venerdì 24 febbraio 2012

La vera natura delle anatre

Un segnalazione.
In questo post intitolato Duck test, Lorenzo Gasparini fa una puntuale decostruzione del libro "Dentro e fuori CasaPound" scritto da Di Nunzio e Toscano spiegando, per chi non l'avesse ancora capito, cosa è un movimento fascista e come lo si riconosce.

sabato 18 febbraio 2012

Aggiunta del cognome materno al proprio nome: il doppio cognome

Stabilire una matrilinearità parallela alla patrilinearità è un diritto che dovremmo poter far valere. In attesa di una legge che permetta il doppio cognome alla nascita in Italia, come spiega il sito cognomematerno.it, dal 2000 possiamo fare richiesta al Ministero dell’Interno tramite la Prefettura, per l'aggiunta del cognome materno al nome della bambina o del bambino, dopo la registrazione all'anagrafe o da adulti, attraverso la modulistica per il cambio di cognome pagando un bollo da € 14,62. La modulistica per il cambio di cognome e l'aggiunta del cognome materno va corredata da una lettera in cui si specificano le motivazioni della richiesta, sul blog cognomematernoitalia.blogspot.com ne trovate alcuni esempi.

giovedì 2 febbraio 2012

La penalista: 'La sentenza sullo stupro è un passo indietro''

Sulla sentenza della Cassassione che non ritiene necessario il carcere cautelativo per gli stupratori di gruppo.

Parla l'avvocato del Telefono rosa Eugenia Scognamiglio a Repubblica: "La Corte di Cassazione ha interpretato in modo restrittivo una norma della Corte Costituzionale. Speriamo non passi il messaggio che chi compie questo genere di violenza vada incontro all'impunità''.


Di altro segno qui.

Cassazione: violenze di gruppo,carcere non obbligatorio

Tiziano Riverso

Non vi preoccupate, se stuprate in gruppo una ragazza, la Corte di Cassazione vi da tutto il tempo di:
1) far sparire le prove;
2) minacciare la ragazza e ottenere il ritiro della denuncia;
3) minacciare anche la sua famiglia e coinvolgere l'intero paese nell'azione intimidatoria (vedi Montalto di Castro qui qui qui);
4) uccidere la tipa e sbarazzarvi del corpo, poi tanto, coi tempi e con l'acume della giustizia italiana, potene andare a cena con uno dei tanti femminicida che è stato bravo o solo fortunato (perchè italiano), e mentre tutti cercano la moglie, chatta con amiche e trans.

Vedi anche FaS: Sentenza: se stupri in branco ti tocca una vacanza premio!


Cassazione: violenze di gruppo,carcere non obbligatorio

Una sentenza che farà - giustamente - discutere. Nei procedimenti per violenza sessuale di gruppo, il giudice non è più obbligato a disporre o a mantenere la custodia in carcere dell'indagato, ma può applicare misure cautelari alternative. Lo ha stabilito la Corte di Cassazione, dando un' interprestazione estensiva ad una sentenza della Corte Costituzionale del 2010.

In base a tale valutazione, la Cassazione ha annullato una ordinanza del Tribunale del riesame di Roma, che aveva confermato il carcere - ritenendo che fosse l'unica misura cautelare applicabile - per due giovani (difesi dagli avvocati Lucio Marziale, Nicola Ottaviani ed Eduardo Rotondi) accusati di violenza sessuale di gruppo nei confronti di una ragazza del frusinate e ha rinviato il fascicolo allo stesso giudice perché faccia una nuova valutazione, tenendo conto dell'interpretazione estensiva data dalla Suprema Corte alla sentenza n. 265 del 2010 della Corte Costituzionale.

A partire dal 2009, con l'approvazione da parte del Parlamento della legge di contrasto alla violenza sessuale - nata sulla base di un diffuso allarme sociale legato alla recrudescenza di episodi di aggressioni alle donne - non era consentito al giudice (salvo che non vi fossero esigenze cautelari) di applicare, per i delitti di violenza sessuale e di atti sessuali con minorenni, misure cautelari inferiori al cacere carcere nel caso di gravi indizi di colpevolezza.

Investita della vicenda, la Corte Costituzionale, nell'estate del 2010, ha ritenuto la norma in contrasto con gli articoli 3 (uguaglianza davanti alla legge), 13 (libertà personale) e 27 (funzione della pena) della Costituzione e ha detto sì alle alternative al carcere «nell'ipotesi in cui siano acquisiti elementi specifici, in relazione al caso concreto, dai quali risulti che le esigenze cautelari possono essere soddisfate con altre misure».

