Saranno processati per violenza sessuale
MONICA CERAVOLO
PALERMO
Gli insegnanti di una scuola media di Palermo sono accusati di violenza sessuale per non avere impedito che un'alunna venisse palpeggiata da un compagno. I 4 professori della Lambruschini, istituto di una zona popolare della città, sono stati rinviati a giudizio perché ritenuti colpevoli di omissione: hanno consentito, col loro silenzio, che il reato si consumasse. Nulla, invece, viene contestato all'autore delle molestie che nel 2006, epoca dei fatti, aveva 12 anni e non poteva essere incriminato.
Le violenze si sono consumate tra le classi e i corridoi della scuola frequentata dalla tredicenne e dal suo persecutore, un ragazzino di prima media. Per mesi l'adolescente è stata avvicinata e palpeggiata dal compagno in un crescendo di approcci culminati nella simulazione di un atto sessuale dentro il bagno delle ragazze, dove il dodicenne aveva seguito la compagna. L'accusa nei confronti degli insegnanti è stata formulata dal pm Maurizio Agnello, su richiesta del gip che ha imposto l'imputazione coatta. Il pm, infatti, in un primo momento aveva chiesto l'archiviazione.
La vicenda inizia quando la ragazzina ritorna a casa con una nota sul diario, scritta da un professore all'indirizzo dei genitori: «Alla luce di quanto accaduto oggi, ossia i numerosi tentativi di palpeggiamento cui sua figlia è fatta oggetto, suggerirei di controllare l'abbigliamento. A tale proposito esiste una direttiva ben precisa della preside a cui occorre attenersi». La nota è scritta nello stesso giorno in cui la tredicenne viene molestata in bagno e, per risposta, prende a pugni il compagno. Invece di prendere provvedimenti nei confronti del molestatore, è la vittima a essere richiamata.
Il padre, sconvolto dal contenuto della nota, risponde con una querela. Altro paradosso: la preside e un'insegnante controquerelano l’uomo che finisce indagato per calunnia e diffamazione.
Il fascicolo arriva così, una prima volta, in procura sul tavolo del pm Agnello, che spedisce le carte al tribunale per minorenni per verificare le accuse di molestie. Il tribunale liquida la faccenda specificando che il presunto autore degli atti sessuali ha meno di 14 anni e quindi non è imputabile. Ma il caso non si chiude lì. Il gip Pasqua Seminara, alla quale è affidato il giudizio, chiede di approfondire il caso. Viene fissato l'incidente probatorio nel corso del quale sono sentiti numerosi alunni della Lambruschini. Gli episodi di molestie sono confermati dalle compagne. Il diario della ragazzina è pieno di descrizioni e commenti sugli episodi.
Emerge una situazione, all'interno della scuola, contraddistinta da gravi problemi disciplinari: gli alunni, anche durante le ore di lezione, vanno e vengono dalle classi, entrano nelle aule di altri compagni, s’infilano nei bagni e girano per i corridoi. I docenti confermano.
Il pm chiede nuovamente l'archiviazione del caso. Nelle 16 pagine che accompagnano la richiesta sottolinea la mancanza di dolo da parte dei docenti, inconsapevoli delle molestie. Il gip impone il rinvio a giudizio per i 4 insegnanti, quelli indicati come i più «distratti», coloro che – stando alle testimonianze dell'incidente probatorio – non avrebbero fatto granché per imporre l'ordine nelle classi, lasciando spazio all'anarchia. Nei loro confronti un'accusa pesante: violenza sessuale in forma di omissione. Il pm ha annunciato che riformulerà la richiesta di archiviazione. Il padre della vittima, prosciolto dalla calunnia, sarà parte civile.
LaStampa
venerdì 14 novembre 2008
domenica 9 novembre 2008
Orrore in una "clinica" nigeriana Scoperta la "fabbrica dei bambini"
In una clinica per maternità ragazze schiave e violentate
costrette a portare avanti la gravidanza e cedere il nenonato
ENUGU (Nigeria) - Nati per essere venduti. In Nigeria è stata scoperta una "fabbrica di bambini". Per tutti era una clinica per maternità, in realtà quello che si faceva all'interno, soprattutto di notte, era organizzare un traffico di neonati strappati al madri costrette con la forza alla gravidanza e messi sul mercato.
