domenica 11 agosto 2013

Da quante cose viene definita una donna?

Gli acquerelli di Jay ci dicono che:
illustrazione di Jay happyblood.tumblr.com
Dal suo blog:
“Le donne sono fantastiche, non sei d’accordo?
Volevo fare una semplice collezione di belle donne in acquerello, così l’ho fatta. Ho deciso di aggiungere del testo di accompagnamento per dargli una voce. Il mio intento non era quello di abolire ogni stereotipo, ma semplicemente di illustrare donne di varie personalità, tipi di corpo, età ed etnie. Ogni donna è bella!”

illustrazione di Jay happyblood.tumblr.com
E’ la semplice idea di Jay, 20 anni, trans e queer, che studia illustrazione al Ringling College of Art and Design a Sarasota, in Florida.
illustrazione di Jay happyblood.tumblr.com
illustrazione di Jay happyblood.tumblr.com

venerdì 9 agosto 2013

Sul Decreto Legge strumentale alla repressione di Stato e al mantenimento del Governo - contro le donne

Metto qui, di seguito, alcuni post che condivido sul Decreto Legge (il cui testo per intero ancora non è in rete) approvato dal Consiglio dei Ministri, che in teoria dovrebbe contrastare la violenza sulle donne (soprattutto se sei moglie e madre), senza porre in atto NESSUNA prevenzione, trattando esclusivamente di inasprimento delle pene (ma le carceri non erano affollate?), aggravanti e ritorno alla minorità delle donne - per le quali si querela d'ufficio e non c'è possibilità di ritirare la denuncia - quindi si denuncerà molto meno. Magicamente tratta anche di cantieri violati - perché serve un decreto contro la violenza sulle donne per fermare la lotta notav - per cui Marta la si può manganellare e palpeggiare tranquillamente e con lei tutte quelle che lottano per i diritti propri e di tutt@.



