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sabato 19 gennaio 2013

Stuprata, in due cliniche cattoliche rifiutano di assisterla

A Colonia una donna viene stuprata, in due cliniche cattoliche rifiutano di prescriverle il contraccettivo di emergenza. Questo atteggiamento è in linea con i principi cattolici, ma di certo non è in linea con l'etica professionale e il diritto all'assistenza delle donne.

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Stuprata, rifiutate le cure in due cliniche cattoliche
Polemica in Germania: niente pillola del giorno dopo alla vittima

Non sono bastati la droga prima e lo stupro poi. Il damma è proseguito in ospedale, dove ben due cliniche cattoliche si sono rifiutate di prescriverle la pillola del giorno dopo per bloccare un'eventuale gravidanza.
OBBLIGATORIO PRESCRIVERLA.
La vicenda, che ha visto protagonista una giovane ragazza tedesca, è avvenuta lo scorso 15 dicembre a Colonia, in Germania. Anche se si è saputo solo il 17 gennaio. Suscitando aspre polemiche: «Dopo una violenza sessuale dovremmo fare anche un colloquio per la pillola del giorno dopo e fornire la ricetta», ha risposto un medico della clinica Vinzenz a Irmgard Maiworm, la ginecologa dell'ambulatorio di pronto soccorso cui si era rivolta per prima la giovane, «ma ciò non è conciliabile con i valori cattolici e non lo possiamo fare». Per aver concesso la visita e prescritto la pillola in un caso simile, ha inoltre argomentato preoccupato il medico della clinica cattolica, una collega era stata licenziata.
VIOLENTATA DOPO UNA SERATA CON AMICI.
Stessa incredibile risposta anche dal secondo nosocomio, la clinica del Sacro spirito: «Per una questione morale sono state rifiutate le cure a una donna profondamente traumatizzata. Quale morale è mai questa?», ha commentato Maiworm, che ha denunciato il caso. La violenza era arrivata alla fine di una serata trascorsa con amici. Spaventata la donna aveva chiamato la madre, con cui era subito andata dalla dottoressa Maiworm, che dopo gli accertamenti e la denuncia alla polizia, voleva mandarla nel vicino ospedale per la pillola del giorno dopo e i prelievi utili anche per le indagini: «Per me», ha aggiunto Maiworm, «questa chiesa è medievale».
I VESCOVI: LA PRESCRIZIONE È VIETATA.
L'arcivescovado di Colonia ha negato che negli ospedali cattolici della città possano essere rifiutate le cure a donne che hanno subito violenza: «Presumibilmente ci sarà stato un malinteso». Vietata è solo la prescrizione della pillola del giorno dopo, è scritto in un comunicato stampa sulla vicenda. La giovane è infine stata accolta e curata dall'ospedale evangelico Kalk di Colonia.

Giovedì, 17 Gennaio 2013

Fonte: http://www.lettera43.it/cronaca/stuprata-cure-rifiutate-in-due-cliniche-cattoliche_4367580357.htm

domenica 1 aprile 2012

La pillola dei cinque giorni dopo è un contraccettivo di emergenza

Domani arriverà nelle farmacie la pillola dei cinque giorni dopo cioè il farmaco EllaOne, un contraccettivo d'emergenza, per usufruire del quale in Italia ci sarà bisogno della ricetta medica e di un test di gravidanza.
Le problematiche dei costi, costo del test più costo del farmaco, che rendono inaccessibile questo contraccettivo a gran parte delle donne, italiane e immigrate, appartenenti a una fascia di reddito compresa tra lo zero e il medio basso, si aggravano dovendo avere a che fare i conti con i falsi positivi, che richiedono un secondo test di gravidanza. Da tutto ciò quindi sono escluse le ragazze più giovani, le ragazze e le donne con scarsa o nulla alfabetizzazione, le immigrate. Per di più ci potremmo trovare di fronte un farmacista che, infrangendo la legge, fa obiezione senza coscienza per la donna che ha di fronte, e dovremmo girare per farmacie alla ricerca di qualcuno che invece di odiarle le donne, le considera persone capaci di intendere e di volere, detentrici del diritto di scelta, soprattutto di scegliere una maternità in modo responsabile e di gestire la propria sessualità come meglio credono. Tutto in cinque giorni. Chi parlava delle capacità multitasking della donne non credo pensasse a questo.

Qui sotto un articolo da vita di donna:
Dal 2 aprile nelle farmacie sarà possibile acquistare la nuova contraccezione d'emergenza, cioè la pillola dei cinque giorni dopo.

Questo nuovo farmaco, ulipristal acetato, commercializzato con il nome di EllaOne, è in grado di inibire l'ovulazione fino a cinque giorni dopo il rapporto a rischio.