Questo ha scoperto la polizia quando ha fatto irruzione nell'edificio di due piani di Enugu, nell'est del Paese. Quando gli agenti sono entrati hanno liberato una ventina di donne. Stando alla ricostruzione fornita dalle organizzazioni umanitarie di quella che è stata definita la più vasta operazione di polizia contro una rete di trafficanti di bambini, il medico responsabile della clinica di attirava giovani donne che portavano avanti gravidanze non volute, proponendo loro di aiutarle ad abortire.
Le adolescenti venivano invece rinchiuse fino al giorno del parto, quindi costrette a separarsi dal proprio bambino in cambio di circa 20 mila naira (135 euro).
I bambini veniva poi venduti, generalmente a nigeriani, per una cifra che oscilla tra i 300 e i 450 mila Naira (2.000-3.000 euro).
"Appena entrata, mi hanno fatto un'iniezione e sono svenuta - ha raccontato alla France Presse una delle donne liberate - quando ho ripreso conoscenza, mi sono resa conto che era stata violentata". La ragazza, 18 anni, è stata quindi rinchiusa con le altre donne. Il medico l'ha violentata di nuovo il giorno dopo, una settimana prima dell'intervento della polizia. Secondo la polizia, il medico "invitava" anche altri uomini "per ingravidare le ragazze".
Secondo le organizzazioni locali che si battono contro il traffico di essere umani, le fabbriche di bambini non sono rare in Nigeria, il paese che conta il più alto numero di abitanti del continente africano, 140 milioni. E anche se non esistono dati precisi sul numero di neonati destinati ogni anno alla vendita, gli attivisti sostengono che si tratta di un'attività molto diffusa, gestita da organizzazioni molto strutturate. "Pensiamo siano più grandi di quanto sappiamo", dice Ijeoma Okoronkwo, direttore regionale dell'agenzia nazionale per il bando del traffico di esseri umani. Secondo l'Unicef, sono almeno dieci i bambini che vengono venduti ogni giorno in Nigeria per usarli come manodopera, per farli prostituire o semplicemente per la cultura della sterilità come maledizione che ancora permea molti strati della popolazione del Paese.
Le strutture simili alla clinica di Enugu scoperte finora nel paese sono almeno una decina. "Tutto questo esiste da tempo, ma noi ne siamo al corrente solo dal dicembre 2006, quando un'ong ha lanciato l'allarme e ci ha segnalato che i bambini venivano venduti e che vi erano coinvolti gli ospedali", ha aggiunto.
In alcuni casi, giovani donne molto povere ricorrono di propria volontà a questa pratica per avere denaro. Nella clinica di Enugu, "abbiamo trovato quattro donne che erano lì da tre anni, per fare figli", ha detto il responsabile locale per la sicurezza, Desmond Agu.
Fonte: repubblica.it
costrette a portare avanti la gravidanza e cedere il nenonato
ENUGU (Nigeria) - Nati per essere venduti. In Nigeria è stata scoperta una "fabbrica di bambini". Per tutti era una clinica per maternità, in realtà quello che si faceva all'interno, soprattutto di notte, era organizzare un traffico di neonati strappati al madri costrette con la forza alla gravidanza e messi sul mercato.
Questo ha scoperto la polizia quando ha fatto irruzione nell'edificio di due piani di Enugu, nell'est del Paese. Quando gli agenti sono entrati hanno liberato una ventina di donne. Stando alla ricostruzione fornita dalle organizzazioni umanitarie di quella che è stata definita la più vasta operazione di polizia contro una rete di trafficanti di bambini, il medico responsabile della clinica di attirava giovani donne che portavano avanti gravidanze non volute, proponendo loro di aiutarle ad abortire.
Le adolescenti venivano invece rinchiuse fino al giorno del parto, quindi costrette a separarsi dal proprio bambino in cambio di circa 20 mila naira (135 euro).
I bambini veniva poi venduti, generalmente a nigeriani, per una cifra che oscilla tra i 300 e i 450 mila Naira (2.000-3.000 euro).
