domenica 28 settembre 2008

Stuprata dagli uomini e uccisa dallo Stato

Il 1° ottobre alle ore 9 presso il Tribunale dei Minori in Taranto vecchia, si tiene la prima udienza del processo contro i responsabili dello stupro di gruppo che subì Carmela , una ragazzina di 13 anni che il 15 aprile 2007 morì buttandosi dal balcone.

Il Movimento Femminista Proletario Rivoluzionario sarà presente al processo, perchè vogliamo che da questo processo esca la verità e per dare tutto il nostro sostegno al padre di Carmela, che trasformando il dolore in forza, ribellione, ha costituito un Comitato perchè Carmela e altre ragazzine, stuprate, violentate, uccise come lei, continuino a vivere.

Carmela aveva denunciato di essere stata violentata; e nessuno, né polizia, né magistrati, né assistenti sociali le avevano creduto o l’avevano presa sul serio.Ma le istituzioni avevano anche fatto di peggio. Hanno considerato Carmela «soggetto disturbato con capacità compromesse» e, quindi, poco credibile.

Invece di perseguire chi l’aveva violentata, hanno di fatto perseguito una bambina rinchiudendola in vari istituti in cui Carmela non voleva stare. E, come ha denunciato il padre, usando il metodo facile di «calmarla» con psicofarmaci.

Carmela aveva manifestato in vario modo la sua disperazione, ma per tutta risposta era stata classificata come "soggetto con problematiche psichiatriche". E questi stessi magistrati, psichiatri che hanno deciso per Carmela, contro Carmela, quando è morta, si sono detti «sorpresi».

Chi volevano coprire? Ragazzini, figli di papà, o di gente conosciuta a Taranto? Ora verrà fuori dal processo la verità? O si vorrà continuare ad infangare l’immagine di Carmela, della sua famiglia, uccidendola due volte?

Saremo anche noi là perché questo non accada.


Via: Il paese delle donne

venerdì 26 settembre 2008

Anna Göldi, l’ultima strega d’Europa

Anna Göldi, l’ultima strega condannata in Europa, fu decapitata in una piazza di Glarona, capoluogo del cantone svizzero che porta lo stesso nome, il 13 giugno 1782. Al momento della morte aveva 48 anni; mostrava in volto i segni di una vita difficile, e, soprattutto, quelli dei mesi trascorsi in prigione e delle torture subite. Eppure i cronisti dell’epoca parlano dei suoi capelli biondi, di una bellezza che ancora si intuiva, del suo fisico ben formato. Ricordano che era considerata una donna istruita e che aveva una personalità forte, non piegata dai colpi del destino. Con tutta probabilità fu proprio questa personalità a rovinarla, mettendola al centro di un processo, controverso già allora, in cui si mischiavano sesso e potere, e che in Svizzera non ha ancora finito di provocare polemiche.
A 225 anni di distanza dai fatti un giornalista, Walter Hauser, ha riaperto la vicenda recuperando gli atti del processo (oltre 700 pagine da cui però mancano parti fondamentali) e le testimonianze disponibili, soprattutto gli scritti di un pugno di commentatori che su alcune gazzette tedesche (in Svizzera la vicenda era stata sottoposta a una ferrea censura) avevano attaccato il procedimento nel nome della ragione e dell’Illuminismo. Il libro che ne è risultato, pubblicato nei mesi scorsi (Der Justizmord an Anna Göldi, «L’omicidio giudiziario di Anna Göldi», Limmat Verlag, Zurigo), si concludeva con una richiesta: quella di seguire l’esempio del Massachusetts, dove nel 2001 il governatore ha firmato un pubblico atto di riabilitazione delle donne bruciate nei roghi di Salem. All’appello si è però opposto, tra molte discussioni, il governo cantonale di Glarona: certo, dice la motivazione, la sentenza è un «errore», ma la responsabilità per le colpe della comunità di allora non possono ricadere sulle generazioni di oggi. Queste ultime, tutt’al più, possono cercare di trarre lezione dai fatti del passato. Da qui il contributo a un museo dedicato ad Anna Göldi, inaugurato giusto sabato scorso, a Mollis (dove Anna Göldi visse), nei cui locali sono documentate le tappe della sua vita e del processo. Motivazioni analoghe ha avuto lo stop alla riabilitazione da parte della chiesa evangelica cantonale, direttamente coinvolta visto che la condanna fu inflitta da un Tribunale protestante che si richiamava direttamente al riformatore Zwingli.
La fine di Anna Göldi inizia nel 1780, quando prende servizio come cameriera in casa di Johann Jakob Tschudi, esponente di una delle famiglie più in vista di Glarona e della comunità evangelica locale. Un anno più tardi, tra la donna di servizio e Anna Maria, la figlia di otto anni del padrone di casa, scoppia un litigio. Qualche giorno dopo la madre, secondo quanto riferirà più tardi, trova dei chiodi nella scodella del latte della piccola. L’evento si ripete. La colpevole viene individuata proprio in Anna, desiderosa di vendicarsi. Il licenziamento è immediato.
La storia potrebbe finire qui; e invece Anna si sente vittima di un’ingiustizia: denuncia al Camerarius, la più alta autorità insieme civile e religiosa del cantone (si chiama anche lui Johann Jakob Tschudi ed è omonimo e parente del precedente) l’illegittimità delle accuse. Poi torna nel suo paese di origine, nella zona di Zurigo. Intanto a Glarona le voci si susseguono: la più insistente è che la donna sia stata allontanata perché era l’amante del suo datore di lavoro. E in pochi giorni il pettegolezzo diventa per molti una verità assodata. Per Johann Jakob Tschudi lo scandalo potrebbe trasformarsi in un disastro. Solo qualche anno prima il puritano cantone ha approvato norme draconiane: ai colpevoli di immoralità sessuale è vietato ogni incarico, ogni ruolo pubblico. Mentre la marea del sospetto sta montando, la piccola Anna Maria si ammala: è soggetta a svenimenti, a crisi che, lette oggi, presentano i sintomi dell’attacco epilettico. Diciotto giorni dopo il licenziamento di Anna Göldi, secondo i familiari, inizia a vomitare chiodi. Quei chiodi, è l’accusa, sono stati seminati dalla perfida Anna con l’aiuto del maligno. Johann Jakob Tschudi si presenta alle autorità chiedendo l’arresto di Anna Göldi per avvelenamento e stregoneria.

È la relazione segreta tra padrone e serva la spiegazione di tutto? Gli indizi sono molti e le coincidenze anche: dagli atti, per esempio, mancano misteriosamente proprio tutte le parti dedicate ai rapporti tra i due. Peraltro, dopo l’arresto, Anna Göldi non parlerà mai di questo aspetto della vicenda. Il suo passato in ogni modo la condanna. Giovanissima, di famiglia povera, ha una relazione con un soldato di ventura e resta incinta. Partorisce, ma il figlio viene trovato morto nel letto accanto a lei.
Accusata di averlo ucciso viene esposta alla gogna e condannata a due anni di prigione. Più tardi entrerà a servizio nella casa degli Zwicky, un’altra famiglia tra le più in vista della zona. Con Melchior Zwicky, il figlio del padrone di casa, di 11 anni più giovane di lei, avrà un bambino. Melchior le rimarrà vicino per tutto il tempo del processo. Ad Anna non servirà. Arrestata in febbraio, confessa, sotto tortura, l’11 aprile: «È stato il diavolo a ispirarmi». Due giorni dopo ritratta, poi confessa di nuovo. La condanna arriva implacabile. Appena prima dell’esecuzione il Camerarius Tschudi parla soddisfatto alla folla: «Grazie a Dio la peccatrice sarà punita».

