La donna era su una barca da immersioni insieme ad altre dieci persone
"Sapevo di essere in un paese musulmano: non mi facevo vedere mai in costume"
Il dramma di un'italiana alle Maldive
Nel Paese lo stupro non è reato: "Mi hanno detto che non c'è una legge"
di CATERINA PASOLINI
"Io, violentata nel paradiso dei turisti"
Il dramma di un'italiana alle Maldive
Un atollo delle Maldive
ROMA - Ultima notte di quiete nel paradiso dei turisti tra spiagge bianche, acque limpide e barriere coralline. Poi all'improvviso la violenza. "Sento ancora le sue mani addosso, il cuscino premuto sulla bocca fino a togliermi il fiato per non farmi gridare, mentre quell'uomo mi schiaccia, mi imprigiona col suo peso e mi stupra".
Per una giovane architetta bolognese in vacanza in barca alle Maldive con un gruppo di dieci subacquei il sogno pagato 1300 euro con un biglietto last minute si è trasformato in un inferno. Violentata da un marinaio dell'equipaggio, trattata come una che "ha avuto un brutto sogno", guardata con "indifferenza dalla polizia di Malé tanto lì la violenza contro le donne non è neppure considerato un reato".
Elena, nome, città e mestiere di fantasia per proteggere chi ha già subito troppo, parla con tono pacato ma la rabbia è profonda come la ferita di chi ha subito una doppia violenza. E si sente trattato come una cosa, come un oggetto neppure degno di essere protetto dalla legge, che punisce i ladri ma non gli stupratori. "La violenza mi poteva capitare ovunque, a Milano come a Roma, ma almeno da noi è reato". Un delitto contro la persona dal '96, prima era solo contro la pubblica morale.
Parla, racconta, rivive cercando di mettere una barriera di distacco, senza enfasi, con la lucidità di chi vuole giustizia. Con la concretezza di chi è abituato a girare il mondo, di chi ha viaggiato dall'Africa all'oriente, conosce mondi e tradizioni diverse e non metterebbe mai in imbarazzo chi ha culture opposte. "Tanto che sapendo di essere in un paese musulmano non stavo in costume anche perché facendo quattro immersioni al giorno si viveva praticamente con la muta", dice. Quasi ci fosse bisogno di sottolineare che lei non ha messo in tentazione nessuno, che non cercava avventure. Come se dovesse giustificarsi per aver subito violenza.
"Siamo partiti a fine novembre, ci siamo ritrovati a Malé con la comitiva italiana, tutti appassionati di fondali, e il giorno dopo siamo partiti per la crociera". Ogni giorno un atollo diverso, una barriera nuova accompagnati dal doney, la piccola imbarcazione per le gite con le bombole, oltre alla barca dove dormivano turisti e nove persone di equipaggio.
Una settimana da sogno. Poi la violenza. "Quella notte l'equipaggio maldiviano deve aver bevuto, non ci sono abituati. Verso le quattro di notte mi sveglio, c'è qualcuno nella mia stanza, mi si getta addosso mi preme il cuscino sulla faccia mi violenta senza che riesca a gridare. Quando ce la faccio a divincolarmi scappa nel buio e io finalmente chiamo aiuto".
Accorrono gli altri turisti, ma l'atteggiamento del capitano è ambiguo. "Mi dice: è stato solo un brutto sogno, però si scusa a nome dell'equipaggio e mi chiede di non chiamare la polizia". Ma Elena ha già parlato col console italiano che le ha consigliato di fare la denuncia e con un carabiniere che era in barca si fa portare dalla police a Malè. "Raccolgono la mia versione, mi dicono che tanto lì non c'è una legge per la violenza alle donne, ma io non mi fermo. Voglio giustizia, voglio che tutti sappiano come sono le leggi in certi paesi, cosa può accadere se un tour operator organizza le cose in modo superficiale".
(14 dicembre 2007)
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