Repubblica non ha capito niente oppure Repubblica ci marcia?

Titola così Repubblica.it Ivana, la donna dell'Ariston che fa indignare, e la domanda posta nel titolo di questo post, come si dice, sorge spontanea: Repubblica non ha capito niente oppure Repubblica ci marcia? Perchè non riesco a capire se, chi è pagato per scrivere su un media nazionale, non riesce a comprendere che la questione sorge in merito al linguaggio, alla rappresentazione umiliante del femminile e del maschile, e non perchè lì c'è Ivana, della quale non ci interessa molto, poteva essere pure Giovanna, Savannah, Giulia o Martina. Quindi sfugge che il problema del video di Sanremo non sono i protagonisti, ma il meccanismo per cui non si può fare televisione senza mettere in campo il vecchio teatrino della "bella scema" e del "satiro competente". La bassezza di questa rappresentazione esula dallo specifico di chi la incarna. Oppure se a Repubblica l'indignazione delle donne era utile solo in funzione antiberlusconiana e, adesso, se ne frega cavalcando lo stereotipo delle "donne contro donne"?

mercoledì 1 febbraio 2012

FEMEN, le ragioni del topless

Negli ultimi tempi si è molto sentito parlare del collettivo femminista ucraino FEMEN. Qualcun* si è certamente chiesto il motivo per cui utilizzano il topless per sensibilizzare il mondo sulle questioni femminili, sono loro stesse a spiegarlo con una nota facebook, all'interno di Femen - Italian Official Fanpage, che riporto qui integralmente e che ci racconta sinteticamente anche la nascita del collettivo.

Le ragioni del topless sono molteplici.
Mi dilungherò un pò a spiegartele ma credo che la questione non possa essere affrontata in poche parole.

FEMEN nacque nel 2008 dall'incontro delle fondatrici Inna e Anna che, stanche dei soprusi cui erano soggette al lavoro, si incontravano periodicamente a discutere. Il 'circolo' si espanse fino ad arrivare ad un cospicuo gruppo di ragazze il cui range d'età oscillava tra i 20 ed i 30 -come si può ben immaginare, la fascia d'età in cui, giunte nel mondo del lavoro o in quello universitario, le giovani donne si trovavano ad affrontare una realtà ben poco disponibile alle loro idee e ad i loro sogni.
E' necessario altresì contestualizzare il tutto nella società ucraina. Non mi allungherò sulla storia della politica ma di certo devi concepire che la giovane repubblica ucraina non ha ancora definito un assetto sociale stabile e soffre della povertà e della mancanza di lavoro che i paesi dell'ex Urss conoscono bene. Le giovani donne, vuoi anche per ignoranza, non hanno grandi disponibilità - come noi in Italia - a discapito delle poche che,magari, inseguono un sogno diverso.
E' il caso di Inna, per esempio, che lavorava -dopo esser diventata giornalista - presso il ministero.
Lei fu estromessa da questo incarico quando FEMEN divenne conosciuto e famoso e - addirittura - temibile.

Questo scatenò una reazione immediata e le ragazze decisero che fosse giunta l'ora non solo di discutere ma anche e soprattutto di manifestare. Le prime manifestazioni furono quasi schernite dalla stampa locale ed ignorate da chiunque altro. Così scelsero il topless.

Eccoci dunque ai punti chiave:

1 ) il topless rappresenta una via forte d'espressione : richiama l'attenzione della stampa ed è certo inusuale. Le ragazze volevano che FEMEN non si restrigesse a poche studentesse universitarie ma che fosse almeno capito anche da altri : la visibilità era dunque cruciale perchè il movimento acquisisse una voce.

2) abbiamo parlato della libertà e delle restrizioni sofferte e denunciate dalle FEMEN. Una delle campagne che più le anima è lo sfruttamento sessuale - considerato, in Ucraina, quasi come una vita obbligata al di fuori del matrimonio. Nello sfruttamento sessuale è chiaro che le donne sono soggette alla perdita della libertà circa l'uso del proprio corpo. Il topless significò dunque l'appropriazione di questa libertà e la rivendicazione del corpo quale tesoro del solo individuo che lo vive. Violarlo era violare l'individuo.
Usarlo per una manifestazione dava il significato dell'unità inscindibile tra corpo e spirito : non si può combattere qualcosa senza metterci tutto il proprio se.

