Si che il manifesto l’ho visto, dico quello dei poliziotti che infilano le mani sotto la gonna alle ragazze, si che ho provato una sensazione di incontrovertibile schifo e disagio, disagio di vivere in questo paese che colleziona stupri e idioti e volgarità, sensazione che non mi abbandona e non mi abbandonerà mai più.
Solo che ormai è un gioco facile, è il gioco più antico della comunicazione, da quando la comunicazione esiste, cioè da sempre, cioè da sempre si stupisce e provoca per vendere un’idea o un prodotto o aria fritta che faccia girare danaro e lasci residui oleosi solo sulle mani di chi i soldi se li vede scivolare dalle mani, tra una bolletta e l’altra, ma cammina per strada, magari di notte torna a casa dopo aver fatto l’infermiera, la badante, la baby sitter, la ballerina, l’operaia, la spazzina, la puttana e si ritrova proiettata in un mondo parallelo dove la sua dignità è palesemente derisa.
Un manifesto che si sipira la messaggio evangelico viene rifiutato e l’altro che inneggia alla violenza di genere, di dimensioni mastodontiche, si impone dagli spazi pubblicitari del comune della tua città.
Mentre una ragazza viene stuprata da cinque uomini.
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domenica 1 febbraio 2009
lunedì 26 gennaio 2009
Belladonna
Molestia stupro e violenza non sono attestazioni di stima.
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*La bella donna dove Amor si mostra.
Guido Cavalcanti.
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venerdì 14 novembre 2008
Molestie tra allievi prof in tribunale
Saranno processati per violenza sessuale
MONICA CERAVOLO
PALERMO
Gli insegnanti di una scuola media di Palermo sono accusati di violenza sessuale per non avere impedito che un'alunna venisse palpeggiata da un compagno. I 4 professori della Lambruschini, istituto di una zona popolare della città, sono stati rinviati a giudizio perché ritenuti colpevoli di omissione: hanno consentito, col loro silenzio, che il reato si consumasse. Nulla, invece, viene contestato all'autore delle molestie che nel 2006, epoca dei fatti, aveva 12 anni e non poteva essere incriminato.
Le violenze si sono consumate tra le classi e i corridoi della scuola frequentata dalla tredicenne e dal suo persecutore, un ragazzino di prima media. Per mesi l'adolescente è stata avvicinata e palpeggiata dal compagno in un crescendo di approcci culminati nella simulazione di un atto sessuale dentro il bagno delle ragazze, dove il dodicenne aveva seguito la compagna. L'accusa nei confronti degli insegnanti è stata formulata dal pm Maurizio Agnello, su richiesta del gip che ha imposto l'imputazione coatta. Il pm, infatti, in un primo momento aveva chiesto l'archiviazione.
La vicenda inizia quando la ragazzina ritorna a casa con una nota sul diario, scritta da un professore all'indirizzo dei genitori: «Alla luce di quanto accaduto oggi, ossia i numerosi tentativi di palpeggiamento cui sua figlia è fatta oggetto, suggerirei di controllare l'abbigliamento. A tale proposito esiste una direttiva ben precisa della preside a cui occorre attenersi». La nota è scritta nello stesso giorno in cui la tredicenne viene molestata in bagno e, per risposta, prende a pugni il compagno. Invece di prendere provvedimenti nei confronti del molestatore, è la vittima a essere richiamata.
Il padre, sconvolto dal contenuto della nota, risponde con una querela. Altro paradosso: la preside e un'insegnante controquerelano l’uomo che finisce indagato per calunnia e diffamazione.
Il fascicolo arriva così, una prima volta, in procura sul tavolo del pm Agnello, che spedisce le carte al tribunale per minorenni per verificare le accuse di molestie. Il tribunale liquida la faccenda specificando che il presunto autore degli atti sessuali ha meno di 14 anni e quindi non è imputabile. Ma il caso non si chiude lì. Il gip Pasqua Seminara, alla quale è affidato il giudizio, chiede di approfondire il caso. Viene fissato l'incidente probatorio nel corso del quale sono sentiti numerosi alunni della Lambruschini. Gli episodi di molestie sono confermati dalle compagne. Il diario della ragazzina è pieno di descrizioni e commenti sugli episodi.