E' molto più efficace del levonorgestrel, e mantiene la sua efficacia più a lungo e costa 34,98 euro.
E' stato testato, non è un farmaco che possa provocare l'aborto, ma non conoscendo perfettamente il profilo di sicurezza dal punto di vista dei possibili danni a una gravidanza già in corso, l'AIFA ha dato l'obbligo ai medici di prendere visione di un test di gravidanza prima di prescriverlo, unico caso in Europa.
Quest'obbligo è francamente un po' ridicolo. I medici prescrivono tutti i giorni farmaci teratogeni, fra cui vi sono degli antipertensivi, una nota molecola contro l'acne, alcuni antibiotici, e qualche altro, non tanti, in verità.
In nessuno di questi casi però è previsto un test di gravidanza, ma è cura del medico accertarsi, secondo il suo giudizio, in scienza e coscienza, dello stato o no di gravidanza della paziente.
Questo desiderio di prescrivere ai medici cosa devono dire, cosa devono fare, fino alla prescrizione per legge di che esami devono richiedere, è legato non certo a una preoccupazione per i pazienti, che ben altri sarebbero i provvedimenti necessari in questo paese, se si volesse fare l'interesse dei pazienti in una sanità ormai abbandonata alle restrizioni nel pubblico e al cedimento al far west dei privati e della corruzione, dalla Lombardia alla Calabria.
Questo desiderio è invece legato alla volontà di trasformare i medici da una categoria di professionisti, capaci di decidere, scegliere e pensare, a una schiera di ubbidienti esecutori di proclami che vengono emanati altrove, in luoghi in cui si desidera controllare il corpo delle persone e le loro decisioni.
La contraccezione, l'interruzione della gravidanza, la fecondazione assistita, le volontà di fine vita, sono tutti argomenti su cui negli ultimi anni la Chiesa ha tentato non solo di predicare per i propri fedeli, ma di imporre alle Leggi dello Stato, e quindi a tutti i cittadini, il proprio convincimento.
La accompagna la convinzione che tutti quelli che la pensano diversamente siano, poveretti, in errore, e debbano essere difesi, eventualmente con la costrizione, dal peccato che li insidia.
I medici, molta parte di essi, rivendicano la loro appartenenza alla comunità internazionale degli scienziati, e protestano contro leggi che nel resto del mondo non esistono, e con le quali la comunità internazionale non concorda.
Lisa Canitano
1 aprile 2012

domenica 5 giugno 2011

Le 30 mila lavandaie-schiave d'Irlanda E nessuno che almeno chieda loro scusa

Le donne "perdute" in custodia di quattro ordini religiosi, dal 1922 al 1996, chiuse a lavare panni gratis agli ordini delle suore cattoliche, a subire violenze psicologiche, fisiche, spesso sessuali. Il Comitato contro le torture delle Nazioni Unite chiede ora un'inchiesta, cosa che dovrebbe obbligare la Chiesa a rendere conto dell'accaduto di ALESSANDRA BADUEL
 
GINEVRA - Per le donne perdute d'Irlanda non c'è giustizia, né identità. Niente scuse, né indennizzi. Non ancora, dopo 18 anni. In 30mila, secondo le stime, sono passate per le lavanderie gestite da quattro ordini religiosi, fra il 1922 e il 1996. Scelte perché, appunto, Maddalene "perdute" alla causa di una famiglia cattolica osservante: categoria che tutto includeva, dalla madre nubile alla piccola ladra, passando per il carattere ribelle e quella troppo bella e corteggiata, arrivando fino a chi aveva l'unica "colpa" di essere stata violentata, come è accaduto a Mary-Jo McDonagh, una delle poche che poi hanno avuto la forza di testimoniare sui successivi abusi nella lavanderia che doveva "salvarla". Espulse spesso adolescenti da famiglie e comunità che non le volevano, quelle ragazze finivano chiuse a lavare panni gratis agli ordini delle suore cattoliche, a subire - anche - regolari violenze psicologiche, fisiche, spesso sessuali.

Non sono bastate le molte denunce. Ma non è bastata la prima scoperta di alcuni casi nel 1993, non è bastato il film di denuncia The Magdalene Sisters di Peter Mullan nel 2002, condannato senza incertezze dal Vaticano, né sono bastati libri, opere teatrali, canzoni di autori come Joni Mitchell (in Turbolent Indigo, album del '94, poi di nuovo in Tears of stone 1 nel '99) e ancora poesie, poemi, racconti susseguitisi dagli anni 90 a oggi. Non è servito il documentario The Forgotten Maggies di Steven O'Riordan, che nel 2009 ha raccolto molte delle loro storie vere. Non è servito neppure l'esempio dello scandalo della pedofilia degli ultimi anni, davanti al quale la Chiesa è invece arrivata a scusarsi. Sulle Maddalene, gli ordini religiosi e lo Stato irlandese non ci sentono.

Nessuno chiede almeno scusa.
In questi giorni a Ginevra il Comitato contro le torture dell'Onu 2 ha chiesto all'Irlanda di aprire un'inchiesta sulla vicenda, gesto che peraltro dovrebbe obbligare anche la Chiesa e in particolare gli ordini religiosi coinvolti a rendere conto dell'accaduto. A denunciare la situazione al Comitato, che sta compiendo l'esame periodico delle condizioni dei diritti umani all'interno di ogni Stato membro, è stato il gruppo irlandese Justice for Magdalenes 3 (Jfm), appoggiato dal parere favorevole della Irish Human Rights Commission 4. "Il governo - spiega Claire McGettrick del Jfm - continua a non scusarsi, a non ordinare un'inchiesta, a non risarcire le donne, perlomeno con una pensione, per quello che noi definiamo un sistema di tortura durato settant'anni, del quale a sua volta l'Irlanda dovrebbe chiedere conto ai quattro ordini religiosi che gestivano le lavanderie.

Alcune di loro sono ancora nei conventi. Non saprebbero dove andare. Altre non hanno mai denunciato nulla. E ci sono i parenti, che non sanno niente del loro destino. Sono morte, spesso, ma senza un nome sulla tomba, come si scoprì nel '93". Fu la prima conferma di quello che l'arte aveva cercato di denunciare fin da Eclipsed, una commedia scritta all'inizio degli anni 90 da Patricia Burke-Brogan sulla sua esperienza di Maddalena trent'anni prima. I quattro ordini religiosi coinvolti hanno nomi serafici. The Sisters of Mercy, The Sisters of Charity, The Good Shepherd Sisters, The Sisters of Our Lady of Charity. All'inizio, quasi un secolo fa, le Maddalene erano davvero prostitute, come quella dei Vangeli, inviate dalle suore perché le spingessero verso la purificazione e la trasformazione in Sorelle di Santa Margherita.