"Appena entrata, mi hanno fatto un'iniezione e sono svenuta - ha raccontato alla France Presse una delle donne liberate - quando ho ripreso conoscenza, mi sono resa conto che era stata violentata". La ragazza, 18 anni, è stata quindi rinchiusa con le altre donne. Il medico l'ha violentata di nuovo il giorno dopo, una settimana prima dell'intervento della polizia. Secondo la polizia, il medico "invitava" anche altri uomini "per ingravidare le ragazze".
Secondo le organizzazioni locali che si battono contro il traffico di essere umani, le fabbriche di bambini non sono rare in Nigeria, il paese che conta il più alto numero di abitanti del continente africano, 140 milioni. E anche se non esistono dati precisi sul numero di neonati destinati ogni anno alla vendita, gli attivisti sostengono che si tratta di un'attività molto diffusa, gestita da organizzazioni molto strutturate. "Pensiamo siano più grandi di quanto sappiamo", dice Ijeoma Okoronkwo, direttore regionale dell'agenzia nazionale per il bando del traffico di esseri umani. Secondo l'Unicef, sono almeno dieci i bambini che vengono venduti ogni giorno in Nigeria per usarli come manodopera, per farli prostituire o semplicemente per la cultura della sterilità come maledizione che ancora permea molti strati della popolazione del Paese.
Le strutture simili alla clinica di Enugu scoperte finora nel paese sono almeno una decina. "Tutto questo esiste da tempo, ma noi ne siamo al corrente solo dal dicembre 2006, quando un'ong ha lanciato l'allarme e ci ha segnalato che i bambini venivano venduti e che vi erano coinvolti gli ospedali", ha aggiunto.
In alcuni casi, giovani donne molto povere ricorrono di propria volontà a questa pratica per avere denaro. Nella clinica di Enugu, "abbiamo trovato quattro donne che erano lì da tre anni, per fare figli", ha detto il responsabile locale per la sicurezza, Desmond Agu.
Fonte: repubblica.it
Etichette:
abusi,
aggressione,
bambini,
coraggio,
diritti umani,
donne,
idiozia,
informazione,
madre,
perfidia,
schiavitù,
segregazione,
storia dello stupro,
torture,
violenza,
violenza psicologica
Labaro, tenta stupro nel parco i passanti reagiscono: arrestato
Repubblica — 04 novembre 2008 pagina 1 sezione: ROMA
Ha tentato di stuprare una ragazza cecoslovacca di 25 anni nel parco "Collidoro" di Labaro. Una scena selvaggia, sotto gli occhi di numerosi passanti. Il maniaco, un russo di 25 anni, completamente ubriaco, è stato arrestato dagli agenti del commissariato Flaminio. La giovane donna, accompagnata in ospedale, ne avrà per 22 giorni. «Abbiamo sentito urlare e ci siamo avvicinate - raccontano due giovani testimoni - c' era una ragazza col viso segnato dalle percosse che cercava di difendersi da un uomo. Lui la picchiava selvaggiamente e un amico della vittima, anche lui straniero, tentava di mettersi in mezzo ma è stato picchiato a sua volta. Qualche macchina si è fermata, i conducenti sono scesi e si sono scagliati sull' uomo mentre chiamavamo il 113. Poi, dopo una ventina di minuti, è arrivata una volante e quell' uomo è stato arrestato». - MASSIMO LUGLI
Fonte: repubblica.it
Ha tentato di stuprare una ragazza cecoslovacca di 25 anni nel parco "Collidoro" di Labaro. Una scena selvaggia, sotto gli occhi di numerosi passanti. Il maniaco, un russo di 25 anni, completamente ubriaco, è stato arrestato dagli agenti del commissariato Flaminio. La giovane donna, accompagnata in ospedale, ne avrà per 22 giorni. «Abbiamo sentito urlare e ci siamo avvicinate - raccontano due giovani testimoni - c' era una ragazza col viso segnato dalle percosse che cercava di difendersi da un uomo. Lui la picchiava selvaggiamente e un amico della vittima, anche lui straniero, tentava di mettersi in mezzo ma è stato picchiato a sua volta. Qualche macchina si è fermata, i conducenti sono scesi e si sono scagliati sull' uomo mentre chiamavamo il 113. Poi, dopo una ventina di minuti, è arrivata una volante e quell' uomo è stato arrestato». - MASSIMO LUGLI
Fonte: repubblica.it
venerdì 31 ottobre 2008
anno 2008
donna uccisa
il.....................a................................da:
2 gennaio - milano............................figlio
8 gennaio - pisa...............................sconosciuti
9 gennaio - foggia............................convivente
11 gennaio - garbagnate......................marito
25 gennaio - bergamo.........................sconosciuto
30 gennaio - cosenza-campo rom..........sconosciuti
31 gennaio - padova...........................marito
1 febbraio - viterbo...........................amante
5 febbraio - castellamare di stabia......marito
21 febbraio - napoli............................marito
23 febbraio - pistoia...........................protettore
24 febbraio - lucera............................vicino di casa