Emerge una situazione, all'interno della scuola, contraddistinta da gravi problemi disciplinari: gli alunni, anche durante le ore di lezione, vanno e vengono dalle classi, entrano nelle aule di altri compagni, s’infilano nei bagni e girano per i corridoi. I docenti confermano.
Il pm chiede nuovamente l'archiviazione del caso. Nelle 16 pagine che accompagnano la richiesta sottolinea la mancanza di dolo da parte dei docenti, inconsapevoli delle molestie. Il gip impone il rinvio a giudizio per i 4 insegnanti, quelli indicati come i più «distratti», coloro che – stando alle testimonianze dell'incidente probatorio – non avrebbero fatto granché per imporre l'ordine nelle classi, lasciando spazio all'anarchia. Nei loro confronti un'accusa pesante: violenza sessuale in forma di omissione. Il pm ha annunciato che riformulerà la richiesta di archiviazione. Il padre della vittima, prosciolto dalla calunnia, sarà parte civile.
LaStampa
MONICA CERAVOLO
PALERMO
Gli insegnanti di una scuola media di Palermo sono accusati di violenza sessuale per non avere impedito che un'alunna venisse palpeggiata da un compagno. I 4 professori della Lambruschini, istituto di una zona popolare della città, sono stati rinviati a giudizio perché ritenuti colpevoli di omissione: hanno consentito, col loro silenzio, che il reato si consumasse. Nulla, invece, viene contestato all'autore delle molestie che nel 2006, epoca dei fatti, aveva 12 anni e non poteva essere incriminato.
Le violenze si sono consumate tra le classi e i corridoi della scuola frequentata dalla tredicenne e dal suo persecutore, un ragazzino di prima media. Per mesi l'adolescente è stata avvicinata e palpeggiata dal compagno in un crescendo di approcci culminati nella simulazione di un atto sessuale dentro il bagno delle ragazze, dove il dodicenne aveva seguito la compagna. L'accusa nei confronti degli insegnanti è stata formulata dal pm Maurizio Agnello, su richiesta del gip che ha imposto l'imputazione coatta. Il pm, infatti, in un primo momento aveva chiesto l'archiviazione.
La vicenda inizia quando la ragazzina ritorna a casa con una nota sul diario, scritta da un professore all'indirizzo dei genitori: «Alla luce di quanto accaduto oggi, ossia i numerosi tentativi di palpeggiamento cui sua figlia è fatta oggetto, suggerirei di controllare l'abbigliamento. A tale proposito esiste una direttiva ben precisa della preside a cui occorre attenersi». La nota è scritta nello stesso giorno in cui la tredicenne viene molestata in bagno e, per risposta, prende a pugni il compagno. Invece di prendere provvedimenti nei confronti del molestatore, è la vittima a essere richiamata.
Il padre, sconvolto dal contenuto della nota, risponde con una querela. Altro paradosso: la preside e un'insegnante controquerelano l’uomo che finisce indagato per calunnia e diffamazione.
Il fascicolo arriva così, una prima volta, in procura sul tavolo del pm Agnello, che spedisce le carte al tribunale per minorenni per verificare le accuse di molestie. Il tribunale liquida la faccenda specificando che il presunto autore degli atti sessuali ha meno di 14 anni e quindi non è imputabile. Ma il caso non si chiude lì. Il gip Pasqua Seminara, alla quale è affidato il giudizio, chiede di approfondire il caso. Viene fissato l'incidente probatorio nel corso del quale sono sentiti numerosi alunni della Lambruschini. Gli episodi di molestie sono confermati dalle compagne. Il diario della ragazzina è pieno di descrizioni e commenti sugli episodi.