Da prostituta a "donna perduta". Presto però il concetto di "prostituta" si allargò a molte altre: le "donne perdute". Incluse quelle che la stessa polizia irlandese, o le assistenti sociali dello Stato, portavano a scontare in quei conventi-laboratorio una pena sospesa per qualche piccolo reato lavando camicie. Le lavanderie intanto diventarono un affare sempre più lucrativo, con di nuovo lo Stato irlandese coinvolto come committente per le lenzuola e i panni di esercito e ospedali, commesse per le quali le suore ricevevano buoni compensi, soprattutto a fronte di una mano d'opera che non costava nulla oltre al vitto, naturalmente scarso.

La Chiesa declina ogni responsabilità. Gli ordini religiosi non parlano. Nel 2010 il cardinale Sean Brady, allora primate della Chiesa d'Irlanda 5, oltre a tentare di scusarsi per le vittime della pedofilia - scandalo per il quale fu poi costretto a dimettersi, ricevette una delegazione di Justice for Magdalenes. Davanti alle loro richieste, replicò che l'esposizione dei fatti gli pareva onesta ed equilibrata, poi aggiunse: "Per gli standard di oggi, molto di quel che accadde all'epoca è difficile da comprendere". E li invitò a capire che il problema non riguardava la Chiesa ma gli ordini religiosi che gestivano le lavanderie. La richiesta d'incontro rivolta da Justice for Magdalenes alla Conference of Religious of Ireland 6 è stata respinta lo scorso ottobre.

Lo Stato nega il coinvolgimento. Ma anche i tentativi, in corso da anni, di coinvolgere lo Stato irlandese perché promuova un'inchiesta e assicuri un compenso alle sopravvissute, oltre a sostenere la loro causa verso la Chiesa, non hanno avuto risultati. Lo scorso 24 maggio, interrogato a Ginevra dal Comitato contro le torture delle Nazioni Unite in rappresentanza del governo irlandese, Sean Aylward, segretario generale del dipartimento della Giustizia 7 e capo della delegazione convocata dall'Onu, ha replicato negando tutto. Secondo lo Stato irlandese, gli abusi sono avvenuti "tanto tempo fa e in istituzioni private", il dipartimento non ha mai ricevuto denunce in materia, la maggior parte delle donne è entrata volontariamente nelle lavanderie o, se minorenne, con il consenso dei parenti o di chi ne aveva la tutela. Inoltre, una sola lavanderia, a Dublino, sarebbe stata usata dallo Stato come centro di carcerazione preventiva, solo per pochi giorni alla volta e inoltre con ispezioni che non riscontrarono abusi. Il governo, ha concluso Aylward, sta comunque considerando la maniera in cui affrontare il problema. Come l'Irlanda ripete da tempo, ma senza risolversi ad agire, perlomeno fino alla convocazione da parte del Comitato contro le torture Onu.

Si aspetta giustizia.
Ora, come negli ultimi 18 anni, attendono giustizia sia quelle poche che hanno saputo denunciare, sia tutte le altre di cui nessuno sa quante siano: le molte rimaste in silenzio per paura e quelle, prive di mezzi, costrette a vivere ancora nelle congregazioni. Ci sono i corpi di quante morirono, ma non hanno una lapide. E ci sono i figli di quelle Maddalene imprigionate perché gravide o già mamme da nubili. Un altro numero imprecisato: quello dei bambini che grazie alle lavanderie della redenzione non hanno mai conosciuto le loro madri.
(04 giugno 2011)

Fonte: http://www.repubblica.it/solidarieta/cooperazione/2011/06/04/news/le_30_mila_lavandaie_irlandesi_schiavizzate_e_nessuno_che_chiede_almeno_scusa-17220017/?ref=HREC2-7 

domenica 29 maggio 2011

Osservatore Romano ribadisce: “No a condom, neanche per evitare contagio tra coniugi”

[Ricordati che devi morire, possibilmente tra atroci sofferenze - e non fare nulla per evitarlo!]

In un articolo pubblicato oggi su L’Osservatore Romano, il professor Juan José Perez-Soba, docente di Teologia Morale presso la Facoltà di Teologia San Damaso di Madrid e presso il Pontificio Istituto Giovanni Paolo II per gli Studi su Matrimonio e Famiglia, ribadisce l’approccio restrittivo della dottrina cattolica sull’utilizzo del preservativo. Alcune dichiarazioni del papa, pubblicate nel libro-intervista Luce nel mondo erano state accolte come delle aperture sull’uso del condom (Ultimissima del 20 novembre 2010), ma erano state prontamente ridimensionate dal portavoce vaticano padre Federico Lombardi (Ultimissima del 21 novembre 2010). Perez-Soba conferma infatti che un atto sessuale “realizzato col preservativo non può essere considerato un atto pienamente coniugale nella misura in cui è stato volontariamente privato dei suoi significati intrinseci”. Quindi rimane vietato l’uso del condom in una coppia di coniugi, anche se uno dei due è sieropositivo. Perez-Soba continua scrivendo che nel caso vi sia “possibilità insuperabile del contagio” (cioè se è impossibile non contagiarsi ), la coppia può “di comune accordo adottare la decisione di astenersi dall’avere rapporti sessuali per ragioni di salute”. L’accademico sostiene inoltre che, “sebbene l’uso del preservativo in un singolo atto possa avere una certa efficacia nella prevenzione del contagio dell’AIDS”, “non è comunque in grado di garantire una sicurezza assoluta neanche nell’atto in questione” e “meno ancora nell’ambito dell’intera vita sessuale”. Per questo “è quindi improprio indicarne l’uso come un mezzo efficace per evitare il contagio”, sentenzia, “presentare il preservativo come una soluzione al problema è un grave errore” e “sceglierlo semplicemente come pratica abituale è una mancanza di responsabilità nei confronti dell’altra persona”. Intanto il Vaticano ha inaugurato una conferenza sul tema dell’AIDS (Ultimissima di oggi)

Via UAAR

domenica 31 ottobre 2010

Halloween?

