Torre Annunziata, era con il fidanzato in tenda sulla spiaggia
La coppia aggredita da tre giovani. Sotto il tiro delle pistole hanno trascinato lei in auto e poi li hanno rapinati
torre annunziata - Cercavano denaro e telefonini. Per questo all´una di notte piombano su una spiaggetta terra di nessuno, sabbia vulcanica impregnata di abbandono e rifiuti. Sollevano di peso la tenda canadese sotto la quale dorme una coppia di turisti tedeschi, David e Sandra, di 27 e 25 anni, e li minacciano con due pistole. Ma quando pesano un così magro bottino, appena 50 euro, puntano i fari della moto sulla camicia da notte di Sandra. Gliela strappano: e il programma cambia. Per David e Sandra, studi in meteorologia per lui, psicologa lei, comincia un lungo incubo. Lo stupro, gli insulti, il terrore. Fino alla denuncia presentata in commissariato. E alle polemiche in ospedale, dove trovano «scarsa sensibilità, superficialità». Poi la corsa verso il primo aereo diretto in Germania, da Capodichino. «Addio Italia».
Un assalto choc. A 48 ore dallo stupro di Roma, un´aggressione che sembra troppo simile a quella consumata contro la coppia di olandesi per non immaginare un effetto emulazione. Ipotesi avallata anche dalla giovanissima età di uno degli aggressori, fermato ieri dalla polizia: 16 anni, figlio di un boss ergastolano della camorra.
«Bella», è la parola d´ordine degli stupratori. Una parola ossessiva, l´unica che Sandra, bionda, slanciata, occhi chiari ormai devastati dallo choc e dalla rabbia, ricordi in italiano durante la sua lunga deposizione.
È appena passata l´una di notte quando comincia l´incubo: i due dormono sotto la tenda, la zanzariera abbassata, il rumore del mare. «Ci eravamo fermati lì - spiega Sandra agli inquirenti, quasi ad anticipare la domanda - perché tornavamo da un centro commerciale di Pompei, che dista pochi chilometri. Abbiamo attraversato queste stradine che costeggiano il mare da un lato e le ferrovie dall´altro. Quando siamo arrivati non era così desolato, c´era una spiaggetta nera con altre coppiette in auto, ci sembrava romantico. E difatti ci siamo addormentati guardando il mare». Ma il film dell´orrore è dietro l´angolo.
Racconta Sandra: «Durante la notte abbiamo sentito il nostro cagnolino, che non stava in tenda con noi, ma nella cuccia dentro la nostra auto parcheggiata lì accanto, che abbaiava forte. Ci siamo sporti. C´erano tre ragazzi che picchiavano con la pistola contro i vetri dell´auto». Dopo pochi minuti, la banda si accorge della tenda e la solleva. David e Sandra sono soli, in pigiama, di fronte ai carnefici. Offrono il denaro, il telefonino. Ma non basta. Uno di loro tocca la donna, un altro punta una delle due pistole sulla tempia di David. «Ehi - grida lei - Non fateci del male, vi diamo anche l´auto, tutto». Non serve. I tre minacciano David per quaranta minuti, rinchiuso sotto la tenda, con una pistola sulla tempia: immobilizzato. E abusano di lei. Per ben cinque volte.
La costringono ad obbedire con un´altra arma puntata sui lunghi capelli. Uno per volta, i tre stupratori entrano in auto con lei. Ogni fa la sua richiesta, la violenta a suo modo. Prima un giro completo del gruppo, mentre Sandra piange e cerca di divincolarsi. Ma ogni volta che ci riprova, la gang si riunisce con le due pistole sopra la faccia del suo fidanzato. Quando tutti e tre i carnefici vengono soddisfatti, Sandra scappa fuori dell´auto con le poche forze che restano. Ma si sbaglia, non è finita.
Il primo la riafferra per i capelli. La riporta dentro. Ricomincia un altro giro. Le gridano un´altra parola che le resta impressa: lingua. Fino a quando Sandra sviene. E i balordi forse si spaventano e scappano.
La Procura di Torre Annunziata coordina l´inchiesta, il vertice Diego Marmo, il vice Raffaele Marino. In manette finisce subito Luigi S., 16 anni, rampollo di una famiglia di camorra legata al defunto padrino Gionta. L´adolescente viene bloccato sull´uscio della chiesa dove suo fratello maggiore sta per sposarsi. Addosso ha una pistola, nascosta nel calzino. «Io non so niente, di quale aggressione parlate?». È muto sui complici. Ma i due turisti lo riconoscono come uno dei responsabili. Prima in foto, poi - dolorosamente - dal vivo, attraverso il vetro all´americana del commissariato di Torre Annunziata. David e Sandra partono in serata. Alle spalle, si lasciano quell´Italia che dovevano girare per due mesi. E anche il cadavere del loro cagnolino: trovato più tardi quasi sgozzato, sulla spiaggia dello stupro.
CONCHITA SANNINO
Fonte:repubblica.it
sabato 30 agosto 2008
Giovane turista israeliana violentata nel Catanzarese
La giovane, in vacanza con il fidanzato, aggredita e picchiata da due uomini
Dopo la discoteca sarebbe stata condotta dai due in un capannone
CATANZARO - Una ragazza israeliana di 19 anni è stata violentata da due giovani a Catanzaro, dopo una nottata trascorsa in discoteca. La ragazza è stata trovata in stato confusionale dagli agenti di una volante nella zona di Germaneto, alle porte del capoluogo, e ha raccontato di essere stata aggredita, picchiata e violentata. La turista, però, non ha saputo fornire indicazioni né sugli aggressori, né sull'auto a bordo della quale i due l'avrebbero fatta salire.
Le indagini sull'episodio sono condotte dalla squadra mobile di Catanzaro. La ragazza è in vacanza a Montepaone insieme al fidanzato, un ragazzo italo-argentino, col quale vive a Londra. Secondo quanto è emerso dalle prime indagini, dopo essere stati a cena il ragazzo è tornato in albergo a dormire mentre la ragazza è andata in una discoteca di Pietragrande, dove è rimasta sino alle 5 del mattino.
Verso le 6.30 un operaio ha telefonato al 113 dicendo di avere visto una ragazza in stato confusionale che camminava sulla strada provinciale di Germaneto. Agli agenti giunti sul posto, la ragazza ha fornito un racconto confuso di quanto sarebbe successo. La giovane ha raccontato ai poliziotti, che due giovani, che avrebbe conosciuto in discoteca, le hanno offerto un passaggio sino all'albergo, ma poi l'avrebbero aggredita in un capannone alla periferia di Catanzaro.
Quando è stata trovata dagli agenti, poco lontano dal capannone, aveva graffi, lividi e leggere ferite su varie parti del corpo. E' stata accompagnata in ospedale, dove è stata curata e sottoposta agli accertamenti per verificare se ha effettivamente subito violenza. Dovrebbe guarire in quattro giorni per alcune contusioni sull'avambraccio. Dagli esami fatti, non è risultato che la turista fosse sotto l'effetto di sostanze stupefacenti. La polizia ha disposto accertamenti anche sui vestiti indossati dalla ragazza israeliana, nel tentativo di individuare eventuali tracce biologiche.
L'israeliana conoscerebbe bene la Calabria, al punto che era stata fermata nel corso dell'estate dai carabinieri della Compagnia di Soverato, che l'avevano identificata nel corso di alcuni controlli. Ai militari dell'Arma, la giovane aveva dichiarato di essere domiciliata a Siderno, un centro del reggino.
(28 agosto 2008)
Fonte:repubblica.it
Dopo la discoteca sarebbe stata condotta dai due in un capannone
CATANZARO - Una ragazza israeliana di 19 anni è stata violentata da due giovani a Catanzaro, dopo una nottata trascorsa in discoteca. La ragazza è stata trovata in stato confusionale dagli agenti di una volante nella zona di Germaneto, alle porte del capoluogo, e ha raccontato di essere stata aggredita, picchiata e violentata. La turista, però, non ha saputo fornire indicazioni né sugli aggressori, né sull'auto a bordo della quale i due l'avrebbero fatta salire.
Le indagini sull'episodio sono condotte dalla squadra mobile di Catanzaro. La ragazza è in vacanza a Montepaone insieme al fidanzato, un ragazzo italo-argentino, col quale vive a Londra. Secondo quanto è emerso dalle prime indagini, dopo essere stati a cena il ragazzo è tornato in albergo a dormire mentre la ragazza è andata in una discoteca di Pietragrande, dove è rimasta sino alle 5 del mattino.
Verso le 6.30 un operaio ha telefonato al 113 dicendo di avere visto una ragazza in stato confusionale che camminava sulla strada provinciale di Germaneto. Agli agenti giunti sul posto, la ragazza ha fornito un racconto confuso di quanto sarebbe successo. La giovane ha raccontato ai poliziotti, che due giovani, che avrebbe conosciuto in discoteca, le hanno offerto un passaggio sino all'albergo, ma poi l'avrebbero aggredita in un capannone alla periferia di Catanzaro.
Quando è stata trovata dagli agenti, poco lontano dal capannone, aveva graffi, lividi e leggere ferite su varie parti del corpo. E' stata accompagnata in ospedale, dove è stata curata e sottoposta agli accertamenti per verificare se ha effettivamente subito violenza. Dovrebbe guarire in quattro giorni per alcune contusioni sull'avambraccio. Dagli esami fatti, non è risultato che la turista fosse sotto l'effetto di sostanze stupefacenti. La polizia ha disposto accertamenti anche sui vestiti indossati dalla ragazza israeliana, nel tentativo di individuare eventuali tracce biologiche.
L'israeliana conoscerebbe bene la Calabria, al punto che era stata fermata nel corso dell'estate dai carabinieri della Compagnia di Soverato, che l'avevano identificata nel corso di alcuni controlli. Ai militari dell'Arma, la giovane aveva dichiarato di essere domiciliata a Siderno, un centro del reggino.
(28 agosto 2008)
Fonte:repubblica.it
giovedì 28 agosto 2008
Dopo l' orrore un altro choc in ospedale per i medici non avevo subito violenza
NAPOLI - Non solo l' inferno della violenza subita dal branco sulla spiaggia di Rovigliano. Quando entra nel pronto soccorso del San Leonardo di Castellammare di Stabia, Sandra è agitata, ancora sotto choc. Si trova in un paese straniero, vive attimi tragici, è appena uscita da un incubo e ancora non è fuori del tutto. Si aspetta di ricevere cure e adeguato sostegno psicologico, vista la delicatezza del momento. Arriva in ambulanza accompagnata anche dalla polizia che ha raccolto la sua prima denuncia. Viene soccorsa e visitata dai medici del 118: trenta giorni di prognosi per lesioni ed escoriazioni. Tuttavia i sanitari non riscontrano i segni della violenza, ne mancano le tracce. La ragazza insiste, al giudizio di chi l' ha visitata contrappone la propria disperazione: «Eppure mi hanno violentato». All' uscita dall' ospedale Sandra ribadisce quanto ha detto fino ad allora, e lancia accuse pesanti: «Sono stati superficiali. Mi hanno trattato con troppa leggerezza. Ora voglio solo andarmene, ripartire, tornare a casa». Parole che si abbattono come macigni sulla struttura ospedaliera. Nella tragedia, anche l' idea di un possibile errore del presidio sanitario di Castellammare. Gennaro D' Auria, direttore generale dell' Azienda sanitaria locale Napoli 5, a poche ore dalle accuse della ragazza, annuncia: «è stata aperta un' inchiesta interna. Se qualche medico ha sbagliato, pagherà. Se dovesse essersi verificata qualche disattenzione, verrà accertato. Qualsiasi carenza sotto il profilo dell' assistenza psicologica sarà perseguita. Due commissari sono già al lavoro». Tempi stretti per le indagini: «Nelle prossime ore saremo in grado di stabilire cosa è accaduto». Arturo Fomez, responsabile medico del pronto soccorso, respinge ogni accusa di superficialità: «Il medico del 118 ha riscontrato una sindrome ansiosa depressiva. La ragazza inoltre aveva un trauma alla caviglia sinistra». Sandra viene trasferita al secondo piano dell' ospedale per la visita ginecologica. Sono le 3.20 di domenica notte. «Accuse infondate contro i miei colleghi. La violenza carnale avrebbe lasciato segni», dice Fomez. Invece non ne vengono riscontrati né annotati sul referto consegnato alla polizia. C' è comunque un fatto che confermerebbe quanto raccontato dalla giovane psicologa: il ginecologo del San Leonardo ritiene di dover prescrivere alla ragazza la pillola del giorno dopo. E propone alla paziente il ricovero per ulteriori accertamenti il giorno seguente alla violenza da lei denunciata. Ma Sandra rifiuta e firma per le dimissioni. Uno dei casi in cui il referto medico definisce anche il reato del quale saranno accusati gli indagati. «Potrebbe trattarsi semplicemente di uno sfogo, e sarebbe del tutto comprensibile - commenta il direttore della Asl D' Auria - in un momento come quello può esserci una forma di rimozione. Ma non possiamo escludere niente. Anche se l' ospedale recentemente, in altri casi, si è distinto per la rapidità dei soccorsi». Sorge il dubbio che possano esserci state difficoltà di comunicazione dovute alla lingua: Sandra non parla italiano. Ma i ginecologi negano anche questa eventualità: «Conoscevamo la sua lingua. Abbiamo comunicato in tedesco». - LUIGI CARBONE
Fonte: repubblica.it
Fonte: repubblica.it
mercoledì 27 agosto 2008
60 milioni di spose bambine
Hanno tra gli 8 e i 14 anni
Lo scorso aprile, in Yemen, una bambina di 8 anni di nome Nojoud si presentò da sola in tribunale, dicendo che era stata costretta dal padre a sposare un uomo trentenne che l’aveva picchiata e forzata ad avere rapporti sessuali. Ci sono 60 milioni di «spose bambine » nel mondo, secondo le Nazioni Unite. Il giorno delle nozze arriva in genere tra i 12 e i 14 anni, a volte anche prima. Il marito è spesso un uomo più anziano, mai incontrato prima. Ad aprile Nojoud ha chiesto e ottenuto il divorzio. Ma per la maggior parte delle piccole spose come lei non c’è via d’uscita.