Fonte: il giornale

giovedì 25 settembre 2008

Il Comune: “Via il manifesto con la donna nuda”

TORINO
La prima a stupirsi una volta aperto il giornale, e a battere i pugni sulla scrivania, è stata proprio l’assessore alle Pari opportunità Marta Levi: «Ma com’è possibile - è sbottata - che siano riusciti ad ottenere il patrocinio senza neppure farci vedere su che razza di manifesto sarebbe finito?». Poi è partito l’ordine di servizio, immediato: «Rimuovete subito quel poster». Ma non basta ancora: «E poi, come Comune chiederemo i danni a questi signori».

E’ durata poco più di 24 ore l’avventura urbana della sexy-affissione con il visto di approvazione del Comune di Torino. E’ bastato che ieri il consigliere dell’Italia dei Valori Giuseppe Sbriglio aprisse il caso a Palazzo Civico (appoggiato dalla presidente della commissione Pari opportunità Lucia Centillo) perché si arrivasse subito non solo alla soluzione di togliere quel manifesto che invitava a scoprire le bellezze delle circoscrizioni (utilizzando l’immagine di una brunetta ignuda) ma anche alla convocazione di una commissione ad hoc. «E poi rivedremo anche il meccanismo che permette la concessione del sigillo civico, perché - spiega ancora Sbriglio - non deve più accadere che il Comune apponga la sua firma su un’iniziativa senza prima averla debitamente visionata».

E ha poi aggiunto, Marta Levi, una volta conclusa la riunione dei capigruppo in cui è stata trattata la questione: «Sin dal 2002 il Comune, consapevole del fatto che spesso i contenuti delle campagne pubblicitarie non coincidono con i contenuti dei progetti, ha deliberato che chiunque ottenga la collaborazione o il patrocinio della Città per qualsivoglia iniziativa è tenuto a siglare una dichiarazione in cui si impegna a non diffondere comunicazioni pubblicitarie che esprimano messaggi lesivi della dignità delle persone».

E ha poi aggiunto: «Il firmatario riconosce inoltre al Comune la facoltà, nel caso in cui risultino disattesi gli impegni sottoscritti, di revocare il patrocinio e di tutelare, nelle forme che ritiene più opportune, la propria immagine». Secondo Marta Levi il manifesto che è stato affisso ieri dall’agenzia «ScopriTorino» è appunto offensivo e lesivo dell’immagine della donna ed in contrasto con l’impegno preso dai richiedenti all’atto della concessione del patrocinio. Ed ecco perché «il Comune si è già attivato per ottenerne l’immediata rimozione dagli spazi pubblici (che avverrà stamattina) e sta valutando la possibilità di rivalsa a tutela della propria immagine».

Voce fuori dal coro, contro il «bacchettonismo torinese» quella del presidente dell’associazione Adelaide Aglietta, Silvio Viale: «Un vento di moralismo braghettone circola per Torino - sbotta -, invece della trasparenza si vogliono mettere le mutande ai manifesti, invocando addirittura le pari opportunità». E conclude: «A quando si controlleranno le mostre sponsorizzate dal Comune per individuare i nudi dei quadri? E chi sarà incaricato di censurare le opere del prossimo Torino Film Festival?».

fonte:lastampa

mercoledì 24 settembre 2008

Una riflessione al femminile sui temi della forza e della ferocia. Tre esperienze diverse a contatto con la brutalità del Novecento

LA GUERRIERA - il mito greco e l´orrore nazista - simone weil
La filosofa francese espresse le sue idee in un saggio sull´Iliade, scritto a pochi mesi dall´occupazione tedesca di Parigi

Leggere l´opera di Omero l´aiutò: nel passato trovò principi e valori con cui rispondere all´angoscia del presente
Il culto della virilità non è solo una prerogativa di Hitler ma serpeggia nel fondo ideologico delle politiche e delle società dell´Occidente
NADIA FUSINI