27 febbraio - benevento......................sconosciuto
29 febbraio - bari...............................marito
8 marzo - isernia..........................amico
10 marzo - taranto..........................marito
10 marzo - taranto..........................padre
10 marzo - taranto..........................padre
16 marzo - cuneo............................conoscente
17 marzo - savona...........................figlio
17 marzo - savona...........................ex fidanzato
21 marzo - lecco..............................figlio
23 marzo - torino.............................sconosciuto
23 marzo - livorno............................sconosciuto
25 marzo - ferrara............................sconosciuto
27 marzo - nuoro.............................sconosciuti
30 marzo - sezze.............................convivente
9 aprile - roma..............................marito
16 aprile - salerno...........................fratello
19 aprile - perugia...........................sconosciuto
21 aprile - pistoia............................sconosciuto
25 aprile - monterone.......................racket
25 aprile - monterone.......................rachet
26 aprile - verona............................amico del marito
29 aprile - foligno............................padrone di casa
7 maggio - genova.............................protettore
8 maggio - milano..............................sconosciuto
13 maggio - niscemi.............................amici
14 maggio - rimini................................ex fidanzato
17 maggio - bari..................................marito
21 maggio - napoli...............................figlio
25 maggio - lago d'iseo........................marito
26 maggio - mantova...........................sconosciuto
30 maggio - piacenza...........................sconosciuto
4 giugno - vicenza...........................marito
6 giugno - milano............................convivente
8 giugno - rimini..............................nipote
10 giugno - bergamo...........................conoscente
6 luglio - perugia............................sconosciuto
15 luglio - prato................................marito
16 luglio - genova..............................conoscente
13 luglio - grosseto............................sconosciuto
17 luglio - senigallia...........................ex marito
25 luglio - bergamo.............................ex fidanzato
31 luglio - scicli..................................marito
2 agosto - canosa di puglia...................marito
2 agosto - canosa di puglia...................genero
18 agosto - genova................................convivente
20 agosto - parma.................................marito
20 agosto - parma.................................padre
21 agosto - arezzo.................................convivente
23 agosto - luzzara................................convivente
29 agosto - fano....................................ex convivente
3 settembre-ravenna..............................sconosciuto
5 settembre-sardegna.............................sconosciuto
9 settembre-prov.torino...........................padre
12settembre-pisa...................................sconosciuto
14settembre-bari....................................figlio
17settembre-bergamo.............................ex marito
17settembre-bergamo.............................ex marito dell'amica
18settembre-lecco..................................convivente
18settembre-roma..................................fratello
20settembre-montebello jonico.................marito
22settembre-napoli.................................marito
27settembre-ferrara.................................figlio
1 ottobre - foligno...............................ex convivente
2 ottobre - trapani...............................sconosciuto
6 ottobre - spoleto...............................ex convivente
7 ottobe - reggio calabria.....................sconosciuto
9 ottobre - bovalino...............................conoscente
16 ottobre - campobasso..........................marito
17 ottobre - alassio.................................sconosciuto
19 ottobre - foresto sparso.......................ex fidanzato
20 ottobre - reggio calabria.......................datore di lavoro
23 ottobre - caserta.................................marito
http://www.stalking.it/page.php?area=9&sez=32&id=168
http://www.rainews24.rai.it/ran24/rainews24_2007/speciali/donne/basta_15.asp
http://www.google.it/search?hl=it&q=donna+uccisa+da+marito&meta=
http://femminismo-a-sud.noblogs.org/post/2008/06/17/staffetta-di-donne-contro-la-violenza-da-niscemi-a-brescia
http://www.sorelleditalia.net/2008/01/26/e-nata-una-mailing-list-femminista-sommosse/
http://www.womenews.net/spip3/
sicuramente altre fonti avrebbero dato modo di scoprirne altre...purtroppo!