3) Tutto il movimento si basa sul concetto di equità e affermazione della libertà personale : il primo diritto inviolabile dell'uomo è quello di potersi esprimere. FEMEN vuole dimostrare - ed in questo riesce più che bene,sono convinta - che un'idea rimane intoccabile ed inviolabile a prescindere dalla maniera in cui è esposta. Il rispetto per le opinioni altrui, la considerazione, devono essere un valore irriunciabile e non possono essere sminuiti dal fatto che il pudore/l'ignoranza/la chiusura/la morale si indignino di fronte alla fonte di tale idea.
E' una forma di razzismo rifiutare il prossimo dal suo aspetto.

Molti si sono sentiti offesi dalla scelta e questo è assolutamente comprensibile : la nudità, per quanto sia sciocco considerarla un tabù, può essere comunque ''lesiva'' per un pubblico di bambini, ad esempio. A prescindere dal fatto che i bambini vedano sesso ovunque e che quindi non siano toccati dalla naturalezza di un seno, è giusto tenere in considerazione questi aspetti. Ma quello che i falsi indignati non capiscono (che gli ipocriti non capiscono e che i repressi attaccano) è che FEMEN vuole essere una provocazione e, come tale, deve superare la linea di confine tra ciò che è permesso e ciò che dovrebbe esserlo così da dimostrare quanto mal posta questa sia.

Se sapremo condividere le idee di FEMEN e sorridere della genuinità dei loro intenti, avremo fatto un grande passo avanti nell'apertura della nostra mente. Altrimenti loro andranno avanti anche senza di noi.

Giù Le Mani Dai Consultori

Riporto dal sito stesso.

Il Consultorio è uno spazio fondamentale per la prevenzione e la salute delle donne. Gli spazi del Consultorio di via Casilina 711, e quelli di tutti i consultori, non si toccano.

NO alla medicalizzazione dei Consultori.
NO al loro trasferimento nelle ASL.
La ASL RMC vuole dismettere due importanti Consultori romani, quello di via Casilina 711 e quello di via Spencer. Invitiamo tutte e tutti a intervenire, aderire e firmare gli appelli.

IL CONSULTORIO DI VIA CASILINA 711 NON SI TOCCA!
IL CONSULTORIO DI VIA SPENCER DEVE RESTARE DOV'E'!

La ASL RMC vuole dismettere due Consultori, quello di via Casilina e quello di via Spencer, per trasferirli in locali ancora più piccoli e in una zona in cui il Consultorio c’è già.

La notizia è arrivata improvvisamente: tutto è stato deciso in modo poco trasparente, quasi di nascosto, senza informare chi il Consultorio lo vive ogni giorno e ci lavora.

Dei punti di riferimento fondamentali per migliaia di donne scomparirebbero dietro poco credibili quanto imbarazzanti argomentazioni: risparmiare su luce e gas. Ancora una volta, chi amministra la ASL, Regione Lazio in primis, si dichiara pronto a risparmiare sulla pelle di donne che non hanno altri spazi nel quartiere fuorché i Consultori di zona.

Il consultorio è uno spazio fondamentale per la prevenzione e la salute nelle diverse fasi della vita delle donne. Secondo la legge, devono essere uno ogni ventimila abitanti e, nel nostro distretto, sono sottodimensionati. Invece di potenziarli, la ASL RMC decide di ridurne ulteriormente gli spazi, penalizzandoli e snaturandoli, come già ha tentato di fare la giunta Polverini con una proposta di legge che ci riporta indietro di quarant’anni nella conquista dei diritti delle donne.

Chiediamo che gli spazi del Consultorio di via Casilina 711 non si tocchino e il presidio resti dov’è.

Consapevoli del fatto che, da anni, l’asilo ospitato nella stessa struttura ha necessità di più spazi, chiediamo che gli attuali spazi del Consultorio vengano ceduti all’asilo e il Consultorio venga dislocato negli spazi liberi e inutilizzati che si trovano nello stesso edificio.

Non accettiamo la medicalizzazione del Consultorio attraverso il suo trasferimento nella ASL.

Vogliamo Consultori laici, pubblici, gratuiti.

Vogliamo che i Consultori siano luoghi dove le donne possano trovare accoglienza e professionalità.

Vogliamo più Consultori, più spazi e più soldi per gestirli, perché possano funzionare ancora meglio e perché operatori e operatrici possano svolgere il loro lavoro con tempi, spazi e modalità più adeguate.