Anni fa, Angela Putino, un´indimenticabile amica filosofa troppo presto scomparsa, scriveva: «Simone Weil è una donna e il significante che la presenta al mondo degli altri è precisamente quello di "donna", che la pone in un luogo che dice della sua esperienza come un esperire che non è di ognuno». A Simone Weil Angela ha dedicato negli anni un´attenzione fervida, incarnata in interventi orali e in libri, sì che è diventata il mio ponte verso Simone.
Io leggo Simone con Angela, mai senza di lei. Insieme ci eravamo più volte interrogate sulla violenza; se e come, essendo per noi donne un´esperienza di cui siamo spesso vittime, non si produca in noi per ciò stesso un pensiero differente. Che contrasta, fessura, scarta rispetto ai luoghi comuni, ai pregiudizi, alle convenzioni.
Chi si presenta al mondo vestita di quel significante che l´abbiglia di certi carismi e doni, sa che tra quei doni e carismi c´è la vulnerabilità. Nella donna, il genere umano si coglie nella sua propria nudità di preda. E´ un sentimento di sé che una donna conosce bene; a volte, ci gioca. E fa la preda; si atteggia, come la Lulù di Wedekind, a meravigliosa belva. Ma per lo più, subisce. E ha paura.
Spesso e volentieri una donna convive con un sentimento di sé, direi alla Jane Austen, di un gentil sesso debole, quanto a equipaggiamento fisico. La sua forza la depone come fosse un seme, o un uovo, altrove: la cova o la coltiva nella sopportazione di dolori che l´uomo non conosce. E´ lei a partorire la vita e sempre lei al capezzale di chi muore.
Al contrario, l´esercizio della forza è un compito da cui la cultura, la civiltà l´hanno assolta. Non le chiedevano, almeno nel passato, di combattere. Nella tradizione, se una donna andava in guerra era per curare i feriti. Ora è vero, ci sono donne - soldato, ma l´ipocrisia vuole che quegli eserciti siano al servizio non della guerra, ma della pace. Per lo più è ancora vero che se si tratta di violare, penetrare, è piuttosto l´uomo maschio chiamato a farlo. Lui si è specializzato nella performance. E nel gusto.
Proprio per questo, tanto più interessante risulta che nel cuore del secolo scorso tre donne diverse, lontane tra loro, si siano arrischiate in una riflessione sulla violenza di un´altezza abissale. Di queste tre donne - Simone Weil, Rachel Bespaloff, Hannah Arendt - vi racconterò.
Mi direte: non solo delle donne si sono interrogate in quegli anni su che cosa accadesse; anche degli uomini l´hanno fatto. E io risponderò che queste tre donne in particolare sono scese come palombare nelle tenebre del male assoluto, della violenza smisurata che segnò il cuore dei loro anni. Hitler e l´hitlerismo ponevano questioni alla mente, al cuore e alla carne, che queste tre donne seppero sostenere. Per dirlo con una bravissima studiosa di Simone Weil, Rita Fulco, seppero «corrispondere al limite». E cioè, rispondere di contraddizioni strazianti, che mettevano il pensiero di fronte all´impensabile.
Perché donne? Lo seppero fare, intendo dire, proprio perché donne? Risponderei di sì, e non per orgoglio femminista, ma perché mi torna alla mente una conversazione con un´amica psicoanalista argentina, Maria Elena Petrilli, in cui mi diceva come da parte delle bambine vi sia una precoce percezione del proprio corpo, tanto più misteriosa perché, al contrario dei maschi, non possono verificare in modo semplice e diretto l´integrità di organi interni, invisibili.
E´ per questo, mi chiedevo mentre la mia amica parlava, che il corpo per una donna non è mai mero oggetto, ma sempre vita? Per dirla con Husserl, mai Körper, sempre Leib? E cioè, essere vivente? Non è così, evidentemente, per un uomo maschio, se può violentare un corpo di donna. E se lo fa, e può farlo, è perché il corpo dell´«altro», evidentemente, non lo sente, né lo pensa come il ‘suo´.
Ma chi non percepisce l´altro come essere vivente, chi addirittura arriva a pensare che la violenza corrisponde a un fantasma di godimento, una specifica joussance, o volupté femminile; chi riesce a sottrarsi alla percezione dell´altro come di sé medesimo, chi non sperimenti in sé l´estraneo, è questo un uomo? «Sperimentazione dell´estraneo», chiama Simone Weil la facoltà che più le interessa. E si chiede: perché non si interroga sul proprio perverso piacere chi nell´altro si diverte a suscitare il grido di dolore? Finché non si avrà il coraggio di andare a ‘vedere´ lo spazio cieco in cui nasce questa violenza, insiste, non si comprenderà lo sfondo spettrale e cieco della violenza tout court. Ma chi può farlo? Non certo chi la violenza la esercita. Perché in chi provoca sventura c´è una voluta ignoranza della sofferenza che provoca. Ecco perché la violenza è cieca.
Non che Simone Weil non veda la complicità tra il fantasma della forza e l´attitudine alla sottomissione, il nodo che aggioga vittima e carnefice nella medesima anestesia del corpo e della mente. Simone anzi riconosce che il culto della Forza non è solo la tabe viriloide dell´hitlerismo, ma serpeggia nel fondo ideale e ideologico delle politiche e delle società d´Occidente.
Legge la sua drammatica potenza e tragica realtà nell´Iliade, che ribattezza «il poema della forza». E proprio prima di partire per New York, onde sfuggire alla persecuzione razzista, consegna alla rivista Cahiers du Sud il saggio sull´Iliade, che comparirà a Marsiglia nel gennaio 1941, a firma di Emile Novis, anagramma di Simone Weil.
Il saggio si apre con queste parole: «L´Iliade è il poema della forza. Il vero eroe, il vero argomento dell´Iliade è la forza». E continua: «la forza è ciò che rende chiunque le sia sottomesso una cosa». Sono affermazioni che risuonano nette come uno schiaffo, sonore, definitive. A conferma di una condanna, a cui la spinge il pacifismo radicale che la ispira. La forza, sia che la si possieda come Achille, sia che la si subisca come Ettore, distrugge. Sono paurose, insiste Simone, le visioni di violenza che si aprono nel poema omerico, dove l´essere coincide con l´essere-per-la-morte, dove è il pensiero della morte a dare agli eventi «il colore dell´eternità». La forza è l´ingiustizia, la forza è il male. Omero, né dalla parte dei Greci, né dalla parte dei Troiani, la descrive con amarezza e imparzialità.
Con la sconfitta della Francia nel 1940, l´occupazione di Parigi, e la montante barbarie nazista, inesorabile, tremenda, la storia imponeva non solo a Simone di alzare la guardia. Leggere il grande libro l´aiutò; in uno scrigno del passato trovò principi e valori con cui rispondere all´angoscia del presente. Lesse di come la violenza tenda all´annientamento della presenza umana, quanto la forza sia irreale, che cumulo di menzogne produca. La forza «de-realizza», comprese Simone: «la violenza stritola quelli che tocca», «uccidere è sempre uccidersi». Tra le pieghe del grande libro colse la visione dell´annullamento della presenza umana. Può forse il guerriero desiderare che l´altro viva? si chiese. Evidentemente no. Pure, per lei, era questo essere umani, l´unica forza a cui umanamente soccombere era quella di Amore; solo Amore fa guerra alla guerra - proclamò la «pensatrice guerriera».
Non era certo facile in quegli anni violenti trovare la forza di rinnegare ogni uso della forza ai fini della vita, proclamare la necessità dell´amore contro la necessità della forza. Di fronte all´ «irrealtà» che aveva in quegli anni il nome di Hitler l´idea di giustizia guidò l´«impolitica» Simone alla capriola finale: prese parte alla guerra, si fece per l´appunto «guerriera». Tornò dagli Stati Uniti a Londra, chiese di essere paracadutata oltre le linee nemiche. E alla fine, non potendo mettere fine alla battaglia, se la conficcò come una croce nel suo proprio cuore, e ne morì.

Fonte: ecologiasociale

sabato 20 settembre 2008

Crimini noiosi

di Elena Stancanelli
Ci sono crimini noiosi. Talmente noiosi che non hai neanche voglia di leggerti tutto l'articolo. Leggi il titolo e volti pagina. Tra questi, il più noioso è lo stupro. Una giovane donna è stata violentata per una settimana dall'uomo che le aveva offerto lavoro come colf. Un'altra? Non c'è neanche la possibilità di una bella foto. Le donne violentate non si mettono sui giornali. Che faccia avrà questa colf non lo sapremo mai. Di solito gli articoli sugli stupri i giornali li presentano con una ragazza rannicchiata a terra, la testa nascosta dentro le braccia intrecciate sulle ginocchia. Le gambe nude, la maglietta strappata sulle spalle.
Sempre la stessa. Chissà chi è quella donna, la vittima per antonomasia.

Un'attrice? La figlia del fotografo che si è prestata a patto di non essere riconoscibile? Il fotogramma di un film degli anni settanta? Chiunque sia quella ragazza rannicchiata, rappresenta in maniera perfetta la maschera senza volto di un orrorifico carnevale, che ci sfila sotto gli
occhi ogni giorno. Ecco a voi lo stupro. Che può essere di due tipi: secco (l'uomo sconosciuto che si getta sulla sconosciuta) o subdolo (l'amico, il conoscente che approfitta di un varco e poi non si ferma più, ignorando il rifiuto). E basta. Che noia. Cambia la location, può cambiare il numero di
partecipanti, cambia soprattutto la percentuale di efferatezza. Ma la dinamica è sempre la stessa, da migliaia di anni. Niente a che vedere con l'omicidio, la rapina, l'epica della truffa. Per stuprare una donna, non serve neanche un piano. E quasi sempre non c'è premeditazione.

