martedì 11 settembre 2012

I nostri no alla zona destinata all’esercizio della prostituzione

Ricevo e condivido il comunicato dell'UDI di Napoli

La proposta del sindaco De Magistris, nelle numerose interviste rilasciate da lui stesso, circa la creazione di luoghi nei quali esercitare la prostituzione è l’ultima nel corpo di un dibattito sorto in seguito alla chiusura, alla fine degli anni 50 del secolo passato, dei bordelli, case nelle quali migliaia di donne vivevano segregate per esercitare la prostituzione. Lo Stato regolava attraverso licenze l’attività, controllava la qualità della prestazione con visite mediche obbligatorie sulle sole donne, traeva profitto da ogni singola “prestazione”. Con la legge 75 del 1958 (detta legge Merlin) lo Stato Italiano pose fine alla sua attività di sfruttamento.

Da allora la prostituzione non è un reato, ma lo è lo sfruttamento delle persone che a qualsiasi titolo la esercitato.

La legge 75 avrebbe dovuto essere una pietra miliare, l’inizio di una nuova civiltà segnata dall’impegno pubblico nella lotta alla più terribile delle schiavitù ancora tollerate.

La prostituzione non è un reato, se rappresenta la libera scelta di una persona. È consapevolezza diffusa e fondata che il numero preponderante delle prestazioni sessuali a pagamento, non corrisponde affatto a transazioni libere e liberamente scelte, ma avviene nell’ambito di contesti criminali dove reclutano donne e una minima parte di uomini in modo schiavistico, usando ricatti, vessazioni e violenze fisiche.

Usare indistintamente il termine prostituzione per tutti i soggetti ai quali i clienti si rivolgono per ottenere prestazioni sessuali, è illusorio ed è una deliberata mistificazione sulla natura criminale e criminogena di un fenomeno strettamente legato alla perpetrazione di alti reati.

La legge 75 si è risolta con la sola chiusura dei bordelli, e da allora gli uomini al potere si sono tenuti ben lontani dall’affrontare il fenomeno criminale che caratterizza lo sfruttamento sessuale, ed anzi è più che mai vivo il desiderio di riorganizzare un servizio per la tutela dei consumatori di sesso a pagamento.

La schiavitù sessuale, cruenta e no, viene ancora vissuta come la risposta necessaria ad un presunto diritto degli uomini a soddisfare la loro eccitazione a qualunque costo. Infondo l’uomo in questa concezione viene considerato portatore di un apparato idraulico da scaricare ciclicamente.

La legge Merlin a distanza di oltre cinquant’anni è rimasta l’unico segno di una diversa concezione delle relazioni sessuali uomo- donna , e a distanza di oltre cinquant’anni lo stato ancora non ha fatto i conti con la propria identità rispetto al rapporto tra generi diversi.

Tutte le proposte che vogliono regolamentare, controllare e circoscrivere la cosiddetta prostituzione, in sostanza, ne affermano la necessari età. Lo Stato rinuncia ad affrontare un crimine e un’ingiustizia proclamando la presunta impossibilità a porre fine ad un fenomeno che come le mafie, di cui il fenomeno è parte, può finire a patto che lo Stato non si arrenda.

La non conoscenza e la confusione dei termini, la propaganda politica rappresentano la sostanza di un attacco ad una legge fondamentale nell’affermazione dei diritti delle donne. Con l’enorme ritardo di oltre cinquant’anni va fatto quello per cui la legge 75 ha posto le basi.
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Per discuterne assieme UDI e cittadin* l'appuntamento è il 25 settembre alle ore 16 presso la sala Pignatiello di palazzo San Giacomo, III piano, Napoli.

lunedì 3 settembre 2012

Ma il cacciatore non era l’uomo?

Scusate la battuta, subito smentita da questo:

La ghigliottina è un atto d’amore. È una passione intensissima che nasce tra cittadini e aristocratici, e che si appaga solo nel possederli pienamente e totalmente. Io ghigliottino soltanto quando sono certa che la mia lama è mortale. Non ho mai ferito gli aristocratici, e non voglio far loro del male
Ama, dunque uccide. Mi ricorda qualcosa.
C’è tanto da dire. Lo faccio con una finta/intervista che ho rivolto ad una me stessa immaginaria. Buona lettura!
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La cittadina Serbilla Serpente, della città di Napoli, fondata dai greci, tanti palazzi storici e splendido mare, comprensivo di isole, porti e vista mozzafiato sulla città, è una ghigliottinatrice passionale. La ghigliottina ce l’ha nel sangue fin da quando era bambina, ed è stata fra le prime ghigliottinatrici donna in Campania, quando usare la ghigliottina era per eccellenza una «cosa da maschi». Tra i suoi trofei: conti, marchesi, principi della chiesa, duchi, e maestosi esemplari di principi cadetti, seconde figlie senza dote e infanti spagnoli. «Anche quindici nobili in una stagione», racconta. «Che poi ho imbalsamato, e li ammiro tutti i giorni».
Oggi, primo giorno di esecuzioni, allieterà i concittadini napoletani.
Serbilla, quando le è nata la passione per la ghigliottina? Com’è che una donna, risaputamente solidale ed empatica, decide di fare la ghigliottinatrice?
«Ce l’ho sempre avuta nel sangue. Nella casa di campagna di Poggioreale (oggi nota come casa circondariale), dove trascorrevo le estati da bambina, avevamo una galleria di lame antiche e di trofei di caccia all’aristocratico. Soprattutto c’era un conte affascinante: io ero attratta da questo conte. A vent’anni ho fatto un patto di sangue, e con il mio compagno boia ho cominciato ad andare alle esecuzioni regolarmente».
Quale è stato il primo trofeo che ha portato a casa?
«Per anni ho mozzato teste solo con il coltello da cucina da ferma e dopo aver narcotizzato con una freccetta avvelenata il nobile di pasaggio sulla via secondaria. La mia prima conquista sono state delle duchessine, in Polonia. Ero emozionatissima: è uscita la scolaresca dal collegio, e sono riuscita a fare il doppio, cioè ad abbatterne due insieme. Una sensazione meravigliosa».
Donna e ghigliottinatrice: nell’immaginario collettivo il boia è uomo per eccellenza. Come si concilia la lama con la femminilità?
«Nella vita ho sempre vissuto passioni forti, anche contrastanti. Non ho mai rinunciato all’esser pienamente donna, coltivando la femminilità, anche un po’ civettuola. Facevo la tarantella, suonavo il tamburello. Nello stesso tempo, ero un maschiaccio, con un carattere forte, e giocavo alla giustizia sommaria con i miei cugini. Quando ho iniziato io a tagliare teste, a fine anni Ottanta del Settecento, eravamo in pochissime, ma non ho mai sopportato preferenze o cortesie di sorta».
Cosa prova quando vede la nobiltà, prende fiato e taglia?
«È una forma di liberazione, è l’adrenalina compressa che ha sfogo. Il cuore batte forte e l’emozione è al massimo. L’esecuzione infatti ha tutta una preparazione e un’attesa, che ha il suo compimento quando si coglie la nobiltà alla sprovvista. È la stessa sensazione di quando ci si innamora. Quando vado a decapitare dei principi della Chiesa, passano anche diversi giorni in cui l’osservo, l’ammiro, lo sogno. C’è come una sorta di corteggiamento, fino a che diventa tuo per sempre. Io taglio infatti solo quando sono certa che la mia lama è mortale. Io non ho mai ferito gli aristocratici, e non voglio far loro del male».
Non c’è contraddizione nel dire che si vuol bene agli umani ghigliottinandoli e uccidendoli?
«Un antico filosofo diceva: se tu uccidi ciò che ami, e ami ciò che uccidi, non domandarti il perché: questo è l’amore. Per me è una storia d’amore, infatti, oltre che di giustizialismo, tra me e l’aristocratico, che si appaga nel momento in cui è tuo per sempre. Così è per tutti i boia».
Ha mai avuto rimorsi o sensi di colpa per aver abbattuto un aristocratico?
«No, perché non c’è crudeltà. È un atto d’amore. Io non abbatto tanto per abbattere, per far numero, per collezionare trofei. Lo faccio perché nasce una passione intensissima tra me e l’aristocratico da giustiziare. Del resto io imbalsamavo tutti gli aristocratici abbattuti, finché poi non sapevo più dove metterli. Mi prendevano in giro perché ho imbalsamato anche una marchesina quattrenne, e non si usa fra i tagliatori perché non ha il trofeo. E invece l’ho imbalsamata vicino al suo papà, perché si facciano compagnia, e si parlino… Su ogni lama sbrecciata metto un’etichetta con il giorno e l’aristocratico abbattuto».