Puoi firmare su carta presso:

  • Bottega del Commercio Equo, via Macerata 54
  • Consultorio piazza dei Condottireri, presso lo sportello antiviolenza gestito dall'ass. D.A.L.I.A., tutti i lunedì dalle 15.00-18.00
  • Consultorio via Casilina 711
  • Erboristeria Arca Verde, piazza dei Condottieri 2
  • Libreria del Corsaro, via Macerata 46
  • Libreria l'Eternauta, via Gentile da Mogliano 184
  • Tuba, Bazar delle Donne, via del Pigneto 19

Se vuoi contribuire raccogliendo firme in cartaceo:

manda una mail a giulemanidaiconsultori@gmail.com e ti invieremo i moduli per la raccolta delle firme. A firme raccolte, ricontattaci. Grazie!

Fonte: http://giulemanidaiconsultori.blogspot.com

Separati e divorziati a rischio povertà: le donne più vulnerabili degli uomini

Di cosa parlano quelli che strillano all'emergenza povertà per i padri separati? Perché di certo tutte le persone colpite dalla povertà e dal disagio hanno diritto ad essere aiutate, ma che finalità hanno quelli che gonfiano ad arte le statistiche?

Giovedì, 4 marzo 2010 - 13:20:00

Nonostante negli ultimi tempi si senta parlare sempre più spesso di padri separati come nuovi poveri, in Italia sono ancora le donne separate o divorziate, più degli uomini, a soffrire le difficoltà economiche, specie se con figli a carico e con lo spettro della disoccupazione alle spalle. È il quadro che emerge dal più recente rapporto Caritas-Zancan su povertà ed esclusione sociale in Italia, uno studio realizzato su un campione di 80 mila persone delle 600 mila che in tutt’Italia si rivolgono ai centri d’ascolto delle Caritas diocesane. Anche se di poco, infatti, sono più le donne divorziate o separate degli uomini a rivolgersi ai centri di ascolto Caritas. Tra gli italiani che hanno chiesto aiuto, infatti le donne sono il 19,2%, mentre gli uomini il 16,1%.

“Tutto sommato non c’è grossa differenza di incidenza – ha spiegato Walter Nanni, da anni impegnato nello studio dei fenomeni di povertà, marginalità e disagio per l'Ufficio studi della Caritas -. Da una parte ci sono molte donne separate che continuano a stare in famiglia con i bambini e si rivolgono alla Caritas per indigenza economica, mentre tra gli uomini ci sono più situazioni di separati o divorziati tra i senza dimora. Più o meno le situazioni si equivalgono”.

Il divario tra uomini e donne aumenta se si va a estrapolare il dato delle persone con figli a carico. Anche in questo caso sono le donne a fare più fatica. “Nel momento in cui vado a vedere se vivono con i propri figli minorenni – ha aggiunto Nanni -, l’8,5% delle donne che si rivolgono alla Caritas sono donne separate o divorziate con figli a carico nel nucleo, mentre gli uomini in questa situazione sono l’1,8%. A livello assoluto gli uomini in questa condizione sono proprio pochi, un dato così scarso dovuto anche al campione che non conviene neanche darlo”. Tuttavia, spiega Nanni, il quadro d'insieme non è allarmante. “Complessivamente su cento utenti italiani che in un anno si rivolgono alla Caritas per chiedere aiuto in questa situazione di divorziati separatati con minori a carico rappresenta il 5,5%. Per noi è una presenza debole ma che penalizza maggiormente le donne”.

A peggiorare la situazione, in alcuni casi, anche l’assenza o la perdita del lavoro da parte del genitore divorziato o separato con figlio a carico. Sono disoccupate il 4,8% delle donne separate con figlio a carico, mentre il dato per gli uomini è più basso e non raggiunge l’1%. Il dato evidenzia come, nella maggior parte dei casi, le persone divorziate o separate con figli a carico che si rivolgono ai centri d’ascolto “comunque hanno un lavoro ma si rivolgono alla Caritas per diversi motivi. Tuttavia il lavoro non dovrebbe mancare nella situazione di divorziati o separati e con figli a carico”. Leggermente diversa la situazione degli stranieri presenti in Italia che si sono rivolti ai centri d’ascolto Caritas. “Solo l’1,6% di coloro che si rivolgono a noi sono separati e divorziati con figli a carico. Su 100 stranieri che vengono in Caritas solo lo 0,4% è un papà separato con figlio minorenne. Per le donne il dato è 2,5%: più alto perché c’è tutto il fenomeno delle badanti e delle donne dell’Est Europa divorziate o separate e che spesso portano con sé i propri figli”.

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