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venerdì 4 luglio 2014

Il millantato istinto materno

Da Intersezioni

L’istinto materno non esiste

Essere donna non implica essere madre, ciononostante le donne subiscono ancora una forte pressione sociale rispetto alla maternità, un’idea che si perpetua attraverso il celebre “istinto materno”. Tuttavia, il desiderio di essere madre (o no) non ha alcuna causa fisiologica provata.
«No, non avrò figli», risponde Alicia Menéndez alle impertinenti domande delle vicine, delle zie, e anche delle amiche. Queste, sorprese, contrattaccano con un  «Ma è perché non ti piacciono i bambini?» o «fra qualche anno cambierai opinione e sentirai la chiamata». Alicia, che ha appena compiuto trent’anni e lavora come assistente amministrativa, assicura che “non voglio avere figli” è il nuovo “non voglio sposarmi”, anche se sostiene che la seconda affermazione non produce lo stesso ‘disordine pubblico’ della prima.
«Ho avuto un compagno per quattro anni ma da poco più di un anno abbiamo deciso di rompere. Lui sapeva di volere dei figli, io sapevo di non volerne. Rispetto, ma a volte mi sorprende – e mi spaventa – la capacità di alcune persone di provare più amore per qualcosa che in ogni caso è un progetto a lungo termine nella propria vita, che per qualcosa che già hanno, qualcosa di reale». Alicia ricorda che giunse un momento in cui l’arrivo di un bambino avrebbe rappresentato una catarsi, il sollievo dopo mesi di discussione. «Capirei se non potessi avere figli, se fossi sterile, ma non accetto che tu non voglia averne potendoli avere», le ripeteva lui.

sabato 31 maggio 2014

Trans e maternità

Da Intersezioni
Maternità e identità Trans

di Frieda Frida Freddy, transfemminista (e lesboterrorista) in cammino. Traduzione e revisione di Serbilla, Elena Zucchini e feminoska.
Il giorno in cui mi dichiarai Trans fu il giorno nel quale vidi e compresi chiaramente che non mi era necessario, né vitale, essere donna o uomo per esistere. Ancora di più, capii perfettamente che non desideravo in alcun modo esserlo per ancorarmi in una delle due categorie sociali, poiché mai mi ero sentit@ felice o a posto in nessuna delle due. Mi rinominai Frieda perché sono più femminile che mascolina, e perché comprendo che mascolinità e femminilità sono solo due poli di indottrinamento che non determinano nulla, e tanto meno definiscono questo “essere uomo” o “donna” che si conoscono nel nostro mondo sociale. Inventai pertanto questo nome, per il potente dittongo che per me rappresenta il ponte sulla dicotomia dei generi, il mio transitare tra Frida e/o Freddy che sono il passato al quale sono stat@condannat@: ragazzo o ragazza. E dal quale sono fuggit@…
E dunque ora sono liber@, sono Trans. Non transgenere né transessuale. Vedete: c’è una percezione diffusa secondo la quale essere trans significhi, diciamo, nascere A e trasformarsi in B, o nascere B e desiderare di essere A. Come dire, nascere biologicamente “uomo” (per via del pene, che definisce il sesso) e desiderare di essere percepit@ socialmente come una donna. O viceversa. Nascere biologicamente “donna” (per via della vulva che definisce il sesso) e desiderare di essere percepit@ socialmente come un uomo. Senza dubbio questo avviene spesso, ma non rappresenta tutte le esperienze.

domenica 23 febbraio 2014

Costruendo un discorso antimaterno


Señora Milton


Da Intersezioni.
Il femminismo tende a ignorare la natura compulsiva della maternità, l’importanza del suo ruolo nella comprensione della discriminazione strutturale e ideologica delle donne e a perpetuare il tabù verso qualsiasi discorso contrario. 


L’altro giorno, nella penombra di una riunione notturna, parlando di quelle cose che non si suole menzionare alla luce del giorno, finimmo col parlare di maternità tra amiche, con grande sincerità. E dopo le chiacchiere, fummo in molte a concordare che al femminismo resta molto da dire sulla maternità, anche quando si potrebbe pensare che in merito abbia già detto tutto; in fin dei conti, la maternità è uno dei suoi temi da sempre. Possiamo constatare che, a dispetto del fatto che la maternità è stata studiata, analizzata e messa in questione, e che la rivendicazione dei diritti riproduttivi è una costante all’interno del femminismo, non esiste all’interno di esso una discorso chiaramente antimaterno.
Sebbene la maternità apparentemente sembri essere molto cambiata, abbiamo il diritto di domandarci se questo mutamento sia stato qualcosa di più di una semplice modernizzazione per continuare ad essere, nel profondo, un discorso prescrittivo che pretende di continuare a mantenere pienamente operativo il binomio donna-madre, nonostante oggi si tratti di una donna moderna e anche di una madre moderna. Il femminismo, a mio parere, tende a ignorare la natura compulsiva della maternità e a sottovalutare il suo ruolo nella comprensione della discriminazione strutturale e ideologica delle donne. Il tabù che incombe su qualsiasi discorso antimaterno all’interno del femminismo evidenzia il carattere conflittuale di una questione che non riguarda solamente la configurazione dell’identità delle donne, ma il mantenimento stesso dell’ordine sociale nel suo complesso.

sabato 9 febbraio 2013

Secondo Convegno Nazionale L.A.I.G.A.