Emerge una situazione, all'interno della scuola, contraddistinta da gravi problemi disciplinari: gli alunni, anche durante le ore di lezione, vanno e vengono dalle classi, entrano nelle aule di altri compagni, s’infilano nei bagni e girano per i corridoi. I docenti confermano.
Il pm chiede nuovamente l'archiviazione del caso. Nelle 16 pagine che accompagnano la richiesta sottolinea la mancanza di dolo da parte dei docenti, inconsapevoli delle molestie. Il gip impone il rinvio a giudizio per i 4 insegnanti, quelli indicati come i più «distratti», coloro che – stando alle testimonianze dell'incidente probatorio – non avrebbero fatto granché per imporre l'ordine nelle classi, lasciando spazio all'anarchia. Nei loro confronti un'accusa pesante: violenza sessuale in forma di omissione. Il pm ha annunciato che riformulerà la richiesta di archiviazione. Il padre della vittima, prosciolto dalla calunnia, sarà parte civile.
LaStampa
giovedì 28 agosto 2008
Dopo l' orrore un altro choc in ospedale per i medici non avevo subito violenza
NAPOLI - Non solo l' inferno della violenza subita dal branco sulla spiaggia di Rovigliano. Quando entra nel pronto soccorso del San Leonardo di Castellammare di Stabia, Sandra è agitata, ancora sotto choc. Si trova in un paese straniero, vive attimi tragici, è appena uscita da un incubo e ancora non è fuori del tutto. Si aspetta di ricevere cure e adeguato sostegno psicologico, vista la delicatezza del momento. Arriva in ambulanza accompagnata anche dalla polizia che ha raccolto la sua prima denuncia. Viene soccorsa e visitata dai medici del 118: trenta giorni di prognosi per lesioni ed escoriazioni. Tuttavia i sanitari non riscontrano i segni della violenza, ne mancano le tracce. La ragazza insiste, al giudizio di chi l' ha visitata contrappone la propria disperazione: «Eppure mi hanno violentato». All' uscita dall' ospedale Sandra ribadisce quanto ha detto fino ad allora, e lancia accuse pesanti: «Sono stati superficiali. Mi hanno trattato con troppa leggerezza. Ora voglio solo andarmene, ripartire, tornare a casa». Parole che si abbattono come macigni sulla struttura ospedaliera. Nella tragedia, anche l' idea di un possibile errore del presidio sanitario di Castellammare. Gennaro D' Auria, direttore generale dell' Azienda sanitaria locale Napoli 5, a poche ore dalle accuse della ragazza, annuncia: «è stata aperta un' inchiesta interna. Se qualche medico ha sbagliato, pagherà. Se dovesse essersi verificata qualche disattenzione, verrà accertato. Qualsiasi carenza sotto il profilo dell' assistenza psicologica sarà perseguita. Due commissari sono già al lavoro». Tempi stretti per le indagini: «Nelle prossime ore saremo in grado di stabilire cosa è accaduto». Arturo Fomez, responsabile medico del pronto soccorso, respinge ogni accusa di superficialità: «Il medico del 118 ha riscontrato una sindrome ansiosa depressiva. La ragazza inoltre aveva un trauma alla caviglia sinistra». Sandra viene trasferita al secondo piano dell' ospedale per la visita ginecologica. Sono le 3.20 di domenica notte. «Accuse infondate contro i miei colleghi. La violenza carnale avrebbe lasciato segni», dice Fomez. Invece non ne vengono riscontrati né annotati sul referto consegnato alla polizia. C' è comunque un fatto che confermerebbe quanto raccontato dalla giovane psicologa: il ginecologo del San Leonardo ritiene di dover prescrivere alla ragazza la pillola del giorno dopo. E propone alla paziente il ricovero per ulteriori accertamenti il giorno seguente alla violenza da lei denunciata. Ma Sandra rifiuta e firma per le dimissioni. Uno dei casi in cui il