Fonte: piemunt
donna uccisa
il.....................a................................da:
2 gennaio - milano............................figlio
8 gennaio - pisa...............................sconosciuti
9 gennaio - foggia............................convivente
11 gennaio - garbagnate......................marito
25 gennaio - bergamo.........................sconosciuto
30 gennaio - cosenza-campo rom..........sconosciuti
31 gennaio - padova...........................marito
1 febbraio - viterbo...........................amante
5 febbraio - castellamare di stabia......marito
21 febbraio - napoli............................marito
23 febbraio - pistoia...........................protettore
24 febbraio - lucera............................vicino di casa
27 febbraio - benevento......................sconosciuto
29 febbraio - bari...............................marito
8 marzo - isernia..........................amico
10 marzo - taranto..........................marito
10 marzo - taranto..........................padre
10 marzo - taranto..........................padre
16 marzo - cuneo............................conoscente
17 marzo - savona...........................figlio
17 marzo - savona...........................ex fidanzato
21 marzo - lecco..............................figlio
23 marzo - torino.............................sconosciuto
23 marzo - livorno............................sconosciuto
25 marzo - ferrara............................sconosciuto
27 marzo - nuoro.............................sconosciuti
30 marzo - sezze.............................convivente
9 aprile - roma..............................marito
16 aprile - salerno...........................fratello
19 aprile - perugia...........................sconosciuto
21 aprile - pistoia............................sconosciuto
25 aprile - monterone.......................racket
25 aprile - monterone.......................rachet
26 aprile - verona............................amico del marito
29 aprile - foligno............................padrone di casa
7 maggio - genova.............................protettore
8 maggio - milano..............................sconosciuto
13 maggio - niscemi.............................amici
14 maggio - rimini................................ex fidanzato
17 maggio - bari..................................marito
21 maggio - napoli...............................figlio
25 maggio - lago d'iseo........................marito
26 maggio - mantova...........................sconosciuto
30 maggio - piacenza...........................sconosciuto
4 giugno - vicenza...........................marito
6 giugno - milano............................convivente
8 giugno - rimini..............................nipote
10 giugno - bergamo...........................conoscente
6 luglio - perugia............................sconosciuto
15 luglio - prato................................marito
16 luglio - genova..............................conoscente
13 luglio - grosseto............................sconosciuto
17 luglio - senigallia...........................ex marito
25 luglio - bergamo.............................ex fidanzato
31 luglio - scicli..................................marito
2 agosto - canosa di puglia...................marito
2 agosto - canosa di puglia...................genero
18 agosto - genova................................convivente
20 agosto - parma.................................marito
20 agosto - parma.................................padre
21 agosto - arezzo.................................convivente
23 agosto - luzzara................................convivente
29 agosto - fano....................................ex convivente
3 settembre-ravenna..............................sconosciuto
5 settembre-sardegna.............................sconosciuto
9 settembre-prov.torino...........................padre
12settembre-pisa...................................sconosciuto
14settembre-bari....................................figlio
17settembre-bergamo.............................ex marito
17settembre-bergamo.............................ex marito dell'amica
18settembre-lecco..................................convivente
18settembre-roma..................................fratello
20settembre-montebello jonico.................marito
22settembre-napoli.................................marito
27settembre-ferrara.................................figlio
1 ottobre - foligno...............................ex convivente
2 ottobre - trapani...............................sconosciuto
6 ottobre - spoleto...............................ex convivente
7 ottobe - reggio calabria.....................sconosciuto
9 ottobre - bovalino...............................conoscente
16 ottobre - campobasso..........................marito
17 ottobre - alassio.................................sconosciuto
19 ottobre - foresto sparso.......................ex fidanzato
20 ottobre - reggio calabria.......................datore di lavoro
23 ottobre - caserta.................................marito
http://www.stalking.it/page.php?area=9&sez=32&id=168
http://www.rainews24.rai.it/ran24/rainews24_2007/speciali/donne/basta_15.asp
http://www.google.it/search?hl=it&q=donna+uccisa+da+marito&meta=
http://femminismo-a-sud.noblogs.org/post/2008/06/17/staffetta-di-donne-contro-la-violenza-da-niscemi-a-brescia
http://www.sorelleditalia.net/2008/01/26/e-nata-una-mailing-list-femminista-sommosse/
http://www.womenews.net/spip3/
sicuramente altre fonti avrebbero dato modo di scoprirne altre...purtroppo!
