C’è necessità di una parola nuova per indicare
qualcosa che accade da sempre? Che senso ha sottolineare il sesso di una
vittima? Non è offensivo per le donne parlare di loro usando la parola
femmina, che pare “più propria dell’animale”? Perché non usare donnicidio, muliericidio, ginocidio o ciò che già abbiamo, uxoricidio? Legittimando femminicidio non provocheremo una proliferazione arbitraria di parole in -cidio?
Femminicidio: i perché di una parola
Recentemente si parla molto di femminicidio (o anche femicidio e femmicidio
e del valore delle varianti vedremo dopo) intendendo non solo
l’“uccisione di una donna o di una ragazza”, ma anche “qualsiasi forma
di violenza esercitata sistematicamente sulle donne in nome di una
sovrastruttura ideologica di matrice patriarcale, allo scopo di
perpetuarne la subordinazione e di annientarne l’identità attraverso
l’assoggettamento fisico o psicologico, fino alla schiavitù o alla
morte”. Abbiamo riportato la definizione di femminicidio in Devoto-Oli 2009, ma il termine è attestato anche in ZINGARELLI a partire dal 2010 e nel Vocabolario Treccani online, mentre GRADIT 2007 ha femicidio registrato anche nei Neologismi Treccani 2012 come “femmicidio o femicidio”.
Ci sono state e ancora ci sono resistenze all’introduzione del termine,
quasi fosse immotivato o semplicemente costituisse un voler
forzatamente distinguere tra delitto e delitto semplicemente in base al
sesso della vittima; quasi fosse neologismo frutto di una delle tante
mode linguistiche più che del bisogno di nominare un nuovo concetto.
In effetti ciò che viene oggi indicato da questa parola è anche storia
antica, anche per il nostro paese, come nota Silvia Leonzi in A casa con il nemico pubblicato nel numero di Marzo 2013 della rivista “Il Carabiniere”:
di omicidi femminili commessi da uomini
la nostra storia è tristemente piena [...] e allora, perché solo adesso
si sente l'esigenza di trovare un nome specifico per questa realtà? Che
cos'hanno di diverso queste morti?
Cos'è cambiato nella nostra percezione di un fenomeno tanto oscuro quanto atavico?
Una risposta possibile a questa domanda è in quanto Michela Murgia
scriveva nel suo blog il 2 settembre 2012 a proposito di una notizia
pubblicata quel giorno su Repubblica.it in questa forma:
Fano, uccide la moglie in un raptus di gelosia
“L'uomo [...] ha accoltellato la donna, che ha tentato di difendersi
inutilmente, dopo un violento litigio davanti ai quattro figli…”.
«Nel giornale che vorrei – scrive la Murgia – la notizia sarebbe stata data così: Fano, giovane donna uccisa a coltellate davanti ai suoi figli e poi “Arrestato l'autore del violento femminicidio: era il marito”».
Non si tratta solo di una parola in più, allora, per quanto densa di
significato, ma anche e soprattutto di un rovesciamento di prospettiva,
di una sostanziale evoluzione culturale prima e giuridica poi.
Quanta strada, almeno nel nostro paese, sia stata percorsa dalle
istituzioni è efficacemente sintetizzato nel testo citato di Silvia
Leonzi di cui si ricorda solo un passo a beneficio dei più giovani:
Ed è proprio per la salvaguardia
dell'onore che fino al 1981, nel nostro ordinamento, […] per un uomo
[che uccide] la moglie, se colto da un impeto d'ira determinato
dall'offesa recata [sono previste] pene minori rispetto a un analogo
delitto di diverso movente, dal momento che l'oltraggio arrecato
all'onore è ben più grave rispetto al delitto riparatore. Infatti,
l'articolo 587 del Codice penale, abrogato con la Legge n. 442 del 5
agosto 1981, contempla una pena ridotta per chi uccida la moglie, la
figlia o la sorella al fine di difendere "l'onor suo o della famiglia".
Credo che questo basti a dare conto delle proporzioni e delle
conseguenze del rovesciamento del punto di vista auspicato dalla Murgia:
non si tratta solo di parole di moda evidentemente.
Alcuni vedono nell’introduzione di femminicidio
esclusivamente la sottolineatura (forzata) dell’appartenenza della
vittima al sesso femminile, come per esempio si argomenta in un
messaggio “postato” sulla pagina Facebook di La lingua batte, rubrica settimanale di Radio3 che si è recentemente occupata di femminicidio:
La parola omicidio deve essere
eliminata dal vocabolario giuridico, ma non sostituita dalla parola
femminicidio, o da qualsiasi altra parola che indichi una violenza
mortale di genere. Siamo tutti esseri umani; perché, quindi, non usiamo
umanicidio?
A questa domanda possiamo rispondere che se ci riferiamo a una
situazione “neutra”, una donna uccisa nel corso di una rapina in banca,
si può parlare di omicidio (o magari chissà in futuro di umanicidio) ma di fronte a una notizia come questa
India, violentata e uccisa a sei
anni: Nuovo, agghiacciate caso di stupro nell'Uttar Pradesh: la piccola è
stata strangolata e gettata in una discarica (La Repubblica.it 19.04.2013)