20130808_214

Da Abbatto i Muri:
Il Decreto Legge approvato dal Consiglio dei Ministri con norme a contrasto della violenza sulle donne, così come lo vediamo pubblicizzato nei media [1] [2] [3] [4], ha un approccio paternalista e autoritario alla questione, non tiene conto delle proposte delle persone, delle stesse donne che da tanto si occupano del fenomeno e, sul piano della propaganda, impone un piano repressivo inefficace, brandisce aggravanti senza senso e spaccia per nuove alcune soluzioni che esistono già.
Non viene finanziato alcun Osservatorio, utile ad analizzare e definire il fenomeno prima di assumere qualunque decisione, è basato sull’impostazione già espressa dai Ministri Alfano e Cancellieri con l’aiuto della consulente Isabella Rauti per la Violenza di Genere, con l’accordo della vice ministro del Lavoro Dottoressa Guerra che ha già chiarito come le donne vanno tutelate in quanto “risorsa”.
Non stupisce perciò la proposta di aggravanti che colpirebbero uomini che fanno violenza su mogli, madri e ancor meno stupisce l’aggravante per chi userebbe violenza su una donna incinta. Quel che si vuole tutelare, evidentemente, non è la persona ma un ruolo di genere preciso. La lotta contro il femminicidio è dunque rivolta contro chi colpisce donne, madri e mogli, inficiandone la possibilità di essere “risorsa” per la propria peculiarità riproduttiva e il proprio ruolo di cura.
Il Decreto, da quel che si legge, nonostante la difficoltà a reperirne il testo integrale, non si esprime in relazione alla violenza di genere nel suo complesso, includendo gay, lesbiche, trans, migranti rinchiuse nei Cie e separa le vittime in sante e puttane, donne sterili e gravide, soggetti comunque deboli, infantili, incapaci di intendere e volere che incorrerebbero in richiami e sanzioni autoritarie nel caso in cui volessero ritirare una querela.
L’idea della “certezza della pena”, mutuata dalle politiche di destra, con proposta di delazione/segnalazione anonima per denunciare il violento, non ha niente a che fare con un piano preventivo che non interessa il governo. Non interessa investire nella cultura, nell’utilizzo delle reti territoriali esistenti, non interessa in assoluto mettere in discussione gli stessi inneschi culturali che producono discriminazione e violenza nei confronti delle donne. Anzi tali inneschi vengono decisamente riprodotti.
In più il Decreto passa da un argomento all’altro e, coerentemente con l’idea che è sulle forze dell’ordine che decidono di investire invece che su altro, da quel che leggiamo si occupa anche di rafforzare le misure repressive contro chi si oppone in Val Susa alla realizzazione della Tav. Si parla di messa in sicurezza dei cantieri che si traduce in una maggiore militarizzazione ed espropriazione di quel territorio. In più sono previste punizioni più severe per chi osa varcare i confini dell’area in cui è realizzato il cantiere.
Il governo ottiene così consenso su una misura repressiva con l’alibi di norme in difesa delle donne. La lotta contro la violenza sulle donne può essere realizzata legittimando autoritarismo e repressione? E’ possibile allearsi con chi autorizza le forze dell’ordine a manganellare ed arrestare gli/le attivist* #NoTav in nome della lotta contro la violenza sulle donne?
Questo governo si occupa così tanto delle donne che le usa per legittimare soluzioni repressive contro quelle che non restano a casa a fare da madri e mogli. Dunque se resti a casa a svolgere il tuo ruolo di cura forse qualcuno ti dedicherà due righe fingendo di tutelarti. Se invece vai in piazza a rivendicare diritti e a difendere la Val Susa sei cattiva e meriti di essere manganellata.
Sarebbe opportuno, adesso, che tutte le donne che hanno chiaro quello che sta succedendo in Italia sulla pelle delle donne, giacché viene strumentalizzato un tema importante per tante tra noi, si esprimessero e prendessero le distanze dalle posizioni del governo.
E’ questo il momento in cui tante e tanti dovremmo fare sentire la nostra voce perché innanzitutto chi decide di varare un decreto legge su un tema che ci riguarda dovrebbe consultarci e non pianificare strategie che servono solo a fare apparire forte, legittimo, un governo che non è riuscito a fare nulla di concreto per i cittadini e le cittadine che dice di rappresentare. Un governo che giudica prioritaria la costruzione di un’opera inutile e dispendiosa (la Tav Torino-Lione) alla realizzazione di piani concreti che parlino di diritto al reddito, alla casa, alla gratuità di servizi, che aiutino uomini, donne, tantissime persone sempre più piene di problemi economici.
Sono una donna vittima di violenza e non mi interessa l’approvazione di un decreto legge che sancisce un principio: se voglio strumenti di difesa devo innanzitutto legittimare i tutori che useranno i manganelli contro compagni, compagne e amiche che lottano in Val Susa.
Ci sono altre persone, donne, uomini, persone, che hanno voglia di dire con me che tutto ciò non può avvenire in nostro nome?
Not in my name!
Grazie!
  