Fonte: piemunt
sabato 18 ottobre 2008
Bergamo, arrestato pedofilo abusava delle giovani dipendenti
Il gestore di un bar faceva lavorare in nero ragazzine minorenni
poi le costringeva ad avere rapporti minacciando il licenziamento
BERGAMO - Faceva lavorare nel suo bar ragazze dai 13 ai 18 anni pagandole in nero, poi le costringeva ad avere rapporti con lui minacciando di licenziarle: dopo due mesi di indagini è finito in carcere un uomo di 68 anni, gestore di un locale del Bergamasco. Gli uomini del comando provinciale di Bergamo, che lo hanno arrestato, lo hanno definito un "pedofilo seriale".
Secondo l'accusa l'uomo, incensurato, titolare di un bar in un paese dell'Isola Bergamasca, avrebbe abusato sessualmente di almeno sette ragazze tra i 13 e 18 anni, che "assumeva" in nero per lavorare al bancone del suo locale.
L'indagine è partita ad agosto dopo il racconto di una ragazza - ai tempi tredicenne - che ha riferito ai militari di aver subito pesanti avances dall'uomo. Gli inquirenti hanno rintracciato altre sei ex dipendenti del locale che negli ultimi dodici mesi sarebbero state costrette ad avere dei rapporti sessuali completi con il loro datore di lavoro.
L'uomo, sfruttando il rapporto professionale, conduceva con una scusa le sue vittime nell'appartamento sovrastante il locale e abusava di loro, spesso imponendo alle ragazze il silenzio sotto la minaccia di far perdere loro il lavoro.
Il barista, che vive da solo, cambiava commesse ogni due o tre mesi: pare che gli episodi ai danni delle ragazze proseguissero da almeno un anno. Le vittime hanno raccontato ai militari le loro esperienze, spesso con dovizia di particolari. Il presunto pedofilo è stato arrestato con l'accusa di violenza sessuale aggravata e continuata. Ora è rinchiuso nel carcere di Bergamo, in attesa di essere interrogato dal gip.
(17 ottobre 2008)
Fonte repubblica.it
poi le costringeva ad avere rapporti minacciando il licenziamento
BERGAMO - Faceva lavorare nel suo bar ragazze dai 13 ai 18 anni pagandole in nero, poi le costringeva ad avere rapporti con lui minacciando di licenziarle: dopo due mesi di indagini è finito in carcere un uomo di 68 anni, gestore di un locale del Bergamasco. Gli uomini del comando provinciale di Bergamo, che lo hanno arrestato, lo hanno definito un "pedofilo seriale".
Secondo l'accusa l'uomo, incensurato, titolare di un bar in un paese dell'Isola Bergamasca, avrebbe abusato sessualmente di almeno sette ragazze tra i 13 e 18 anni, che "assumeva" in nero per lavorare al bancone del suo locale.
L'indagine è partita ad agosto dopo il racconto di una ragazza - ai tempi tredicenne - che ha riferito ai militari di aver subito pesanti avances dall'uomo. Gli inquirenti hanno rintracciato altre sei ex dipendenti del locale che negli ultimi dodici mesi sarebbero state costrette ad avere dei rapporti sessuali completi con il loro datore di lavoro.
L'uomo, sfruttando il rapporto professionale, conduceva con una scusa le sue vittime nell'appartamento sovrastante il locale e abusava di loro, spesso imponendo alle ragazze il silenzio sotto la minaccia di far perdere loro il lavoro.