CLASSIFICA
L’organizzazione americana International Center for Research on Women (Icrw) ha compilato una «Top 20» dei Paesi in cui i matrimoni di minorenni sono più diffusi: il Niger è al primo posto (il 76,6% delle spose hanno meno di 18 anni), seguito da Ciad, Bangladesh, Mali, Guinea, Repubblica centrafricana, Nepal, Mozambico, Uganda, Burkina Faso, India, Etiopia, Liberia, Yemen, Camerun, Eritrea, Malawi, Nicaragua, Nigeria, Zambia. La «classifica » è basata su questionari standardizzati che non sono però disponibili per tutti i Paesi. Resta fuori dalle statistiche, ad esempio, gran parte del Medio Oriente.
POVERTÀ
I Paesi della Top 20 sono i più poveri del mondo. In Niger e Mali, rispettivamente il 75% e il 91% della popolazione vive con meno di 2 dollari al giorno. Le spose bambine vengono dalle famiglie più povere in questi Paesi. Spesso i genitori ritengono di non avere altra scelta. «Sono viste come un peso», spiega al Corriere Saranga Jain, ricercatrice dell’Icrw. Nutrirle, vestirle e istruirle costa troppo. E c’è un forte incentivo economico a darle in spose presto. «Nei Paesi in cui vige la pratica della dote (Sud Asia e specialmente India), la famiglia dello sposo è disposta ad accettarne una più ridotta se la ragazza è giovane — dice Jain —. Così i genitori danno in spose le figlie da bambine per pagare di meno. E c’è un incentivo anche in alcuni Paesi africani nei quali sono i genitori della bambina a ricevere un pagamento: più è giovane, più alto è il prezzo». Uno studio condotto in Afghanistan (mancano dati standardizzati ma si ritiene che il 52% delle spose siano bambine) mostra che questi matrimoni vengono praticati anche per sanare debiti o ottenere, in cambio, una moglie per un figlio maschio. «La maggior parte dei genitori non vuole fare del male alle figlie», dice la fotografa americana Stephanie Sinclair, che ha conosciuto tante di queste bambine in Afghanistan, Nepal, Etiopia. «Pensano di proteggerle facendole sposare quando sono vergini: è molto importante in queste società. Ho però incontrato anche una donna che non sembrava dare molto valore alla figlia. "Perché nutrire una mucca che non è tua?", mi rispose quando le chiesi perché, dopo averla promessa in sposa, non la faceva più andare a scuola».
IL MARITO
Le minorenni tendono ad essere date in moglie a uomini molto più vecchi di loro. In Africa centrale e occidentale, un terzo delle bambine spose dichiarano che i mariti hanno almeno 11 anni più di loro. In tutti i Paesi della Top 20 ci sono poi casi in cui la differenza d’età è di decenni: anche 70 anni. Come si spiega? Quando c’è un «prezzo per la sposa», occorrono anni di lavoro perché un uomo possa permettersene una giovane. Nelle unioni poligame, inoltre, man mano che il marito invecchia le nuove mogli sono sempre più giovani. «Uomini più anziani tendono a scegliere ragazze molto più giovani per far sesso — aggiunge Jain—anche perché è più probabile che non abbiano l’Hiv e malattie sessualmente trasmesse o per via di superstizioni secondo cui le vergini possono curare l’Aids; e perché saranno fertili più a lungo».
CONSEGUENZE
Le spose bambine si vedono negare la possibilità di studiare e di lavorare: continuano così ad alimentare il ciclo di povertà da cui provengono. Non possono lasciare il marito perché non hanno i soldi per restituire la dote, e il divorzio è spesso considerato inaccettabile. Il problema non è solo il matrimonio precoce, ma anche il parto precoce. La morte di parto è 5 volte più probabile per le bambine al di sotto dei 15 anni che per le ventenni, secondo l’agenzia per la popolazione dell’Onu (Unfpa). Il rischio di morte del feto è del 73% maggiore che per le ventenni. Non essendo le bambine fisicamente pronte alla gravidanza, le complicazioni sono frequenti: 2 milioni di donne sono affette da fistole vescico- vaginali o retto-vaginali, in seguito a lacerazioni prodotte dalla pressione della testa del feto. Le fistole causano incontinenza. «Le ragazze vengono ostracizzate dai loro mariti e dalla comunità — spiega la dottoressa Nawal Nour, direttrice del Centro per la salute delle donne africane di Boston —. L’odore di urina che proviene dalla fistola è così forte che le ragazze sono piene di vergogna. Sono scansate, abbandonate, sole». Nell’Africa sub-sahariana, inoltre, diversi studi mostrano che le ragazze sposate hanno più probabilità di contrarre l’Aids rispetto a ragazze single e sessualmente attive: perdono la verginità con mariti malati e non hanno il potere di negarsi o chiedere loro di usare il preservativo.
LA LEGGE
Dal 1948 l’Onu e altre agenzie internazionali tentano di fermare i matrimoni di minorenni. Tra gli strumenti più importanti: la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, la Convenzione sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione contro le donne e la Convenzione sui diritti del bambino. L’Unicef definisce ogni matrimonio di minorenni un’unione forzata, perché i bambini non hanno l’età per acconsentirvi in modo «pieno e libero». Quasi tutti i Paesi della Top 20 hanno fissato un’età minima per il matrimonio, molti a 18 anni. Ma la legge non viene rispettata. A volte mancano le risorse, altre volte la volontà politica. Spesso vi sono spinte al cambiamento dall’interno, ma anche resistenza. In Yemen, dove la legge non stabilisce con chiarezza un’età minima, alcuni leader religiosi e tribali criticano la pratica delle spose bambine, ma altri la appoggiano e ricordano che anche il Profeta Maometto sposò Aisha quando lei era una bimba. In Etiopia, secondo il Times di Londra, nonostante la Chiesa ortodossa si dica contraria, alcuni preti continuano a celebrarli. «Sposiamo le ragazze così giovani per assicurarci che siano vergini—ha detto uno di loro al giornale —. Se fossero più grandi, qualcuno potrebbe averle stuprate». «La religione in alcuni casi può essere un fattore—spiega Kathleen Selvaggio, ricercatrice dell’Icrw —. Ma i matrimoni di bambine non sono legati a nessuna fede in modo specifico. Sono parte della cultura, tra i cristiani come tra i musulmani ». Quella delle spose bambine è una tradizione antica, radicata. La soluzione? Per l’Icrw l’unica via è alleviare la povertà, istruire le bambine e collaborare con i leader locali per cambiare le norme sociali.
Viviana Mazza
Fonte:corriere.it
Lo scorso aprile, in Yemen, una bambina di 8 anni di nome Nojoud si presentò da sola in tribunale, dicendo che era stata costretta dal padre a sposare un uomo trentenne che l’aveva picchiata e forzata ad avere rapporti sessuali. Ci sono 60 milioni di «spose bambine » nel mondo, secondo le Nazioni Unite. Il giorno delle nozze arriva in genere tra i 12 e i 14 anni, a volte anche prima. Il marito è spesso un uomo più anziano, mai incontrato prima. Ad aprile Nojoud ha chiesto e ottenuto il divorzio. Ma per la maggior parte delle piccole spose come lei non c’è via d’uscita.
CLASSIFICA
L’organizzazione americana International Center for Research on Women (Icrw) ha compilato una «Top 20» dei Paesi in cui i matrimoni di minorenni sono più diffusi: il Niger è al primo posto (il 76,6% delle spose hanno meno di 18 anni), seguito da Ciad, Bangladesh, Mali, Guinea, Repubblica centrafricana, Nepal, Mozambico, Uganda, Burkina Faso, India, Etiopia, Liberia, Yemen, Camerun, Eritrea, Malawi, Nicaragua, Nigeria, Zambia. La «classifica » è basata su questionari standardizzati che non sono però disponibili per tutti i Paesi. Resta fuori dalle statistiche, ad esempio, gran parte del Medio Oriente.
POVERTÀ
I Paesi della Top 20 sono i più poveri del mondo. In Niger e Mali, rispettivamente il 75% e il 91% della popolazione vive con meno di 2 dollari al giorno. Le spose bambine vengono dalle famiglie più povere in questi Paesi. Spesso i genitori ritengono di non avere altra scelta. «Sono viste come un peso», spiega al Corriere Saranga Jain, ricercatrice dell’Icrw. Nutrirle, vestirle e istruirle costa troppo. E c’è un forte incentivo economico a darle in spose presto. «Nei Paesi in cui vige la pratica della dote (Sud Asia e specialmente India), la famiglia dello sposo è disposta ad accettarne una più ridotta se la ragazza è giovane — dice Jain —. Così i genitori danno in spose le figlie da bambine per pagare di meno. E c’è un incentivo anche in alcuni Paesi africani nei quali sono i genitori della bambina a ricevere un pagamento: più è giovane, più alto è il prezzo». Uno studio condotto in Afghanistan (mancano dati standardizzati ma si ritiene che il 52% delle spose siano bambine) mostra che questi matrimoni vengono praticati anche per sanare debiti o ottenere, in cambio, una moglie per un figlio maschio. «La maggior parte dei genitori non vuole fare del male alle figlie», dice la fotografa americana Stephanie Sinclair, che ha conosciuto tante di queste bambine in Afghanistan, Nepal, Etiopia. «Pensano di proteggerle facendole sposare quando sono vergini: è molto importante in queste società. Ho però incontrato anche una donna che non sembrava dare molto valore alla figlia. "Perché nutrire una mucca che non è tua?", mi rispose quando le chiesi perché, dopo averla promessa in sposa, non la faceva più andare a scuola».
IL MARITO
Le minorenni tendono ad essere date in moglie a uomini molto più vecchi di loro. In Africa centrale e occidentale, un terzo delle bambine spose dichiarano che i mariti hanno almeno 11 anni più di loro. In tutti i Paesi della Top 20 ci sono poi casi in cui la differenza d’età è di decenni: anche 70 anni. Come si spiega? Quando c’è un «prezzo per la sposa», occorrono anni di lavoro perché un uomo possa permettersene una giovane. Nelle unioni poligame, inoltre, man mano che il marito invecchia le nuove mogli sono sempre più giovani. «Uomini più anziani tendono a scegliere ragazze molto più giovani per far sesso — aggiunge Jain—anche perché è più probabile che non abbiano l’Hiv e malattie sessualmente trasmesse o per via di superstizioni secondo cui le vergini possono curare l’Aids; e perché saranno fertili più a lungo».
CONSEGUENZE
Le spose bambine si vedono negare la possibilità di studiare e di lavorare: continuano così ad alimentare il ciclo di povertà da cui provengono. Non possono lasciare il marito perché non hanno i soldi per restituire la dote, e il divorzio è spesso considerato inaccettabile. Il problema non è solo il matrimonio precoce, ma anche il parto precoce. La morte di parto è 5 volte più probabile per le bambine al di sotto dei 15 anni che per le ventenni, secondo l’agenzia per la popolazione dell’Onu (Unfpa). Il rischio di morte del feto è del 73% maggiore che per le ventenni. Non essendo le bambine fisicamente pronte alla gravidanza, le complicazioni sono frequenti: 2 milioni di donne sono affette da fistole vescico- vaginali o retto-vaginali, in seguito a lacerazioni prodotte dalla pressione della testa del feto. Le fistole causano incontinenza. «Le ragazze vengono ostracizzate dai loro mariti e dalla comunità — spiega la dottoressa Nawal Nour, direttrice del Centro per la salute delle donne africane di Boston —. L’odore di urina che proviene dalla fistola è così forte che le ragazze sono piene di vergogna. Sono scansate, abbandonate, sole». Nell’Africa sub-sahariana, inoltre, diversi studi mostrano che le ragazze sposate hanno più probabilità di contrarre l’Aids rispetto a ragazze single e sessualmente attive: perdono la verginità con mariti malati e non hanno il potere di negarsi o chiedere loro di usare il preservativo.