Boia, ma l’aristocrazia la imbalsama soltanto, o la mangia anche.
«Certo che la mangio. È il completamento di questa storia d’amore. Si ama così tanto da farla proprio, da possederla. Nessun altro te la potrà più portare via».
Cos’è che le dà più gioia: l’ammirazione dell’aristocratico e l’attesa, l’abbattimento o il cucinarlo e mangiarlo?
«Direi che è proprio il momento, dopo che hai ghigliottinato, del sapere che l’hai tagliato di netto, che l’hai preso senza deturpare la carne. Io poi lo rimiro, prendo tra le mani la sua testa, l’accarezzo, arrivo fino a baciarlo, in certi casi lacrimo di gioia».
Non guarda mai gli occhi dell’aristocratico ucciso? Non la lasciano turbata? C’è chi è impressionato anche dal vedere un cardinale malato che chiede il non accanimento terapeutico.
«Ma è diverso. Quello è tremendo. Gli aristocratici vanno rispettati, curati, tenuti bene. La ghigliottina è un’altra cosa. Soffrirei se lo ferissi, ma io taglio quando sono certa che è a colpo sicuro».
Ma i ghigliottinatori amano veramente gli aristocratici?
«Certo, basta vedere come rispettano il loro ambiente, curano i palazzi storici, dove si portano i turisti paganti.
Chi le ha insegnato a tagliare?
«Per tantissimi anni ho tagliato con il coltello del pane, e con il miracol blade. Lì è una questione di pratica: più tagli, più impari. Bisogna superare l’esame. Ho dovuto fare dei tagli con un coltello da frutta, non avendo fatto il militare».
Qual è stato il bottino più ricco di una stagione?
«Se parliamo di sangue blu purissimo, è stato il primo anno. Ce l’ho messa tutta, mi sono dedicata molto, e sono riuscita a completare una quota che avevo in Austria, dove mi reco spesso a cacciare».
Cioè, quanti capi?
«Quindici, tra conti, duchi e principi».
Tra le conquiste fatta, qual è quella di cui è più orgogliosa?
«Senza dubbio i principi di casa Savoia. È una cosa inebriante. Bisogna provarlo: con gli avvicinamenti, i tre passi con le pattine, le uniche che permettono di avvicinarsi senza che se ne accorga, anche se durante le trasmissioni televisive sono distratti e non sentono i rumori. E poi aspettare che riprenda il campo per fare altri tre passi con le pattine. Un corteggiamento complicato, ma molto suggestivo».
Quali altre specie caccia?
«Beh, qualche volta i notabili locali. Ricordo un anno, con una arena di canto spettacolare, come l’arena flegrea, e a maggio c’era ancora tantissima neve. Ne ho contati una quindicina, tra maschi e femmine. Ce n’erano due che lottavano fra loro per contendersi l’argenteria, che giravano attorno alla credenza. Insomma, uno spettacolo unico».
Come è avvenuta la scelta della preda da ghigliottinare?
«Punto al più maturo, quello più fatto. Non sparo ai giovanissimi».
È così anche per il secondo genito?
«No, quello non va all’arena di canto. È singolo, sta su un motorino dove passa la notte a fare scippi. Man mano che arriva l’alba si comincia a guardare nei parcheggi, per scoprire dove può essere, finché lo si intravvede e si lancia la fune o il frisbie per colpirlo alla nuca».
Quali altre specie caccia?
«Per anni ho cacciato le eredi delle aristocrazie nordeuropee in vacanza al circolo polare artico. Un’esperienza unica, in tenda, arrivando in area con i cani in una apposita stiva pressurizzata. Poi, una volta sul posto, con l’elicottero o dei piccoli idrovolanti si veniva portati in cima ad una montagna. Ci calavano in mezzo a queste montagne, con le radiotrasmittenti, e poi si cacciava. Dormivamo su pelli diHohenstaufen».
Altri nobili?
«In Istria e in Croazia sono andata a caccia di aristocratici di sangue misto».
Ha mai fatto bracconaggio?
«No, ma penso che la trasgressione faccia un po’ parte della vita. E qualche volta bisogna concedersi un pizzico di trasgressione».
Lei sa che i boia sono spesso contestati. Cosa risponderebbe a chi chiede che la ghigliottina venga proibita?
«Dico che purtroppo non hanno avuto la possibilità di staccare la testa a un nobile e di capire cos’è effettivamente la ghigliottina. Capisco che possono avere questo tipo di reazione, ma solo perché non sanno cos’è la giustizia».
Da fas

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