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lunedì 30 giugno 2008

Cina, insabbiato l'omicidio-stupro proteste, bruciati edifici governativi

La vittima aveva solo 15 anni. Per la famiglia è stata violentata e uccisa
Il colpevole sarebbe il parente di un politico. La polizia dice che è stato un suicidio

PECHINO - Corre su internet, passando di blog in blog, la protesta che chiede giustizia per la morte di una ragazza cinese di quindici anni, stuprata e uccisa nel sud-ovest della Cina, dal parente di un politico locale. La foto del suo volto è diventata il simbolo di una rivolta che ieri ha messo a ferro e fuoco le strade della zona di Wengan, nella provincia di Guizhou e che ha portato diecimila persone in piazza. Una folla inferocita per il tentativo delle autorità di insabbiare il caso facendolo passare per un suicidio. I manifestanti indignati hanno dato alle fiamme commissariati, edifici governativi e auto della polizia. Negli scontri con le forze dell'ordine ci sono stati un morto, più di centocinquanta feriti e duecento arrestati, tra cui decine di studenti intervenuti per chiedere chiarezza sulla vicenda.

I disordini sono cominciati dopo la conclusione dell'inchiesta sulla morte della ragazza, trovata cadavere in un fiume. La sua famiglia afferma che è stata violentata prima di essere uccisa. Ma le autorità hanno tentato di archiviare il caso come suicidio. I forum locali sulla rete sostengono che l'autore della violenza e dell'omicidio è il parente di un alto dirigente politico della zona, che le autorità non hanno voluto incriminare. Sul web circolano anche immagini impressionanti delle manifestazioni, degli incidenti e degli edifici bruciati.

"I cittadini erano molto arrabbiati per l'ingiustizia perpetrata dalle autorità locali", ha detto alla Reuters Huang, un funzionario locale. "Circa 10mila persone si sono radunate e hanno dato alle fiamme l'edificio che ospita la sede locale del partito, altri edifici pubblici e una ventina di macchine della polizia", ha detto Huang. Che ha spiegato che i manifestanti hanno persino tagliato i tubi dell'acqua in dotazione ai pompieri, per impedire che spegnessero il fuoco.

Secondo l'International Center for Human Rights and Democracy, che ha base a Hong Kong, l'escalation della violenza si è verificata quando centinaia di studenti si sono radunati di fronte al locale ufficio di pubblica sicurezza per chiedere giustizia sul caso della giovane. La polizia ha usato la forza per disperdere la folla.

Prima di cercare di insabbiare il delitto, le autorità hanno tentato anche di pagare i familiari della vittima. Il funzionario ha rivelato, infatti, che la famiglia ha respinto l'offerta, a titolo di risarcimento, di una somma equivalente a 300 euro, poi diventati 3.000 euro, da parte delle autorità. I dimostranti hanno fatto una colletta il cui ricavato servirà alla famiglia per denunciare le autorità locali e sostenere le spese legali.

(29 giugno 2008)
Fonte: repubblica.it

venerdì 15 febbraio 2008

Il grande dolore di Silvana "Ma non potevo fare altro"

Parla la 39enne che ha abortito: il bimbo era morto poche ore prima dell´intervento
"Il grande dolore di Silvana "Ma non potevo fare altro"

I dubbi, gli esami, l´interrogatorio
di G.D.B.
«Sarebbe stato il mio primo figlio. Lo volevo a tutti i costi, Ma come si fa a sospettare che sarei ricorsa all´aborto per disfarmene? Sapesse il dolore che ho provato quando ho saputo che il bimbo non sarebbe stato normale».

Silvana, napoletana, vive ad Arzano con la mamma, è una donna mingherlina alta poco più di un metro e 60. Sta per lasciare la stanza del Policlinico dove è stata ricoverata. E dove, l´altroieri, è stata sottoposta a un incessante interrogatorio da cui non si è ancora ripresa. «Assurdo, ero appena rientrata dalla sala operatoria», sibila scuotendo la testa.

Silvana, chi le ha detto che il bimbo aveva una grave malattia?
«Per sicurezza, vista l´età, 39 anni, mi sono sottoposta ad amniocentesi alla sedicesima settimana nell´ospedale di Frattamaggiore. Era il 18 gennaio e la diagnosi me l´hanno data il 31. Sul foglio c´era scritto "Sindrome di Klinefelter". Parole incomprensibili per me. Poi mi hanno spiegato».

Cosa le hanno detto?

«Che si trattava di una malattia che comporta ritardo mentale, problemi al cuore, diabete e l´assenza di alcuni ormoni».

Per questo ha deciso di abortire?
«Certo. E che altro avrei potuto fare? Non ho avuto il benché minimo dubbio, è stata una decisione istantanea. Mai avrei messo al mondo, da sola tra l´altro visto che non sono sposata, un bimbo che poi avrebbe sofferto per il resto della vita. E non mi si venga a parlare di egoismo, la mia è stata una scelta che va nella direzione opposta».

Quando è arrivata al Policlinico?
«Il 31 gennaio, la prima volta, per fare tutte le indagini preliminari, dai prelievi di sangue all´elettrocardiogramma, compresa la visita dallo psichiatra».

E che le ha detto?
«Che la mia salute psichica sarebbe stata a rischio se non abortivo. E venerdì scorso mi sono ricoverata nel reparto di Ostetricia dove avevo conosciuto il dottor Leone. A lui avevo portato il referto e poi manifestato la volontà di abortire. La decisione è stata mia. Nessuno è intervenuto in questo senso. Il giorno prima ero stata anche al Cardarelli per sottopormi a consulenza genetica, me lo avevano chiesto gli specialisti del Policlinico per spiegarmi meglio la situazione del bimbo e della sua patologia. Intanto ero entrata nella 21esima settimana».

Quindi in tempo.
«Sì, mi avevano detto che si poteva fare entro la 23esima settimana. Per tre giorni mi hanno dato dei farmaci per stimolare le contrazioni dell´utero. Ma lunedì alle 11 il medico mi ha rifatto l´ecografia e si è accorto che il feto era morto».

Quindi?
«Ho continuato con la terapia e finalmente alle 6 e mezza di sera ho abortito. Poi mi hanno portato in sala operatoria e, con l´anestesia, mi hanno ripulito l´utero».

Poi, di nuovo in camera.
«Sì, e dentro c´era la poliziotta pronta a interrogarmi. Io non capivo cosa stava succedendo, ero ancora sotto l´effetto della narcosi».

Cosa voleva sapere da lei?
«Sono stata massacrata, un terzo grado: come era successo, perché avevo abortito, chi era il padre. Addirittura se avevo pagato».

Pagato chi?
«Sospettavano che avessi dato soldi ai medici per abortire. Insistevano. E poi sono passati anche a Veronica, la compagna di stanza ricoverata per gravidanza a rischio. Mi sono trovata in una situazione assurda appena fuori dalla sala operatoria».

Sporgerà denuncia?
«Ci sto pensando, visto il trattamento che la polizia mi ha riservato, avendo già affrontato un trauma terribile che mi fa ancora soffrire».

(13 febbraio 2008)

fonte: repubblica.it

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