Libera Associazione Italiana Ginecologi per l’Attuazione della legge 194

Roma, 8 e 9 Marzo 2013
Aula Magna Ospedale Forlanini Piazza Carlo Forlanini, 1 Roma
Sono previsti tra gli altri gli interventi di diverse associazioni:
Riccarda Triolo (AGEO), Maurizio Bologna (AGICO), Marina Toschi (AGITE), Mario Puiatti (AIED), Giovanna Scasselati (ANDRIA), Francesca Koch (Casa Internazionale delle donne), Giuseppina Adorno (Consulta dei Consultori), Filomena Gallo (Associazione Luca Coscioni), Maurizio Orlandella (SMIC), Vittoria Tola (UDI), Gabriella Pacini (Vitadidonna)
Durante la giornata dell’8 Marzo si terranno 2 corsi dal titolo:
“La contraccezione ormonale post IVG: Corso teorico pratico di impianto sottocutaneo”.
I corsi saranno tenuti dalla Dott.ssa Anna Pompili

L'associazione LAIGA nasce dall'impegno di un gruppo di ginecologi non obiettori: la dott.ssa Silvana Agatone e la dott.ssa Concetta Grande, del servizio Applicazione legge 194/78 dell'Ospedale Sandro Pertini Roma; il dott. Franco Di Iorio e il dott. Marco Sani, del servizio Legge 194/78 del Policlinico Casilino Roma. Da anni i medici di LAIGA si riuniscono insieme ad altri, pochi operatori non obiettori del Lazio.
Lo scopo di queste riunioni è contarci, conoscerci e cercare di migliorare e salvaguardare l’applicazione della legge 194. Conoscerci e contarci perché finora non vi è alcuna lista né presso la Regione Lazio né presso il Ministero della Salute sulla quale risultino i centri e gli operatori che applicano la Legge 194.

Il programma delle due giornate qui.

mercoledì 10 ottobre 2012

Abortire tra gli obiettori presentazione alla libreria Treves di Napoli


L'11 ottobre 2012 alle 18,00 presso la Libreria Treves Piazza di piazza del Plebiscito, 12
verrà presentato il libro ABORTIRE TRA GLI OBIETTORI di Laura Fiore, ed. Tempesta.

Dal sito della casa editrice:
"Un tema difficile quello dell’aborto, un tema che coinvolge le coscienze delle persone. Una scelta, checché ne dicano gli oppositori, che coinvolge e sconvolge profondamente ogni singola donna “costretta” a questa scelta. Sì, costretta: per motivi economici, di salute di lei o del bambino, per una violenza subita oppure non è pronta in quel momento a essere genitore, a dare tutto quello di cui un figlio ha bisogno... Un percorso così difficile, tormentato e doloroso che la donna percorrendolo necessita e ha diritto solamente a essere aiutata, accudita, sostenuta, consolata e curata. Le convinzioni personali devono restare fuori per quello che sono, personali appunto. Come dice il Ginecologo e membro del Comitato Nazionale per la Bioetica Carlo Flamigni, in un’intervista “non si può costringere un medico a praticare aborti (se il suo credo non lo permette), ma costringerlo a cambiare mestiere sì, nessuno troverebbe normale che ci fosse un Testimone di Geova a fare trasfusioni...”
Laura Fiore 

nata a Napoli il 19 marzo 1969, dove vive . Studi artistici, di professione pittrice decoratrice (per non dire casalinga disoccupata seppur impegnata nel volontariato per le donne, ma non solo). Moglie da dieci anni e madre da otto, mancata madre della secondogenita da quasi quattro. Politicamente a sinistra, femminista, religiosamente agnostica e assolutamente anticlericale nelle proprie scelte personali (matrimonio civile, niente Prima Comunione né per se né per sua figlia, esonerata dalla religione cattolica a scuola fin da quella dell’infanzia).   "

Lo presentano

Elena Coccia
Vice Presidente del Consiglio Comunale di Napoli

Giuseppina Tommasielli
Assessora alle pari opportunità

Elisabetta Wurburger
Associazione 31 Ottobre

Rosanna Flacco
Ass. Exit-Italia

Modera
Giancarlo Nobile Coordinatore della Consulta napoletana per la laicità delle
Istituzioni

Sarà presente l’autrice

Componenti della Consulta napoletana per la laicità delle Istituzioni
Comitato Piero Gobetti, Cellula Coscioni Napoli, Comitato Provinciale Arcigay Antinoo, Ass. Radicali Napoli ‘Ernesto Rossi’, Ass. Exit Italia sez. Campania, Ass. Libera Uscita Napoli, Associazione Rosso Democratico, Ass. 31 Ottobre per una scuola laica e pluralista, Giuristi Democratici di Napoli.

