamare i carabinieri preferendo poi rivolgersi alla padrona di casa, di essere uscita per rientrare dopo mezz'ora, trovando - solo allora - anche gli altri vicini preoccupati, che bussavano inutilmente alla porta del Coman. «Solo dopo le ore 19, quando ancora e nuovamente si sentivano le urla, i vicini di casa, dopo aver molto tergiversato, avevano finalmente chiamato l'ambulanza e i carabinieri», scrive il giudice Salvini. Ai soccorritori si presenta una scena raccapricciante. Vasile ubriaco sul divano, con i vestiti e le braccia sporche di sangue. La ragazza per terra, ormai semi incosciente, in una pozza di sangue. I medici la operano subito per asportare i tessuti interni ormai a brandelli, salvandole la vita, anche se gli organi riproduttivi hanno un «indebolimento permanente», come scrive il giudice. La condanna a sette anni, emessa ieri, è integrata da un risarcimento di 100mila euro, «somma che probabilmente rimarrà solo simbolica».
(17 ottobre 2007)
Fonte: repubblica
giovedì 18 ottobre 2007
Stupri, abusi e diritti negati
Dati allarmanti nel nuovo rapporto dell'Unicef sul rapporto tra conflitti e bambini
I piccoli sono vittime di arruolamenti forzati, detenzioni illegali e sfruttamento sessuale
ROMA - Decine di conflitti in tutto il mondo continuano a privare i bambini della loro infanzia, violando tutti i loro diritti: alla vita, alla salute e alla nutrizione, all'istruzione e alla protezione, a vivere in famiglia e nella propria comunità, a crescere sani e a sviluppare la propria personalità. E' quanto sostiene il nuovo Rapporto "Children and Conflict in a Changing World" del Rappresentante Speciale del Segretario Generale dell'Onu per i bambini nei conflitti armati e dell'Unicef, realizzato a 10 anni dallo studio di Gracia Machel "L'impatto delle guerra sui bambini".
Il documento, presentato oggi, delinea un quadro allarmante della condizione dei bambini nei principali scenari di guerra, pur sottolineando come siano stati compiuti progressi nella loro protezione da crimini di guerra come il reclutamento illegale da parte di gruppi e forze armate e la violenza sessuale. Il documento, inoltre, esorta la comunità internazionale ad adottare misure concrete per fermare gli abusi sui più piccoli nei conflitti.
Uccisioni e mutilazioni. Almeno un terzo delle vittime di residuati bellici sono bambini. In 85 tra paesi in guerra e scenari postbellici, armi leggere e ordigni inesplosi sono all'origine dell'uccisione e menomazione permanente di milioni di bambini.
Bambini soldato. Nel 2002, l'arruolamento illegale di bambini veniva segnalato in 18 paesi in guerra; nel 2004 tale pratica veniva registrata in 43 paesi.
Attacchi a scuole e ospedale. Aumentati drammaticamente negli ultimi anni. Nel 2006, in Afghanistan sono stati oltre 100 gli attacchi con bombe e missili contro edifici scolastici e più di 105.000 bambini non hanno potuto frequentare la scuola a causa delle condizioni di insicurezza.
Stupri e abusi sessuali. Commessi in tutti gli scenari di guerra, assumono la forma di schiavitù sessuale, induzione alla prostituzione, mutilazioni genitali, violenze di genere e altre brutalità, con conseguenze mediche e psicologiche spesso permanenti.
Sequestri. Spesso finalizzato all'arruolamento, sfruttamento sessuale e lavoro forzato. Dall'inizio della guerra nel nord dell'Uganda, i bambini rapiti sono stati oltre 25.000; in Nepal più di 22.000 scolari sono stati rapiti dai Maoisti tra il 2002 e il 2006.
Sfollamento forzato. Ai bambini che muoiono per i combattimenti se ne aggiungono molti altri che perdono la vita per malattie e malnutrizione, effetto diretto delle guerre: nel 2006, 18,1 milioni di bambini sono stati costretti ad abbandonare le proprie comunità, 5,8 milioni ridotti alla condizione di profughi e 8,8 milioni sfollati all'interno dei confini dei loro paesi.