LA LEGGE
Dal 1948 l’Onu e altre agenzie internazionali tentano di fermare i matrimoni di minorenni. Tra gli strumenti più importanti: la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, la Convenzione sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione contro le donne e la Convenzione sui diritti del bambino. L’Unicef definisce ogni matrimonio di minorenni un’unione forzata, perché i bambini non hanno l’età per acconsentirvi in modo «pieno e libero». Quasi tutti i Paesi della Top 20 hanno fissato un’età minima per il matrimonio, molti a 18 anni. Ma la legge non viene rispettata. A volte mancano le risorse, altre volte la volontà politica. Spesso vi sono spinte al cambiamento dall’interno, ma anche resistenza. In Yemen, dove la legge non stabilisce con chiarezza un’età minima, alcuni leader religiosi e tribali criticano la pratica delle spose bambine, ma altri la appoggiano e ricordano che anche il Profeta Maometto sposò Aisha quando lei era una bimba. In Etiopia, secondo il Times di Londra, nonostante la Chiesa ortodossa si dica contraria, alcuni preti continuano a celebrarli. «Sposiamo le ragazze così giovani per assicurarci che siano vergini—ha detto uno di loro al giornale —. Se fossero più grandi, qualcuno potrebbe averle stuprate». «La religione in alcuni casi può essere un fattore—spiega Kathleen Selvaggio, ricercatrice dell’Icrw —. Ma i matrimoni di bambine non sono legati a nessuna fede in modo specifico. Sono parte della cultura, tra i cristiani come tra i musulmani ». Quella delle spose bambine è una tradizione antica, radicata. La soluzione? Per l’Icrw l’unica via è alleviare la povertà, istruire le bambine e collaborare con i leader locali per cambiare le norme sociali.
Viviana Mazza
Fonte:corriere.it
Le donne nel mirino
MARINO NIOLA
Due rapinatori sorprendono nel sonno una coppia di turisti olandesi. Li derubano di tutto. E in più violentano la donna. Doppio bottino, doppia violenza. Perché una aritmetica sociale barbarica e premoderna assegna sempre alle donne una quota maggiore di sofferenza.
Una violenza nella violenza. Che al trauma dell´aggressione aggiunge un surplus di dolore. Quasi un debito, una quota fissa che una cultura tribale e ripugnante esige dal secondo sesso ogni volta che se ne presenta l´occasione. Un "pizzo" in natura che la violenza dei maschi impone con regolarità impunita. E spesso anche inavvertita. Come se l´aggressione sessuale fosse in fondo solo un peccato veniale. C´è ancora chi fa fatica a considerarla un reato. Come se l´altra metà del cielo avesse sempre qualcosa da farsi perdonare. Perfino quando è vittima. Ecco perché quella sulle donne viene troppo spesso percepita come una violenza light. Coperta da un alone di complicità deresponsabilizzante che la rende più leggera, ne occulta l´orrore dietro una pseudo-cultura fatta di luoghi comuni, di banalità, di stereotipi duri a morire, di pregiudizi che hanno radici profonde nel maschilismo che ancora circola carsicamente nelle vene della nostra società.
La storia delle donne è fin troppo piena di esempi. Che sia per strada o tra le pareti domestiche. Che l´aggressore sia uno sconosciuto o abbia il volto familiare di un parente. Che l´orrore le colga di sorpresa o le attenda regolarmente come per un appuntamento cui non possono sottrarsi. Che sia un connazionale o uno straniero come nel caso della vittima di ieri, la ragione profonda è sempre la stessa. È l´idea che le donne non siano veramente eguali. Che sono quasi colpevoli delle loro sacrosante conquiste. Al punto da scambiare troppo spesso la loro libertà, frutto di un trentennio di battaglie pubbliche e private, per una disinvolta disponibilità. O per una mancanza di tutela maschile che le rende facili, e legittime prede.
Come dire che le donne sono costrette ad una libertà vigilata. È inutile nasconderselo. Il nostro corpo sociale non è ancora del tutto emancipato da questa cultura tribale e ripugnante dalla quale nessuno può chiamarsi fuori. Perché pesa come un´ombra nera che non si può esorcizzare attribuendola come marchio esclusivo a tradizioni etniche o religiose lontane. La tenebra è anche nostra. Non dimentichiamo che fino al 1981 il delitto d´onore veniva contemplato dal nostro codice penale come attenuante. Non dimentichiamo le violenze che le donne, spesso ragazzine, subiscono in famiglia. Non dimentichiamo la diffidenza ostile che circonda le vittime degli stupri. Come dire che il medioevo maschilista è appena alle nostre spalle ma sentiamo ancora il suo vento malefico pronto a risollevarsi per soffiare su di noi.
Certo oggi il problema è ancor più grave perché a complicare le cose c´è la coabitazione con culture, tradizioni e religioni che relegano la donna in un´incivile sudditanza e quasi automaticamente legittimano la violenza su quelle che non si adeguano ai modelli tradizionali. È una ragione in più per vigilare. E vedere riflesse negli altri anche le nostre colpe.
Fonte: repubblica.it
Due rapinatori sorprendono nel sonno una coppia di turisti olandesi. Li derubano di tutto. E in più violentano la donna. Doppio bottino, doppia violenza. Perché una aritmetica sociale barbarica e premoderna assegna sempre alle donne una quota maggiore di sofferenza.
Una violenza nella violenza. Che al trauma dell´aggressione aggiunge un surplus di dolore. Quasi un debito, una quota fissa che una cultura tribale e ripugnante esige dal secondo sesso ogni volta che se ne presenta l´occasione. Un "pizzo" in natura che la violenza dei maschi impone con regolarità impunita. E spesso anche inavvertita. Come se l´aggressione sessuale fosse in fondo solo un peccato veniale. C´è ancora chi fa fatica a considerarla un reato. Come se l´altra metà del cielo avesse sempre qualcosa da farsi perdonare. Perfino quando è vittima. Ecco perché quella sulle donne viene troppo spesso percepita come una violenza light. Coperta da un alone di complicità deresponsabilizzante che la rende più leggera, ne occulta l´orrore dietro una pseudo-cultura fatta di luoghi comuni, di banalità, di stereotipi duri a morire, di pregiudizi che hanno radici profonde nel maschilismo che ancora circola carsicamente nelle vene della nostra società.
La storia delle donne è fin troppo piena di esempi. Che sia per strada o tra le pareti domestiche. Che l´aggressore sia uno sconosciuto o abbia il volto familiare di un parente. Che l´orrore le colga di sorpresa o le attenda regolarmente come per un appuntamento cui non possono sottrarsi. Che sia un connazionale o uno straniero come nel caso della vittima di ieri, la ragione profonda è sempre la stessa. È l´idea che le donne non siano veramente eguali. Che sono quasi colpevoli delle loro sacrosante conquiste. Al punto da scambiare troppo spesso la loro libertà, frutto di un trentennio di battaglie pubbliche e private, per una disinvolta disponibilità. O per una mancanza di tutela maschile che le rende facili, e legittime prede.
Come dire che le donne sono costrette ad una libertà vigilata. È inutile nasconderselo. Il nostro corpo sociale non è ancora del tutto emancipato da questa cultura tribale e ripugnante dalla quale nessuno può chiamarsi fuori. Perché pesa come un´ombra nera che non si può esorcizzare attribuendola come marchio esclusivo a tradizioni etniche o religiose lontane. La tenebra è anche nostra. Non dimentichiamo che fino al 1981 il delitto d´onore veniva contemplato dal nostro codice penale come attenuante. Non dimentichiamo le violenze che le donne, spesso ragazzine, subiscono in famiglia. Non dimentichiamo la diffidenza ostile che circonda le vittime degli stupri. Come dire che il medioevo maschilista è appena alle nostre spalle ma sentiamo ancora il suo vento malefico pronto a risollevarsi per soffiare su di noi.
Certo oggi il problema è ancor più grave perché a complicare le cose c´è la coabitazione con culture, tradizioni e religioni che relegano la donna in un´incivile sudditanza e quasi automaticamente legittimano la violenza su quelle che non si adeguano ai modelli tradizionali. È una ragione in più per vigilare. E vedere riflesse negli altri anche le nostre colpe.
Fonte: repubblica.it
lunedì 25 agosto 2008
Coppia olandese, incubo a Roma Fermati due pastori romeni
I turisti avevano montato la tenda in un luogo isolato a Ponte Galeria, sulla Portuense
Hanno aggredito nella notte a colpi di bastone e violentato la donna
Sono stati loro a consigliare ai ciclisti di accamparsi in quel terreno
Riconosciuti dalle vittime: uno dei fermati era stato espulso due anni fa
ROMA - "E' stato un incubo: ci hanno picchiato con delle mazze. Mi hanno legato e costretto a guardare mentre violentavano mia moglie". In una zona isolata a Ponte Galeria, sulla Portuense, alle porte della capitale, una coppia di olandesi in giro per l'Europa sulla bici, si era accampata per trascorrere la notte in tenda. All'una, due balordi li ha aggedditi, picchiati selvaggiamente, derubati di 1.500 euro e violentato a turno la donna di 52 anni. Dopo ore di frenetiche indagini, i carabinieri hanno fermato i responsabili dello stupro: sono due pastori di nazionalità romena. Hanno 20 e 32 anni; il più giovane, in Italia da tre anni, nel 2006 aveva ricevuto un decreto di espulsione mai rispettato. Le vittime li hanno riconosciuti e nelle roulotte dei due romeni i carabinieri hanno trovato ancora gli abiti sporchi di sangue.
Gli olandesi sono ricoverati all'ospedale San Camillo di Roma. L'uomo, 54 anni, esperto in informatica, ha gravi lesioni e fratture multiple. Per lui la prognosi è di trenta giorni. La donna è ancora sotto choc, non riesce a parlare. Sul volto ha varie ferite e la mandibola è fratturata.
L'aggressione è avvenuta in via Portuense, vicino a un casale diroccato, dove i due si erano accampati. Avevano intenzione di raggiungere un camping a Ostia, ma verso le nove di sera, quando oramai era buio ed erano stanchi, hanno deciso di fermarsi. Hanno visto delle roulotte lì vicino, e hanno chiesto informazioni. Sono stati gli stessi romeni che qualche ora più tardi li avrebbero aggrediti, a dir loro che potevano montare la tenda nel terreno vicino al casolare.
Li hanno assaliti intorno all'una di notte. Li hanno colpiti con i bastoni che usavano per il gregge di 200 pecore che governano nelle terre vicine. Nessuno poteva sentire le loro urla. Altri quattro romeni che dormivano nelle roulotte vicine, non hanno sentito o non hanno voluto sentire. Quando gli aguzzini se ne sono andati, le vittime sono riuscite a raggiungere a fatica la strada e fermare un automobilista per chiedere aiuto.
Gli esponenti romani del Pd puntano il dito contro il sindaco e i suoi proclami contro la criminalità. Il vicesindaco di Roma Mauro Cutrufo, è andato al San Camillo per portare la solidarietà della città alla coppia aggredita. "L'uomo ferito mi ha detto che sa perfettamente che Roma non è questo", ha detto Cutrufo. "Li ho invitati a venire in Campidoglio una volta che si saranno rimessi".
Fonte: repubbliva.it
Hanno aggredito nella notte a colpi di bastone e violentato la donna
Sono stati loro a consigliare ai ciclisti di accamparsi in quel terreno
Riconosciuti dalle vittime: uno dei fermati era stato espulso due anni fa
ROMA - "E' stato un incubo: ci hanno picchiato con delle mazze. Mi hanno legato e costretto a guardare mentre violentavano mia moglie". In una zona isolata a Ponte Galeria, sulla Portuense, alle porte della capitale, una coppia di olandesi in giro per l'Europa sulla bici, si era accampata per trascorrere la notte in tenda. All'una, due balordi li ha aggedditi, picchiati selvaggiamente, derubati di 1.500 euro e violentato a turno la donna di 52 anni. Dopo ore di frenetiche indagini, i carabinieri hanno fermato i responsabili dello stupro: sono due pastori di nazionalità romena. Hanno 20 e 32 anni; il più giovane, in Italia da tre anni, nel 2006 aveva ricevuto un decreto di espulsione mai rispettato. Le vittime li hanno riconosciuti e nelle roulotte dei due romeni i carabinieri hanno trovato ancora gli abiti sporchi di sangue.