CONSULTA NAPOLETANA PER LA LAICITA' DELLE ISTITUZIONI
Via Belsito, 41 89123 Napoli napolilaica@gmail.com

domenica 1 aprile 2012

La pillola dei cinque giorni dopo è un contraccettivo di emergenza

Domani arriverà nelle farmacie la pillola dei cinque giorni dopo cioè il farmaco EllaOne, un contraccettivo d'emergenza, per usufruire del quale in Italia ci sarà bisogno della ricetta medica e di un test di gravidanza.
Le problematiche dei costi, costo del test più costo del farmaco, che rendono inaccessibile questo contraccettivo a gran parte delle donne, italiane e immigrate, appartenenti a una fascia di reddito compresa tra lo zero e il medio basso, si aggravano dovendo avere a che fare i conti con i falsi positivi, che richiedono un secondo test di gravidanza. Da tutto ciò quindi sono escluse le ragazze più giovani, le ragazze e le donne con scarsa o nulla alfabetizzazione, le immigrate. Per di più ci potremmo trovare di fronte un farmacista che, infrangendo la legge, fa obiezione senza coscienza per la donna che ha di fronte, e dovremmo girare per farmacie alla ricerca di qualcuno che invece di odiarle le donne, le considera persone capaci di intendere e di volere, detentrici del diritto di scelta, soprattutto di scegliere una maternità in modo responsabile e di gestire la propria sessualità come meglio credono. Tutto in cinque giorni. Chi parlava delle capacità multitasking della donne non credo pensasse a questo.

Qui sotto un articolo da vita di donna:
Dal 2 aprile nelle farmacie sarà possibile acquistare la nuova contraccezione d'emergenza, cioè la pillola dei cinque giorni dopo.

Questo nuovo farmaco, ulipristal acetato, commercializzato con il nome di EllaOne, è in grado di inibire l'ovulazione fino a cinque giorni dopo il rapporto a rischio.

E' molto più efficace del levonorgestrel, e mantiene la sua efficacia più a lungo e costa 34,98 euro.
E' stato testato, non è un farmaco che possa provocare l'aborto, ma non conoscendo perfettamente il profilo di sicurezza dal punto di vista dei possibili danni a una gravidanza già in corso, l'AIFA ha dato l'obbligo ai medici di prendere visione di un test di gravidanza prima di prescriverlo, unico caso in Europa.
Quest'obbligo è francamente un po' ridicolo. I medici prescrivono tutti i giorni farmaci teratogeni, fra cui vi sono degli antipertensivi, una nota molecola contro l'acne, alcuni antibiotici, e qualche altro, non tanti, in verità.
In nessuno di questi casi però è previsto un test di gravidanza, ma è cura del medico accertarsi, secondo il suo giudizio, in scienza e coscienza, dello stato o no di gravidanza della paziente.
Questo desiderio di prescrivere ai medici cosa devono dire, cosa devono fare, fino alla prescrizione per legge di che esami devono richiedere, è legato non certo a una preoccupazione per i pazienti, che ben altri sarebbero i provvedimenti necessari in questo paese, se si volesse fare l'interesse dei pazienti in una sanità ormai abbandonata alle restrizioni nel pubblico e al cedimento al far west dei privati e della corruzione, dalla Lombardia alla Calabria.
Questo desiderio è invece legato alla volontà di trasformare i medici da una categoria di professionisti, capaci di decidere, scegliere e pensare, a una schiera di ubbidienti esecutori di proclami che vengono emanati altrove, in luoghi in cui si desidera controllare il corpo delle persone e le loro decisioni.
La contraccezione, l'interruzione della gravidanza, la fecondazione assistita, le volontà di fine vita, sono tutti argomenti su cui negli ultimi anni la Chiesa ha tentato non solo di predicare per i propri fedeli, ma di imporre alle Leggi dello Stato, e quindi a tutti i cittadini, il proprio convincimento.
La accompagna la convinzione che tutti quelli che la pensano diversamente siano, poveretti, in errore, e debbano essere difesi, eventualmente con la costrizione, dal peccato che li insidia.
I medici, molta parte di essi, rivendicano la loro appartenenza alla comunità internazionale degli scienziati, e protestano contro leggi che nel resto del mondo non esistono, e con le quali la comunità internazionale non concorda.
Lisa Canitano
1 aprile 2012