Il barista, che vive da solo, cambiava commesse ogni due o tre mesi: pare che gli episodi ai danni delle ragazze proseguissero da almeno un anno. Le vittime hanno raccontato ai militari le loro esperienze, spesso con dovizia di particolari. Il presunto pedofilo è stato arrestato con l'accusa di violenza sessuale aggravata e continuata. Ora è rinchiuso nel carcere di Bergamo, in attesa di essere interrogato dal gip.
(17 ottobre 2008)
Fonte repubblica.it
martedì 7 ottobre 2008
Uccide la fidanzata per gelosia. Arrestato un operaio romeno
Giano dell'Umbria, il 23enne ha confessato di aver assassinato la ragazza
Sul corpo della 24enne colpi di bastone, coltello e alcuni morsi e testate
SPOLETO - L'ha uccisa per gelosia. Infierendo sul suo corpo. Farcas Iount, 23 anni romeno, ha assassinato Elena, una ventiquattrenne badante sua connazionale con cui era fidanzato. Il giovane, fermato nella notte dai carabinieri poco dopo il delitto avvenuto a Bastardo, una frazione del comune di Giano dell'Umbria, ha confessato. Ora dovrà rispondere di omicidio aggravato.
Il cadavere della ragazza presenta numerose lesioni da corpo contundente e da taglio. Ci sono anche segni che potrebbero essere stati provocati da morsi e testate. Il delitto è avvenuto nel tardo pomeriggio nella casa dell'operaio romeno dove abitava anche la fidanzata. Un appartamento di un villaggio costruito negli anni Sessanta per i dipendenti della vicina centrale Enel di Bastardo, dove oggi vivono anche molti immigrati.
A scoprire il cadavere è stato il fratello dell'omicida. L'allarme è stato dato intorno alle ore 20. Iount viene trovato in sella al ciclomotore. Sembra confuso, condotto in caserma ed interrogato per gran parte della notte pronuncia le prime ammissioni. Scatta così il fermo per omicidio.
'Simili drammi, legati a quanto pare a questioni sentimentali, non possono che turbare una comunita' tranquilla come questa, in simili circostanze ci sono poche risposte a tanti perchè" commenta Paolo Morbidoni, sindaco di Giano dell'Umbria.
(7 ottobre 2008)
Fonte: repubblica.it
Sul corpo della 24enne colpi di bastone, coltello e alcuni morsi e testate
SPOLETO - L'ha uccisa per gelosia. Infierendo sul suo corpo. Farcas Iount, 23 anni romeno, ha assassinato Elena, una ventiquattrenne badante sua connazionale con cui era fidanzato. Il giovane, fermato nella notte dai carabinieri poco dopo il delitto avvenuto a Bastardo, una frazione del comune di Giano dell'Umbria, ha confessato. Ora dovrà rispondere di omicidio aggravato.
Il cadavere della ragazza presenta numerose lesioni da corpo contundente e da taglio. Ci sono anche segni che potrebbero essere stati provocati da morsi e testate. Il delitto è avvenuto nel tardo pomeriggio nella casa dell'operaio romeno dove abitava anche la fidanzata. Un appartamento di un villaggio costruito negli anni Sessanta per i dipendenti della vicina centrale Enel di Bastardo, dove oggi vivono anche molti immigrati.
A scoprire il cadavere è stato il fratello dell'omicida. L'allarme è stato dato intorno alle ore 20. Iount viene trovato in sella al ciclomotore. Sembra confuso, condotto in caserma ed interrogato per gran parte della notte pronuncia le prime ammissioni. Scatta così il fermo per omicidio.
'Simili drammi, legati a quanto pare a questioni sentimentali, non possono che turbare una comunita' tranquilla come questa, in simili circostanze ci sono poche risposte a tanti perchè" commenta Paolo Morbidoni, sindaco di Giano dell'Umbria.
