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sabato 31 maggio 2014

Trans e maternità

Da Intersezioni
Maternità e identità Trans

di Frieda Frida Freddy, transfemminista (e lesboterrorista) in cammino. Traduzione e revisione di Serbilla, Elena Zucchini e feminoska.
Il giorno in cui mi dichiarai Trans fu il giorno nel quale vidi e compresi chiaramente che non mi era necessario, né vitale, essere donna o uomo per esistere. Ancora di più, capii perfettamente che non desideravo in alcun modo esserlo per ancorarmi in una delle due categorie sociali, poiché mai mi ero sentit@ felice o a posto in nessuna delle due. Mi rinominai Frieda perché sono più femminile che mascolina, e perché comprendo che mascolinità e femminilità sono solo due poli di indottrinamento che non determinano nulla, e tanto meno definiscono questo “essere uomo” o “donna” che si conoscono nel nostro mondo sociale. Inventai pertanto questo nome, per il potente dittongo che per me rappresenta il ponte sulla dicotomia dei generi, il mio transitare tra Frida e/o Freddy che sono il passato al quale sono stat@condannat@: ragazzo o ragazza. E dal quale sono fuggit@…
E dunque ora sono liber@, sono Trans. Non transgenere né transessuale. Vedete: c’è una percezione diffusa secondo la quale essere trans significhi, diciamo, nascere A e trasformarsi in B, o nascere B e desiderare di essere A. Come dire, nascere biologicamente “uomo” (per via del pene, che definisce il sesso) e desiderare di essere percepit@ socialmente come una donna. O viceversa. Nascere biologicamente “donna” (per via della vulva che definisce il sesso) e desiderare di essere percepit@ socialmente come un uomo. Senza dubbio questo avviene spesso, ma non rappresenta tutte le esperienze.

domenica 11 agosto 2013

Da quante cose viene definita una donna?

Gli acquerelli di Jay ci dicono che:
illustrazione di Jay happyblood.tumblr.com
Dal suo blog:
“Le donne sono fantastiche, non sei d’accordo?
Volevo fare una semplice collezione di belle donne in acquerello, così l’ho fatta. Ho deciso di aggiungere del testo di accompagnamento per dargli una voce. Il mio intento non era quello di abolire ogni stereotipo, ma semplicemente di illustrare donne di varie personalità, tipi di corpo, età ed etnie. Ogni donna è bella!”

illustrazione di Jay happyblood.tumblr.com
E’ la semplice idea di Jay, 20 anni, trans e queer, che studia illustrazione al Ringling College of Art and Design a Sarasota, in Florida.
illustrazione di Jay happyblood.tumblr.com
illustrazione di Jay happyblood.tumblr.com

mercoledì 17 luglio 2013

Ciò che dovrebbe essere condannato sono gli atti e non le parole che servono a denunciarli

Femminicidio.

Dall'Accademia della Crusca
Quesito: 


C’è necessità di una parola nuova per indicare qualcosa che accade da sempre? Che senso ha sottolineare il sesso di una vittima? Non è offensivo per le donne parlare di loro usando la parola femmina, che pare “più propria dell’animale”? Perché non usare donnicidio, muliericidio, ginocidio o ciò che già abbiamo, uxoricidio? Legittimando femminicidio non provocheremo una proliferazione arbitraria di parole in -cidio?

Femminicidio: i perché di una parola
Recentemente si parla molto di femminicidio (o anche femicidio e femmicidio e del valore delle varianti vedremo dopo) intendendo non solo l’“uccisione di una donna o di una ragazza”, ma anche “qualsiasi forma di violenza esercitata sistematicamente sulle donne in nome di una sovrastruttura ideologica di matrice patriarcale, allo scopo di perpetuarne la subordinazione e di annientarne l’identità attraverso l’assoggettamento fisico o psicologico, fino alla schiavitù o alla morte”. Abbiamo riportato la definizione di femminicidio in Devoto-Oli 2009, ma il termine è attestato anche in ZINGARELLI a partire dal 2010 e nel Vocabolario Treccani online, mentre GRADIT 2007 ha femicidio registrato anche nei Neologismi Treccani 2012 come “femmicidio o femicidio”.

Ci sono state e ancora ci sono resistenze all’introduzione del termine, quasi fosse immotivato o semplicemente costituisse un voler forzatamente distinguere tra delitto e delitto semplicemente in base al sesso della vittima; quasi fosse neologismo frutto di una delle tante mode linguistiche più che del bisogno di nominare un nuovo concetto.
In effetti ciò che viene oggi indicato da questa parola è anche storia antica, anche per il nostro paese, come nota Silvia Leonzi in A casa con il nemico pubblicato nel numero di Marzo 2013 della rivista “Il Carabiniere”:

di omicidi femminili commessi da uomini la nostra storia è tristemente piena [...] e allora, perché solo adesso si sente l'esigenza di trovare un nome specifico per questa realtà? Che cos'hanno di diverso queste morti?
Cos'è cambiato nella nostra percezione
di un fenomeno tanto oscuro quanto atavico?

Una risposta possibile a questa domanda è in quanto Michela Murgia scriveva nel suo blog il 2 settembre 2012 a proposito di una notizia pubblicata quel giorno su Repubblica.it in questa forma:
Fano, uccide la moglie in un raptus di gelosia “L'uomo [...] ha accoltellato la donna, che ha tentato di difendersi inutilmente, dopo un violento litigio davanti ai quattro figli…”.