domenica 18 dicembre 2011

Discriminata a nove mesi

La madre, straniera, perde il lavoro e non le rinnovano la tessera sanitaria

Ha appena nove mesi di vita. La madre l’ha vista nascere con il cuore in gola. Perché il parto è stato problematico. Fu necessario usare il forcipe per farla nascere. E quella manovra le causò un lieve emorragia. Complicanza subito superata fortunatamente. Ma che richiede un periodico controllo per garantire un decorso scevro di pericoli o preoccupazioni.
Purtroppo per lei la piccola è nata in Italia nell’anno 2011. Dove anche se hai 9 mesi di vita ti può venire negata l’assistenza sanitaria gratuita. È successo proprio a Ferrara. Ieri mattina.
La madre della bimba, di nazionalità rumena, si reca in via Cassoli per rinnovare il tesserino sanitario per lei e per la pargola. Le chiedono i documenti. Qualcosa però manca all’appello. La donna, pur avendo lavorato in regola in Italia, un anno fa è stata licenziata. Non può più garantire il sostentamento economico di sé e dei suoi famigliari. Ergo, niente residenza e niente tessera.
Lo sconforto iniziale è nulla però di fronte a quello che sta per apprendere: nemmeno sua figlia, nata in Italia, ne ha diritto.
Con lei c’era Massimo Martinelli, presidente dell’associazione di volontariato “C’è Vita… e Vita” onlus di Ferrara, cui la famiglia si era rivolta per un aiuto. “Se non fossi stato presente – racconta il volontario – non avrei creduto alle parole che erano state dette”. Martinelli chiede spiegazioni. E dal Cup viene dirottato all’Urp. Parla con un’impiegata. Poi con un’altra. Ma la risposta è sempre la stessa. Lo dice la legge 30 del 2007, che disciplina il diritto di soggiorno dei cittadini comunitari: la mancanza di un impiego e la impossibilità di provvedere economicamente a se stessi e ai propri famigliari fa venir meno il diritto di rimanere nel territorio nazionale per più di tre mesi. E senza residenza non ci può essere copertura sanitaria, prevista solo per terapie salvavita o cure indifferibili.
“Ora io non ce l’ho assolutamente con nessuno – afferma incredulo Martinelli -, ma ho alcune domande: ma questa bimba, questa piccolissima bimba di 9 mesi che non ha più nessun diritto a nessuna assistenza sanitaria come deve fare? Come mai la mamma, avendo lavorato in regola in Italia dopo un anno che ha perso il lavoro, ora perde anche l’assistenza sanitaria? Perché i politici di Roma, basta che “lavorino” una legislatura (e nemmeno per intero), e alla fine di quella hanno pensione, assistenza sanitaria e tutto quello che gli tiene dietro? I carcerati, senza nulla togliere loro, hanno l’assistenza sanitaria garantita. Non mi viene in mente una situazione in cui ci sia un essere umano che non abbia diritto all’assistenza sanitaria. La tutela dei diritti sui minori (dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 20 novembre 1989), è stata firmata anche dall’Italia (art. 24 Legge 27 maggio 1991, n. 176), ma non mi sembra che venga applicata! Non voglio credere che nel 2011 in Italia, in Europa, una bimba di soli 9 mesi abbia perso i diritti di essere visitata, seguita e curata”.

sabato 3 dicembre 2011

Signora, cosa piange? | Legge 194, Rodotà: “Aboliamo l’ obiezione”

Sull'ultimo numero di D, la Repubblica delle donne, consultabile on line qui, l'articolo "Signora, cosa piange?" di Cinzia Sciuto. Il tema è quell'obiezione di coscienza che per la vita e di coscienzioso non ha praticamente nulla.

I ginecologi non obiettori strutturati negli ospedali italiani sono circa 150, e il loro numero diminuisce costantemente. E le interruzioni di gravidanze tornano a essere un incubo. Che aggiunge dolore a dolore.


di Cinzia Sciuto, da "D" di Repubblica, 3 dicembre 2011

È l’alba, le prime luci del nuovo giorno iniziano a penetrare nella stanza dove Francesca nel suo letto piange in silenzio. Tra poco inizierà la procedura per l’induzione di un travaglio simile a quello di un parto. Ma Francesca non deve partorire, deve abortire. La nuova vita che porta in grembo da 23 settimane è affetta da una gravissima malformazione del cervello, la oloprosencefalia. Francesca Pieri, che all’epoca aveva 35 anni, è ricoverata già da due giorni in un grande ospedale romano ma non ha ancora iniziato la procedura di induzione, che consiste nell’introduzione nell’utero di ‘candelette’ di prostaglandina per stimolare le contrazioni del travaglio. Fino alla 12ma settimana l’interruzione di gravidanza avviene tramite raschiamento, ma dopo il feto è troppo grande ed è necessario un vero e proprio travaglio di parto.

«Il giorno del ricovero», racconta, «è servito per il disbrigo di tutte le pratiche burocratiche. Il secondo invece non ho fatto niente, ho semplicemente aspettato». Quel giorno infatti erano di turno solo medici obiettori, che si sono rifiutati di avviare la procedura di induzione. Francesca quindi ha trascorso tutto il giorno in mezzo a donne in travaglio, bambini appena nati, nonni euforici, fiori e regali, in attesa del medico non obiettore che le introducesse la prima candeletta. Era da sola, con quella vita sospesa in pancia e un profondo dolore nel cuore. Non le rimaneva altro che piangere, in silenzio. Ma anche il pianto le è stato negato: «Signora, cosa piange? Si prepari, questo sarà il giorno più lungo della sua vita». La voce è arrivata dal corridoio, proprio alle prime luci dell’alba. È l’ora del cambio turno, finalmente sta per arrivare un medico non obiettore ma il suo collega prima di andarsene ha voluto lasciare il segno. Sono passati molti anni, ma quelle parole fredde come il ghiaccio Francesca ce le ha scolpite nella testa, e non le dimenticherà mai.