referto medico definisce anche il reato del quale saranno accusati gli indagati. «Potrebbe trattarsi semplicemente di uno sfogo, e sarebbe del tutto comprensibile - commenta il direttore della Asl D' Auria - in un momento come quello può esserci una forma di rimozione. Ma non possiamo escludere niente. Anche se l' ospedale recentemente, in altri casi, si è distinto per la rapidità dei soccorsi». Sorge il dubbio che possano esserci state difficoltà di comunicazione dovute alla lingua: Sandra non parla italiano. Ma i ginecologi negano anche questa eventualità: «Conoscevamo la sua lingua. Abbiamo comunicato in tedesco». - LUIGI CARBONE
Fonte: repubblica.it
Fonte: repubblica.it
venerdì 15 agosto 2008
Prostituta fotografata in cella Schifani chiede chiarimenti
l presidente del Senato ha chiesto al prefetto di Parma informazioni sull'episodio
portato alla luce da Repubblica. "Immagine del nostro Paese diversa dalla realtà"
L'assessore Monteverdi: "Quella foto è sconsiderata e strumentale"
ROMA - L'indignazione sollevata dalla foto della giovane prostituta nigeriana fermata a Parma e fotografata in cella stesa a terra, mezza nuda, sporca di polvere, è arrivata fino al presidente del Senato. Renato Schifani ha infatti chiesto al prefetto della città emiliana chiarimenti sulla vicenda portata alla luce dall'edizione on line di Repubblica Parma. Una richiesta, quella di Schifani, che arriva dopo l'interrogazione presentata dai senatori radicali Marco Perduca e Donatella Poretti. E ce n'è un'altra in arrivo all'Assemblea legislativa dell'Emilia-Romagna da parte del Prc. Alle proteste l'assessore alla sicurezza di Parma, Costantino Monteverdi, replica parlando di "foto strumentale" diffusa per attaccare il ministro dell'Interno e i sindaci che hanno aderito alla Carta di Parma.
La nota di Palazzo Madama. "Il Presidente del Senato, Renato Schifani - si legge nel comunicato di Palazzo Madama - in merito alla giovane extracomunitaria fermata nei giorni scorsi dalla Polizia Municipale di Parma e fotografata all'interno di una cella in condizioni di estremo abbandono, ha chiesto chiarimenti sull'episodio al Prefetto della città emiliana".
"La drammatica foto pubblicata - prosegue la nota - rischia infatti di trasmettere un'immagine del nostro Paese diversa da quella che è in realtà e di quanto si sta facendo a tutela dell'ordine pubblico, ma nel rispetto dei diritti inviolabili della persona. Chi intende adottare il criterio della 'tolleranza zero' è tenuto a farlo non sottraendosi mai alla tutela della dignità della persona e della sua privacy. Pertanto il Presidente del Senato auspica che venga fatta al più presto opportuna e doverosa chiarezza sull'intero accaduto".
La replica dell'assessore. "Parma non ha un sindaco-sceriffo e non è una città insensibile nei confronti dei più deboli". Così Monteverdi rassicura Schifani. E la città ducale non è nemmeno "un covo della prostituzione" da stanare a colpi di retate o atti di violenza. Per Monteverdi si tratta di una foto "sconsiderata" e "strumentale". "Con quella foto si è cercato di attaccare Maroni, la Carta di Parma e i sindaci che hanno aderito", replica Monteverdi rivolgendo le accuse soprattutto ai media.
Ed è pronto a 'giurare' anche sul "trattamento encomiabile" e nel rispetto della legge riservato dai vigili urbani alle persone controllate. "Credo che questa donna non sia mai stata trattata così bene come venerdì sera - azzarda l'assessore - anzi, con qualcosa in più visto che non siamo tenuti a dare acqua, coperte e la colazione come abbiamo fatto nei confronti della nigeriana e delle altre prostitute fermate".