«Nel giornale che vorrei – scrive la Murgia – la notizia sarebbe stata data così: Fano, giovane donna uccisa a coltellate davanti ai suoi figli e poi “Arrestato l'autore del violento femminicidio: era il marito”».
Non si tratta solo di una parola in più, allora, per quanto densa di significato, ma anche e soprattutto di un rovesciamento di prospettiva, di una sostanziale evoluzione culturale prima e giuridica poi.
Quanta strada, almeno nel nostro paese, sia stata percorsa dalle istituzioni è efficacemente sintetizzato nel testo citato di Silvia Leonzi di cui si ricorda solo un passo a beneficio dei più giovani:


Ed è proprio per la salvaguardia dell'onore che fino al 1981, nel nostro ordinamento, […] per un uomo [che uccide] la moglie, se colto da un impeto d'ira determinato dall'offesa recata [sono previste] pene minori rispetto a un analogo delitto di diverso movente, dal momento che l'oltraggio arrecato all'onore è ben più grave rispetto al delitto riparatore. Infatti, l'articolo 587 del Codice penale, abrogato con la Legge n. 442 del 5 agosto 1981, contempla una pena ridotta per chi uccida la moglie, la figlia o la sorella al fine di difendere "l'onor suo o della famiglia". 

Credo che questo basti a dare conto delle proporzioni e delle conseguenze del rovesciamento del punto di vista auspicato dalla Murgia: non si tratta solo di parole di moda evidentemente.
Alcuni vedono nell’introduzione di femminicidio esclusivamente la sottolineatura (forzata) dell’appartenenza della vittima al sesso femminile, come per esempio si argomenta in un messaggio “postato” sulla pagina Facebook di La lingua batte, rubrica settimanale di Radio3 che si è recentemente occupata di femminicidio:

La parola omicidio deve essere eliminata dal vocabolario giuridico, ma non sostituita dalla parola femminicidio, o da qualsiasi altra parola che indichi una violenza mortale di genere. Siamo tutti esseri umani; perché, quindi, non usiamo umanicidio?

A questa domanda possiamo rispondere che se ci riferiamo a una situazione “neutra”, una donna uccisa nel corso di una rapina in banca, si può parlare di omicidio (o magari chissà in futuro di umanicidio) ma di fronte a una notizia come questa

India, violentata e uccisa a sei anni: Nuovo, agghiacciate caso di stupro nell'Uttar Pradesh: la piccola è stata strangolata e gettata in una discarica (La Repubblica.it 19.04.2013)

domenica 2 giugno 2013

La libertà di essere e fare ciò che si desidera, poche persone ne approfittano

La divisione del lavoro domestico, del lavoro tutto, e quindi di cura della famiglia, basata sulla personalità è un principio di libertà.

Da internazionale: Il falso mito dei padri a casa

E se seguissi la moda e restassi io con i figli mentre mia moglie è al lavoro? –Matteo
Che il papà a tempo pieno vada di moda non ci sono dubbi: basta sfogliare una rivista femminile o fare un giro tra i blog per rendersene conto. Ma non è detto che sia anche una realtà. Anzi, secondo una ricerca condotta nel Regno Unito si tratta di un falso mito: negli ultimi dieci anni il numero di padri a casa con i figli è aumentato di seimila persone, mentre quello delle mamme è diminuito di 44mila.
Chi copre la differenza di 38mila famiglie restate senza genitori? I nonni, le tate, l’asilo nido. Sono loro la vera moda e non i tanto decantati quanto rarissimi padri a tempo pieno. Perché purtroppo è più dura di quanto sembri: un uomo che lascia il lavoro per stare con i figli è visto nel migliore dei casi come un debole, nel peggiore come un fallito. Ed è un’idea talmente radicata che spesso si affaccia anche nella testa delle mogli: l’uomo che non porta a casa la pagnotta non è attraente.
Da quanto ho visto io, le uniche che riescono ad accettare di buon grado di sostenere economicamente il marito sono donne molto intelligenti e sicure di sé. Quelle che hanno capito che la divisione dei ruoli basata sulla personalità e non sul genere di appartenenza è un vantaggio per tutti. Se tua moglie è una di loro, vai tranquillo: segui la moda, vera o falsa che sia, e prenditi cura della tua famiglia.
Internazionale, numero 1002, 31 maggio 2013

Da internazionale.

martedì 29 maggio 2012

Napoli, 1 Giugno, Prostituzioni: corpi in vendita

Ribloggo da Femminismo a sud
EVA AFFITTASI Documentario di Armando Prieto Perez Italia, 2005 60 min
RENT BOYS: voci dalla strada- video-inchiesta di Luca Oliviero e Daniele De Stefano realizzato per la Cooperativa Sociale Dedalus, 2010 25 min “Come vedi il tuo futuro? Insomma, domani cosa pensi di fare?” “Se riesco a fare i soldi….ti dico domani che farò!” A cura di Associazione Le Kassandre in collaborazione con Cooperativa Dedalus e I Punti G. Alla proiezione dei documentari seguirà dibattito aperto con la partecipazione del gruppo I Punti G (Generi, Generazioni, Ghinee) e gli operatori della Cooperativa Dedalus impegnati nei servizi e nei progetti dedicati alle persone coinvolte nella prostituzione Per info info@lekassandre.com L’Asilo Balena (Ex Asilo Filangieri) si trova in vico Giuseppe Maffei 4 (via San Gregorio Armeno) – Napoli.

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