Lo stupro ha a che fare col sesso? Non mi sembra. Si tratta di rabbia.
Stuprano uomini senza donne, ma stuprano anche ragazzini giovani e belli, adulti che hanno già scopato ogni corpo possibile. Stuprano uomini di tutte le razze e di ogni età, stuprano i nostri padri e i nostri fratelli.. Non serve neanche un'arma per stuprare una donna. Basta la
rabbia.
Ma la rabbia non può essere estirpata. Una dose di rabbia e rancore è endemica tra uomini e donne. La questione è quindi come dirigere quella rabbia in una zona dove possa essere disinnescata, dove non diventi violenza. Nonostante si sbraiti il contrario per alimentare l'isteria
sulla sicurezza, in Italia da qualche anno sono diminuiti i delitti e sono diminuiti persino i furti. La criminalità recede ovunque. Tranne che sul corpo delle donne. Il numero degli stupri non cala. Perché? È vero: culture diverse si danno battaglia dentro i nostri confini.
L'immigrazione, imponente e repentina, ci costringe a ribadire ogni singola conquista, specie nei rapporti tra maschi e femmine. Ma a che tipo di cultura arcaica ed esecrabile dovrebbe ispirarsi una frase come questa: era ubriaca, voi che aveste fatto al posto nostro? Pronunciata da una
banda di ragazzini decerebrati alla polizia, dopo esser stati colti a violentare una coetanea. Io credo che sia la nostra. Che i conti ce li dobbiamo fare tra di noi. Non è strano che non sappiamo amarci, se non sappiamo concederci reciprocamente le stesse debolezze di coscienza, alcool droghe o innamoramenti fatali. Come possiamo far bene l'amore se non sappiamo usare la violenza, metterla in campo e poi giocarci? Siamo noi che non abbiamo ancora imparato a concederci le stesse opportunità e gli stessi diritti, per poi, dentro questo spazio di serenità, poter
tornare a essere maschi e femmine.
L'altro giorno ho visto su Italia 1 il concorso per Miss Maglietta Bagnata. Nella prova clou le ragazze dovevano saltare sul tappeto elastico, con la maglietta bagnata, per mostrare consistenza e autenticità delle tette. Uno spettacolo talmente degradante da indurre alla commozione. Come i cuccioli di cane abbandonati sul Raccordo. Ma il punto non è abolire Miss Maglietta Bagnata, o le Veline, o il presidente del Consiglio che deve ricorrere alle sue doti di playboy per convincere la
presidente finlandese. Il punto è creare quello spazio di serenità. Là dentro, possiamo poi permetterci qualunque imbecillità.
Purtroppo gli esseri umani sono tanti e non vogliono affatto l'uno il bene dell'altro, ma il proprio. Al massimo siamo in grado di preservare il branco, di non attaccare il fratello. Lo stupro è un crimine dell'uomo contro la donna, nonostante qualche folcloristico esempio contrario. Per
arginarlo, perché la sua incidenza prenda la stessa china discendente degli altri crimini commessi in Italia, serve che le donne siano più forti. Che abbiano maggiore rappresentanza politica, e rimettano in pari la bilancia. Non c'è un'altra soluzione. Pari oppurtunità e pari diritti
non possono essere ricontrattati ogni volta. Solo allora, quando avremo pari rappresentanza al Governo e nei ruoli chiave della società, e qualcuna di noi inventerà Mister Membro d'Oro (dove gli uomini salteranno su un tappeto elastico, con le mutande bagnate, per mostrare consistenza e
autenticità), solo allora, temo, gli stupri inizieranno a diminuire.

Fonte: ecologiasociale

Priebke ospite al concorso delle miss

L’ex Ss: volevo essere lì, l’invito è un atto umanitario

GALLINARO (Frosinone)— Il titolo di ragazza tam tam è già stato assegnato alla numero 15, in lacrime d’ordinanza stile Salsomaggiore. Sul tavolo a bordo piscina restano ancora le targhe per la ragazza sex appeal e per quella fotogenia. Le luci si abbassano, anche il tintinnio dei calici di prosecco scende di tono. E dietro le miss in costume sgambato, signore e signori, sul maxi schermo appare lui: Erik Priebke, presidente onorario della giuria di Star of the year, concorso per miss riservato alle bellezze della Ciociaria, età compresa tra 14 e 28 anni. Camicia bianca, poltrona di pelle e libreria sullo sfondo, uno sguardo che sembra pure allegro: «Mi avrebbe fatto piacere intervenire di persona—dice— e ringrazio gli organizzatori per l’invito che considero un atto umanitario». Sì, perché l’ex capitano delle Ss condannato all’ergastolo per la strage delle Fosse ardeatine, 335 persone ammazzate con un colpo in testa una dopo l’altra, doveva essere presente in carne ed ossa qui al Tramp's Hotel di Gallinaro. Ma il giudice di sorveglianza gli ha negato il permesso e lui non ha potuto lasciare gli arresti domiciliari di Roma.

Alla fine è spuntato qualche problema anche per il collegamento in diretta che magari gli avrebbe permesso di alzare la paletta con il voto dopo ogni (sculettante) passerella. Il messaggio registrato del presidente onorario Priebke dura un minuto appena. Giusto il tempo di ringraziare e di fare gli auguri alle aspiranti miss: «Un abbraccio e un bacio — dice accennando anche una benedizione con le mani—a tutte le giovani donne del concorso ». Un applauso e si procede con la scaletta.

L’idea è venuta a Claudio Marini, 35 anni di Frosinone. Uno che le ha provate tutte pur di raggiungere uno strapuntino di notorietà. L’anno scorso come presidente della giuria del suo concorso di bellezza «giunto ormai alla nona edizione» si era dovuto accontentare di Fabrizio Corona.

Quest’anno ha deciso di salire di gradazione. Gongola, infatti. In questo albergo della frontiera ciociara di solito arriva solo qualche comitiva tutto compreso (Pappardelle al cinghiale 6 euro, strozzapreti al cervo 5) per qualche gita nel Parco nazionale d’Abruzzo. Ieri sera, invece, è riuscito a trascinare un centinaio di persone e qualche vip di rincalzo, come Francesca Rettondini, i presunti divi tv di Uomini e donne Matteo Guerra e Valentina Riccardi, e Adriano Aragozzini, l’ex patron di Sanremo che ha tutta l’aria di non aver capito bene dove è finito. «Invitare Priebke — dice Marini — è un gesto di pacificazione. Io ammiro il popolo ebraico. Ma ormai sono passati 60 anni e Priebke ne ha più di 95. Che senso ha non permettergli di venire qui?». Magari si potrebbe chiedere alle miss. Chi è Priebke? «Boh». Il cielo però si è vendicato, prima della fine della serata diluvio universale e fuggi fuggi generale.
Lorenzo Salvia

Fonte: ecologiasociale

Torino, spara alla moglie e tenta suicidio nel bagagliaio il cadavere della figlia

Matteo Gliatta, 48enne dipendente delle Poste, soffriva da tempo di crisi depressive
Ricoverato in condizioni non gravi all'ospedale di Pinerolo è ora piantonato dai carabinieri

TORINO - Una tragedia familiare ha sconvolto stamane Luserna San Giovanni, un piccolo comune in provincia di Torino. Matteo Gliatta, 48 anni, dipendente delle Poste di Abbadia Alpina a Pinerolo, ha sparato alla moglie e poi ha rivolto l'arma contro di sé, tentando di uccidersi. Marito e moglie sono stati ricoverati in ospedale. L'uomo è grave. Il dramma, poco dopo: quando cioè gli inquirenti hanno scoperto il cadavere della figlia della coppia, una bambina di 8 anni, nel bagagliaio della loro automobile. La bimba è stata uccisa con un colpo di pistola alla testa.

Agghiacciante la ricostruzione dei fatti: Gliatta è andato a prendere la figlia a scuola, poco dopo l'inizio delle lezioni e ha convinto la mestra a farla uscire in anticipo. Una volta rimasti soli le ha sparato un colpo alla testa, ha messo il corpo nel bagagliaio dell'auto e poi è tornato e casa.

Sempre con una scusa ha convinto la moglie Lorella Magnano, 46 anni, a seguirlo fino a Luserna Alta, in una strada isolata dove le ha sparato e ha poi tentato di suicidarsi. Ferita a un polmone, la donna è ora ricoverata all'ospedale San Luigi di Orbassano, sempre in provincia di Torino.

L'uomo, che si è sparato alla testa, è invece piantonato all'ospedale di Pinerolo. Da tempo sofferente di crisi depressive è accusato di omicidio aggravato, tentato omicidio e porto d'armi abusivo.