Stanotte è la notte delle streghe per la tradizione anglosassone, i morti ritornano a camminare sulla terra, anche nella tradizione cristiana si ricordano i defunti, quale occasione migliore per ricordare quei 9 milioni e passa di streghe messe al rogo dall'Inquisizione? donne - e qualche uomo - guaritrici, esperte di piante e cucina, erboriste antelitteram, ma il più delle volte solo ed unicamente vittime della maldicenza, dell'interesse economico della chiesa cattolica, che provvedeva a sottrarre i beni all'accusata nel momento dell'arresto, perchè tanto, dall'accusa di stregoneria, non si tornava indietro.
Stuprate, variamente torturate, bruciate vive, le streghe sono tornate negli anni Settanta autonominandosi, autodeterminandosi.

Piccola bibliografia stregonesca:

Streghe di carta
Streghe del passato
Caccia alle streghe Inquisizione

More about Accusa: stregoneria! Otto casi per l'inquisitore......

domenica 10 agosto 2008

E' estate, vietato abortire donna rimane in corsia

L'intervento terapuetico negato a una paziente ricoverata al San Camillo di Roma
L'unico anestesista non in ferie è obiettore e si è rifiutato di operare

La diagnosi prenatale parla di "feto idrocefalo e displasia renale bilaterale"
di LAURA SERLONI

ROMA - Tutti in ferie gli anestesisti non obiettori del centro per le Interruzioni volontarie di gravidanza dell'ospedale San Camillo-Forlanini. E una donna resta bloccata quattro lunghi giorni in astanteria, aspettando l'aborto terapeutico. Dolori lancinanti e stress, ma nessuno interviene. Tutto rimandato a lunedì. Nella speranza che, nel pieno della settimana ferragostana, si trovi un medico non obiettore disponibile a infilarsi il camice.

La diagnosi, stilata da un centro di Verona specializzato in analisi prenatale, è chiara. Parla di "feto idrocefalo e displasia renale bilaterale". In altre parole il cervello del piccolo sarebbe pieno di liquido amniotico e proprio per la malformazione ai reni non riuscirebbe a respirare fuori dal grembo materno. La patologia è stata riscontrata solo al quinto mese di gravidanza. E l'unica soluzione prospetta dai sanitari è l'aborto terapeutico, ma i tempi sono strettissimi. Per la legge 194, l'interruzione di gravidanza non può essere eseguita oltre la ventiduesima settimana. Restano quattordici giorni, durante i quali bisogna riuscire a trovare un centro per l'intervento.

L'ospedale più vicino per la donna è quello di Borgo Roma nel veronese. "Nonostante i numerosi referti che indicano la gravissima patologia - racconta il marito - volevano far fare a mia moglie altri accertamenti e protrarre i tempi. Ma le condizioni erano così critiche che rimandare ulteriormente l'intervento mi sembrava una follia. Così ci hanno consigliato di venire al San Camillo, ma qui la nostra via crucis continua".

La paziente martedì arriva a Roma. Non ci sono stanze. O meglio, nel reparto di Ostetricia è disponibile un solo letto per l'interruzione volontaria di gravidanza. Per la carenza di infermieri non c'è posto nel padiglione di Ginecologia. Il giorno dopo la trentenne viene ricoverata con urgenza. Passano le ore. Niente. Le vengono somministrati farmaci per indurre il parto, ma l'utero non si allarga. Nel sangue è alta la concentrazione di medicinali. La pressione arteriosa è flebile. Per i sanitari, l'unica soluzione è l'intervento chirurgico. Occorre l'epidurale per garantire l'effetto sedante. Ma nell'ospedale non si trovano anestesisti, sono in vacanza e sul piano delle presenze la scritta "in ferie" corre sui vari nomi.

L'unico di turno, obiettore di coscienza, si rifiuta di procedere. Quindi, l'operazione è rinviata. A quando non si sa. Gli spasmi sono lancinanti. Gli antidolorifici fanno effetto, ma la donna è costretta a restare sdraiata, immobile nel letto, ancora per giorni. Il fine settimana è off limits. Si ferma anche la somministrazione di farmaci per indurre il parto perché il sangue si depuri. "Se ne riparlerà lunedì", tagliano corto i medici.

"Non mi hanno dato nessuna certezza - si sfoga la paziente - e la cosa assurda è che sono in balia del caso e delle vacanze dei sanitari. Finora mi sono solo sentita ripetere "si vedrà". Non mi hanno dato dei tempi certi e il termine per eseguire l'aborto scade giovedì, poi sarò costretta a tenere il bambino fino al nono mese, ma nascerà comunque morto. Se volessi cambiare ospedale dovrei ricominciare tutto daccapo: altri accertamenti, nuove visite, ancora impegnative e ulteriori affanni. Così molte donne sono costrette ad andare all'estero, dove tutto sembra più semplice". Insomma, gli stessi problemi sono rimandati all'inizio della settimana prossima, sperando che allora scendano in campo anestesisti non obiettori. Altrimenti bisognerà aspettare ancora.