E lei è stata persino «fortunata»: una volta che ha iniziato la procedura di induzione, che è durata in totale un giorno e mezzo, non ha più incontrato medici obiettori. Al contrario di Gea Ferraro, che al quarto mese di gravidanza scopre che il suo bambino è affetto da trisomia 18, una patologia talmente grave da essere definita dai medici ‘incompatibile’ con la vita. Gea, che quel figlio l’aveva tanto desiderato, decide di interrompere la gravidanza. Contatta personalmente una ginecologa non obiettrice che lavora in un altro ospedale della capitale (e che preferisce non essere citata: «Facciamo già tanta fatica a lavorare, non voglio crearmi ulteriori inimicizie tra i colleghi»). La dottoressa programma il ricovero in maniera da farlo coincidere con il proprio turno. L’induzione viene avviata, ogni 3 ore viene inserita una candeletta, ma nel frattempo c’è il cambio turno, Gea guarda l’orologio, si accorge che sono passate più di 3 ore dall’ultima somministrazione e chiede perché non le venga inserita la terza candeletta visto che il travaglio non si è ancora avviato: «Io queste cose non le faccio», si è sentita rispondere. Gea ha quindi aspettato, non ricorda neanche quanto, finché qualcuno è venuto a somministrarle la terza dose del farmaco. Il suo travaglio è durato 18 ore.

Quello dell’aborto sta diventando sempre più un percorso a ostacoli, nel quale le donne – già provate da una delle scelte più dolorose della loro vita – devono fare lo slalom tra ostacoli burocratici e medici obiettori. Obiettori che aumentano sempre di più: secondo i dati forniti dal ministero della Salute si è passati, tra i ginecologi, dal 58.7% del 2005 al 70.7 nel 2009. Ma il numero di medici realmente preposti alle interruzioni di gravidanza, soprattutto agli aborti terapeutici, è ancora più basso di quel che sembra: «Gli aborti entro la dodicesima settimana», spiega Silvana Agatone, presidente della Laiga, un’associazione che riunisce i ginecologi in difesa della 194, «sono fatti in day hospital, si tratta di interventi programmati, la cui durata è nota e per i quali è possibile chiamare medici ‘a gettone’». Cosa che invece non è possibile per gli aborti terapeutici, quelli oltre i 3 mesi, che, come abbiamo visto, possono essere anche molto lunghi e dunque hanno bisogno di essere seguiti da personale strutturato.

«Poiché non esiste un elenco dei medici non obiettori», continua la dott.sa Agatone, «abbiamo fatto una indagine empirica, dalla quale risulta che i ginecologi non obiettori strutturati dentro gli ospedali italiani sono circa 150 e, poiché i giovani non sembrano particolarmente sensibili a questo problema, c’è il rischio concreto che man mano che gli attuali medici non obiettori vanno in pensione non vengano sostituiti». Al Secondo Policlinico di Napoli, per esempio, dallo scorso luglio a effettuare gli aborti è rimasto solo un medico, che è anche il responsabile del Centro per le interruzioni di gravidanza dell’ospedale.
Strano destino quello dell’obiezione di coscienza, che, come scrive Chiara Lalli nel suo recente libro C’è chi dice no (Il Saggiatore), «ha subìto negli ultimi anni un vero e proprio stravolgimento e oggi è spesso usata come un ariete per contrapporsi ai diritti individuali sanciti dalla legge».

L’obiezione di coscienza nasce infatti per opporsi a un obbligo universale che riguardava tutti i cittadini (maschi) e a cui non era possibile sottrarsi: l’obbligo di leva. Chi sollevava l’obiezione di coscienza andava incontro a pesanti conseguenze, persino penali, come raccontano alcuni obiettori della prima ora nel libro di Lalli. Il moderno obiettore, invece, non solo non paga nessuno scotto per la sua scelta, ma, al contrario, ne ottiene indubbi vantaggi, sia in termini di soddisfazione professionale che di carriera. È per questo che il numero degli obiettori è vertiginosamente salito negli ultimi anni: fare aborti non è certamente gratificante e l’obiezione di coscienza – fatti salvi coloro che la sollevano per convinzione – è un’ottima scappatoia offerta dalla legge per sottrarsi a una parte sgradevole del proprio lavoro. Una legge che però è molto chiara: l’obiezione di coscienza può essere sollevata esclusivamente in relazione al «compimento delle procedure e delle attività specificamente e necessariamente dirette a determinare l'interruzione della gravidanza».

Non può essere legittimamente sollevata, per esempio, per rifiutarsi di somministrare un analgesico durante il travaglio abortivo oppure di fare il raschiamento dopo l’espulsione del feto, ad aborto già avvenuto, o ancora di certificare lo stato psicologico della donna. Sono invece tante le testimonianze che le donne affidano soprattutto ai forum in rete e che raccontano di travagli durati molte ore, se non giorni, senza il minimo sostegno farmacologico né psicologico. Donne che portano avanti il travaglio abortivo in stanza, affianco ad altre: Francesca ricorda che la ragazza che era in stanza con lei ha espulso il feto sul suo letto, lì affianco, da sola, mentre lei iniziava ad avere le prime contrazioni. Un’altra donna racconta su un forum: «Mi hanno indotto il parto per 12 ore per poi essere lasciata sola al momento dell’espulsione del feto. Mi hanno lasciato la mia bambina in mezzo alle gambe e in mezzo al sangue per 4 ore e nessuno si è degnato di venire a vedermi». Anche Laura Lauro, napoletana, che ha abortito alla 21ma settimana, ricorda che al momento dell’espulsione è stata lasciata sola: «Ho espulso un feto vitale, nessuno si è preoccupato di tagliare subito il cordone e portarlo via. Quando l’ho sentito che mi sfiorava le cosce ho urlato perché lo portassero via subito».