A dare l'allarme è stata una passante che ha visto i corpi dei due coniugi riversi per strada in mezzo al bosco. La vettura in cui è stato trovato il cadavere della bambina, una station wagon nera, è la stessa con cui il padre era andato a prenderla a scuola.

Per il procuratore della Repubblica di Pinerolo, Giuseppe Amato "la dinamica dei fatti è ormai sufficientemente chiara, mentre stiamo ancora cercando di ricostruire i motivi che possono avere portato a questo gesto".

(18 settembre 2008)

Fonte: repubblica

Cassazione, condannato marito violento "Colpevole anche se provocato"

L'uomo dovrà pagare alla moglie un risarcimento di 25mila euro
Il giudice: "Le regole della civile convivenza devono essere sempre rispettate"
Cassazione, condannato marito violento
"Colpevole anche se provocato"

ROMA - La violenza ha sempre torto. Anche se a scatenarla è un atteggiamento palesemente provocatorio. Lo ha affermato oggi la Cassazione che ha condannato per maltrattamenti un uomo che aveva alzato le mani contro la moglie, protagonista a sua volta di comportamenti aggressivi nei confronti del marito.

L'uomo, che in prima istanza era stato assolto dal tribunale di Piacenza, è stato però ritenuto colpevole dalla Corte di appello di Bologna che lo ha condannato a versare 25mila euro di risarcimento alla moglie. Contro questo verdetto il marito ha fatto ricorso in Cassazione puntando il dito contro la mancanza di prova dei maltrattamenti. Ma senza successo.

Secondo il giudice, l'atteggiamento aggressivo della propria compagna può portare a un piccolo sconto di pena ma non può evitare la condanna. Nella sentenza si legge infatti che "il reato di maltrattamenti può evidenziarsi anche in un contesto familiare caratterizzato da forti tensioni, ascrivibili ad entrambi i protagonisti della vicenda, tra i quali viene a crearsi un clima di reciproca insofferenza e intollerabilità".

Per la Cassazione, "anche una tale situazione deve essere comunque gestita con equilibrio,nel rispetto delle regole di civile convivenza e della dignità fisica e morale della persona e - conclude - non legittima reazioni che insistono su condotte abitualmente proiettate all'aggressione, alla mortificazione e all'umiliazione della controparte".

(18 settembre 2008)

Fonte:repubblica

venerdì 19 settembre 2008

Donna reclusa e stuprata dal padre in Polonia un nuovo caso Fritzl

La 21enne sarebbe stata segregata per 6 anni e avrebbe avuto 2 figli dal genitore
Il 45enne arrestato dopo un tentativo di fuga verso l'Italia. Rischia 15 anni di carcere

VARSAVIA - Un uomo di 45 anni è stato arrestato nella Polonia orientale, per avere sequestrato e abusato per sei anni di sua figlia, che ha oggi 21 anni, una vicenda che ricorda quella della "casa degli orrori" dell'austriaco Josef Fritzl.

Secondo quanto reso noto dalla polizia locale di Siemiatycze, la giovane, tenuta segregata in casa dal padre, avrebbe anche partorito nel 2005 e 2007 due bambini, lasciati in ospedale per l'adozione. I bambini potrebbero essere frutto della relazione incestuosa col genitore. La donna ha raccontato alla polizia che l'uomo l'aveva costretta ad abbandonarli, dopo averla accompagnata al parto. La figlia si era presentata la settimana scorsa alla polizia di Siematycze insieme alla madre, denunciando che il padre la violentava dall'età di 15 anni e le impediva di lasciare la casa. La giovane aveva lasciato la scuola a 14 anni. Subito dopo per lei era cominciato un inferno famigliare. Il padre aveva cominciato a violentarla, a legarla e a minacciarla con un coltello.

Dopo la denuncia, l'uomo è fuggito e, secondo l'agenzia France Press, voleva raggiungere l'Italia. La polizia tuttavia l'ha arrestato in una altra città polacca, Siedlce, nel centro del paese. Ora rischia una condanna a 15 anni per violenza sessuale e sequestro di persona. Al momento il tribunale gli ha inflitto un fermo di tre mesi. La figlia è ospite di alcuni famigliari e riceve assistenza psicologica.

La vicenda polacca richiama quella venuta alla luce quest'anno in Austria, nella cittadina di Amstetten. Un uomo di 73 anni, Josef Fritzl, aveva tenuto segregata la figlia per 24 anni in una cantina-prigione sotto casa, violentandola e facendole partorire sette figli.

(8 settembre 2008)

Fonte: Repubblica

martedì 16 settembre 2008

Treviso, ragazza irregolare arrestata dopo aborto

ROMA –Immigrati irregolari a rischio anche negli ospedali. Oltre all’accesso alle cure è garantito per legge (articolo 35 del Testo unico sull’immigrazione) anche l’anonimato: le strutture sanitarie non possono cioè segnalare alle autorità gli immigrati irregolari che le utilizzano. Ora però proprio su questo aspetto arrivano alcuni segnali preoccupanti. Il primo episodio è avvenuto nei giorni scorsi a Treviso, dove una ragazza ghanese irregolare di 20 anni è stata arrestata in ospedale dopo aver subito un intervento di interruzione di gravidanza. La giovane sarebbe stata riconosciuta dai funzionari di polizia in servizio all'ospedale. Il provvedimento è stato convalidato dalla magistratura, che ha emesso nei confronti della ragazza, attualmente ospite di una casa famiglia, un ordine di allontanamento dall’Italia.

Sempre nel Nord-Est, l’affondo diretto è arrivato dal presidente della Provincia di Pordenone, Alessandro Ciriani (An-Pdl), che ha chiesto al ministro dell'Interno Maroni, di attivarsi perché gli ospedali possano segnalare i clandestini. “La norma che vieta di segnalare alle autorità i clandestini che utilizzano le strutture sanitarie - afferma Ciriani - è un'autentica vergogna”. Secondo Ciriani, “è giusto e doveroso assicurare a tutti le necessarie cure. Altra cosa, però, è garantire il diritto alla clandestinità, un principio - a suo parere - francamente inaccettabile”.

Sulla proposta di introdurre un obbligo di denuncia per i clandestini che si rivolgono al pronto soccorso è duro il giudizio di Salvatore Geraci, presidente della Simm, società italiana di medicina delle migrazioni: “Il rischio è quello della clandestinità sanitaria. Con effetti gravissimi non solo per i singoli, ma anche per la collettività. La norma che prevede il divieto di segnalare alle autorità di polizia un clandestino che viene curato è passata nel 1995, all’interno del decreto Dini, anche con i voti della Lega nord”.

Era contenuta, racconta Geraci, in un disegno di legge sponsorizzato dalle associazioni, ma firmato da di più di trecento parlamentari: “Quel principio fu introdotto perché si era deciso che era più importante garantire le cure sanitarie, a tutela del singolo, ma anche della collettività, che fare un utilizzo improprio degli ospedali.Un ospedale è un luogo di cura, non può essere usato per l’allontanamento e l’identificazione”. Secondo Geraci “quell’articolo ha dato ottimi risultati, dal punto di vista non solo assistenziale ma anche preventivo. Lo dimostra il fatto che già dal 1996-1997 diversi indicatori sanitari abbiano avuto un rapido miglioramento. Sono diminuiti, nella popolazione immigrata, il tasso di incidenza dell’Aids come quello della Tbc”.