(9 agosto 2008)

Fonte: repubblica.it

giovedì 21 febbraio 2008

Sacrario erotico

di Lea Melandri

“L’identificazione non con il bambino (persona distinta dalla madre) ma con il feto (parte indifferenziata della madre) è alla base degli interventi ‘per la vita’ del papa, un’identificazione che cancella la vita della madre spostandola dalla persona reale a quella virtuale: è la vita del feto, parte nobile della madre, a decretare la vita o la morte di lei…la donna muore e il figlio è la sua rinascita, la sua resurrezione”.
La contrapposizione violenta fra vita della madre e vita del feto da parte della Chiesa cattolica - scrive Luisa Accati nel suo libro Il mostro e la bella (Raffaello Cortina Editore 1998)- cresce dalla fine del ‘500, dal Concilio di Trento a oggi, dal momento in cui avviene “il passaggio all’autorità ecclesiastica, cioè a un gruppo per norma costituito da uomini e solo da uomini celibi, del controllo sulle donne, per quanto riguarda sia il matrimonio sia la morale sessuale”.
Con la vittoria dei figli sui padri, la Vergine Madre diventa il simbolo del divieto di incesto per gli uomini: “Vergine Madre significa che la madre rimane sempre vergine per il figlio, cioè sempre inaccessibile sessualmente. Il simbolico in tanto è politicamente efficace in quanto converte la difficoltà degli uomini a separarsi dalla madre in una contraddizione della identità delle donne: fa di un problema degli uomini un compito delle donne”.

La coppia madre-figlio, su cui si può ipotizzare si siano costruite le figure della dualità -femminile/maschile, biologia/storia, corpo/mente, ecc.-, nonostante i cambiamenti che ha subito nel corso del tempo e ad opera di culture diverse, conserva i segni di un amore che si è configurato fin dall’origine indisgiungibile da un atto di guerra: il ‘desiderio primordiale’ del figlio di tornare a fondersi col corpo della madre si è convertito storicamente nel dominio dei padri, nell’imposizione di un modello unico di sessualità, penetrativo e generativo, impugnato come un’arma in difesa dell’identità maschile.
Il luogo da cui si origina la vita è diventato teatro della più feroce e più duratura legge di sopravvivenza -morte tua, vita mia-, anche se non sempre la nascita del figlio ha comportato la morte fisica della madre, ma quella morte di sé che è il sacrificio del proprio desiderio, dei propri interessi, della propria esistenza come persona.
L’onnipotenza attribuita alla madre, come corpo che genera da sé e che può riprendersi in ogni momento la parte che si è da lei separata, ha il suo corrispettivo in quella del figlio che, capovolte le parti, torna da adulto a celebrare la ‘vittoria sul trauma della nascita’, occupando una terra che considera propria, carne della sua carne.

La fecondazione diventa allora il traguardo essenziale della sessualità maschile, prova visibile del potere generativo dell’uomo e conferma della sua potenza virile. Se i contadini del mio paese –come di tutti i paesi del mondo- si vantavano al bar di aver messo incinta le loro mogli, Sàndor Ferenczi, uno dei più interessanti allievi di Freud, nel saggio Thalassa (1924), introduce suggestivi scenari marini per attribuire al coito la certezza dell’uscita da pericolose acque materne:
“Quando l’unione più intima tra due esseri umani di sesso diverso si è realizzata grazie alla costruzione di un ponte fatto di baci, abbracci e penetrazione del pene, allora si combatte la lotta finale e decisiva fra il desiderio di donare e di conservare la secrezione genitale…Allorché, con l’eiaculazione la lotta finisce, la secrezione si separa dal corpo dell’uomo, ma in modo tale che questa secrezione si trova messa la riparo in un luogo sicuro e appropriato, all’interno del corpo femminile. Tuttavia, questa sollecitudine ci induce a supporre che vi sia anche un processo di identificazione tra la secrezione e l’Io: in tal senso il coito potrebbe fin d’ora implicare un triplice processo identificatorio: identificazione dell’intero organismo con l’organo genitale, identificazione con il partner e identificazione con la secrezione genitale…tutta questa evoluzione, comprendente quindi anche il coito, non può avere altro scopo se non un tentativo dell’Io di tornare all’interno del corpo materno, situazione nella quale la frattura così dolorosa tra l’Io e il mondo ancora non esisteva…Nell’atto sessuale non si tratta semplicemente di deporre in luogo sicuro il prodotto della secrezione, ma anche dell’instaurarsi di uno stretto rapporto tra questo atto e la fecondazione.”

Abituati come ormai siamo, dalle tecnologie riproduttive, a parlare di spermatozoi e ovociti, gameti e embrioni, come fossero persone, la “favola filogenetica” di Ferenczi, che vede nel “membro virile” un “piccolo Io in formato ridotto”, spinto dalla nostalgia a tornare alla sua dimora originaria, e a riattraversarla per essere sicuro della propria nascita, non può che fare tenerezza. Rispetto all’ “immacolata concezione” del culto cattolico di Maria e all’ “immacolata fecondazione” dei laboratori scientifici, dove il desiderio e la sessualità scompaiono persino dalla memoria, il corpo a corpo tra l’uomo e la donna qui è ancora al centro della nascita, prima di sparire dietro l’abbraccio fusionale, desiderato e temuto, della madre e del figlio. Non sfugge a Ferenczi l’aspetto “cruento” del coito: la lotta di due avversari che tentano di “forzare l’accesso al corpo dell’altro”, le armi che garantiscono il privilegio maschile, le compensazioni dietro cui la donna nasconde la sua sconfitta.
“Noi supponiamo che sia la regressione ipnotica alla situazione intrauterina a stordire la femmina al momento della conquista, e che la riproduzione fantasmatica di questa situazione ottimale le fornisca una compensazione per essere costretta a subire l’atto sessuale che, in sé, è per lei fonte di pena”. Difficile trovare una definizione più realistica della vicenda che ancora oggi unisce e contrappone un sesso all’altro -“una grandiosa lotta il cui esito doveva decidere su quale dei due dovessero ricadere le cure e le sofferenze della maternità, nonché il ruolo passivo della genialità”-, e delle sue conseguenze psicologiche -“la donna possiede una saggezza e una bontà innate superiori a quelle dell’uomo, in compenso l’uomo deve contenere la propria brutalità sviluppando maggiormente l’intelligenza e il super-Io morale”.