Tutto questo però ha solo in parte a che fare con l’obiezione di coscienza. Se infatti il singolo medico può rifiutarsi di praticare l’aborto, la struttura sanitaria è in ogni caso obbligata – è sempre la 194 a stabilirlo – a garantire il servizio di interruzione di gravidanza e i «procedimenti abortivi devono comunque essere attuati in modo da rispettare la dignità personale della donna». Dignità che invece è troppo spesso calpestata. Un’altra donna racconta su un forum il suo calvario: dopo essersi sottoposta a vari tentativi di procreazione medicalmente assistita, rimane incinta di due gemelli. Alla ventesima settimana perde uno dei due. Dopo una decina di giorni rifà l’ecografia: «Liquido amniotico inesistente, arti inferiori oramai infilati nel canale», non c'è più niente da fare neanche per il secondo. Ma il battito c’è ancora, chissà per quanto, e quindi per procedere all’aborto terapeutico c’è bisogno del certificato dello psichiatra, ma quello in turno è obiettore e si rifiuta di firmarlo: «La sera un medico con la coscienza e l’umanità che a qualcuno ancora rimane, prende la responsabilità di togliermi dall’incubo, una pasticca, una sola basta per avere un altro travaglio».

Troppo spesso i dibattiti sull’aborto non fanno i conti con le esperienze concrete che le donne vivono sulla propria pelle. Per Francesca – che oggi ha altri due bambini ma che si sente pienamente madre anche di quella figlia mai nata – l’aborto è stato un discrimine nella sua vita, un momento che ha segnato un prima e un dopo. E non riesce proprio a capire l’accanimento dei sedicenti sostenitori della vita: «Come se io fossi per la morte! La verità è che ogni esperienza è a sé. Io stessa, pur non essendo affatto pentita della mia dolorosa scelta, non so dire cosa farei se mi dovessi trovare di nuovo nella stessa situazione. So però che la sola idea di non poter decidere mi atterrisce. È per questo che sarei disposta anche a incatenarmi perché sia garantita a ogni donna la possibilità di scegliere».

(3 dicembre 2011)

Legge 194, Rodotà: “Aboliamo l’ obiezione”


Intervista a Stefano Rodotà di Cinzia Sciuto, da "D" di Repubblica, 3 dicembre 2011
«Oggi, a più di trent’anni dall’approvazione della legge sull’interruzione di gravidanza, la possibilità dell’obiezione di coscienza dei medici andrebbe semplicemente abolita». Non usa mezzi termini Stefano Rodotà, professore emerito di Diritto civile all’Università La Sapienza di Roma ed ex presidente dell’Autorità garante per la protezione dei dati personali.

Professore, ma si può obbligare un medico ad agire contro la propria coscienza?«Quando la legge è stata approvata la clausola dell’obiezione di coscienza era ragionevole e giustificata: i medici avevano iniziato la loro carriera quando l’aborto era addirittura un reato ed era comprensibile che alcuni di loro opponessero ragioni di coscienza. La legge 194 ha saggiamente raggiunto un difficile equilibrio tra il diritto dei medici a non agire contro la propria coscienza e quello della donna a interrompere la gravidanza. Oggi però chi decide di fare il ginecologo sa che l’interruzione di gravidanza è un diritto sancito dalla legge, che rientra nei suoi obblighi professionali e non è più ragionevole prevedere una clausola per sottrarvisi».

Ma ritiene che una tale modifica sia concretamente fattibile?«Temo di no, in questi anni abbiamo assisitito a una generale stigmatizzazione delle donne che abortiscono e si sono fatti tentativi legislativi – penso alla proposta di legge regionale del Lazio di modifica dei consultori – che vanno nella direzione opposta. Ma per garantire il diritto delle donne all’interruzione di gravidanza, non è necessario cambiare la legge, basta applicarla.

In che senso?«Già oggi gli ospedali non possono trincerarsi dietro la scusa di non avere medici disponibili a effettuare le interruzioni di gravidanza perché questo è un servizio che deve obbligatoriamente essere fornito, come previsto dall’articolo 9 della legge 194, e le strutture che non lo garantiscono possono essere considerate responsabili sotto il profilo civile e penale».

Può essere sufficiente ricorrere a non obiettori ‘a gettone’, come già fanno alcuni ospedali?«Ritengo di no, per due ragioni: innanzitutto perché per gli aborti terapeutici è necessario avere personale strutturato e in secondo luogo perché non devono crearsi medici di serie A che fanno tutto il resto e medici di serie B che fanno solo aborti, con il rischio di una dequalificazione professionale. Gli ospedali possono, e devono, invece fare dei bandi per l’assunzione di personale strutturato non obiettore».

Ma non si configurerebbe come un trattamento discriminatorio nei confronti degli obiettori?«No, perché si tratterebbe di adempiere a un obbligo normativo a cui gli ospedali non possono sottrarsi. E si tratta di un obbligo della massima importanza. In questione infatti non c’è solo il diritto all’interruzione di gravidanza, ma il diritto alla salute della donna, che è un diritto fondamentale della persona e che non è mera assenza di malattia, ma benessere fisico, psichico e sociale. Se una donna che ha deciso di interrompere la gravidanza vive questa scelta in condizioni di malessere e di angoscia perché non sa se, quando e in che condizioni riuscirà a interromperla, c’è una evidente violazione del suo diritto alla salute, che è un diritto fondamentale della persona che non può essere subordinato a esigenze burocratiche o a mancanza di personale».