Gli olandesi sono ricoverati all'ospedale San Camillo di Roma. L'uomo, 54 anni, esperto in informatica, ha gravi lesioni e fratture multiple. Per lui la prognosi è di trenta giorni. La donna è ancora sotto choc, non riesce a parlare. Sul volto ha varie ferite e la mandibola è fratturata.
L'aggressione è avvenuta in via Portuense, vicino a un casale diroccato, dove i due si erano accampati. Avevano intenzione di raggiungere un camping a Ostia, ma verso le nove di sera, quando oramai era buio ed erano stanchi, hanno deciso di fermarsi. Hanno visto delle roulotte lì vicino, e hanno chiesto informazioni. Sono stati gli stessi romeni che qualche ora più tardi li avrebbero aggrediti, a dir loro che potevano montare la tenda nel terreno vicino al casolare.
Li hanno assaliti intorno all'una di notte. Li hanno colpiti con i bastoni che usavano per il gregge di 200 pecore che governano nelle terre vicine. Nessuno poteva sentire le loro urla. Altri quattro romeni che dormivano nelle roulotte vicine, non hanno sentito o non hanno voluto sentire. Quando gli aguzzini se ne sono andati, le vittime sono riuscite a raggiungere a fatica la strada e fermare un automobilista per chiedere aiuto.
Gli esponenti romani del Pd puntano il dito contro il sindaco e i suoi proclami contro la criminalità. Il vicesindaco di Roma Mauro Cutrufo, è andato al San Camillo per portare la solidarietà della città alla coppia aggredita. "L'uomo ferito mi ha detto che sa perfettamente che Roma non è questo", ha detto Cutrufo. "Li ho invitati a venire in Campidoglio una volta che si saranno rimessi".
Fonte: repubbliva.it
giovedì 21 agosto 2008
Chiusa in casa e stuprata per giorni Colf ucraina denuncia un italiano
La donna, senza permesso di soggiorno, è stata sequestrata per due settimane
in un appartamento di Quarto Oggiaro, periferia di Milano. Arrestato l'aguzzino
Il comune di Milano ha annunciato che vuole costituirsi parte civile nel processo
Chiusa in casa e stuprata per giorni Colf ucraina denuncia un italiano
MILANO - Sequestrata in casa per due settimane, minacciata, picchiata e, secondo la sua denuncia, anche violentata più volte. E' la terribile vicenda di una ragazza ucraina di 31 anni, in Italia senza permesso di soggiorno, sottoposta a violenze dal suo datore di lavoro italiano, Paolo D., 41 anni.
Ieri sera la polizia l'ha liberata dall'appartamento di Quarto Oggiaro, periferia nord di Milano, dove aveva iniziato a lavorare come colf ai primi di agosto. La donna è riuscita a chiedere aiuto dopo quindici giorni di vessazioni. Il suo aguzzino, che ha diversi precedenti, è stato arrestato. Deve rispondere dei reati di sequestro di persona, maltrattamenti in famiglia e resistenza a pubblico ufficiale. Gli inquirenti ora devono verificare le accuse di violenza sessuale.
Lui, dopo un movimentato arresto, si è giustificato così di fronte agli agenti: "L'ho fatto perchè ero geloso, ero innamorato di lei". All'inizio, secondo la denuncia dell'ucraina, si era mostrato educato e cortese, ma presto aveva cominciato a minacciarla. Lei, per paura di essere denunciata e rimpatriata come clandestina, ha subito in silenzio le sue proposte, poi diventate vere e proprie angherie. Quando ha tentato di andarsene, l'uomo l'ha rinchiusa in casa.
Da lì in poi, umiliazioni, minacce e prestazioni sessuali estorte con la violenza. Per spaventarla Paolo D. le aveva lanciato petardi tra le gambe, provocandole anche una bruciatura sotto i piedi. Era arrivato perfino a confezionare un rudimentale esplosivo collegato alla porta d'ingresso, per assicurarsi che lei non tentasse la fuga in sua assenza.
Dopo quindici giorni di prigionia, approfittando di una breve uscita del suo aguzzino, la donna ha trovato il coraggio di prendere il cellulare dell'uomo, dimenticato nell'appartamento, e ha chiamato la polizia.
Solidarietà alla vittima è giunta dal comune di Milano, che, per bocca del vice sindaco e assessore alla Sicurezza Riccardo De Corato, ha annunciato che "chiederà di costituirsi parte civile nel processo che vedrà imputato l'italiano che ha barbaramente sequestrato e violentato la colf ucraina".
Il comune vuole anche "aiutare, attraverso le proprie strutture di protezione, questa ragazza, che pur nello stato di clandestinità, ha avuto il coraggio di denunciare il suo aguzzino". A Milano, ha detto il vicesindaco, negli ultimi quattro mesi si sono verificati ben 14 casi gravi di violenze sessuali.
(17 agosto 2008)
Fonte: repubblica.it
in un appartamento di Quarto Oggiaro, periferia di Milano. Arrestato l'aguzzino
Il comune di Milano ha annunciato che vuole costituirsi parte civile nel processo
Chiusa in casa e stuprata per giorni Colf ucraina denuncia un italiano
MILANO - Sequestrata in casa per due settimane, minacciata, picchiata e, secondo la sua denuncia, anche violentata più volte. E' la terribile vicenda di una ragazza ucraina di 31 anni, in Italia senza permesso di soggiorno, sottoposta a violenze dal suo datore di lavoro italiano, Paolo D., 41 anni.
Ieri sera la polizia l'ha liberata dall'appartamento di Quarto Oggiaro, periferia nord di Milano, dove aveva iniziato a lavorare come colf ai primi di agosto. La donna è riuscita a chiedere aiuto dopo quindici giorni di vessazioni. Il suo aguzzino, che ha diversi precedenti, è stato arrestato. Deve rispondere dei reati di sequestro di persona, maltrattamenti in famiglia e resistenza a pubblico ufficiale. Gli inquirenti ora devono verificare le accuse di violenza sessuale.
Lui, dopo un movimentato arresto, si è giustificato così di fronte agli agenti: "L'ho fatto perchè ero geloso, ero innamorato di lei". All'inizio, secondo la denuncia dell'ucraina, si era mostrato educato e cortese, ma presto aveva cominciato a minacciarla. Lei, per paura di essere denunciata e rimpatriata come clandestina, ha subito in silenzio le sue proposte, poi diventate vere e proprie angherie. Quando ha tentato di andarsene, l'uomo l'ha rinchiusa in casa.
Da lì in poi, umiliazioni, minacce e prestazioni sessuali estorte con la violenza. Per spaventarla Paolo D. le aveva lanciato petardi tra le gambe, provocandole anche una bruciatura sotto i piedi. Era arrivato perfino a confezionare un rudimentale esplosivo collegato alla porta d'ingresso, per assicurarsi che lei non tentasse la fuga in sua assenza.
Dopo quindici giorni di prigionia, approfittando di una breve uscita del suo aguzzino, la donna ha trovato il coraggio di prendere il cellulare dell'uomo, dimenticato nell'appartamento, e ha chiamato la polizia.
Solidarietà alla vittima è giunta dal comune di Milano, che, per bocca del vice sindaco e assessore alla Sicurezza Riccardo De Corato, ha annunciato che "chiederà di costituirsi parte civile nel processo che vedrà imputato l'italiano che ha barbaramente sequestrato e violentato la colf ucraina".
Il comune vuole anche "aiutare, attraverso le proprie strutture di protezione, questa ragazza, che pur nello stato di clandestinità, ha avuto il coraggio di denunciare il suo aguzzino". A Milano, ha detto il vicesindaco, negli ultimi quattro mesi si sono verificati ben 14 casi gravi di violenze sessuali.
(17 agosto 2008)
Fonte: repubblica.it
mercoledì 20 agosto 2008
Quando il telefonino uccide
di Maria Rita Parsi
Pare non abbia retto al dolore e ai ricordi di quel che le era capitato due anni prima. Perciò si è suicidata.
Uno sparo ed è andata via. Via da certi sguardi; da certi residuali pettegolezzi; dall'insidia violenta di quelli che la ricordavano, forse, per un episodio avvenuto quando aveva soltanto quattordici anni e sul quale polizia e magistratura erano intervenute a renderle giustizia.
Denunciato il fidanzatino ed altre venti persone per aver diffuso le immagini della sua iniziazione sessuale con costui. Ma tanto basta?
A sedici anni è, forse, una giustizia che può non bastare. Ci sono, infatti, ferite che, a volte, non si rimarginano. Lasciano una traccia nella mente e nel cuore di chi vede rendere pubblica la propria inesperta, giocosa intimità sessuale. Ferite così dolorose, depressive, lesive della propria autostima e della propria dignità che possono non essere mai state rimarginate a causa dello stress e dello choc causati dagli eventi che le hanno provocate.
Così, forse, è stato per lei. Per quella ragazza che, di certo, aveva subito il «tradimento dei tradimenti» fattole attraverso l'osceno gioco del bullismo telematico. Quel bullismo telematico l'aveva resa «celebre» agli occhi di tanti sconosciuti e di tanti che, nel ristretto ambito in cui viveva, invece, ben la conoscevano. Senza che lei potesse immaginare che il suo corpo, le sue parole, i suoi movimenti, i suoi pensieri, la privacy dei suoi atti, il gioco d'intimità di una quattordicenne che prova a fare l'amore dei grandi, sarebbero diventati l'osceno intrattenimento di indiscreti, irrispettosi, irresponsabili spettatori.
Un mondo di spioni e di vittime spiate; un serpente che si morde la coda, dove l'educazione sentimentale non esiste e l'intento, consapevole o inconsapevole, certamente irresponsabile ed illegale è quello di provocare, dileggiare, umiliare, offendere, penalizzare, punire, ricattare gli altri con mezzi che dovrebbero garantire la libertà e la democrazia, l'ampliamento e il progresso dell'informazione.
Si tratta di un mondo che non ci auguriamo possa continuare a proliferare. Un mondo in guerra in luoghi piccoli e casalinghi com'è tradizionalmente in guerra, anche oggi, in luoghi grandi e in Nazioni. È un mondo che ogni genitore, educatore, operatore della comunicazione, intellettuale; ogni autorità, istituzione, tribunale nonché ogni gestore responsabile di dominii virtuali e di motori di ricerca, dovrebbe impedire possa essere quello da offrire ai ragazzi di oggi, «natividigitali» e alle comunità.
Per rispetto di questa che è una martire del bullismo telematico, e di tutte quelle martiri che non conosciamo e di tutte quelle che verranno; affinché le cronache nere dei giornali non ne registrino, sempre di più, le personali, familiari, collettive tragedie, bisogna scongiurare un mondo siffatto per i ragazzini (e non soltanto) che si fanno autori, irresponsabilmente, di questi atti. Educarli al rispetto di sé e degli altri; alla privacy di ciò che conta veramente come l'amore e l'iniziazione sessuale; come la libertà di pensiero e di azione che non possono essere né spiate né fatte oggetto di diffusione a terzi in assenza di libera scelta e personale assenso.
Non c'è vergogna peggiore, infatti, né dovrebbe esserci condanna peggiore da infliggere a chi spia e ricatta la vita altrui. A questo vanno educate le nuove generazioni il cui patrimonio è la realtà virtualizzata. Farlo è compito degli adulti responsabili e delle autorità.
C'è qualcuno che vuole mettere in atto lo sciopero della fame anche per questi diritti, please?
Fonte: il giornale
Pare non abbia retto al dolore e ai ricordi di quel che le era capitato due anni prima. Perciò si è suicidata.
Uno sparo ed è andata via. Via da certi sguardi; da certi residuali pettegolezzi; dall'insidia violenta di quelli che la ricordavano, forse, per un episodio avvenuto quando aveva soltanto quattordici anni e sul quale polizia e magistratura erano intervenute a renderle giustizia.
Denunciato il fidanzatino ed altre venti persone per aver diffuso le immagini della sua iniziazione sessuale con costui. Ma tanto basta?
A sedici anni è, forse, una giustizia che può non bastare. Ci sono, infatti, ferite che, a volte, non si rimarginano. Lasciano una traccia nella mente e nel cuore di chi vede rendere pubblica la propria inesperta, giocosa intimità sessuale. Ferite così dolorose, depressive, lesive della propria autostima e della propria dignità che possono non essere mai state rimarginate a causa dello stress e dello choc causati dagli eventi che le hanno provocate.
Così, forse, è stato per lei. Per quella ragazza che, di certo, aveva subito il «tradimento dei tradimenti» fattole attraverso l'osceno gioco del bullismo telematico. Quel bullismo telematico l'aveva resa «celebre» agli occhi di tanti sconosciuti e di tanti che, nel ristretto ambito in cui viveva, invece, ben la conoscevano. Senza che lei potesse immaginare che il suo corpo, le sue parole, i suoi movimenti, i suoi pensieri, la privacy dei suoi atti, il gioco d'intimità di una quattordicenne che prova a fare l'amore dei grandi, sarebbero diventati l'osceno intrattenimento di indiscreti, irrispettosi, irresponsabili spettatori.