Insomma “All’epoca fu fatta la scelta di tenere distinti sanità pubblica e ordine pubblico. E questo non solo per motivi di equità, ma anche economici. Perché garantire l’assistenza al livello appropriato fa risparmiare parecchi soldi allo Stato. Viceversa, associare la possibilità di farsi curare e il rischio di una denuncia, oltre a essere una scelta umanamente inadeguata, è un errore strategico gravissimo dal punto di vista della sanità pubblica. Non a caso negli Stati Uniti non fanno così. E la necessità di tenere distinti ordine pubblico e salute è stata più volte ribadita anche dall’Unione europea”. “Chi teme una denuncia si farà curare in modo clandestino. Avverrà, ancor prima che per l’aborto, per le donne incinte o che devono partorire, per le malattie infettive, gli infortuni sul lavoro, l’assistenza ai neonati. Il risultato sarà l’espulsione di queste persone, non dall’Italia ma dai servizi”.

Sul caso della ragazza arrestata a Treviso è intervenuta anche l’Aduc, l’associazione per i diritti degli utenti e dei consumatori. Quanto accaduto a Treviso, secondo l’associazione, crea un precedente molto pericoloso “perché le donne immigrate irregolari abortiranno clandestinamente, con tutto ciò che comporta per la salute individuale e pubblica; e perché, per esempio, se un clandestino ha una malattia infettiva e non si cura per paura di essere espulso, prima o poi infetterà qualcuno anche non clandestino e non immigrato”.

(c.r.)

(12 settembre 2008).

fonte: Repubblica Metropoli

sabato 13 settembre 2008

Stop al femminicidio


Un lungo anno di iniziative politiche dell’UDI



Unione Donne in Italia Sedi di Catania, Gela, Lentini e Niscemi

25 novembre 2008 - 25 novembre 2009. Un lungo anno di iniziative politiche dell’UDI

“Stop al femminicidio” è una campagna di denuncia dell’UDI finalizzata ad affrontare il problema della violenza sulle donne con una prospettiva di genere.

L’UDI promuove una campagna nazionale per attirare l’attenzione delle istituzioni su quella che si delinea come una vera e propria emergenza, e la chiamerà “Stop al femminicidio”.

La parola Femminicidio è stata coniata a Ciudad Juarez, una città messicana ai confini con gli Stati Uniti, dove dal 1993 ad oggi sono state 413 donne sono state uccise e 600 sono scomparse. UDI ha fatto propria la parola "feminisidio" , l’ha tradotta in femminicidio, usandola nelle iniziative pubbliche, sugli striscioni, nei comunicati, tanto da diventare di uso comune.

Chiamare omicidi la morte di tante donne è un modo per camuffare le statistiche e far scomparire un fenomeno che è la causa prima di morte per le donne ovunque nel mondo.

Staffetta di donne contro la violenza l’UDI indice una Staffetta di donne contro la violenza che partirà il 25 Novembre 2008, giornata internazionale contro la violenza alle donne, e si chiuderà esattamente un anno dopo, sempre il 25 novembre. La staffetta partirà da Niscemi, dove è stata assassinata Lorena. E si chiuderà a Brescia, dove è stata sgozzata Hiina. Simbolo e testimone della Staffetta dell’Udi sarà un’anfora con due manici in modo che possa essere portata da due donne, a significare l’importanza della relazione per noi.

In ogni paese o città in cui la Staffetta passerà, le due donne che l’hanno avuta in consegna la consegneranno ad altre due, pubblicamente In ogni luogo dove la Staffetta passerà, le donne che si faranno carico del suo passaggio potranno imbastire iniziative pubbliche le più varie, seminari, dibattiti, mostre, proiezioni video, eccetera. Strada facendo, ogni donna potrà avvicinarsi e mettere nell’anfora un biglietto con i propri pensieri, denunce, parole o immagini. Parteciperanno alla staffetta tutte le donne, dell’UDI e non, che daranno la loro disponibilità a udinazionale@gmail.com entro il 30 settembre 2008

La Staffetta sarà organizzata solo da donne singole o associazioni di donne - sono escluse rappresentanze di partiti - deve essere un evento pubblico che ciascuna caratterizzerà come riterrà più opportuno e sarà autofinanziata. Il sito dell’Udi - www.udinazionale.org - a partire dal novembre 2008, seguirà passo dopo passo la Staffetta, dando il resoconto delle iniziative svolte e l’appuntamento per quelle successive.

La staffetta in Sicilia Attualmente il passaggio è previsto a : Niscemi, Lentini e Catania.

Come partecipare alla campagna in Sicilia Il gruppo “Stop femminicidio” comprende le tre UDI siciliane e tutte le donne che invieranno la loro adesione.

Contatti UDI Catania 3386940865 3477514904

Fonte: girodivite

mercoledì 10 settembre 2008

Pretende sesso da donna senza biglietto. Denunciato un capotreno di 53 anni

L'uomo avrebbe consumato il rapporto sul convoglio. Ora è stato sospeso in via cautelativa da Trenitalia
La vittima e' una ragazza nigeriana di 27 anni, regolare in Italia

BOLOGNA - Pensava di farla franca un capotreno che ha preteso una prestazione sessuale da una passeggera scoperta a viaggiare su un treno senza biglietto. Invece il 53enne di origine campana, ma residente a Milano, è stato denunciato dalla Polfer è sospeso dal lavoro in via cautelativa da Trenitalia.

L'AMPLESSO - Il fatto è successo lo scorso 21 agosto. La donna, una ragazza nigeriana di 27 anni regolare in Italia, stava viaggiando sul convoglio 9417, un Eurostar Milano-Lecce, quando nella tarda mattinata - transitando nella zona di Reggio Emilia - è incappata nel controllo del biglietto. Il dipendente di Trenitalia, quando ha capito che la giovane non aveva il tagliando, ha spiegato alla donna che se voleva evitare le conseguenze del mancato pagamento del biglietto poteva appartarsi con lui per una prestazione sessuale. Prestazione effettivamente consumata poco dopo - sempre stando al racconto della donna - in un locale appartato in uno scomparto nella parte posteriore del convoglio.

LA DENUNCIA - Dopo aver subito l'abuso, però, la donna ha subito avvisato il compagno (che viaggiava sullo stesso treno, ma separato da lei) che a sua volta ha chiamato con il telefono cellulare il 113. A quel punto - il treno era già a ridosso della stazione ferroviaria di Bologna - sono intervenuti gli uomini della Polfer del capoluogo emiliano. I poliziotti hanno raccolto i racconti di entrambi. Lui ha negato ogni addebito, lei invece ha fornito particolari precisi della vicenda. Alla fine la polizia ferroviaria ha denunciato l'uomo all'autorità giudiziaria per concussione sessuale. Sulla vicenda erano subito intervenute, il giorno dopo, le Ferrovie dello Stato, con una nota in cui spiegavano che il Gruppo, informato dell'episodio di «presunto tentativo di molestie sessuali» aveva «immediatamente avviato i necessari accertamenti per chiarire la dinamica dei fatti. Qualora fosse accertata la responsabilità del dipendente saranno adottati i provvedimenti disciplinari previsti». L'uomo è stato effettivamente sospeso in via cautelare per 60 giorni. In attesa che si completi l'accertamento dei fatti Trenitalia, alla luce degli elementi acquisiti, ha ritenuto opportuno applicare il provvedimento.


05 settembre 2008

Fonte:corriere.it

lunedì 8 settembre 2008

Pakistan, spose «ribelli» sepolte vive

Sospettato il fratello di un ministro provinciale del Baluchistan.

La tribù non approvava la scelta dei mariti. Tra le 5 vittime due teenager.