Un diritto che in Italia è sempre più difficile vedere rispettato, tanto che sono sempre di più le donne che vanno all’estero.«I due grandi obiettivi della 194 erano l’eliminazione degli aborti clandestini e il contrasto al fenomeno del turismo abortivo, che creava una sorta di ‘cittadinza censitaria’, per cui le donne che avevano i soldi salivano su su charter, andavano ad Amsterdam o a Londra e facevano l’interruzione di gravidanza senza correre il rischio di morire. Oggi purtroppo si stanno ricostruendo i meccanismi censitari e selettivi che con la 194 si volevano combattere».

(3 dicembre 2011)

venerdì 28 ottobre 2011

Bruce Willis sarà ancora papà a 56 anni

L'attore americano, risposatosi da due anni con una donna molto più giovane di lui, diventa ancora padre all'età di 56 anni. Siamo tutt* felici per lui? Non sento le voci critiche, critiche è un eufemismo, che hanno tuonato contro Gianna Nannini. Titoli di giornale? Nessuno, nessuno che obietti con frasi come "Non ha le forze un uomo di 56 anni per stare dietro ad un bambino","Quando il figlio avrà venti anni lui sarà morto", "Mette al mondo un orfano", "E un egoista". Nei commenti leggo invece che "(...)a quella età un uomo si sente gratificato in quanto dimostra al mondo di essere ancora giovane e di poter procreare, quindi di poter ancora competere con un maschio più giovane. Del resto si è scelto anche una donna più giovane di lui."
Se Gianna Nannini vuole sentirsi giovane, potente, di poter competere con donne più giovani è schifosa, se lo fa Bruce Willis niente di male, non è egoista e non è tardi per lui.

mercoledì 13 luglio 2011

Domodossola, la vittoria delle mamme con il pancione

Una delegazione a Torino, strappa al direttore generale della sanità piemontese la promessa che a settembre il punto nascite dell'ospedale sarà riaperto

di SARA STRIPPOLIHanno vinto le mamme con il pancione. Il punto nascite di Domodossola riaprirà, forse già nei primi quindici giorni di settembre. Dopo aver ascoltato le ragioni della delegazione di Domodossola, il direttore regionale della salute Paolo Monferino ha ingranato la retromarcia e ha promesso che le mamme con il pancione riavranno il loro servizio. Non solo. Nei primi giorni di agosto, ha annunciato una sua visita a Domodossola per verificare personalmente le condizioni della struttura e dei suoi bisogni. Terzo punto dell’accordo, una videoconferenza che si svolgerà lunedì o martedì, in cui sarà discusso il piano di emergenza messo a punto per affrontare i parti difficili. Saranno mantenuti a Domodossola, mentre quelli ordinari saranno dirottati a Verbania durante il periodo di chiusura.
Il sindaco di Domodossola, che ha partecipato al lungo incontro con il sindaco di Crevoladssola Giovanni Rondinelli e il vicesindaco di Villadossola Marcello Perugini, è soddisfatto: «L’ingegner Monferino ha dimostrato grande concretezza, ha preso in considerazione distanze e chilometri e ha capito che il nostro punto nascite è importante per il territorio». Tiziana Zazzari del comitato di mamme tira un sospiro di sollievo: «Siamo state rassicurate e siamo contente di aver avuto risposte che ci lasciano più tranquille per il futuro del Punto nascite».
 
(12 luglio 2011)

http://torino.repubblica.it/cronaca/2011/07/12/news/domodossola_la_vittoria_delle_mamme_con_il_pancione-19047844/

domenica 10 luglio 2011

Domodossola, chiuso il punto nascite le mamme incinte occupano il comune

Hanno occupato il municipio anche di notte, alternandosi a turno, nel presidio, per contestare la chiusura del punto nascite. Una decisione che le costringerà ad andre a partorire a Verbania, a 50 chilometri di distanza di DIEGO LONGHIN


Di certo il pancione non le ha fermate. Chi fra un po' di mesi diventerà mamma si è messa alla guida della protesta, occupando il municipio di Domodossola, dove ha passato le ultime tre notti, nella sala del Consiglio, dandosi il cambio con le altre donne. Un sit-in ad oltranza per dire "no" alla chiusura del punto nascite dell'ospedale della città. "Resteremo qui sino a che non otterremo garanzie per poter far nascere i nostri figli senza dover fare ottanta chilometri di strada", dicono le promotrici del comitato di lotta che, stamani, hanno fatto un blitz anche a Montecrestese dov'era in programma una prova del campionato europeo di trial, per distribuire volantini che le motivazioni della loro protesta.

L'Asl del Verbano Cusio Ossola conferma la chiusura del punto. Uno stop passato come temporaneo, ma in realtà "ci sono i camion che portano via gli arredi". Le neo mamme, quasi mamme e aspiranti mamme non si fermeranno, anche perché è annunciata per settembre la chiusura del servizio pediatrico. Il sindaco di Domodossola è dalla loro parte: "Stiamo mobilitando tutti gli amministratori della zona - dicono - e vogliamo incontrare il direttore della Sanità piemontese, Paolo Monferino. E se riusciremo il presidente Cota: venga a renderci conto delle promesse fatte in campagna elettorale quando aveva garantito che non ci sarebbero stati tagli". La Regione di fronte all'inconsueta protesta ha deciso di andare incontro alle mamme: ha concesso loro, per la prossima settimana, un faccia a faccia con Monferrino, direttore generale della sanità. A Torino, in piazza Castello.