legittimarepressione
Da dumbles
Oggi hanno partorito il mostroide. Con gran clamore di Evviva! Bene! Bravi! Il governo Letta ha mostrato il costrutto giuridico cioè il DL di prevenzione e contrasto alla violenza di genere.
Tutto il peggio di quello che temevamo, cui avevamo accennato qui: procedimento senza querela di parte, irrevocabilità della querela, delazione, inasprimento delle pene… insomma un dispositivo incardinato  sostanzialmente su due principi: irrilevanza della volontà delle donne (la mancanza di querela di parte corrisponde a questo) e logica “carcerocentrica” come la chiama l’Unione delle camere penali cui pure questo DL non piace perchè demagogico ed inquietante.
…Se è inquietante per loro, figuriamoci per noi…
Ecco, non a caso, nel gioiello di sensibilità verso le donne è ben incastonato un articolo che prevede l’inasprimento delle pene per l’accesso abusivo nei cantieri; quali cantieri? Ma quelli NoTav ovviamente!
Eh già… se “l’assassino ha le chiavi di casa”, può essere che ha anche quelle del cantiere…
D’altra parte è anche vero, visto le violenze e le violazioni sessuali cui è stata sottoposta Marta, militante NoTav.
E qui il picchiatore e molestatore è mandato da chi ti fa il DL a contrasto della violenza di genere.
Il governo delle larghe intese ha trovato il modo di far intendere che difende le donne mentre le considera zero e se ti rompono le scatole (i cantieri) anche le meni. Bene! Bravi! e fess* chi ci crede.
Da Lipperatura:
No, non mi piace. Parlo del decreto legge sul femminicidio così come è stato raccontato. Premetto che non ho avuto modo di studiarlo nei dettagli, e che la sensazione che ho è che la ex ministra Idem avesse un’idea molto diversa (altrimenti, perché convocare le associazioni che si battono contro la violenza, giusto qualche settimana prima di essere messa alla gogna e costretta a farsi da parte?).
Non mi piace perché è un decreto repressivo. E molte di noi hanno detto e ripetuto che nessuna repressione e nessun giro di vite porterà a risultati se non si insiste sulla prevenzione. Scuola. Formazione degli educatori. Libri di testo delle elementari. Educazione al genere, all’affettività, alla sessualità. Da subito. Di questo non si parla.
Non mi piace perché non si parla di centri antiviolenza, e tantomeno della loro moltiplicazione e finanziamento, da quanto è dato almeno capire. Non si  parla di centri di ascolto per uomini abusanti. Non si cerca di capire, formare e prevenire, ma si  pigia sul pedale della guerra fra i sessi, fornendo a chi ancora sputa la parola femminicidio come una caramella mal masticata ottimi argomenti per parlare di espediente securitario.
Non mi piace perché glissa sugli strumenti fondamentali: un osservatorio che monitori i femminicidi, dicendoci quanti sono e come avvengono. Fin qui, le indagini statistiche, come detto centinaia di volte, sono incomplete e generiche.
Non mi piace perché, come ha dichiarato Michela Murgia, la non revocabilità della querela “è una grande responsabilità che lo Stato si assume perché chi impedisce alla vittima di revocare la denuncia deve poter garantire che l’inasprimento degli abusi non ci sarà. O che se ci sarà, la donna verrà protetta. Lo dico perché nella stragrande maggioranza dei casi dal momento della querela le cose per chi ha subito violenze cominciano a peggiorare”. Non solo, aggiunge Michela, “io ho sempre creduto che una donna debba avere la libertà di decidere se vuole o meno denunciare. Per questo non sono molto d’accordo con la procedibilità d’ufficio che prevede anche che possa essere il pronto soccorso a inviare una segnalazione a polizia e carabinieri. Questo vale ancora di più oggi: se una donna, a un certo punto, non se la sente di continuare l’iter processuale, deve poter fare un passo indietro. Non è giusto trasferire questo diritto alle forze dell’ordine. È un’ulteriore sottrazione che si fa a chi di violenze già ne ha subite parecchie”.
Non mi piace perché, come ha scritto Concita De Gregorio, “dire che la pena sarà di un terzo più severa nel caso in cui le vittime siano incinte o mogli o compagne o fidanzate del carnefice è comprensibile, dal punto di vista del legislatore, perché sì che battere una donna che aspetta un bambino o che ha un vincolo di fiducia con chi la aggredisce è più grave. Ma stabilisce anche una discriminazione culturalmente delicatissima verso le donne che non fanno figli e non hanno legami con un uomo. In che senso uccidere una donna non sposata e non madre è meno grave? Vale forse di meno per la società?”.
Non mi piace, perché come ha scritto Enza Panebianco, inserisce misure repressive nei confronti della lotta NoTav, di punto in bianco: ” il Decreto passa da un argomento all’altro e, coerentemente con l’idea che è sulle forze dell’ordine che decidono di investire invece che su altro, da quel che leggiamo si occupa anche di rafforzare le misure repressive contro chi si oppone in Val Susa alla realizzazione della Tav. Si parla di messa in sicurezza dei cantieri che si traduce in una maggiore militarizzazione ed espropriazione di quel territorio. In più sono previste punizioni più severe per chi osa varcare i confini dell’area in cui è realizzato il cantiere. Il governo ottiene così consenso su una misura repressiva con l’alibi di norme in difesa delle donne. La lotta contro la violenza sulle donne può essere realizzata legittimando autoritarismo e repressione? E’ possibile allearsi con chi autorizza le forze dell’ordine a manganellare ed arrestare gli/le attivist* #NoTav in nome della lotta contro la violenza sulle donne?”
Non mi piace perché, a quanto si legge, ha utilizzato la lotta di chi si oppone ai femminicidi e alla violenza sulle donne in chiave rassicurante, consolatoria, paternalista. Perché ha usato quella lotta come un fiore all’occhiello per legittimare l’operato di un governo che definire criticabile è poco.
E’ un passo, mi dicono amiche e compagne di strada. Per me, è un passo falso, compiuto di fretta e compiuto male. In una parola, servirà a poco. La battaglia è culturale, inclusa quella al cyberstalking.
Mi auguro che esista la possibilità di discuterne ancora, nonostante tutto.

giovedì 1 agosto 2013

Andrea.

