di Maria Rita Parsi
Pare non abbia retto al dolore e ai ricordi di quel che le era capitato due anni prima. Perciò si è suicidata.
Uno sparo ed è andata via. Via da certi sguardi; da certi residuali pettegolezzi; dall'insidia violenta di quelli che la ricordavano, forse, per un episodio avvenuto quando aveva soltanto quattordici anni e sul quale polizia e magistratura erano intervenute a renderle giustizia.
Denunciato il fidanzatino ed altre venti persone per aver diffuso le immagini della sua iniziazione sessuale con costui. Ma tanto basta?
A sedici anni è, forse, una giustizia che può non bastare. Ci sono, infatti, ferite che, a volte, non si rimarginano. Lasciano una traccia nella mente e nel cuore di chi vede rendere pubblica la propria inesperta, giocosa intimità sessuale. Ferite così dolorose, depressive, lesive della propria autostima e della propria dignità che possono non essere mai state rimarginate a causa dello stress e dello choc causati dagli eventi che le hanno provocate.
Così, forse, è stato per lei. Per quella ragazza che, di certo, aveva subito il «tradimento dei tradimenti» fattole attraverso l'osceno gioco del bullismo telematico. Quel bullismo telematico l'aveva resa «celebre» agli occhi di tanti sconosciuti e di tanti che, nel ristretto ambito in cui viveva, invece, ben la conoscevano. Senza che lei potesse immaginare che il suo corpo, le sue parole, i suoi movimenti, i suoi pensieri, la privacy dei suoi atti, il gioco d'intimità di una quattordicenne che prova a fare l'amore dei grandi, sarebbero diventati l'osceno intrattenimento di indiscreti, irrispettosi, irresponsabili spettatori.
Un mondo di spioni e di vittime spiate; un serpente che si morde la coda, dove l'educazione sentimentale non esiste e l'intento, consapevole o inconsapevole, certamente irresponsabile ed illegale è quello di provocare, dileggiare, umiliare, offendere, penalizzare, punire, ricattare gli altri con mezzi che dovrebbero garantire la libertà e la democrazia, l'ampliamento e il progresso dell'informazione.
Si tratta di un mondo che non ci auguriamo possa continuare a proliferare. Un mondo in guerra in luoghi piccoli e casalinghi com'è tradizionalmente in guerra, anche oggi, in luoghi grandi e in Nazioni. È un mondo che ogni genitore, educatore, operatore della comunicazione, intellettuale; ogni autorità, istituzione, tribunale nonché ogni gestore responsabile di dominii virtuali e di motori di ricerca, dovrebbe impedire possa essere quello da offrire ai ragazzi di oggi, «natividigitali» e alle comunità.
Per rispetto di questa che è una martire del bullismo telematico, e di tutte quelle martiri che non conosciamo e di tutte quelle che verranno; affinché le cronache nere dei giornali non ne registrino, sempre di più, le personali, familiari, collettive tragedie, bisogna scongiurare un mondo siffatto per i ragazzini (e non soltanto) che si fanno autori, irresponsabilmente, di questi atti. Educarli al rispetto di sé e degli altri; alla privacy di ciò che conta veramente come l'amore e l'iniziazione sessuale; come la libertà di pensiero e di azione che non possono essere né spiate né fatte oggetto di diffusione a terzi in assenza di libera scelta e personale assenso.
Non c'è vergogna peggiore, infatti, né dovrebbe esserci condanna peggiore da infliggere a chi spia e ricatta la vita altrui. A questo vanno educate le nuove generazioni il cui patrimonio è la realtà virtualizzata. Farlo è compito degli adulti responsabili e delle autorità.
C'è qualcuno che vuole mettere in atto lo sciopero della fame anche per questi diritti, please?
Fonte: il giornale
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