La campagna contro l’aborto e il fronte opposto, schierato alla difesa delle leggi che in vari Paesi del mondo ne garantiscono la praticabilità, hanno quasi sempre in comune, oltre al rituale ossessivo della ripetizione, la tendenza a farne una “questione femminile”, sia che la vedano come colpa, dramma, o autodeterminazione, libertà di scelta della donna. Gli uomini, nella veste di accusanti o di difensori solidali, possono parlarne con la distanza di chi non è parte in causa, con la premura o la violenza di chi sa di avere a che fare con la ‘risorsa’ più preziosa per la continuità della specie.

Mi stupisco sempre, dopo oltre trenta anni di femminismo, che si possa parlare di gravidanze, desiderate o indesiderate, senza risalire a quell’antecedente che è la sessualità. Eppure sono tante le ragioni che spingono verso questa ‘cesura’, a partire dalla forza con cui il movimento delle donne ha attaccato l’identificazione della donna con la madre, per arrivare all’effetto di cancellazione operato dalle tecnologie riproduttive, al lento spostamento della nascita fuori dal corpo della donna, fuori da corpi pensanti e desideranti, sedimento di storie individuali e collettive.

La ‘naturalizzazione’ del rapporto tra i sessi affiora oggi vistosamente sulla scena pubblica come riduzionismo biologico, e trova al suo fianco l’alleato di sempre: la religione. Ma, insieme al fondamento ideologico di un dominio divenuto ‘senso comune’, struttura portante e indiscussa di tutte le civiltà costruite dall’uomo, si va facendo strada anche la consapevolezza della centralità che ha avuto finora la coppia madre-figlio nello sviluppo della storia umana.
Non è un caso che sia una “religione del Figlio”, la Chiesa cattolica romana memore del Concilio di Trento, a reagire con particolare virulenza alla rottura di un ‘ordine naturale e divino’ fondato sul sacrifico materno, oggi incrinato dalla secolarizzazione dei costumi e, soprattutto, dall’affermarsi di una soggettività femminile meno vincolata al destino che le è stato imposto. Nel progressivo eclissarsi delle due figure genitoriali, sempre meno necessarie nella fase iniziale del processo riproduttivo, e della madre stessa per il progredire delle tecniche di rianimazione di feti prematuri, è il prete ad assumere su di sé la figure della madre e del figlio nascituro, a farsi paladino di una idea di ‘Vita’ che ha perso ogni consistenza corporea e sessuale.

L’ “immaginario sacro cristiano” - come nota Luisa Accati- non ammette l’Eros, anzi rappresenta la fertilità come una madre casta”, ma la mariologia è “carica di fantasmi incestuosi”, che oggi, per arginare il ‘libertinismo’ sessuale delle donne, trascolorano nella fredda, necrofila sacralizzazione di feti e embrioni. Nell’affannosa corsa per portare il figlio in salvo dal risorto ‘potere di vita e di morte’ delle madri, la schiera degli ecclesiastici si è sorprendentemente arricchita di “atei devoti”, di “comunisti creaturali”, di politici ‘realisticamente’ decisi a cercare consenso a qualunque costo.

Spirito di crociata e pragmatismo cinico contribuiscono a spingere il sacro verso le sue più arcaiche parentele con la magia, il sensazionalismo, l’orrido e lo stupefacente, che la televisione ha oggi il potere di amplificare, contaminare e diffondere a dismisura. Ne abbiamo avuto un saggio nella diretta di Porta a Porta su Lourdes, altre manifestazioni si annunciano con l’esposizione di reliquie di santi e con la riesumazione del cadavere di Padre Pio. L’ambiguità del sacro -“lordura e santità”, “puro e impuro”- è oggi più che mai scoperta, mentre sembra scomparire la materia prima del “perturbante”: il corpo femminile, la sua fantasmatica onnipotenza generativa e sessuale.
Per ritrovarla, basta scostarsi dal circo mediatico che occupa la scena pubblica e scavare nei luoghi che ancora conservano traccia di un sentire profondo, lucido nella sua visionarietà, veritiero nella sua spudoratezza, trasgressivo e, al medesimo tempo, quasi banale nella sua fedeltà a ‘sensi’ comuni.

In una insolita ‘scrittura di esperienza’ -Arnaldo Bressan, Esercizi laterali di piacere (edizioni del leone 1993)- il legame tra sessualità e fecondazione svela l’immaginario che lo sorregge, il desiderio incestuoso che impronta la vita sessuale adulta, piegando la relazione tra uomini e donne verso quel primo corpo a corpo che formano insieme la madre e il figlio.

“Solo nell’eventualità o nel rischio dell’impregnanza il piacere è obbligato alla propria profondità, intensità e luce…La capisco. Infine, rischia lei sola: il ventre ‘occupato’ per nove mesi, il, parto, le conseguenze. Ma soltanto se considera la gravidanza un peso, dolore il parto e la maternità una schiavitù: se non esce dal banale e dal kitsch e non li sente come passaggi di piacere simili a quelli che dall’alba la conducono, fatalmente, al mezzogiorno di sé.”