(10 luglio 2011)

http://torino.repubblica.it/cronaca/2011/07/10/news/domodossola_la_protesta_delle_mamme_con_il_pancione-18934725/?ref=HREC1-8

lunedì 4 luglio 2011

Reggio Emilia: tata aziendale per lavoratrici, l'idea di un'impresa di Montecchio

Reggio Emilia, 3 lug. - (Adnkronos) - Una tata aziendale per le mamme lavoratrici. L'iniziativa e' di un'azienda di Montecchio , in provincia di Reggio Emilia, specializzata nella produzione di adesivi per macchine agricole, camper e carrelli elevatori. Per migliorare l'efficienza e abbattere l'assenza sul lavoro, l'azienda ha deciso di sostenere le sue 27 dipendenti mamme con un servizio di baby sitter a domicilio. A riportare la notizia e' 'l'Unita''. Il servizio funziona cosi': il direttore dell'azienda riceve un sms di richiesta dalla lavoratrice e provvede a contattare la tata. Ci sono anche priorita'. Le addette alla produzione hanno la precedenza sulle impiegate, spiega il quotidiano, e quando a richiedere il servizio di baby sitter sono due operaie, e' l'eta' del bimbo a fare la differenza: i piu' piccoli hanno la precedenza.
(03 luglio 2011 ore 11.32)

http://bologna.repubblica.it/dettaglio-news/11:16-11:16/3997809

sabato 11 settembre 2010

Padova, negata ambulanza a una donna incinta: il neonato muore, lei è in coma

PADOVA (11 settembre) - È un caso di tragica malasanità. Se accade al Sud si allarga le braccia e si guarda il cielo. Ma questo caso è accaduto qui. Nella terra del benessere. Tra Piove di Sacco e Padova. Una giovane donna al settimo mese di gravidanza sta per partorire. Insomma, sta male e ha le doglie. Va all’ospedale di provincia e la mandano via. Le dicono che non ha niente. Ma la poveretta sta veramente male e il marito chiede un’ambulanza. No, non gliela danno. I giovani coniugi partono in macchina e vanno al Policlinico. Dicono loro di andare al pronto soccorso ginecologico. Ma fanno fatica a trovarlo. È sera e si perdono. Quando riescono ad arrivare la poveretta viene portata subito in sala operatoria per il taglio cesareo. Ma il bambino è morto e lei ha una forte emorragia. Le devono asportare anche l’utero.

Ora la giovane, perchè si tratta di una ventisettenne, è in coma farmacologico. Rischia di morire. I medici sperano di salvarla. Il pubblico ministero Sergio Dini sta ricostruendo la vicenda fin nei minimi particolari. Perchè quello che è accaduto è uno scandalo inaudito. Ieri mattina il magistrato ha interrogato il marito della donna. È un ventottenne di Campagna Lupia, in provincia di Venezia.

Venerdì 3 settembre, pomeriggio. La giovane ventisettenne è incinta alla ventinovesima settimana e ha già superato il settimo mese di gravidanza. La ragazza è al primo figlio. Sta male, intuisce che potrebbero essere le doglie. E chiede al marito di accompagnarla al vicino ospedale di Piove di Sacco. È il tardo pomeriggio quando la coppia arriva al pronto soccorso dell’ospedale di Piove. I medici visitano la donna e le fanno un’ecografia. Le dicono che non ha nulla. Il bimbo sta bene e non ci sono problemi. Ma la ragazza insiste, perchè sta male. Allora le dicono che loro non sono attrezzati per un parto prematuro e le consigliano di andare a Padova. Ma la poveretta sta veramente male e il marito chiede se può essere accompagnata al Policlinico in ambulanza. Quando c’è il pericolo di un parto prematuro e il reparto non è in grado di affrontarlo, i ginecologi ricoverano la donna. Telefonano ai colleghi del Policlinico e poi accompagnano la paziente in ambulanza in clinica. E nell’ambulanza c’è sempre il personale sanitario. Ma all’ospedale di Piove di Sacco i sanitari dicono che la ventisettenne doveva andare in macchina al Policlinico, perchè le ambulanze sono fuori, bisognava chiamarle, che per queste cose c’è una burocrazia. E poi, la donna non corre pericoli.

È sera quando la giovane coppia arriva a Padova. Al policlinico dicono al marito che deve accompagnare la moglie al pronto soccorso ginecologico. Il ventottenne ci impiega mezz’ora per trovarlo. È buio, non vede le indicazioni, le stradine gli fanno solo confusione. Quando i ginecologi della Clinica vedono la donna la portano subito in sala operatoria. Il bambino è morto e lei ha una forte emorragia forse causata dal distacco della placenta. C’è il rischio che muoia sul tavolo operatorio. Le tolgono tutto. Non potrà più avere figli, ma l’importante è salvarla. Adesso è in rianimazione in coma farmacologico. Chissà che disastri le ha causato l’emorragia.

fonte il mattino

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