Sepolte vive il giorno delle nozze in Baluchistan, un giorno infuocato d'estate. Che bel nome, Baluchistan. Anche Mir Wah, il villaggio dove vivevano le ragazze, suona propizio (wah vuol dire acqua) per gli abitanti della più grande provincia pachistana modellata da deserti e montagne. In uno spicchio di mondo nascosto a Google Earth e ai diritti dell'individuo, tre studentesse avevano deciso di sposarsi e di scegliersi un marito contro la volontà della tribù, il potente clan degli Umrani.

Fauzia aveva 18 anni, un'amica 17, la più piccola 16. Quando sono arrivati i sette killer sul gippone con targa governativa, erano in una casa del villaggio di Baba Kot con una mamma e una zia (Fatima Umrani 45 anni, Jannat Bibi 38). Si preparavano a partire. Andavano a nozze. Le loro. Appuntamento in città, Usta Mohammad. Rito civile, cerimonia quasi clandestina. Fatima e le amiche teenager volevano sposare i ragazzi che amavano. Avevano chiesto il permesso alla jirga, l'assemblea degli anziani. Che aveva detto no. La punizione prima degli anelli. A guidare lo squadrone della morte — secondo le testimonianze raccolte da Asian Human Rights Commission (Ahrc) — Abdul Sattar Umrani, fratello del ministro delle Case del Baluchistan: Sadik Umrani, membro del Partito Popolare guidato dal vedovo di Benazir Bhutto, Asif Ali Zardari, che sabato a Islamabad potrebbe essere eletto Presidente dal Parlamento e dalle quattro Assemblee Provinciali.

Proprio ieri l'Assemblea del Baluchistan ha dato il suo prezioso appoggio a Zardari. Proprio ieri il ministro degli Interni di Islamabad ha detto di aver ordinato un'inchiesta che «nel giro di una settimana» faccia luce sulla morte delle spose di Mir Wah. Un'inchiesta che in sei settimane non era mai partita, indovinate perché. Il Pakistan balla sul burrone di una crisi mortale, i talebani alzano la testa, i cosiddetti «omicidi d'onore» (donne e uomini uccisi per adulterio, relazioni fuori dal matrimonio etc) sono faccenda quotidiana (mille all'anno) e quindi «non notizie». La prima denuncia sulle cinque donne sepolte vive, lanciata dalla Commissione asiatica per i diritti umani, è dell'11 agosto. Ma la polizia locale era riuscita ad insabbiare il caso (Umrani famiglia potente, il fratello del ministro, il partito Popolare). Ma poi pochi giorni fa Israr Ullah Zehri, senatore che rappresenta il Baluchistan, ha voluto esagerare: in Parlamento a Islamabad ha replicato alle denunce di alcune colleghe dicendo che la fine delle cinque donne di Mir Wah rientra nelle «legittime tradizioni secolari del Paese». Vergogna? «Solo chi indulge in comportamenti immorali — ha tuonato il senatore — dovrebbe avere paura». Molti parlamentari sono insorti gridando contro «questa barbarie», ma altri hanno detto che si tratta di «questioni interne al Baluchistan». Che nome luminoso, Baluchistan.

Luminoso e lontano. Eccole, le «questioni interne»: il fratello del ministro Umrani e i suoi sgherri portano le tre spose in una località desertica, Nau Abadi. Le picchiano, prima di fare fuoco. Sono ancora vive quando le gettano in una buca. La mamma e la zia dietro ai finestrini assistono alla sepoltura delle ragazze agonizzanti. Terra e pietre. Fatima e Bibi urlano ai killer-becchini di fermarsi. Quelli si indispettiscono e sotterrano pure loro. Come ha raccolto queste notizie la Asian Human Rights Commission? Non è difficile ricostruire i fatti, in un posto in cui i «delitti d'onore» sono un lavoretto «normale» di cui andar fieri. La polizia locale ieri ha annunciato l'arresto di cinque familiari delle vittime: «Li stiamo interrogando — ha detto un funzionario — per farci dire dove sono i corpi». Eh già. Almeno quello. Tre anni fa il fratello del ministro Umrani era stato coinvolto in un altro delitto. Un insegnante di scuola era passato a prendere in taxi la fidanzata. Anche loro andavano a sposarsi con rito civile. Un'auto li aveva bloccati e uccisi. Tutti e tre, compreso il tassista. Il primo sospettato, il fratello del ministro, l'aveva fatta franca.

Michele Farina
03 settembre 2008

Fonte: corriere.it

domenica 7 settembre 2008

Fano, uccisa entreneuse dell'Ecuador Arrestato il compagno, un italiano 42enne

Forse la gelosia all'origine della tragedia

L'uomo è ora piantonato in ospedale: dopo il delitto ha tentato il suicido lanciandosi sotto un tir

FANO (Pesaro Urbino) - Una ventiduenne dell'Ecuador, Sofia Varela Freire, è stata trovata uccisa in un appartamento di Rosciano di Fano (Pesaro Urbino). Il delitto risale alla notte scorsa. In Italia la ragazza aveva lavorato come badante ma anche come entreneuse in un locale notturno. Il compagno della vittima, Raffaele Caposiena, odontoiatra di 42 anni originario di Castel di Sangro (l'Aquila), è piantonato in ospedale. In serata a suo carico è stato spiccato un mandato di arresto per omicidio volontario aggravato dall'efferatezza: avrebbe ucciso a martellate la compagna ecuadoregna per poi tentare di togliersi la vita lanciandosi sotto un tir in autostrada.

LA DINAMICA - Stando alle prime risultanze investigative, la ragazza è stata assassinata con uno o più colpi di martello alla testa, sferrati con una violenza tale da sfondarle la scatola cranica. Quando venerdì mattina la donna delle pulizie ha scoperto il cadavere, Sofia Margarita era seduta, vestita, davanti alla tv accesa, sul divano dell'appartamento di Rosciano dove aveva convissuto con Caposiena, morta da ore. Nell'abitazione non c'erano segni di colluttazione: l'arma è già stata ritrovata e posta sotto sequestro dalla polizia, insieme a vari documenti ed altri elementi utili. Sarà l'autopsia, affidata dal pm Silvia Cecchi al prof. Giorgetti, a stabilire con precisione l'ora del decesso e la successione dei colpi, che hanno lasciato il viso della giovane quasi indenne. Il perito si avvarrà della consulenza di un biologo, ed eventualmente di un tossicologo. Quanto al movente del delitto, il quadro è ancora in via di composizione. Di certo la relazione fra la ragazza e un uomo di vent'anni più grande era diventata molto conflittuale. C'è chi dice che lei stava per lasciarlo, mentre altri ricordano che l'odontoiatra era particolarmente geloso e possessivo. Non ha ancora trovato conferma la voce che Caposiena, al momento unico indiziato, abbia lasciato un biglietto di spiegazioni nella Mercedes parcheggiata vicino a una piazzola di sosta dell'A14 prima di lanciarsi contro il primo tir in transito.

