venerdì 15 febbraio 2008

Il grande dolore di Silvana "Ma non potevo fare altro"

Parla la 39enne che ha abortito: il bimbo era morto poche ore prima dell´intervento
"Il grande dolore di Silvana "Ma non potevo fare altro"

I dubbi, gli esami, l´interrogatorio
di G.D.B.
«Sarebbe stato il mio primo figlio. Lo volevo a tutti i costi, Ma come si fa a sospettare che sarei ricorsa all´aborto per disfarmene? Sapesse il dolore che ho provato quando ho saputo che il bimbo non sarebbe stato normale».

Silvana, napoletana, vive ad Arzano con la mamma, è una donna mingherlina alta poco più di un metro e 60. Sta per lasciare la stanza del Policlinico dove è stata ricoverata. E dove, l´altroieri, è stata sottoposta a un incessante interrogatorio da cui non si è ancora ripresa. «Assurdo, ero appena rientrata dalla sala operatoria», sibila scuotendo la testa.

Silvana, chi le ha detto che il bimbo aveva una grave malattia?
«Per sicurezza, vista l´età, 39 anni, mi sono sottoposta ad amniocentesi alla sedicesima settimana nell´ospedale di Frattamaggiore. Era il 18 gennaio e la diagnosi me l´hanno data il 31. Sul foglio c´era scritto "Sindrome di Klinefelter". Parole incomprensibili per me. Poi mi hanno spiegato».

Cosa le hanno detto?

«Che si trattava di una malattia che comporta ritardo mentale, problemi al cuore, diabete e l´assenza di alcuni ormoni».

Per questo ha deciso di abortire?
«Certo. E che altro avrei potuto fare? Non ho avuto il benché minimo dubbio, è stata una decisione istantanea. Mai avrei messo al mondo, da sola tra l´altro visto che non sono sposata, un bimbo che poi avrebbe sofferto per il resto della vita. E non mi si venga a parlare di egoismo, la mia è stata una scelta che va nella direzione opposta».

Quando è arrivata al Policlinico?
«Il 31 gennaio, la prima volta, per fare tutte le indagini preliminari, dai prelievi di sangue all´elettrocardiogramma, compresa la visita dallo psichiatra».

E che le ha detto?
«Che la mia salute psichica sarebbe stata a rischio se non abortivo. E venerdì scorso mi sono ricoverata nel reparto di Ostetricia dove avevo conosciuto il dottor Leone. A lui avevo portato il referto e poi manifestato la volontà di abortire. La decisione è stata mia. Nessuno è intervenuto in questo senso. Il giorno prima ero stata anche al Cardarelli per sottopormi a consulenza genetica, me lo avevano chiesto gli specialisti del Policlinico per spiegarmi meglio la situazione del bimbo e della sua patologia. Intanto ero entrata nella 21esima settimana».

Quindi in tempo.
«Sì, mi avevano detto che si poteva fare entro la 23esima settimana. Per tre giorni mi hanno dato dei farmaci per stimolare le contrazioni dell´utero. Ma lunedì alle 11 il medico mi ha rifatto l´ecografia e si è accorto che il feto era morto».

Quindi?
«Ho continuato con la terapia e finalmente alle 6 e mezza di sera ho abortito. Poi mi hanno portato in sala operatoria e, con l´anestesia, mi hanno ripulito l´utero».

Poi, di nuovo in camera.
«Sì, e dentro c´era la poliziotta pronta a interrogarmi. Io non capivo cosa stava succedendo, ero ancora sotto l´effetto della narcosi».

Cosa voleva sapere da lei?
«Sono stata massacrata, un terzo grado: come era successo, perché avevo abortito, chi era il padre. Addirittura se avevo pagato».

Pagato chi?
«Sospettavano che avessi dato soldi ai medici per abortire. Insistevano. E poi sono passati anche a Veronica, la compagna di stanza ricoverata per gravidanza a rischio. Mi sono trovata in una situazione assurda appena fuori dalla sala operatoria».

Sporgerà denuncia?
«Ci sto pensando, visto il trattamento che la polizia mi ha riservato, avendo già affrontato un trauma terribile che mi fa ancora soffrire».

(13 febbraio 2008)

fonte: repubblica.it

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