Un mondo di spioni e di vittime spiate; un serpente che si morde la coda, dove l'educazione sentimentale non esiste e l'intento, consapevole o inconsapevole, certamente irresponsabile ed illegale è quello di provocare, dileggiare, umiliare, offendere, penalizzare, punire, ricattare gli altri con mezzi che dovrebbero garantire la libertà e la democrazia, l'ampliamento e il progresso dell'informazione.
Si tratta di un mondo che non ci auguriamo possa continuare a proliferare. Un mondo in guerra in luoghi piccoli e casalinghi com'è tradizionalmente in guerra, anche oggi, in luoghi grandi e in Nazioni. È un mondo che ogni genitore, educatore, operatore della comunicazione, intellettuale; ogni autorità, istituzione, tribunale nonché ogni gestore responsabile di dominii virtuali e di motori di ricerca, dovrebbe impedire possa essere quello da offrire ai ragazzi di oggi, «natividigitali» e alle comunità.
Per rispetto di questa che è una martire del bullismo telematico, e di tutte quelle martiri che non conosciamo e di tutte quelle che verranno; affinché le cronache nere dei giornali non ne registrino, sempre di più, le personali, familiari, collettive tragedie, bisogna scongiurare un mondo siffatto per i ragazzini (e non soltanto) che si fanno autori, irresponsabilmente, di questi atti. Educarli al rispetto di sé e degli altri; alla privacy di ciò che conta veramente come l'amore e l'iniziazione sessuale; come la libertà di pensiero e di azione che non possono essere né spiate né fatte oggetto di diffusione a terzi in assenza di libera scelta e personale assenso.
Non c'è vergogna peggiore, infatti, né dovrebbe esserci condanna peggiore da infliggere a chi spia e ricatta la vita altrui. A questo vanno educate le nuove generazioni il cui patrimonio è la realtà virtualizzata. Farlo è compito degli adulti responsabili e delle autorità.
C'è qualcuno che vuole mettere in atto lo sciopero della fame anche per questi diritti, please?
Fonte: il giornale
domenica 17 agosto 2008
Violenta la figlia di otto anni in spiaggia
È accusato di ABUSI sessualI aggravatI su minore
Il 41enne residente a Terni era sulla battigia, nudi sia lui sia la piccola. I bagnanti hanno chiamato i carabinieri
PESCARA - Violenza sessuale aggravata su minore di 10 anni. Questa l'accusa di cui dovrà rispondere davanti al gip un uomo di 41 anni nato a Pescara ma residente a Terni, notato in atteggiamenti ben più che equivoci con le sue due figlie di 4 e 8 anni sulla spiaggia di Città Sant'Angelo, nel Pescarese. Il fatto è successo il 10 agosto, l'ordinanza di custodia cautelare è stata eseguita tre giorni dopo. L'uomo era nudo sul bagnasciuga, con accanto le due bambine. È stato visto da alcuni bagnanti, che hanno immediatamente avvisato i carabinieri e le cui testimonianze sono risultate decisive.
DENUDATE - È stata una coppia a notare l'uomo con le figlie, cui aveva fatto togliere il costume. Dopo aver mandato quella di 4 anni a giocare con la sabbia, ha cominciato a toccare la bambina più grande. La coppia ha chiamato i carabinieri di Montesilvano, che hanno mandato sul posto una pattuglia. Un uomo, che passeggiava sulla battigia, ha visto la scena e si è scaraventato contro il padre colpendolo due volte al viso senza che questi reagisse e accusandolo di essere «porco e pedofilo». L'uomo si è subito rimesso il costume e, poco dopo, sono arrivati i carabinieri. Non ha negato di essersi denudato, né di aver denudato le figlie. Sostiene però di non aver fatto nulla di male e di essere stato frainteso. Ora saranno le perizie mediche a stabilire se non ci siano stati ulteriori abusi. Le bambine sono tornate a Terni dalla madre. Durante una perquisizione nella casa della famiglia è stato sequestrato un computer.
Fonte:corriere.it
Il 41enne residente a Terni era sulla battigia, nudi sia lui sia la piccola. I bagnanti hanno chiamato i carabinieri
PESCARA - Violenza sessuale aggravata su minore di 10 anni. Questa l'accusa di cui dovrà rispondere davanti al gip un uomo di 41 anni nato a Pescara ma residente a Terni, notato in atteggiamenti ben più che equivoci con le sue due figlie di 4 e 8 anni sulla spiaggia di Città Sant'Angelo, nel Pescarese. Il fatto è successo il 10 agosto, l'ordinanza di custodia cautelare è stata eseguita tre giorni dopo. L'uomo era nudo sul bagnasciuga, con accanto le due bambine. È stato visto da alcuni bagnanti, che hanno immediatamente avvisato i carabinieri e le cui testimonianze sono risultate decisive.
DENUDATE - È stata una coppia a notare l'uomo con le figlie, cui aveva fatto togliere il costume. Dopo aver mandato quella di 4 anni a giocare con la sabbia, ha cominciato a toccare la bambina più grande. La coppia ha chiamato i carabinieri di Montesilvano, che hanno mandato sul posto una pattuglia. Un uomo, che passeggiava sulla battigia, ha visto la scena e si è scaraventato contro il padre colpendolo due volte al viso senza che questi reagisse e accusandolo di essere «porco e pedofilo». L'uomo si è subito rimesso il costume e, poco dopo, sono arrivati i carabinieri. Non ha negato di essersi denudato, né di aver denudato le figlie. Sostiene però di non aver fatto nulla di male e di essere stato frainteso. Ora saranno le perizie mediche a stabilire se non ci siano stati ulteriori abusi. Le bambine sono tornate a Terni dalla madre. Durante una perquisizione nella casa della famiglia è stato sequestrato un computer.
Fonte:corriere.it
sabato 16 agosto 2008
Gran Bretagna, risarcimenti ridotti se la donna stuprata è ubriaca
Ad una donna è stato ridotto l'indennizzo del 25%
L'abuso di alcolici o droghe è un'attenuante. L'imbarazzo del governo che chiede la revisione di 14 processi
LONDRA - Se la donna è ubriaca, il risarcimento in caso di violenza sessuale viene ridotto. È accaduto in Gran Bretagna, dove il governo sta cercando di riparare all'imbarazzante errore, chiedendo la revisione degli indennizzi a 14 donne che l'anno scorso si erano viste tagliare il risarcimento.
RISARCIMENTO RIDOTTO - Secondo quanto riporta l'edizione online del Times, Bridget Prentice, del ministero della giustizia britannico, ha richiesto la revisione automatica dei risarcimenti di 14 donne, dopo che una ragazza aveva denunciato la riduzione del 25% del compenso di 11 mila sterline (quasi 14 mila euro), poiché l'eccessivo consumo di alcolici era stata considerata come una «circostanza attenuante», così come l'uso di droghe. Ma l’Autorità britannica per il risarcimento alle vittime dei reati la pensa diversamente: non esiste una procedura automatica per la revisione dei casi. Le vittime devono presentare l'appello entro 90 giorni dalla sentenza. Questa vicenda riguarda almeno 14 persone solo nel 2007, pari all’1% dei 1.396 casi di violenza carnale valutati dall’Authority, che ha ammesso come, in passato, lo schema degli indennizzi sia stato «applicato in modo scorretto».
LA TESTIMONIANZA - La donna, a cui è stato ridotto il risarcimento, ha raccontato la sua esperienza al Times: «Quando ho letto la comunicazione dell’Autorità, sono rimasta senza parole. Mi sembrava di essere stata punita per aver avuto il coraggio di ribellarmi. Credevo di essere tornata indietro negli anni Settanta, quando si diceva: "Se l'è cercata"».
UNA QUARTO DELLA POPOLAZIONE È D'ACCORDO - Secondo un sondaggio di Amnesty International, condotto nel 2005, un quarto della popolazione riteneva che una donna, in stato di ubriachezza, fosse in parte o del tutto responsabile della violenza subita.
Fonte: corriere.it
L'abuso di alcolici o droghe è un'attenuante. L'imbarazzo del governo che chiede la revisione di 14 processi
LONDRA - Se la donna è ubriaca, il risarcimento in caso di violenza sessuale viene ridotto. È accaduto in Gran Bretagna, dove il governo sta cercando di riparare all'imbarazzante errore, chiedendo la revisione degli indennizzi a 14 donne che l'anno scorso si erano viste tagliare il risarcimento.
RISARCIMENTO RIDOTTO - Secondo quanto riporta l'edizione online del Times, Bridget Prentice, del ministero della giustizia britannico, ha richiesto la revisione automatica dei risarcimenti di 14 donne, dopo che una ragazza aveva denunciato la riduzione del 25% del compenso di 11 mila sterline (quasi 14 mila euro), poiché l'eccessivo consumo di alcolici era stata considerata come una «circostanza attenuante», così come l'uso di droghe. Ma l’Autorità britannica per il risarcimento alle vittime dei reati la pensa diversamente: non esiste una procedura automatica per la revisione dei casi. Le vittime devono presentare l'appello entro 90 giorni dalla sentenza. Questa vicenda riguarda almeno 14 persone solo nel 2007, pari all’1% dei 1.396 casi di violenza carnale valutati dall’Authority, che ha ammesso come, in passato, lo schema degli indennizzi sia stato «applicato in modo scorretto».
LA TESTIMONIANZA - La donna, a cui è stato ridotto il risarcimento, ha raccontato la sua esperienza al Times: «Quando ho letto la comunicazione dell’Autorità, sono rimasta senza parole. Mi sembrava di essere stata punita per aver avuto il coraggio di ribellarmi. Credevo di essere tornata indietro negli anni Settanta, quando si diceva: "Se l'è cercata"».
UNA QUARTO DELLA POPOLAZIONE È D'ACCORDO - Secondo un sondaggio di Amnesty International, condotto nel 2005, un quarto della popolazione riteneva che una donna, in stato di ubriachezza, fosse in parte o del tutto responsabile della violenza subita.
Fonte: corriere.it
venerdì 15 agosto 2008
Prostituta fotografata in cella Schifani chiede chiarimenti
l presidente del Senato ha chiesto al prefetto di Parma informazioni sull'episodio
portato alla luce da Repubblica. "Immagine del nostro Paese diversa dalla realtà"
L'assessore Monteverdi: "Quella foto è sconsiderata e strumentale"
ROMA - L'indignazione sollevata dalla foto della giovane prostituta nigeriana fermata a Parma e fotografata in cella stesa a terra, mezza nuda, sporca di polvere, è arrivata fino al presidente del Senato. Renato Schifani ha infatti chiesto al prefetto della città emiliana chiarimenti sulla vicenda portata alla luce dall'edizione on line di Repubblica Parma. Una richiesta, quella di Schifani, che arriva dopo l'interrogazione presentata dai senatori radicali Marco Perduca e Donatella Poretti. E ce n'è un'altra in arrivo all'Assemblea legislativa dell'Emilia-Romagna da parte del Prc. Alle proteste l'assessore alla sicurezza di Parma, Costantino Monteverdi, replica parlando di "foto strumentale" diffusa per attaccare il ministro dell'Interno e i sindaci che hanno aderito alla Carta di Parma.
La nota di Palazzo Madama. "Il Presidente del Senato, Renato Schifani - si legge nel comunicato di Palazzo Madama - in merito alla giovane extracomunitaria fermata nei giorni scorsi dalla Polizia Municipale di Parma e fotografata all'interno di una cella in condizioni di estremo abbandono, ha chiesto chiarimenti sull'episodio al Prefetto della città emiliana".
"La drammatica foto pubblicata - prosegue la nota - rischia infatti di trasmettere un'immagine del nostro Paese diversa da quella che è in realtà e di quanto si sta facendo a tutela dell'ordine pubblico, ma nel rispetto dei diritti inviolabili della persona. Chi intende adottare il criterio della 'tolleranza zero' è tenuto a farlo non sottraendosi mai alla tutela della dignità della persona e della sua privacy. Pertanto il Presidente del Senato auspica che venga fatta al più presto opportuna e doverosa chiarezza sull'intero accaduto".
La replica dell'assessore. "Parma non ha un sindaco-sceriffo e non è una città insensibile nei confronti dei più deboli". Così Monteverdi rassicura Schifani. E la città ducale non è nemmeno "un covo della prostituzione" da stanare a colpi di retate o atti di violenza. Per Monteverdi si tratta di una foto "sconsiderata" e "strumentale". "Con quella foto si è cercato di attaccare Maroni, la Carta di Parma e i sindaci che hanno aderito", replica Monteverdi rivolgendo le accuse soprattutto ai media.