Le multe anti-lucciole. Ma messe da parte le polemiche, nella città emiliana le retate anti-lucciole della Municipale continueranno, conferma Monteverdi, almeno una volta al mese. Unica differenza in arrivo potrebbe essere l'inasprimento delle sanzioni previste dall'ordinanza anti-prostituzione. "Dopo le ferie presenterò al sindaco una serie di proposte - assicura l'assessore - tra cui l'innalzamento della sanzione minima per i clienti delle prostitute, dagli attuali 25 euro a 50, abbassando invece il massimo a 450 rispetto agli attuali 500".
(12 agosto 2008)
Fonte:repubblica.it
portato alla luce da Repubblica. "Immagine del nostro Paese diversa dalla realtà"
L'assessore Monteverdi: "Quella foto è sconsiderata e strumentale"
ROMA - L'indignazione sollevata dalla foto della giovane prostituta nigeriana fermata a Parma e fotografata in cella stesa a terra, mezza nuda, sporca di polvere, è arrivata fino al presidente del Senato. Renato Schifani ha infatti chiesto al prefetto della città emiliana chiarimenti sulla vicenda portata alla luce dall'edizione on line di Repubblica Parma. Una richiesta, quella di Schifani, che arriva dopo l'interrogazione presentata dai senatori radicali Marco Perduca e Donatella Poretti. E ce n'è un'altra in arrivo all'Assemblea legislativa dell'Emilia-Romagna da parte del Prc. Alle proteste l'assessore alla sicurezza di Parma, Costantino Monteverdi, replica parlando di "foto strumentale" diffusa per attaccare il ministro dell'Interno e i sindaci che hanno aderito alla Carta di Parma.
La nota di Palazzo Madama. "Il Presidente del Senato, Renato Schifani - si legge nel comunicato di Palazzo Madama - in merito alla giovane extracomunitaria fermata nei giorni scorsi dalla Polizia Municipale di Parma e fotografata all'interno di una cella in condizioni di estremo abbandono, ha chiesto chiarimenti sull'episodio al Prefetto della città emiliana".
"La drammatica foto pubblicata - prosegue la nota - rischia infatti di trasmettere un'immagine del nostro Paese diversa da quella che è in realtà e di quanto si sta facendo a tutela dell'ordine pubblico, ma nel rispetto dei diritti inviolabili della persona. Chi intende adottare il criterio della 'tolleranza zero' è tenuto a farlo non sottraendosi mai alla tutela della dignità della persona e della sua privacy. Pertanto il Presidente del Senato auspica che venga fatta al più presto opportuna e doverosa chiarezza sull'intero accaduto".
La replica dell'assessore. "Parma non ha un sindaco-sceriffo e non è una città insensibile nei confronti dei più deboli". Così Monteverdi rassicura Schifani. E la città ducale non è nemmeno "un covo della prostituzione" da stanare a colpi di retate o atti di violenza. Per Monteverdi si tratta di una foto "sconsiderata" e "strumentale". "Con quella foto si è cercato di attaccare Maroni, la Carta di Parma e i sindaci che hanno aderito", replica Monteverdi rivolgendo le accuse soprattutto ai media.
Ed è pronto a 'giurare' anche sul "trattamento encomiabile" e nel rispetto della legge riservato dai vigili urbani alle persone controllate. "Credo che questa donna non sia mai stata trattata così bene come venerdì sera - azzarda l'assessore - anzi, con qualcosa in più visto che non siamo tenuti a dare acqua, coperte e la colazione come abbiamo fatto nei confronti della nigeriana e delle altre prostitute fermate".
Le multe anti-lucciole. Ma messe da parte le polemiche, nella città emiliana le retate anti-lucciole della Municipale continueranno, conferma Monteverdi, almeno una volta al mese. Unica differenza in arrivo potrebbe essere l'inasprimento delle sanzioni previste dall'ordinanza anti-prostituzione. "Dopo le ferie presenterò al sindaco una serie di proposte - assicura l'assessore - tra cui l'innalzamento della sanzione minima per i clienti delle prostitute, dagli attuali 25 euro a 50, abbassando invece il massimo a 450 rispetto agli attuali 500".