Accesso negato all'assistenza umanitaria. Sia esso deliberato o causato dalle condizioni di insicurezza, contribuisce a mettere a rischio la sopravvivenza stessa dei bambini.
Detenzione illegale. Violazione che necessita di maggiore attenzione. Nell'aprile 2007 oltre 400 bambini palestinesi erano rinchiusi nelle carceri israeliane per reati minori, privati del diritto alle visite familiari e in alcuni casi giudicati da tribunali militari, in violazione delle norme internazionali sulla giustizia minorile.
Distruzione servizi di base. In Iraq, Darfur e Ciad le difficoltà d'accesso all'acqua e a servizi igienici di base hanno causato epidemie e aggravato lo stato nutrizionale dei bambini. Il Rapporto segnala infine come negli ultimi anni il fenomeno del terrorismo abbia accresciuto la vulnerabilità dei bambini. Una delle maggiori preoccupazioni odierne riguarda l'uso di minori per attentati suicidi, nonché il fatto che questi siano per lo più diretti contro civili.
(17 ottobre 2007)
I piccoli sono vittime di arruolamenti forzati, detenzioni illegali e sfruttamento sessuale
ROMA - Decine di conflitti in tutto il mondo continuano a privare i bambini della loro infanzia, violando tutti i loro diritti: alla vita, alla salute e alla nutrizione, all'istruzione e alla protezione, a vivere in famiglia e nella propria comunità, a crescere sani e a sviluppare la propria personalità. E' quanto sostiene il nuovo Rapporto "Children and Conflict in a Changing World" del Rappresentante Speciale del Segretario Generale dell'Onu per i bambini nei conflitti armati e dell'Unicef, realizzato a 10 anni dallo studio di Gracia Machel "L'impatto delle guerra sui bambini".
Il documento, presentato oggi, delinea un quadro allarmante della condizione dei bambini nei principali scenari di guerra, pur sottolineando come siano stati compiuti progressi nella loro protezione da crimini di guerra come il reclutamento illegale da parte di gruppi e forze armate e la violenza sessuale. Il documento, inoltre, esorta la comunità internazionale ad adottare misure concrete per fermare gli abusi sui più piccoli nei conflitti.
Uccisioni e mutilazioni. Almeno un terzo delle vittime di residuati bellici sono bambini. In 85 tra paesi in guerra e scenari postbellici, armi leggere e ordigni inesplosi sono all'origine dell'uccisione e menomazione permanente di milioni di bambini.
Bambini soldato. Nel 2002, l'arruolamento illegale di bambini veniva segnalato in 18 paesi in guerra; nel 2004 tale pratica veniva registrata in 43 paesi.
Attacchi a scuole e ospedale. Aumentati drammaticamente negli ultimi anni. Nel 2006, in Afghanistan sono stati oltre 100 gli attacchi con bombe e missili contro edifici scolastici e più di 105.000 bambini non hanno potuto frequentare la scuola a causa delle condizioni di insicurezza.
Stupri e abusi sessuali. Commessi in tutti gli scenari di guerra, assumono la forma di schiavitù sessuale, induzione alla prostituzione, mutilazioni genitali, violenze di genere e altre brutalità, con conseguenze mediche e psicologiche spesso permanenti.
Sequestri. Spesso finalizzato all'arruolamento, sfruttamento sessuale e lavoro forzato. Dall'inizio della guerra nel nord dell'Uganda, i bambini rapiti sono stati oltre 25.000; in Nepal più di 22.000 scolari sono stati rapiti dai Maoisti tra il 2002 e il 2006.
Sfollamento forzato. Ai bambini che muoiono per i combattimenti se ne aggiungono molti altri che perdono la vita per malattie e malnutrizione, effetto diretto delle guerre: nel 2006, 18,1 milioni di bambini sono stati costretti ad abbandonare le proprie comunità, 5,8 milioni ridotti alla condizione di profughi e 8,8 milioni sfollati all'interno dei confini dei loro paesi.