Ed è pronto a 'giurare' anche sul "trattamento encomiabile" e nel rispetto della legge riservato dai vigili urbani alle persone controllate. "Credo che questa donna non sia mai stata trattata così bene come venerdì sera - azzarda l'assessore - anzi, con qualcosa in più visto che non siamo tenuti a dare acqua, coperte e la colazione come abbiamo fatto nei confronti della nigeriana e delle altre prostitute fermate".
Le multe anti-lucciole. Ma messe da parte le polemiche, nella città emiliana le retate anti-lucciole della Municipale continueranno, conferma Monteverdi, almeno una volta al mese. Unica differenza in arrivo potrebbe essere l'inasprimento delle sanzioni previste dall'ordinanza anti-prostituzione. "Dopo le ferie presenterò al sindaco una serie di proposte - assicura l'assessore - tra cui l'innalzamento della sanzione minima per i clienti delle prostitute, dagli attuali 25 euro a 50, abbassando invece il massimo a 450 rispetto agli attuali 500".
(12 agosto 2008)
Fonte:repubblica.it
portato alla luce da Repubblica. "Immagine del nostro Paese diversa dalla realtà"
L'assessore Monteverdi: "Quella foto è sconsiderata e strumentale"
ROMA - L'indignazione sollevata dalla foto della giovane prostituta nigeriana fermata a Parma e fotografata in cella stesa a terra, mezza nuda, sporca di polvere, è arrivata fino al presidente del Senato. Renato Schifani ha infatti chiesto al prefetto della città emiliana chiarimenti sulla vicenda portata alla luce dall'edizione on line di Repubblica Parma. Una richiesta, quella di Schifani, che arriva dopo l'interrogazione presentata dai senatori radicali Marco Perduca e Donatella Poretti. E ce n'è un'altra in arrivo all'Assemblea legislativa dell'Emilia-Romagna da parte del Prc. Alle proteste l'assessore alla sicurezza di Parma, Costantino Monteverdi, replica parlando di "foto strumentale" diffusa per attaccare il ministro dell'Interno e i sindaci che hanno aderito alla Carta di Parma.
La nota di Palazzo Madama. "Il Presidente del Senato, Renato Schifani - si legge nel comunicato di Palazzo Madama - in merito alla giovane extracomunitaria fermata nei giorni scorsi dalla Polizia Municipale di Parma e fotografata all'interno di una cella in condizioni di estremo abbandono, ha chiesto chiarimenti sull'episodio al Prefetto della città emiliana".
"La drammatica foto pubblicata - prosegue la nota - rischia infatti di trasmettere un'immagine del nostro Paese diversa da quella che è in realtà e di quanto si sta facendo a tutela dell'ordine pubblico, ma nel rispetto dei diritti inviolabili della persona. Chi intende adottare il criterio della 'tolleranza zero' è tenuto a farlo non sottraendosi mai alla tutela della dignità della persona e della sua privacy. Pertanto il Presidente del Senato auspica che venga fatta al più presto opportuna e doverosa chiarezza sull'intero accaduto".
La replica dell'assessore. "Parma non ha un sindaco-sceriffo e non è una città insensibile nei confronti dei più deboli". Così Monteverdi rassicura Schifani. E la città ducale non è nemmeno "un covo della prostituzione" da stanare a colpi di retate o atti di violenza. Per Monteverdi si tratta di una foto "sconsiderata" e "strumentale". "Con quella foto si è cercato di attaccare Maroni, la Carta di Parma e i sindaci che hanno aderito", replica Monteverdi rivolgendo le accuse soprattutto ai media.
Ed è pronto a 'giurare' anche sul "trattamento encomiabile" e nel rispetto della legge riservato dai vigili urbani alle persone controllate. "Credo che questa donna non sia mai stata trattata così bene come venerdì sera - azzarda l'assessore - anzi, con qualcosa in più visto che non siamo tenuti a dare acqua, coperte e la colazione come abbiamo fatto nei confronti della nigeriana e delle altre prostitute fermate".
Le multe anti-lucciole. Ma messe da parte le polemiche, nella città emiliana le retate anti-lucciole della Municipale continueranno, conferma Monteverdi, almeno una volta al mese. Unica differenza in arrivo potrebbe essere l'inasprimento delle sanzioni previste dall'ordinanza anti-prostituzione. "Dopo le ferie presenterò al sindaco una serie di proposte - assicura l'assessore - tra cui l'innalzamento della sanzione minima per i clienti delle prostitute, dagli attuali 25 euro a 50, abbassando invece il massimo a 450 rispetto agli attuali 500".
(12 agosto 2008)
Fonte:repubblica.it
giovedì 14 agosto 2008
GENOVA: IL SECOLO XIX, IN 4 VIOLENTANO RAGAZZINA DI 12 ANNI
Genova, 14 ago. - (Adnkronos) - Una dodicenne ecuadoriana e' stata stuprata da due connazionali mentre altri due guardavano senza intervenire durante una festa in un appartamento di Genova-Cornigliano. E' accaduto a luglio scorso, secondo quanto riporta Il 'Secolo XIX'. Uno dei quattro giovani, due minori e due appena maggiorenni, e' stato fermato dalla polizia qualche giorno dopo il fatto mentre nei giorni scorsi sono stati eseguiti altri tre arresti. A violentare fisicamente la ragazzina sono stati due giovani, altri due hanno assistito alla scena senza fare nulla per impedire quanto stava avvenendo. Dopo avere subito la violenza, la dodicenne ha trascorso tutta la notte fuori casa e, al ritorno, si e' confidata con i genitori. Conduce le indagini il pm Giovanni Arena.
(Sca/Ct/Adnkronos)
14-AGO-08 11:00
Fonte: iltempo.it
(Sca/Ct/Adnkronos)
14-AGO-08 11:00
Fonte: iltempo.it
domenica 10 agosto 2008
E' estate, vietato abortire donna rimane in corsia
L'intervento terapuetico negato a una paziente ricoverata al San Camillo di Roma
L'unico anestesista non in ferie è obiettore e si è rifiutato di operare
La diagnosi prenatale parla di "feto idrocefalo e displasia renale bilaterale"
di LAURA SERLONI
ROMA - Tutti in ferie gli anestesisti non obiettori del centro per le Interruzioni volontarie di gravidanza dell'ospedale San Camillo-Forlanini. E una donna resta bloccata quattro lunghi giorni in astanteria, aspettando l'aborto terapeutico. Dolori lancinanti e stress, ma nessuno interviene. Tutto rimandato a lunedì. Nella speranza che, nel pieno della settimana ferragostana, si trovi un medico non obiettore disponibile a infilarsi il camice.
La diagnosi, stilata da un centro di Verona specializzato in analisi prenatale, è chiara. Parla di "feto idrocefalo e displasia renale bilaterale". In altre parole il cervello del piccolo sarebbe pieno di liquido amniotico e proprio per la malformazione ai reni non riuscirebbe a respirare fuori dal grembo materno. La patologia è stata riscontrata solo al quinto mese di gravidanza. E l'unica soluzione prospetta dai sanitari è l'aborto terapeutico, ma i tempi sono strettissimi. Per la legge 194, l'interruzione di gravidanza non può essere eseguita oltre la ventiduesima settimana. Restano quattordici giorni, durante i quali bisogna riuscire a trovare un centro per l'intervento.
L'ospedale più vicino per la donna è quello di Borgo Roma nel veronese. "Nonostante i numerosi referti che indicano la gravissima patologia - racconta il marito - volevano far fare a mia moglie altri accertamenti e protrarre i tempi. Ma le condizioni erano così critiche che rimandare ulteriormente l'intervento mi sembrava una follia. Così ci hanno consigliato di venire al San Camillo, ma qui la nostra via crucis continua".
La paziente martedì arriva a Roma. Non ci sono stanze. O meglio, nel reparto di Ostetricia è disponibile un solo letto per l'interruzione volontaria di gravidanza. Per la carenza di infermieri non c'è posto nel padiglione di Ginecologia. Il giorno dopo la trentenne viene ricoverata con urgenza. Passano le ore. Niente. Le vengono somministrati farmaci per indurre il parto, ma l'utero non si allarga. Nel sangue è alta la concentrazione di medicinali. La pressione arteriosa è flebile. Per i sanitari, l'unica soluzione è l'intervento chirurgico. Occorre l'epidurale per garantire l'effetto sedante. Ma nell'ospedale non si trovano anestesisti, sono in vacanza e sul piano delle presenze la scritta "in ferie" corre sui vari nomi.
L'unico di turno, obiettore di coscienza, si rifiuta di procedere. Quindi, l'operazione è rinviata. A quando non si sa. Gli spasmi sono lancinanti. Gli antidolorifici fanno effetto, ma la donna è costretta a restare sdraiata, immobile nel letto, ancora per giorni. Il fine settimana è off limits. Si ferma anche la somministrazione di farmaci per indurre il parto perché il sangue si depuri. "Se ne riparlerà lunedì", tagliano corto i medici.
"Non mi hanno dato nessuna certezza - si sfoga la paziente - e la cosa assurda è che sono in balia del caso e delle vacanze dei sanitari. Finora mi sono solo sentita ripetere "si vedrà". Non mi hanno dato dei tempi certi e il termine per eseguire l'aborto scade giovedì, poi sarò costretta a tenere il bambino fino al nono mese, ma nascerà comunque morto. Se volessi cambiare ospedale dovrei ricominciare tutto daccapo: altri accertamenti, nuove visite, ancora impegnative e ulteriori affanni. Così molte donne sono costrette ad andare all'estero, dove tutto sembra più semplice". Insomma, gli stessi problemi sono rimandati all'inizio della settimana prossima, sperando che allora scendano in campo anestesisti non obiettori. Altrimenti bisognerà aspettare ancora.
(9 agosto 2008)
Fonte: repubblica.it
L'unico anestesista non in ferie è obiettore e si è rifiutato di operare
La diagnosi prenatale parla di "feto idrocefalo e displasia renale bilaterale"
di LAURA SERLONI
ROMA - Tutti in ferie gli anestesisti non obiettori del centro per le Interruzioni volontarie di gravidanza dell'ospedale San Camillo-Forlanini. E una donna resta bloccata quattro lunghi giorni in astanteria, aspettando l'aborto terapeutico. Dolori lancinanti e stress, ma nessuno interviene. Tutto rimandato a lunedì. Nella speranza che, nel pieno della settimana ferragostana, si trovi un medico non obiettore disponibile a infilarsi il camice.
La diagnosi, stilata da un centro di Verona specializzato in analisi prenatale, è chiara. Parla di "feto idrocefalo e displasia renale bilaterale". In altre parole il cervello del piccolo sarebbe pieno di liquido amniotico e proprio per la malformazione ai reni non riuscirebbe a respirare fuori dal grembo materno. La patologia è stata riscontrata solo al quinto mese di gravidanza. E l'unica soluzione prospetta dai sanitari è l'aborto terapeutico, ma i tempi sono strettissimi. Per la legge 194, l'interruzione di gravidanza non può essere eseguita oltre la ventiduesima settimana. Restano quattordici giorni, durante i quali bisogna riuscire a trovare un centro per l'intervento.
L'ospedale più vicino per la donna è quello di Borgo Roma nel veronese. "Nonostante i numerosi referti che indicano la gravissima patologia - racconta il marito - volevano far fare a mia moglie altri accertamenti e protrarre i tempi. Ma le condizioni erano così critiche che rimandare ulteriormente l'intervento mi sembrava una follia. Così ci hanno consigliato di venire al San Camillo, ma qui la nostra via crucis continua".
La paziente martedì arriva a Roma. Non ci sono stanze. O meglio, nel reparto di Ostetricia è disponibile un solo letto per l'interruzione volontaria di gravidanza. Per la carenza di infermieri non c'è posto nel padiglione di Ginecologia. Il giorno dopo la trentenne viene ricoverata con urgenza. Passano le ore. Niente. Le vengono somministrati farmaci per indurre il parto, ma l'utero non si allarga. Nel sangue è alta la concentrazione di medicinali. La pressione arteriosa è flebile. Per i sanitari, l'unica soluzione è l'intervento chirurgico. Occorre l'epidurale per garantire l'effetto sedante. Ma nell'ospedale non si trovano anestesisti, sono in vacanza e sul piano delle presenze la scritta "in ferie" corre sui vari nomi.
L'unico di turno, obiettore di coscienza, si rifiuta di procedere. Quindi, l'operazione è rinviata. A quando non si sa. Gli spasmi sono lancinanti. Gli antidolorifici fanno effetto, ma la donna è costretta a restare sdraiata, immobile nel letto, ancora per giorni. Il fine settimana è off limits. Si ferma anche la somministrazione di farmaci per indurre il parto perché il sangue si depuri. "Se ne riparlerà lunedì", tagliano corto i medici.