(12 agosto 2008)
Fonte:repubblica.it
lunedì 30 giugno 2008
Cina, insabbiato l'omicidio-stupro proteste, bruciati edifici governativi
La vittima aveva solo 15 anni. Per la famiglia è stata violentata e uccisa
Il colpevole sarebbe il parente di un politico. La polizia dice che è stato un suicidio
PECHINO - Corre su internet, passando di blog in blog, la protesta che chiede giustizia per la morte di una ragazza cinese di quindici anni, stuprata e uccisa nel sud-ovest della Cina, dal parente di un politico locale. La foto del suo volto è diventata il simbolo di una rivolta che ieri ha messo a ferro e fuoco le strade della zona di Wengan, nella provincia di Guizhou e che ha portato diecimila persone in piazza. Una folla inferocita per il tentativo delle autorità di insabbiare il caso facendolo passare per un suicidio. I manifestanti indignati hanno dato alle fiamme commissariati, edifici governativi e auto della polizia. Negli scontri con le forze dell'ordine ci sono stati un morto, più di centocinquanta feriti e duecento arrestati, tra cui decine di studenti intervenuti per chiedere chiarezza sulla vicenda.
I disordini sono cominciati dopo la conclusione dell'inchiesta sulla morte della ragazza, trovata cadavere in un fiume. La sua famiglia afferma che è stata violentata prima di essere uccisa. Ma le autorità hanno tentato di archiviare il caso come suicidio. I forum locali sulla rete sostengono che l'autore della violenza e dell'omicidio è il parente di un alto dirigente politico della zona, che le autorità non hanno voluto incriminare. Sul web circolano anche immagini impressionanti delle manifestazioni, degli incidenti e degli edifici bruciati.
"I cittadini erano molto arrabbiati per l'ingiustizia perpetrata dalle autorità locali", ha detto alla Reuters Huang, un funzionario locale. "Circa 10mila persone si sono radunate e hanno dato alle fiamme l'edificio che ospita la sede locale del partito, altri edifici pubblici e una ventina di macchine della polizia", ha detto Huang. Che ha spiegato che i manifestanti hanno persino tagliato i tubi dell'acqua in dotazione ai pompieri, per impedire che spegnessero il fuoco.
Secondo l'International Center for Human Rights and Democracy, che ha base a Hong Kong, l'escalation della violenza si è verificata quando centinaia di studenti si sono radunati di fronte al locale ufficio di pubblica sicurezza per chiedere giustizia sul caso della giovane. La polizia ha usato la forza per disperdere la folla.
Prima di cercare di insabbiare il delitto, le autorità hanno tentato anche di pagare i familiari della vittima. Il funzionario ha rivelato, infatti, che la famiglia ha respinto l'offerta, a titolo di risarcimento, di una somma equivalente a 300 euro, poi diventati 3.000 euro, da parte delle autorità. I dimostranti hanno fatto una colletta il cui ricavato servirà alla famiglia per denunciare le autorità locali e sostenere le spese legali.
(29 giugno 2008)
Fonte: repubblica.it
Il colpevole sarebbe il parente di un politico. La polizia dice che è stato un suicidio
PECHINO - Corre su internet, passando di blog in blog, la protesta che chiede giustizia per la morte di una ragazza cinese di quindici anni, stuprata e uccisa nel sud-ovest della Cina, dal parente di un politico locale. La foto del suo volto è diventata il simbolo di una rivolta che ieri ha messo a ferro e fuoco le strade della zona di Wengan, nella provincia di Guizhou e che ha portato diecimila persone in piazza. Una folla inferocita per il tentativo delle autorità di insabbiare il caso facendolo passare per un suicidio. I manifestanti indignati hanno dato alle fiamme commissariati, edifici governativi e auto della polizia. Negli scontri con le forze dell'ordine ci sono stati un morto, più di centocinquanta feriti e duecento arrestati, tra cui decine di studenti intervenuti per chiedere chiarezza sulla vicenda.