Accesso negato all'assistenza umanitaria. Sia esso deliberato o causato dalle condizioni di insicurezza, contribuisce a mettere a rischio la sopravvivenza stessa dei bambini.
Detenzione illegale. Violazione che necessita di maggiore attenzione. Nell'aprile 2007 oltre 400 bambini palestinesi erano rinchiusi nelle carceri israeliane per reati minori, privati del diritto alle visite familiari e in alcuni casi giudicati da tribunali militari, in violazione delle norme internazionali sulla giustizia minorile.
Distruzione servizi di base. In Iraq, Darfur e Ciad le difficoltà d'accesso all'acqua e a servizi igienici di base hanno causato epidemie e aggravato lo stato nutrizionale dei bambini. Il Rapporto segnala infine come negli ultimi anni il fenomeno del terrorismo abbia accresciuto la vulnerabilità dei bambini. Una delle maggiori preoccupazioni odierne riguarda l'uso di minori per attentati suicidi, nonché il fatto che questi siano per lo più diretti contro civili.
(17 ottobre 2007)
martedì 16 ottobre 2007
Scende per buttare la spazzatura studentessa violentata a Bologna
Una giovane napoletana di 24 anni aggredita da due uomini
Costretta a salire su un'auto dove è stata stuprata e poi abbandonata
Sempre a Bologna fermato romeno che ha abusato della figlia
BOLOGNA - Ennesima violenza sessuale su una giovane donna a Bologna, la quarta in dieci giorni. Una studentessa napoletana di 24 anni ha raccontato che ieri sera verso mezzanotte era scesa in strada per buttare la spazzatura, nei pressi di via Zanardi, quando è stata bloccata da due uomini, forse nordafricani, che con un coltello l'hanno minacciata e costretta a salire in macchina.
Mentre uno dei due guidava, l'altro l'ha violentata sul sedile posteriore. Poi, secondo il racconto della ragazza, l'hanno abbandonata nei pressi della stazione ferroviaria. E lì, dopo qualche ora, è stata notata da un poliziotto fuori servizio che l'ha ritrovata sotto choc e soccorsa.
Le sue condizioni, un fortissimo stress emotivo, hanno fatto sì che per ben due volte si sia sentita male mentre parlava con i poliziotti della squadra mobile. Proprio il suo stato di choc rende complicata agli inquirenti la ricostruzione del fatto. La ragazza, dopo i malori, è stata riportata all'ospedale Maggiore al pronto soccorso ginecologico, dove era stata subito medicata quando era stata ritrovata.
Gli inquirenti, coordinati dal Pm Valter Giovannini, ritengono credibile la violenza anche se la ragazza verrà riascoltata per cercare di ricostruire l'accaduto, in particolare le modalità dell'approccio e del percorso dell'auto. Su questi dettagli infatti la ragazza non è riuscita a fornire chiare indicazioni.
Sempre a Bologna si indaga anche su un altro episodio di violenza che un romeno ha compiuto sulla figlia, una infermiera di 28 anni. L'uomo, Mihai Bompa, 52 anni, una decina di giorni fa aveva chiesto ospitalità alla giovane. Mercoledì scorso tra i due c'è stata una lite perché lui non voleva che lei frequentasse un connazionale di 26 anni. A quel punto in preda a un raptus, secondo la ragazza, il genitore ha tirato fuori un coltello e, afferrandola per il collo, l'ha violentata.
L'uomo, pluri-pregiudicato appena scarcerato dalla Francia dove ha scontato una pena per clonazione di carte di credito e con precedenti anche in Italia per rapina, furto e danneggiamento, aveva già abusato di lei un anno fa, ma la giovane non aveva detto nulla a nessuno. Questa volta è stata costretta a denunciare il padre dai suoi coinquilini che si erano accorti che qualcosa non andava. Dietro qualche insistenza, lei ha raccontato tutto e l'uomo è stato fermato dalla polizia.