"Non mi hanno dato nessuna certezza - si sfoga la paziente - e la cosa assurda è che sono in balia del caso e delle vacanze dei sanitari. Finora mi sono solo sentita ripetere "si vedrà". Non mi hanno dato dei tempi certi e il termine per eseguire l'aborto scade giovedì, poi sarò costretta a tenere il bambino fino al nono mese, ma nascerà comunque morto. Se volessi cambiare ospedale dovrei ricominciare tutto daccapo: altri accertamenti, nuove visite, ancora impegnative e ulteriori affanni. Così molte donne sono costrette ad andare all'estero, dove tutto sembra più semplice". Insomma, gli stessi problemi sono rimandati all'inizio della settimana prossima, sperando che allora scendano in campo anestesisti non obiettori. Altrimenti bisognerà aspettare ancora.
(9 agosto 2008)
Fonte: repubblica.it
sabato 9 agosto 2008
Diciassettenne suicida a Rovigo Fidanzato diffuse immagini hard
Si è tolta la vita sparandosi con la pistola del padre. Fatale lo shock provocato dal gesto compiuto dall'ex due anni fa.
ROVIGO - Ha salutato la madre con la quale era sola in casa e ha finto di andare a letto; invece, ha aperto la cassaforte e ha preso la pistola del padre. Un solo colpo al petto è bastato per stroncare la vita a una ragazza di 16 anni. Due anni dopo quelle immagini hard che il suo ex-fidanzato aveva diffuso in rete.
E' morta così ieri sera a Adria una studentessa che frequentava il liceo scientifico; non ha lasciato un biglietto, una traccia scritta per spiegare il perché del suo gesto. Ma davanti alla tragedia è riemersa una triste storia che l'aveva vista incolpevole protagonista e che forse per tanto tempo ha pesato in lei come un macigno.
Figlia di un professionista e di un'impiegata, genitori di altri due figli maschi più grandi, la sedicenne due anni fa era rimasta coinvolta suo malgrado in una squallida vicenda: alcune sue immagini a sfondo sessuale erano state diffuse, forse per un dispetto tra giovani, dal suo ex, un ragazzo maggiorenne. Alcune scene intime che la vedevano protagonista erano state infatti riprese con il telefonino dal suo ex ragazzo e poi scaricate sul computer: da qui erano cominciate a girare in rete.
Una triste vicenda su cui la squadra mobile di Rovigo, dopo aver sequestrato computer e telefonino, ha condotto un'inchiesta che ha portato alla denuncia dell'ex fidanzato e di una sessantina di persone: quelle che gli investigatori erano riusciti a verificare essere entrate in contatto con quel filmato. Quelle sequenze, e ciò che hanno rappresentato e scatenato successivamente, hanno probabilmente segnato la vita della giovane.
La ragazzina non sarebbe riuscita a darsi pace, neanche dopo aver cercato il conforto nell'attività della parrocchia assieme ad altri giovani coetanei. Alcuni mesi fa aveva già tentato, come si è appreso in ambienti investigativi, di togliersi la vita. In quell'occasione aveva usato un'arma da taglio e aveva infierito sulle vene dei suoi polsi. Soccorsa, la giovane era stata salvata. Questa volta però nessuno ha potuto aiutarla. La mamma, rimasta al piano inferiore dell'abitazione, non ha sentito lo sparo. La donna ha scoperto la tragedia qualche decina di minuti dopo quando ha trovato la figlia senza vita e vicino l'arma, una Beretta.
Sulla vicenda indagano ora i carabinieri di Adria nel tentativo di capire se la vecchia vicenda era diventato un tormento tale da spingere la giovane al suicidio.
(9 agosto 2008)
Fonte: repubblica.it
ROVIGO - Ha salutato la madre con la quale era sola in casa e ha finto di andare a letto; invece, ha aperto la cassaforte e ha preso la pistola del padre. Un solo colpo al petto è bastato per stroncare la vita a una ragazza di 16 anni. Due anni dopo quelle immagini hard che il suo ex-fidanzato aveva diffuso in rete.
E' morta così ieri sera a Adria una studentessa che frequentava il liceo scientifico; non ha lasciato un biglietto, una traccia scritta per spiegare il perché del suo gesto. Ma davanti alla tragedia è riemersa una triste storia che l'aveva vista incolpevole protagonista e che forse per tanto tempo ha pesato in lei come un macigno.
Figlia di un professionista e di un'impiegata, genitori di altri due figli maschi più grandi, la sedicenne due anni fa era rimasta coinvolta suo malgrado in una squallida vicenda: alcune sue immagini a sfondo sessuale erano state diffuse, forse per un dispetto tra giovani, dal suo ex, un ragazzo maggiorenne. Alcune scene intime che la vedevano protagonista erano state infatti riprese con il telefonino dal suo ex ragazzo e poi scaricate sul computer: da qui erano cominciate a girare in rete.
Una triste vicenda su cui la squadra mobile di Rovigo, dopo aver sequestrato computer e telefonino, ha condotto un'inchiesta che ha portato alla denuncia dell'ex fidanzato e di una sessantina di persone: quelle che gli investigatori erano riusciti a verificare essere entrate in contatto con quel filmato. Quelle sequenze, e ciò che hanno rappresentato e scatenato successivamente, hanno probabilmente segnato la vita della giovane.
La ragazzina non sarebbe riuscita a darsi pace, neanche dopo aver cercato il conforto nell'attività della parrocchia assieme ad altri giovani coetanei. Alcuni mesi fa aveva già tentato, come si è appreso in ambienti investigativi, di togliersi la vita. In quell'occasione aveva usato un'arma da taglio e aveva infierito sulle vene dei suoi polsi. Soccorsa, la giovane era stata salvata. Questa volta però nessuno ha potuto aiutarla. La mamma, rimasta al piano inferiore dell'abitazione, non ha sentito lo sparo. La donna ha scoperto la tragedia qualche decina di minuti dopo quando ha trovato la figlia senza vita e vicino l'arma, una Beretta.
Sulla vicenda indagano ora i carabinieri di Adria nel tentativo di capire se la vecchia vicenda era diventato un tormento tale da spingere la giovane al suicidio.
(9 agosto 2008)
Fonte: repubblica.it
Giovane con problemi psichici stuprata per due sere consecutive
Due uomini originari del Marocco sono finiti in carcere con l'accusa di violenza sessuale di gruppo continuata. Avrebbero approfittato della 27enne, residente nel Lecchese, il 6 e 7 agosto scorsi.
I due uomini, di 22 e 36 anni, si trovano rinchiusi nel carcere di Lecco.
Milano, 9 ago. (Adnkronos/Ign) - Hanno approfittato dei gravi problemi psichici di una ventisettenne per stuprarla in due, per due sere consecutive. La vittima, una ragazza residente in un paese del Lecchese in cura presso un centro psicosociale, sarebbe stata circuita da due uomini originari del Marocco, uno clandestino e l'altro con il permesso di soggiorno scaduto e non ancora rinnovato.
I due hanno avvicinato la donna la sera del 6 agosto e sono riusciti a convincerla a seguirli nella loro abitazione, senza ricorrere alla violenza. Una volta entrata nella casa dei due la donna sarebbe stata violentata da entrambi, dopodiché è stata lasciata andare.
La sera successiva, il 7, i due hanno incontrato di nuovo la vittima e lo stupro si è ripetuto, sempre nella casa dei due uomini, un 22enne e un 36enne.
Appena tornata a casa, intorno alle 23, la ragazza ha chiamato il 112, dicendo inizialmente di essere stata scippata. Quando i militari sono arrivati a casa sua, ha confidato loro la violenza subita. I due presunti violentatori sono finiti in caserma, mentre la vittima è stata portata prima al Pronto Soccorso di Merate e poi alla clinica Mangiagalli di Milano, dove la violenza è stata confermata dai sanitari, che hanno riscontrato anche ecchimosi sulle braccia della donna.
I due uomini sono stati fermati e rinchiusi nel carcere di Lecco con l'accusa di violenza sessuale di gruppo continuata, lesioni e, per uno dei due, con l'aggravante di aver commesso il fatto in condizione di clandestinità.
Fonte: adnkronos.com
I due uomini, di 22 e 36 anni, si trovano rinchiusi nel carcere di Lecco.
Milano, 9 ago. (Adnkronos/Ign) - Hanno approfittato dei gravi problemi psichici di una ventisettenne per stuprarla in due, per due sere consecutive. La vittima, una ragazza residente in un paese del Lecchese in cura presso un centro psicosociale, sarebbe stata circuita da due uomini originari del Marocco, uno clandestino e l'altro con il permesso di soggiorno scaduto e non ancora rinnovato.
I due hanno avvicinato la donna la sera del 6 agosto e sono riusciti a convincerla a seguirli nella loro abitazione, senza ricorrere alla violenza. Una volta entrata nella casa dei due la donna sarebbe stata violentata da entrambi, dopodiché è stata lasciata andare.
La sera successiva, il 7, i due hanno incontrato di nuovo la vittima e lo stupro si è ripetuto, sempre nella casa dei due uomini, un 22enne e un 36enne.
Appena tornata a casa, intorno alle 23, la ragazza ha chiamato il 112, dicendo inizialmente di essere stata scippata. Quando i militari sono arrivati a casa sua, ha confidato loro la violenza subita. I due presunti violentatori sono finiti in caserma, mentre la vittima è stata portata prima al Pronto Soccorso di Merate e poi alla clinica Mangiagalli di Milano, dove la violenza è stata confermata dai sanitari, che hanno riscontrato anche ecchimosi sulle braccia della donna.
I due uomini sono stati fermati e rinchiusi nel carcere di Lecco con l'accusa di violenza sessuale di gruppo continuata, lesioni e, per uno dei due, con l'aggravante di aver commesso il fatto in condizione di clandestinità.
Fonte: adnkronos.com
giovedì 7 agosto 2008
E Palazzo Chigi «velò» il seno alla Verità svelata del Tiepolo
La spiegazione del «ritocco»: turbava i telespettatori
ROMA — Le donne, a Palazzo Chigi, preferiscono vederle vestite. E non importa se quella che esibisce un seno — piccolo, tondo, pallido — se ne sta su una copia del celebre dipinto di Giambattista Tiepolo (1696-1770): «La Verità svelata dal Tempo ». Il dipinto, che Silvio Berlusconi aveva scelto come nuovo sfondo per la sala delle conferenze stampa, viene ritoccato. È successo. La testimonianza fotografica è inequivocabile. Prima si scorge un capezzolo. Poi il capezzolo sparisce. Coperto, si suppone, con due colpetti di pennello. La notizia è battuta dall’agenzia Italia alle 17,22. Un’ora dopo, Vittorio Sgarbi, critico d’arte di antica osservanza berlusconiana, ha la voce che quasi gli trema. «Cos’hanno fatto? Ma davvero?». Un ritocchino, professore. «Pazzi, sono dei pazzi...».
Ci vuole un bel coraggio, in effetti, a mettere le mani su un Tiepolo, sia pure in crosta. «E allora cosa dovrebbero fare con tutte quelle statue di donna sparse in decine di musei italiani dove spesso si ammirano seni da far restare senza fiato pure Pamela Anderson? ». L’arte, evidentemente, spaventa. «Oh... io spero davvero che la decisione di questo assurdo, folle, patetico, comico, inutile ritocchino sia stata presa all’insaputa del Cavaliere. Tanto più che se volevano fargli un piacere, cercando di non far associare agli italiani una tetta alla sua immagine di uomo, come dire? incline al fascino femminile, sono riusciti invece nell’esatto contrario. Ma si sa, almeno, chi è il responsabile di questa cretinata?». Non s’è capito subito, in verità. Poi il sottosegretario alla Presidenza Paolo Bonaiuti ha fatto personalmente qualche telefonatina. «E allora, beh, direi che è andata molto semplicemente: diciamo che è stata un’iniziativa di coloro che, nello staff presidenziale, provvedono alla cura dell’immagine di Berlusconi ».
Bonaiuti, scusi: ma cosa li avrebbe turbati tanto? «Beh... sì, insomma: quel seno, quel capezzoluccio... Se ci fate caso, finisce esattamente dentro le inquadrature che i tg fanno in occasione delle conferenze stampa». E quindi? «E quindi hanno temuto che tale visione potesse urtare la suscettibilità di qualche telespettatore. Tutto qui». C’è da dire che in occasione delle prime inquadrature ormai risalenti alla conferenza stampa del 20 maggio scorso (con il presidente di Confindustria Emma Marcegaglia perfettamente centrata sotto la femminile Verità ancora scoperta) al centralino di Palazzo Chigi non risultano essere giunte particolari proteste da parte della cittadinanza italiana. Nè preoccupazioni per eventuali turbamenti vennero comunque al Cavaliere e al suo architetto di fiducia, che lo aiutò nella scelta del celebre dipinto: Mario Catalano, forse non casualmente già scenografo del memorabile programma di spogliarello televisivo «Colpo Grosso», condotto da Umberto Smaila su Italia 7 dal 1987 al 1991, con le ragazze, chiamate «mascherine», che — appunto — si facevano volar via il reggiseno cantando «Cin cin/ fruttine prelibate/ cin cin...».