I disordini sono cominciati dopo la conclusione dell'inchiesta sulla morte della ragazza, trovata cadavere in un fiume. La sua famiglia afferma che è stata violentata prima di essere uccisa. Ma le autorità hanno tentato di archiviare il caso come suicidio. I forum locali sulla rete sostengono che l'autore della violenza e dell'omicidio è il parente di un alto dirigente politico della zona, che le autorità non hanno voluto incriminare. Sul web circolano anche immagini impressionanti delle manifestazioni, degli incidenti e degli edifici bruciati.
"I cittadini erano molto arrabbiati per l'ingiustizia perpetrata dalle autorità locali", ha detto alla Reuters Huang, un funzionario locale. "Circa 10mila persone si sono radunate e hanno dato alle fiamme l'edificio che ospita la sede locale del partito, altri edifici pubblici e una ventina di macchine della polizia", ha detto Huang. Che ha spiegato che i manifestanti hanno persino tagliato i tubi dell'acqua in dotazione ai pompieri, per impedire che spegnessero il fuoco.
Secondo l'International Center for Human Rights and Democracy, che ha base a Hong Kong, l'escalation della violenza si è verificata quando centinaia di studenti si sono radunati di fronte al locale ufficio di pubblica sicurezza per chiedere giustizia sul caso della giovane. La polizia ha usato la forza per disperdere la folla.
Prima di cercare di insabbiare il delitto, le autorità hanno tentato anche di pagare i familiari della vittima. Il funzionario ha rivelato, infatti, che la famiglia ha respinto l'offerta, a titolo di risarcimento, di una somma equivalente a 300 euro, poi diventati 3.000 euro, da parte delle autorità. I dimostranti hanno fatto una colletta il cui ricavato servirà alla famiglia per denunciare le autorità locali e sostenere le spese legali.
(29 giugno 2008)
Fonte: repubblica.it
venerdì 19 ottobre 2007
Mutilata per stupro in casa Il giudice accusa i vicini
"Un loro comportamento più attivo avrebbe ridotto la gravità delle lesioni"
di Oriana Liso
Sette anni di carcere per una violenza brutale, andata avanti per ore, tra le grida di dolore della vittima e il volume dello stereo al massimo, per coprire proprio quelle grida. Con i vicini di casa che aspettavano due ore per chiamare i carabinieri e un'ambulanza che portasse in salvo quella ragazza. Forse, è il dubbio che si legge nella sentenza del gup Guido Salvini, se quei vicini avessero avuto un «comportamento più attivo e solidale» verso quella donna che «pur sconosciuta, si trovava all'evidenza in grave pericolo», le conseguenze per lei sarebbero state meno gravi.
È una storia di degrado e di alcol, quella che ha come vittima una ventenne romena, arrivata in Italia con la sua famiglia, finita a guardare in faccia l'orrore nelle sembianze di un suo amico, un coetaneo arrivato anche lui dalla Romania. Vasile Coman, vent'anni fra poco, vive - viveva, visto che ora è a San Vittore - con la madre e il convivente italiano di quest'ultima a Corsico. Il pomeriggio del 3 maggio scorso aveva invitato la sua amica - non erano fidanzati né avevano mai avuto una storia - a fare una passeggiata e poi a mangiare qualcosa a casa sua. Per lui, anche molto vino e molta grappa. La descrizione che la ragazza fa ai medici e ai carabinieri di quel che succede dopo il pranzo, «quando Vasile è diventato serio e mi ha spinto con forza contro il muro», è da galleria degli orrori: oltre due ore di brutalità, che i medici vedranno nelle lacerazioni evidenti ai genitali, nelle ecchimosi su tutto il corpo.