Il pm Valter Giovannini, dopo aver disposto il fermo, ha chiesto la convalida del provvedimento. Durante la notte il magistrato ha sentito la ragazza e, dopo che il padre era stato rintracciato in un locale dove lavora come buttafuori, l'ha interrogato. Tra vittima e stupratore c'è anche stato un confronto. L'uomo ha ammesso di aver picchiato la figlia, ma non la violenza, che invece la ragazza ha ribadito. La donna ha numerose ecchimosi e segni di percosse, ma l'uomo ha detto di non ricordarsi dove l'aveva colpita perché era ubriaco.
(13 ottobre 2007)
Costretta a salire su un'auto dove è stata stuprata e poi abbandonata
Sempre a Bologna fermato romeno che ha abusato della figlia
BOLOGNA - Ennesima violenza sessuale su una giovane donna a Bologna, la quarta in dieci giorni. Una studentessa napoletana di 24 anni ha raccontato che ieri sera verso mezzanotte era scesa in strada per buttare la spazzatura, nei pressi di via Zanardi, quando è stata bloccata da due uomini, forse nordafricani, che con un coltello l'hanno minacciata e costretta a salire in macchina.
Mentre uno dei due guidava, l'altro l'ha violentata sul sedile posteriore. Poi, secondo il racconto della ragazza, l'hanno abbandonata nei pressi della stazione ferroviaria. E lì, dopo qualche ora, è stata notata da un poliziotto fuori servizio che l'ha ritrovata sotto choc e soccorsa.
Le sue condizioni, un fortissimo stress emotivo, hanno fatto sì che per ben due volte si sia sentita male mentre parlava con i poliziotti della squadra mobile. Proprio il suo stato di choc rende complicata agli inquirenti la ricostruzione del fatto. La ragazza, dopo i malori, è stata riportata all'ospedale Maggiore al pronto soccorso ginecologico, dove era stata subito medicata quando era stata ritrovata.
Gli inquirenti, coordinati dal Pm Valter Giovannini, ritengono credibile la violenza anche se la ragazza verrà riascoltata per cercare di ricostruire l'accaduto, in particolare le modalità dell'approccio e del percorso dell'auto. Su questi dettagli infatti la ragazza non è riuscita a fornire chiare indicazioni.
Sempre a Bologna si indaga anche su un altro episodio di violenza che un romeno ha compiuto sulla figlia, una infermiera di 28 anni. L'uomo, Mihai Bompa, 52 anni, una decina di giorni fa aveva chiesto ospitalità alla giovane. Mercoledì scorso tra i due c'è stata una lite perché lui non voleva che lei frequentasse un connazionale di 26 anni. A quel punto in preda a un raptus, secondo la ragazza, il genitore ha tirato fuori un coltello e, afferrandola per il collo, l'ha violentata.
L'uomo, pluri-pregiudicato appena scarcerato dalla Francia dove ha scontato una pena per clonazione di carte di credito e con precedenti anche in Italia per rapina, furto e danneggiamento, aveva già abusato di lei un anno fa, ma la giovane non aveva detto nulla a nessuno. Questa volta è stata costretta a denunciare il padre dai suoi coinquilini che si erano accorti che qualcosa non andava. Dietro qualche insistenza, lei ha raccontato tutto e l'uomo è stato fermato dalla polizia.
Il pm Valter Giovannini, dopo aver disposto il fermo, ha chiesto la convalida del provvedimento. Durante la notte il magistrato ha sentito la ragazza e, dopo che il padre era stato rintracciato in un locale dove lavora come buttafuori, l'ha interrogato. Tra vittima e stupratore c'è anche stato un confronto. L'uomo ha ammesso di aver picchiato la figlia, ma non la violenza, che invece la ragazza ha ribadito. La donna ha numerose ecchimosi e segni di percosse, ma l'uomo ha detto di non ricordarsi dove l'aveva colpita perché era ubriaco.
(13 ottobre 2007)
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