Fabrizio Roncone
Fonte: corriere.it
ROMA — Le donne, a Palazzo Chigi, preferiscono vederle vestite. E non importa se quella che esibisce un seno — piccolo, tondo, pallido — se ne sta su una copia del celebre dipinto di Giambattista Tiepolo (1696-1770): «La Verità svelata dal Tempo ». Il dipinto, che Silvio Berlusconi aveva scelto come nuovo sfondo per la sala delle conferenze stampa, viene ritoccato. È successo. La testimonianza fotografica è inequivocabile. Prima si scorge un capezzolo. Poi il capezzolo sparisce. Coperto, si suppone, con due colpetti di pennello. La notizia è battuta dall’agenzia Italia alle 17,22. Un’ora dopo, Vittorio Sgarbi, critico d’arte di antica osservanza berlusconiana, ha la voce che quasi gli trema. «Cos’hanno fatto? Ma davvero?». Un ritocchino, professore. «Pazzi, sono dei pazzi...».
Ci vuole un bel coraggio, in effetti, a mettere le mani su un Tiepolo, sia pure in crosta. «E allora cosa dovrebbero fare con tutte quelle statue di donna sparse in decine di musei italiani dove spesso si ammirano seni da far restare senza fiato pure Pamela Anderson? ». L’arte, evidentemente, spaventa. «Oh... io spero davvero che la decisione di questo assurdo, folle, patetico, comico, inutile ritocchino sia stata presa all’insaputa del Cavaliere. Tanto più che se volevano fargli un piacere, cercando di non far associare agli italiani una tetta alla sua immagine di uomo, come dire? incline al fascino femminile, sono riusciti invece nell’esatto contrario. Ma si sa, almeno, chi è il responsabile di questa cretinata?». Non s’è capito subito, in verità. Poi il sottosegretario alla Presidenza Paolo Bonaiuti ha fatto personalmente qualche telefonatina. «E allora, beh, direi che è andata molto semplicemente: diciamo che è stata un’iniziativa di coloro che, nello staff presidenziale, provvedono alla cura dell’immagine di Berlusconi ».
Bonaiuti, scusi: ma cosa li avrebbe turbati tanto? «Beh... sì, insomma: quel seno, quel capezzoluccio... Se ci fate caso, finisce esattamente dentro le inquadrature che i tg fanno in occasione delle conferenze stampa». E quindi? «E quindi hanno temuto che tale visione potesse urtare la suscettibilità di qualche telespettatore. Tutto qui». C’è da dire che in occasione delle prime inquadrature ormai risalenti alla conferenza stampa del 20 maggio scorso (con il presidente di Confindustria Emma Marcegaglia perfettamente centrata sotto la femminile Verità ancora scoperta) al centralino di Palazzo Chigi non risultano essere giunte particolari proteste da parte della cittadinanza italiana. Nè preoccupazioni per eventuali turbamenti vennero comunque al Cavaliere e al suo architetto di fiducia, che lo aiutò nella scelta del celebre dipinto: Mario Catalano, forse non casualmente già scenografo del memorabile programma di spogliarello televisivo «Colpo Grosso», condotto da Umberto Smaila su Italia 7 dal 1987 al 1991, con le ragazze, chiamate «mascherine», che — appunto — si facevano volar via il reggiseno cantando «Cin cin/ fruttine prelibate/ cin cin...».
Fabrizio Roncone
Fonte: corriere.it
Aids: donne sposate le più colpite nel Sud del mondo
il marito il veicolo del contagio
Anche il Paesi in cui il numero di nuove infezioni si è ridotto, la maggior parte avviene tra le donne sposate e monogame
CITTÀ DEL MESSICO - Nei Paesi in via di sviluppo sono le donne sposate e monogame le più colpite dal virus Hiv. Secondo il rapporto presentato dall'associazione Population Action International nella conferenza mondiale sull'Aids di Città del Messico, «il matrimonio viene spesso percepito come un fattore di protezione, ma non lo è». Lo testimonia il fatto che anche i Paesi in cui il numero di nuove infezioni si è ridotto, la maggior parte di esse avviene adesso tra le donne sposate e monogame».
SUDEST ASIATICO - Accade per esempio in Cambogia, dove quella da marito a moglie è la principale modalità di trasmissione del virus Hiv, responsabile di due quinti delle nuove infezioni. Il problema, rileva l'indagine, è che «l'uso del condom continua ad essere molto poco diffuso nelle coppie sposate e con i partner fissi«, mentre «resta associato a infedeltà o prostituzione. E un recente studio del programma sull'Aids delle Nazioni Unite (Unaids) ha calcolato che il 90% delle donne sieropositive sono state infettate dal marito». Nei Paesi più poveri le conseguenze di questi comportamenti trasformano il sesso non protetto nel secondo fattore di rischio per la salute delle donne e la quinta causa di morte. Una situazione tanto più grave considerando che, sempre nei Paesi in via di sviluppo, si calcola che nei prossimi dieci anni ben cento milioni di giovani si sposeranno prima di compiere 18 anni.
05 agosto 2008
Fonte: corriere.it
Anche il Paesi in cui il numero di nuove infezioni si è ridotto, la maggior parte avviene tra le donne sposate e monogame
CITTÀ DEL MESSICO - Nei Paesi in via di sviluppo sono le donne sposate e monogame le più colpite dal virus Hiv. Secondo il rapporto presentato dall'associazione Population Action International nella conferenza mondiale sull'Aids di Città del Messico, «il matrimonio viene spesso percepito come un fattore di protezione, ma non lo è». Lo testimonia il fatto che anche i Paesi in cui il numero di nuove infezioni si è ridotto, la maggior parte di esse avviene adesso tra le donne sposate e monogame».
SUDEST ASIATICO - Accade per esempio in Cambogia, dove quella da marito a moglie è la principale modalità di trasmissione del virus Hiv, responsabile di due quinti delle nuove infezioni. Il problema, rileva l'indagine, è che «l'uso del condom continua ad essere molto poco diffuso nelle coppie sposate e con i partner fissi«, mentre «resta associato a infedeltà o prostituzione. E un recente studio del programma sull'Aids delle Nazioni Unite (Unaids) ha calcolato che il 90% delle donne sieropositive sono state infettate dal marito». Nei Paesi più poveri le conseguenze di questi comportamenti trasformano il sesso non protetto nel secondo fattore di rischio per la salute delle donne e la quinta causa di morte. Una situazione tanto più grave considerando che, sempre nei Paesi in via di sviluppo, si calcola che nei prossimi dieci anni ben cento milioni di giovani si sposeranno prima di compiere 18 anni.
05 agosto 2008
Fonte: corriere.it
venerdì 1 agosto 2008
Firenze, stuprata dal "branco" Il leader girava film "splatter"
Circondata e violentata da sette "amici" all'uscita dalla Fortezza da Basso. Arrestati gli autori anche grazie alle immagini pubblicate sul popolare sito. La ragazza, 22 anni, aveva conosciuto il giovane all'università, e aveva partecipato ad alcuni "short" messi su YouTube dall'autore.
FIRENZE - Sette ragazzi sono stati fermati nella notte dalla polizia con l'accusa di aver costretto una loro amica a subire ripetute violenze di gruppo. Hanno fra i 20 e i 25 anni e sono italiani. Uno dei fermati è Lorenzo Lepori, regista e attore sperimentale, che attraverso il sito mydarkcorner. org mette in rete i trailer dei suoi film.
I TRAILER DEI "FILM" DI LEPORI
La ragazza, che studia storia dell'arte, lo aveva conosciuto all'accademia teatrale e aveva partecipato come attrice ad alcuni suoi film a sfondo sadico - satanico, girati in una villa di Montecatini. La sera fra il 25 e il 26 luglio, Lorenzo l'aveva invitata a incontrare un gruppo di amici alla manifestazione che si svolge nella antica Fortezza da Basso di Firenze, dove ci sono locali, spettacoli, una pista da ballo. E' cominciata così una notte da incubo.
Il giorno successivo, accompagnata dalla madre di un'amica, la ragazza si è presentata al centro antiviolenze dell'ospedale di Careggi. Aveva lividi, tracce di morsi sui seni e sugli organi genitali, ed evidenti segni di violenza sessuale. Nella denuncia presentata alla polizia ha raccontato che i ragazzi, alcuni dei quali conosciuti solo quella sera, l'avevano fatta bere forte: una, due, tante tequile. Poi qualcuno si era fatto pressante. Ma c'era gente, lei non aveva paura. Quando però, verso le 3 di notte, si sono allontanati dalla festa, e mentre lei li stava salutando per andare a riprendere la sua bicicletta, i sette giovani - ha raccontato - l'hanno trascinata verso un angolo buio e poi infilata a forza in una macchina, dove a turno hanno abusato di lei.
Quando l'incubo è finito e lei si è ritrovata finalmente sola in una piazza non lontana dalla Fortezza, era così umiliata e disperata che ha avuto la tentazione di gettarsi giù da un ponte. Quando ha trovato il coraggio di sporgere denuncia, ha potuto indicare facilmente alla polizia alcuni dei giovani, perché già li conosceva, e ne ha individuati altri su un blog, dove avevano inviato alcune foto scattate proprio quella sera alla Fortezza.
La notte scorsa gli investigatori della squadra mobile sono riusciti a raggiungere tutti e sette i ragazzi, in varie città toscane, e li hanno fermati. Sono tutti accusati di violenza sessuale di gruppo con l'aggravante di aver fatto ingerire alla ragazza sostanze alcoliche. Rischiano fino a 18 anni di carcere.
(31 luglio 2008)
Fonte: repubblica.it
Edit del 26 luglio 2015
Qui la sentenza di assoluzione https://abbattoimuri.wordpress.com/2015/07/23/firenze-testo-sentenza-di-assoluzione-per-stupro-di-gruppo-alla-fortezza-da-basso/
FIRENZE - Sette ragazzi sono stati fermati nella notte dalla polizia con l'accusa di aver costretto una loro amica a subire ripetute violenze di gruppo. Hanno fra i 20 e i 25 anni e sono italiani. Uno dei fermati è Lorenzo Lepori, regista e attore sperimentale, che attraverso il sito mydarkcorner. org mette in rete i trailer dei suoi film.
I TRAILER DEI "FILM" DI LEPORI
La ragazza, che studia storia dell'arte, lo aveva conosciuto all'accademia teatrale e aveva partecipato come attrice ad alcuni suoi film a sfondo sadico - satanico, girati in una villa di Montecatini. La sera fra il 25 e il 26 luglio, Lorenzo l'aveva invitata a incontrare un gruppo di amici alla manifestazione che si svolge nella antica Fortezza da Basso di Firenze, dove ci sono locali, spettacoli, una pista da ballo. E' cominciata così una notte da incubo.
Il giorno successivo, accompagnata dalla madre di un'amica, la ragazza si è presentata al centro antiviolenze dell'ospedale di Careggi. Aveva lividi, tracce di morsi sui seni e sugli organi genitali, ed evidenti segni di violenza sessuale. Nella denuncia presentata alla polizia ha raccontato che i ragazzi, alcuni dei quali conosciuti solo quella sera, l'avevano fatta bere forte: una, due, tante tequile. Poi qualcuno si era fatto pressante. Ma c'era gente, lei non aveva paura. Quando però, verso le 3 di notte, si sono allontanati dalla festa, e mentre lei li stava salutando per andare a riprendere la sua bicicletta, i sette giovani - ha raccontato - l'hanno trascinata verso un angolo buio e poi infilata a forza in una macchina, dove a turno hanno abusato di lei.
Quando l'incubo è finito e lei si è ritrovata finalmente sola in una piazza non lontana dalla Fortezza, era così umiliata e disperata che ha avuto la tentazione di gettarsi giù da un ponte. Quando ha trovato il coraggio di sporgere denuncia, ha potuto indicare facilmente alla polizia alcuni dei giovani, perché già li conosceva, e ne ha individuati altri su un blog, dove avevano inviato alcune foto scattate proprio quella sera alla Fortezza.
La notte scorsa gli investigatori della squadra mobile sono riusciti a raggiungere tutti e sette i ragazzi, in varie città toscane, e li hanno fermati. Sono tutti accusati di violenza sessuale di gruppo con l'aggravante di aver fatto ingerire alla ragazza sostanze alcoliche. Rischiano fino a 18 anni di carcere.
(31 luglio 2008)
Fonte: repubblica.it
Edit del 26 luglio 2015
Qui la sentenza di assoluzione https://abbattoimuri.wordpress.com/2015/07/23/firenze-testo-sentenza-di-assoluzione-per-stupro-di-gruppo-alla-fortezza-da-basso/
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