Perché non cada nel vuoto, perché non si dimentichi.

Storia di Andrea, “la trans di Termini” massacrata alla stazione
-
 La mattina del 29 luglio il suo corpo pieno di lividi e ferite è stato trovato abbandonato al binario 10. 
Andrea aveva solo 28 anni. Sei giorni prima di morire ci aveva raccontato le sue paure e le sue speranze. 
Nonostante tutto.
31 luglio 2013

Fonte redattoresociale.it

Chissà a cosa pensava Andrea ogni notte prima di addormentarsi sopra il suo cartone davanti alla stazione Termini di Roma. Forse pensava alla famiglia in Colombia, a sua madre e a suo padre lasciati quattro anni fa per trovare fortuna in Italia. Forse avrebbe voluto chiamarli, dirgli che la vita non era esattamente come aveva sognato da bambino, quando era ancora un maschio, raccontargli delle botte prese, del braccio rimasto paralizzato, della gamba che si muove a fatica. O forse semplicemente sprofondava subito nel sonno. Era troppo stanca e delusa per pensare.
Certo, non immaginava di morire da sola, ammazzata a bastonate e forse a coltellate nella stazione che era diventata la sua casa. Andrea aveva solo 28 anni. La mattina del 29 luglio il suo corpo pieno di lividi e ferite è stato trovato abbandonato al binario 10.
Tra i viaggiatori che ogni giorno correvano a prendere il treno alla stazione pochi facevano caso a lei. Per tutti era la trans di Termini, quella che passava le sue giornate lungo i binari o davanti all’ingresso della stazione a raccogliere le cicche nei portacenere per racimolare un po’ di tabacco. Un’altra disperata senza nome e senza storia che andava a riempire le file del popolo dei senzatetto della stazione.
Non parlava con chiunque Andrea, non dava confidenza facilmente. La maggior parte del tempo se ne stava seduta a fissare il vuoto. Oppure si trascinava, un passo alla volta, stando attenta a non perdere l’equilibrio, verso la pensilina dell’autobus 714 che l’avrebbe portata alla mensa della Caritas di Colle Oppio a consumare il primo pasto della giornata.
Quando capiva di potersi fidare, però, cambiava espressione, il suo volto bruciato dal sole che dimostrava più anni di quelli che aveva, si illuminava. Così, sei giorni prima di morire ci ha raccontato la sua storia: “La mia casa è Termini, dormo qui da quattro anni. La notte ho paura che qualcuno mi metta le mani addosso”, ci aveva confidato. Andrea era stata aggredita più volte, le avevano rubato il cellulare e il passaporto. “A Ostia un ragazzo mi ha picchiata. Sono stata sette mesi in coma”. Sul suo corpo era rimasto indelebile il ricordo di tutte le botte e i soprusi subiti.
Avrebbe voluto trovare un lavoro ma sapeva che senza documenti, con un braccio paralizzato e una gamba fuori uso, nessuno l’avrebbe mai assunta. Forse è stata proprio la disperazione a spingerla in qualche giro poco raccomandabile di droga o di prostituzione, come ipotizza la polizia. Forse ha chiesto aiuto alle persone sbagliate.
Mentre sorrideva davanti alla telecamera e domandava ridendo se in video veniva bene, Andrea non pensava alla morte. Non pensava di morire pochi giorni dopo con addosso la sua gonna rosa e le sue scarpe da ginnastica. Lei pensava al futuro perché nonostante tutto non aveva perso la speranza. “Vorrei incontrare un ragazzo con tanti soldi che mi faccia lasciare la strada perché è troppa brutta”, ci aveva detto. A ricordare il suo sorriso triste, la sua storia, la sua vita, oggi ci sono solo due o tre senzatetto della stazione, i suoi compagni di viaggio e nessun altro. (Maria Gabriella Lanza)

Fonte redattoresociale.it

Qui l'intervista video.

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