di MIRIAM MAFAI
Adesso, dopo le due sentenze del Tribunale di Cagliari e di quello di Firenze, la parola passa al ministro della Salute, Livia Turco che dovrà sbrogliare la complicata matassa della norma più assurda contenuta nella nostra legge sulla fecondazione assistita. La norma impedisce infatti quella diagnosi preimpianto considerata del tutto normale fino al febbraio del 2004.
Che da quel giorno, data di approvazione della legge, è stata sempre richiesta e messa in atto non per selezionare il colore degli occhi del nascituro (come qualcuno polemicamente sostiene) ma per impedire la trasmissione al figlio di gravi malattie da parte di una coppia di genitori che ne sia affetta. La norma è stata giustamente definita "feroce" perché, quando applicata, obbligherebbe la madre a subire l'impianto di tutti gli embrioni prodotti, fatta salva la possibilità di ricorrere poi all'aborto una volta accertati nel feto rischi di malformazione o malattie genetiche.
Una donna sarda, talassemica, ha rifiutato qualche mese fa di subire questa violenza. Ha fatto ricorso al Tribunale di Cagliari che le ha dato ragione affermando che l'embrione, sottoposto alla diagnosi genetica poteva essere impiantato solo nel caso si fosse rivelato sano, evitando in questo caso il doloroso ricorso all'aborto. Ieri una analoga sentenza, del Tribunale di Firenze, ha sostenuto, con altrettanta nettezza, lo stesso principio, facendo riferimento non solo a una precedente sentenza della nostra Corte Costituzionale, ma anche alla Convenzione di Oviedo che consente i test prenatali, purché non abbiano finalità eugenetica.
Il Centro medico cui la madre, affetta da una grave e rara malattia genetica si era rivolta, dovrà dunque provvedere all'impianto solo quando avrà verificato le buone condizioni dell'embrione.
Le precedenti "linee guida" , emesse nel luglio 2004 sotto la gestione del ministro Sirchia, che mettevano fuori legge l'indagine genetica reimpianto vanno dunque disapplicate, afferma l'ordinanza del Tribunale di Firenze. Le nuove "linee guida" la cui responsabilità spetta al ministro della Salute dovranno, inevitabilmente, tener conto di queste sentenze della magistratura che tutelano il diritto della madre e insieme il diritto alla salute del nascituro.
Ancora una volta, come nel controverso caso del testamento biologico in discussione al Senato, siamo di fronte ad uno di quei problemi che si è convenuto chiamare "eticamente sensibili". Un problema cioè che divide le coscienze e rischia di vedere schierati e contrapposti, da una parte i laici e dall'altra la Chiesa Cattolica contraria ad ogni intervento sull'embrione.
L'inizio della vita e la sua conclusione non sono più affidati, come è accaduto per tutta la storia dell'umanità, alla natura (o a una volontà superiore). La nascita e la morte sono eventi sui quali ormai incide in modo decisivo la medicina, la scienza, la volontà dell'uomo, della sua capacità di scegliere.
E' una condizione del tutto nuova, aperta a prospettive affascinanti ma anche, per alcuni versi inquietanti. Mai prima d'ora una donna ha potuto decidere se e come divenire madre, mai prima d'ora una donna ha potuto - grazie ai progressi della medicina - mettere il nascituro al riparo da gravi malattie ereditarie.
Il legislatore non può, in questi casi così delicati, imporre una scelta che, anche se confortata dalla maggioranza non consente la convivenza di valori diversi. Vale la pena a questo proposito di citare un liberale come Dworkin che scriveva: "L'istituzione dei diritti è cruciale perché rappresenta la promessa della maggioranza alla minoranza che la sua dignità ed eguaglianza saranno rispettatele".
La laicità, che ci è cara, consiste proprio in questo: nella capacità di allargare l'area dei diritti di ognuno di noi senza imporne l'adozione a nessuno. E' la scelta che venne fatta in occasione del voto sul divorzio e sull'aborto. E' la scelta che, speriamo, verrà adottata in occasione della elaborazione delle nuove linee guida per l'applicazione della legge sulla fecondazione assistita.
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