Una vicina di casa racconterà di aver sentito la musica e le urla, di aver pensato di chiamare i carabinieri preferendo poi rivolgersi alla padrona di casa, di essere uscita per rientrare dopo mezz'ora, trovando - solo allora - anche gli altri vicini preoccupati, che bussavano inutilmente alla porta del Coman. «Solo dopo le ore 19, quando ancora e nuovamente si sentivano le urla, i vicini di casa, dopo aver molto tergiversato, avevano finalmente chiamato l'ambulanza e i carabinieri», scrive il giudice Salvini. Ai soccorritori si presenta una scena raccapricciante. Vasile ubriaco sul divano, con i vestiti e le braccia sporche di sangue. La ragazza per terra, ormai semi incosciente, in una pozza di sangue. I medici la operano subito per asportare i tessuti interni ormai a brandelli, salvandole la vita, anche se gli organi riproduttivi hanno un «indebolimento permanente», come scrive il giudice. La condanna a sette anni, emessa ieri, è integrata da un risarcimento di 100mila euro, «somma che probabilmente rimarrà solo simbolica».
(17 ottobre 2007)
Fonte: repubblica
di Oriana Liso
Sette anni di carcere per una violenza brutale, andata avanti per ore, tra le grida di dolore della vittima e il volume dello stereo al massimo, per coprire proprio quelle grida. Con i vicini di casa che aspettavano due ore per chiamare i carabinieri e un'ambulanza che portasse in salvo quella ragazza. Forse, è il dubbio che si legge nella sentenza del gup Guido Salvini, se quei vicini avessero avuto un «comportamento più attivo e solidale» verso quella donna che «pur sconosciuta, si trovava all'evidenza in grave pericolo», le conseguenze per lei sarebbero state meno gravi.
È una storia di degrado e di alcol, quella che ha come vittima una ventenne romena, arrivata in Italia con la sua famiglia, finita a guardare in faccia l'orrore nelle sembianze di un suo amico, un coetaneo arrivato anche lui dalla Romania. Vasile Coman, vent'anni fra poco, vive - viveva, visto che ora è a San Vittore - con la madre e il convivente italiano di quest'ultima a Corsico. Il pomeriggio del 3 maggio scorso aveva invitato la sua amica - non erano fidanzati né avevano mai avuto una storia - a fare una passeggiata e poi a mangiare qualcosa a casa sua. Per lui, anche molto vino e molta grappa. La descrizione che la ragazza fa ai medici e ai carabinieri di quel che succede dopo il pranzo, «quando Vasile è diventato serio e mi ha spinto con forza contro il muro», è da galleria degli orrori: oltre due ore di brutalità, che i medici vedranno nelle lacerazioni evidenti ai genitali, nelle ecchimosi su tutto il corpo.
Una vicina di casa racconterà di aver sentito la musica e le urla, di aver pensato di chiamare i carabinieri preferendo poi rivolgersi alla padrona di casa, di essere uscita per rientrare dopo mezz'ora, trovando - solo allora - anche gli altri vicini preoccupati, che bussavano inutilmente alla porta del Coman. «Solo dopo le ore 19, quando ancora e nuovamente si sentivano le urla, i vicini di casa, dopo aver molto tergiversato, avevano finalmente chiamato l'ambulanza e i carabinieri», scrive il giudice Salvini. Ai soccorritori si presenta una scena raccapricciante. Vasile ubriaco sul divano, con i vestiti e le braccia sporche di sangue. La ragazza per terra, ormai semi incosciente, in una pozza di sangue. I medici la operano subito per asportare i tessuti interni ormai a brandelli, salvandole la vita, anche se gli organi riproduttivi hanno un «indebolimento permanente», come scrive il giudice. La condanna a sette anni, emessa ieri, è integrata da un risarcimento di 100mila euro, «somma che probabilmente rimarrà solo simbolica».
(17 ottobre 2007)
Fonte: repubblica
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