“Lo si chiami neotenia, simbiosi, istinto, bisogno, amore materno, piacere: lei riepiloga in esso l’evoluzione e la storia, nostra e di ogni altra specie; e soltanto in questo senso di onnipotenza si svela l’irrefrenabile mistero per cui sulla Terra, ogni anno, centinaia di milioni di donne partoriscono dove le condizioni per farlo sono più proibitive; e che da noi ci siano donne che letteralmente impazziscono pur di avere un figlio.”
“Partorire, sì. Ma allattare, Francisca: inturgidirsi, ergersi, penetrare!...sentirsi venir meno di languore nel salire ed eiacularsi del suo latte: denso e lento, o chiaro e sottile, seme amoroso tra verginali labbra cieche e fameliche, contro una gola che esige da lei -con unghie convulse e schiumose gengive- il solo rapporto incestuoso e omosessuale considerato naturale, consentito da tutti e glorificato da millenni (anche se le Madonne che allattano, sicuramente per il loro aspetto troppo conturbante, sono assai meno frequenti di quelle in stato di frigida quiete rispetto al Bambino).”

La “carne più bramata”, quella di cui ogni essere umano conserva memoria e “privati simboli corporei”, è la stessa che incontra nella sua vita sessuale adulta, cristallizzata nel ruolo che le ha assegnato un ‘ordine’ senza tempo: genere, entità collettiva senza volto, “centro” di quella “vasta cattedrale” che è l’infanzia -per usare una suggestiva immagine di Virginia Woolf-, ma anche linea continua di una dipendenza filiale che finisce quasi sempre solo con la morte.
Combattere solo con le armi della razionalità la feroce, impietosa misoginia che anima la “crociata” dei “figli celibi” e dei loro adepti, non servirà a molto, se non si comincia a scalfire l’immaginario con cui raccoglie consenso, ma soprattutto se non si mette in discussione il dominio che l’uomo gli ha costruito sopra.

questo articolo è apparso nell'inserto domenicale di Liberazione del 17 febbraio 2008

con il titolo Il segreto dei feticisti: concupiscono la madre



Da: universitadelledonne.it

lunedì 21 gennaio 2008

Aborto: lettera aperta di Paolo Pobbiati, presidente di Amnesty International Italia

(18/09/2007)

Al presidente della Cei, Angelo Bagnasco. “Mai detto che l’aborto è un diritto umano, difendiamo le donne che hanno subito violenza sessuale. Mai ricevuti né sollecitati finanziamenti dalla Santa Sede.”

“Eminenza,

ieri, in occasione dell’apertura dei lavori del Consiglio episcopale, Ella ha voluto commentare la politica adottata da Amnesty International, lo scorso mese di agosto, su alcuni specifici aspetti riguardanti l’aborto.

A questo proposito mi permetto di fare alcune considerazioni. Nonostante le numerose precisazioni e smentite che siamo stati costretti a fare nell’ultimo mese (e che, peraltro, il quotidiano “Avvenire” ha rifiutato di pubblicare, in spregio al diritto di replica), Ella ha attribuito ad Amnesty International un’affermazione mai fatta: che l’aborto sia stato da noi considerato un diritto umano.

Ieri, Ella ha voluto indicare Amnesty International tra i responsabili di una crisi morale del nostro paese, per il semplice fatto che la nostra associazione, dopo tre anni di ricerca e di missioni in paesi in cui la violenza sulle donne è tanto diffusa ed endemica quanto impunita, ha voluto prendere le difese delle migliaia e migliaia di donne che ogni anno subiscono stupri (sulle nostre strade, durante le guerre così come nei tanti Darfur che hanno luogo tra le mura domestiche) e delle migliaia e migliaia di donne che vanno in carcere o rischiano la pena di morte per aver cercato di interrompere una gravidanza a seguito di violenza sessuale o perché essa mette a rischio la loro vita o quella del nascituro. Donne derise e umiliate, cui viene negata giustizia, che vedono i loro stupratori girare impuniti, davanti al portone di casa o a un campo profughi.

I resoconti delle nostre missioni in Darfur sono pieni di testimonianze di donne che ci raccontano che preferiscono uscire loro dalle tende, perché se lo fanno gli uomini verranno uccisi dalle squadre della morte sudanesi, mentre loro, le donne, verranno ‘solo’ stuprate. In situazioni di guerra, lo stupro è diventato una vera e propria arma di distruzione di massa. Nell’ex Jugoslavia, in Ruanda e in Darfur sono tantissime le donne che sono state violentate sistematicamente perché partorissero un ‘figlio del nemico’.

Alla violenza devastante dello stupro, queste donne devono aggiungere quella che poi ricevono dalla comunità di origine, che spesso le considera impure o addirittura responsabili di ciò che hanno subito. Vengono isolate, allontanate, picchiate e talora uccise.

In tali condizioni, quali argomenti si possono imporre a una donna che sceglie di non portare avanti una gravidanza frutto di violenza, magari subita da quegli stessi uomini che un attimo prima hanno massacrato, davanti ai suoi occhi, il marito e i figli?

Quella che Le ho descritto è la realtà che molte missioni di ricerca di Amnesty International hanno conosciuto, nel corso della nostra campagna ‘Mai più violenza sulle donne’. Una realtà che ha portato due milioni di soci a scegliere di prendere una posizione. Amnesty International non auspica, non chiede che una donna violentata abortisca, ma se decide di farlo, vogliamo che non sia obbligata a rischiare la propria salute. Chiediamo, inoltre, che non finisca in prigione per aver preso quella decisione.