Fonte:ecologiasociale

sabato 6 settembre 2008

Spagna: Ministra Per La Parita', Nuova Legge Sull'Aborto Entro 2010

(ASCA-AFP) - Madrid, 4 set - La ministra spagnola per la Parita', Bibiana Aido, ha annunciato la composizione di un comitato di esperti incaricato di studiare nei prossimi sei mesi la riforma dell'attuale legge sull'aborto. Il comitato sara' composto da esperti in ginecologia, ostetricia e diritto penale e le conclusioni che ne deriveranno verranno passate al vaglio dal Congresso, che successivamente redigera' la legge. Tuttavia, secondo la ministra, sara' ''una nuova legge'', non una riforma dell'attuale normativa, e sara' ''la migliore possibile'' in quanto ''si distacchera' dal panorama internazionale''. La titolare del ministero spagnolo ha sottolineato che la nuova legge, che entrera' in vigore entro la fine del 2009 o inizio 2010, garantira' non solo la sicurezza giuridica di donne e medici, ma anche la parita' territoriale, in modo da evitare il sussistere di differenze nell'applicazione della legge a seconda della comunita' autonoma di appartenenza. ''Non e' possibile che una donna debba incontrare delle difficolta' se decide di abortire in Spagna'', ha aggiunto la Aido. L'aborto in Spagna esiste dal 1985, o meglio dal 1985 esiste una legge che lo depenalizza, ma solamente in tre casi: violenza carnale (fino alla dodicesima settimana di gestazione), malformazione fetale (fino alla ventiduesima) e grave rischio per la salute fisica e psichica della madre (senza limitazioni). Si tratta di una legge restrittiva, ma anche molto ambigua, tanto che l'aborto viene praticato con una certa facilita' nelle cliniche private, mentre e' praticamente impossibile realizzarlo negli ospedali pubblici (solo il 2 per cento, infatti, viene realizzato nelle strutture pubbliche). La polemica in Spagna e' ripartita nel dicembre scorso, quando veniva scoperta a Barcellona e Madrid una rete di cliniche che si sarebbero dedicate agli aborti illegali, ossia dopo la ventiduesima settimana di gestazione.

Fonte: yahoo

giovedì 4 settembre 2008

Detenuto stuprato, sintomo di intolleranza

CATANZARO. L’ennesimo grave episodio di stupro consumatosi nel carcere di Catanzaro ai danni di un detenuto, rappresenta ancora una volta sintomo di intolleranza e di odio nei confronti di un omosessuale, e suscita senso di profonda indignazione nella coscienza comune. È quanto sostengono, in una nota, l’associazione dell’Arcigay Eos Calabria ed il Centro Women’s Studies Milly Villa dell’Università della Calabria. La solidarietà nei confronti del giovane per la violenza subita e per le barbarie a cui è stato sottoposto in regime carcerario - è detto ancora nel comunicato - vuole andare ben oltre quelle parole, con un’azione tempestiva, incisiva e determinante volta al riscatto della sua identità violentata ed al rispetto delle sue condizioni di salute come quelle di tutte le altre persone che hanno avuto a che patire tali simili drammi. Secondo le due associazioni, crimini ed azioni di odio sono perpetuate continuamente e giornalmente nei confronti dei gruppi minoritari all’interno della nostra società. Un’ampia proporzione della nostra popolazione, e della popolazione mondiale, viene abusata, minacciata o assalita a causa della propria razza nazionalità gruppo etnico, religione o preferenza sessuale. La violenza nei confronti degli omosessuali, ovunque sia perpetuata, rappresenta un crimine di odio. Il fatto che poi tale violenza venga perpetuata all’interno delle strutture carcerarie rende la cosa estremamente più grave, essendo indice di una totale indifferenza, superficialità e di mancanza di interesse e da parte di chi quelle strutture le gestisce. Queste considerazioni hanno un’incidenza ancora di più amplificata. Ci sono categorie e luoghi per cui la sicurezza è un lusso. Ci attiveremo - conclude la nota - affinché vi sia uno specifico intervento legislativo per fermare non solo gli esecutori materiali dei crimini, ma anche tutti coloro che alimentano il retroterra culturale in cui si consumano delitti come questi, con particolare attenzione alla popolazione carceraria. Siamo pronti a costituirci parte civile in un eventuale processo contro coloro che si sono macchiati di questo ignobile delitto. (03-09-2008)

http://www.giornaledicalabria.it/index.php?section=news&idNotizia=123

martedì 2 settembre 2008

«Sexy, magre ed obbedienti» La guida per tenersi stretto un uomo

Negli Stati Uniti va a ruba "The Re-education Of The Female". «Gli uomini comandano» sostiene l'autore

NEW YORK - «Ecco un piccolo segreto: gli uomini non chiedono nulla. Comandano». È questo il succo di un libro pubblicato negli Stati Uniti.
«The Re-education Of The Female» del debuttante Dante Moore è un saggio, pubblicato in 25 mila copie da Strebor Books, che spiega alle donne come tenersi strette il proprio compagno. E se una donna non obbedisce, ce ne sono almeno dieci dietro l'angolo pronte a farlo. Questa la tesi dello scrittore, che nonostante il nome e la saggezza profusa, non ha ancora trovato la sua Beatrice. Da un paio di anni, però, frequenta una ragazza, Khanequa Tuitt, che dopo aver sfogliato un paio di pagine avrebbe voluto insultarlo. Ma poi lo ha conosciuto ed ha sposato la sua teoria. Ora fa le pulizie di casa in abiti sexy.

MAGRE E SEXY - Moore, 33enne ingegnere informatico, consiglia alle sue lettrici di rimanere snelle. «Un esempio? - scrive l'autore - quando andate al supermercato, scegliete la cane o i frutti più brutti, rovinati, marci e puzzolenti? O no? Perché? Lo stesso accade con gli uomini quando vedono delle donne senza forma che sembrano dei baby elefanti». La missione di Moore, racchiusa in 176 pagine vendute a poco più di 10 euro, è quella di rieducare le donne, dando loro l'Abc per una buona relazione. E le basi sono tre: cibo, relax e, ovviamente, sesso. Nell'introduzione del saggio scrive: «Voglio esprimere la mia rabbia e frustrazione come uomo con le donne che credo che siano mal educate, mal informate e impreparate sulle loro responsabilità nel mantenimento di una relazione con un uomo di qualità».

LA RISPOSTA DI UNA FEMMINISTA - «Non ha mai trovato la donna giusta, non si è mai innamorato. Cosa fa di lui un esperto?» commenta Gilda Carle, femminista e terapista che cura un programma televisivo negli Stati Uniti. «Vorrei avere sul mio lettino da terapista le donne che lo hanno frequentato» ha detto la Carle al quotidiano britannico The Telegraph.

L'AUTORE - Dante Moore ha un figlio di 11 anni, nato da una relazione ormai terminata. L'autore ha detto di non aver mai incontrato il grande amore, perché fino a qualche anno fa era «una nuvola di testosterone», racconta al quotidiano americano Washington Post. Cresciuto in una famiglia di donne, la mamma, due sorelle, due zie e due cugine, Moore spiega che da piccolo la madre gli diceva di trattare le donne come regine, di accompagnarle a casa dopo scuola, di comprare regali. Dopo due anni di fallimenti, il cambio di strategia. Ha iniziato a dire di no, a mettere dei paletti, a comandare. E il telefono - assicura Moore al Washington Post - non ha smesso di squillare.

LA CANZONE - Nel 1981 il musicista comasco Marco Ferradini cantava: «Prendi una donna trattala male lasci che ti aspetti per ore. Fa sentire che è poco importante, dosa bene amore e crudeltà». Il brano è stato ripreso da Aldo, Giovanni e Giacomo in «Chiedimi se sono felice», con la battuta «fuori dal letto nessuna pietà», che invece Giacomo sbaglia in «fuori dal letto nessuno è perfetto».

Elisabetta Corsini
29 agosto 2008(ultima modifica: 30 agosto 2008)

Fonte: corriere.it

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