Amnesty International ha deciso di profondere il massimo impegno per eliminare le condizioni che favoriscono la violenza sessuale nei confronti di centinaia di migliaia di donne ogni anno. Come abbiamo ribadito anche nel corso del nostro Consiglio internazionale, svoltosi ad agosto in Messico, Amnesty International lavorerà per contrastare tutti quei fattori che favoriscono gravidanze indesiderate o che contribuiscono a portare una donna a scegliere di abortire.

Questo è il cuore della posizione di Amnesty International, che però non trova menzione nelle Sue parole di ieri né nelle precedenti dichiarazioni di altri autorevolissimi esponenti della Chiesa Cattolica.

Infine, Le sarà probabilmente noto che Amnesty International non ha mai ricevuto, poiché a norma del suo Statuto non potrebbe mai sollecitarli né accettarli, finanziamenti dalla Santa Sede. La ‘sospensione’ di tali finanziamenti è tuttavia riportata oggi da alcuni organi di stampa, nel contesto delle critiche che Ella ha rivolto alla nostra associazione.

Nel massimo rispetto per il Suo ruolo e per la Sua persona, Le chiedo la disponibilità a lavorare insieme ad Amnesty International perché si pongano in essere tutte le misure necessarie, legislative ma anche di educazione e informazione sulla salute sessuale e riproduttiva, affinché si riducano al massimo i rischi di gravidanze indesiderate e, di conseguenza, si riduca l’incidenza del ricorso all’aborto.

Mi auguro, Eminenza, di ricevere una Sua cortese risposta.

Con i miei più deferenti saluti”

Paolo Pobbiati
Presidente della Sezione Italiana
di Amnesty International


FINE DEL COMUNICATO
Roma, 18 settembre 2007

Per ulteriori informazioni, approfondimenti e interviste:
Amnesty International Italia - Ufficio stampa
Tel. 06 4490224 - cell. 348-6974361, e-mail: press@amnesty.it

Fonte: Amnesty International

domenica 20 gennaio 2008

Amnesty International precisa la propria posizione sull’aborto e replica al Cardinale Martino:

(13/06/2007)

mai ricevuti finanziamenti da Vaticano o da organizzazioni che dipendono dalla Chiesa Cattolica

La Sezione Italiana di Amnesty International, in relazione alle dichiarazioni del cardinale Renato Martino (rif: comunicato stampa del 13 giugno del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace), secondo cui a seguito della “presa di posizione arbortista di Amnesty International (…) conseguenza inevitabile di tale decisione sarà la sospensione di ogni finanziamento a Amnesty da parte delle organizzazioni ed anche dei singoli cattolici”, precisa di non aver mai ricevuto finanziamenti dal Vaticano o da organizzazioni che dipendono dalla Chiesa Cattolica.

Lo Statuto internazionale dell’organizzazione per i diritti umani recita, all’art. 1: “Amnesty International è indipendente da governi, partiti politici, chiese, confessioni religiose, organizzazioni, enti e gruppi di qualsiasi genere e svolge la propria attività prescindendo da ogni tendenza a loro propria”.

Rispetto alle altre affermazioni del cardinale Martino, Amnesty International precisa che nell’aprile 2007 ha adottato una propria policy su alcuni specifici aspetti riguardanti l’aborto.

Questa policy ha avuto origine nel contesto della campagna “Mai più violenza sulle donne”, che ha messo in luce la drammatica realtà di donne e bambine vittime di violenza sessuale e che subiscono ancora oggi le conseguenze della violazione dei loro diritti sessuali e riproduttivi. La sua adozione è stata preceduta da una lunga consultazione internazionale tra le Sezioni Nazionali, i Gruppi e i soci dell’associazione.

La policy adottata consentirà all’associazione di occuparsi di questioni specifiche riguardanti l’aborto, nella misura in cui queste sono direttamente legate alle attività di Amnesty International sul diritto alla salute e sulla violenza contro le donne.

Amnesty International pertanto chiederà agli Stati di:

• fornire a uomini e donne informazioni complete riguardanti la salute sessuale e riproduttiva;
• modificare o abrogare le leggi per effetto delle quali le donne possono essere sottoposte a imprigionamento o ad altre sanzioni penali per aver abortito o cercato di abortire;
• garantire che tutte le donne con complicazioni sanitarie derivanti da un aborto abbiano accesso a trattamenti medici adeguati, indipendentemente dal fatto che abbiano abortito legalmente o meno;
• garantire l’accesso a servizi legali e sicuri di aborto a ogni donna la cui gravidanza sia dovuta a una violenza sessuale o a incesto o la cui gravidanza presenti un rischio per la sua vita o la sua salute.

Sulla base della policy adottata, Amnesty International:

• non svolgerà campagne generali in favore dell’aborto o di una sua generale legalizzazione;
• non giudicherà se l’aborto sia giusto o sbagliato;
• non consiglierà a singole persone di proseguire o interrompere una gravidanza;
• non prenderà posizione sul fatto che una donna debba o meno abortire nelle circostanze sopra descritte, ma chiederà agli Stati di assicurarle la possibilità di ricorrere all’aborto in maniera sicura e accessibile e di prevenire gravi violazioni dei diritti umani correlate alla negazione di questa possibilità;
• naturalmente, proseguirà a opporsi a misure di controllo demografico coercitive come la sterilizzazione e l’aborto forzati.

FINE DEL COMUNICATO Roma, 13 giugno 2007



Per ulteriori informazioni, approfondimenti e interviste:
Amnesty International Italia - Ufficio stampa
Tel. 06 4490224 - cell. 348-6974361, e-mail: press@amnesty.it

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