(7 ottobre 2008)
Fonte: repubblica.it
Segregata in casa per 2 anni si salva mandando un sms
Foggia, giovane polacca riesce a contattare la madre. Arrestato il suo aguzzino
Gli investigatori: "Controllo totale sulla vittima". Un anno fa aveva avuto un bimbo
di GABRIELLA DE MATTEIS
FOGGIA - Per mesi ha pensato di scappare, ha cercato una via di fuga. Voleva chiedere aiuto, lasciare il casolare dove viveva segregata, oramai da due anni. Ma soltanto alcuni giorni fa è riuscita, con un sms, a contattare la madre. E così la sua prigionia è finita. Lei, una ragazza polacca di 28 anni, ora, racconta a fatica la sua odissea. Lo fa, stringendo al braccio il figlio di un anno, concepito nel periodo in cui ha vissuto, subendo violenze continue. Il suo aguzzino Sylvester, 29 anni, come lei originario della Polonia, ora, è in carcere.
Lo aveva conosciuto, appena arrivata in Italia. Di lui si fidava, per questo, ha spiegato agli agenti del commissariato di Manfredonia, lo aveva seguito in un casolare alla periferia del paese, aveva accettato la sua ospitalità e creduto alle sue promesse. Solo dopo ha capito: quel ragazzo che in Italia lavorava come bracciante, con un regolare contratto di lavoro, ricostruisce ora la polizia, si è trasformato in un aguzzino. E per la giovane donna è cominciata un'odissea.
La sua prigione è diventata una vecchia casa diroccata, in una zona isolata, in aperta campagna. Le porte e le finestre erano sempre sbarrate. Scappare o più semplicemente chiedere aiuto, per lei, era impossibile.
"Il controllo sulla vittima - spiega Antonio Lauriola, dirigente del commissariato di Manfredonia - era sistematico, totale, senza alcuna via di fuga o speranza di liberazione". Per due anni, la giovane donna ha subito le violenze (anche sessuali) dell'uomo, le sue minacce. Per due anni, ha chiesto di poter lasciare il casolare. Anche quando, dopo un anno, la ragazza ha dato alla luce un bambino, l'uomo non ha cambiato atteggiamento.
Di giorno era un operaio irreprensibile, stimato dai suoi datori di lavoro, di notte, invece, un uomo irascibile, violento. Lei era costretta a dormire in una stanza, da sola. Lui, invece, in un'altra, insieme al figlio.
E' stato un caso, solo un colpo di fortuna, se la ventottenne, nei giorni scorsi, è riuscita a chiedere aiuto. Sylvester aveva dimenticato il cellulare nel casolare e la giovane lo ha usato per inviare un messaggio alla madre che vive in Polonia. Così la polizia polacca ha allertato quella italiana. E per la donna è stata la fine di un incubo. Gli agenti del commissariato hanno bussato alle porte del commissariato, presentandosi come veterinari dell'Asl. Volevano evitare ogni reazione da parte dell'uomo, il rischio di un suo tentativo di barricarsi in casa. E infatti lui, quando ha capito quello che stava accadendo, ha cercato di divincolarsi, di scappare, ma è stato bloccato ed arrestato.
La donna ed il figlio che era stato regolarmente dichiarato all'anagrafe erano in casa. Lei è molto provata psicologicamente e, raccontano gli agenti, desidera soltanto tornare nel suo paese. "Mi minacciava. "Se ti ribelli - mi diceva - farò male a nostro figlio"" ha raccontato la donna, costretta anche a farsi riprendere durante le scene di sesso, come dimostra il ritrovamento, nel casolare, di alcuni filmati.
(7 ottobre 2008)
Fonte: repubblica.it
Gli investigatori: "Controllo totale sulla vittima". Un anno fa aveva avuto un bimbo
di GABRIELLA DE MATTEIS
FOGGIA - Per mesi ha pensato di scappare, ha cercato una via di fuga. Voleva chiedere aiuto, lasciare il casolare dove viveva segregata, oramai da due anni. Ma soltanto alcuni giorni fa è riuscita, con un sms, a contattare la madre. E così la sua prigionia è finita. Lei, una ragazza polacca di 28 anni, ora, racconta a fatica la sua odissea. Lo fa, stringendo al braccio il figlio di un anno, concepito nel periodo in cui ha vissuto, subendo violenze continue. Il suo aguzzino Sylvester, 29 anni, come lei originario della Polonia, ora, è in carcere.
Lo aveva conosciuto, appena arrivata in Italia. Di lui si fidava, per questo, ha spiegato agli agenti del commissariato di Manfredonia, lo aveva seguito in un casolare alla periferia del paese, aveva accettato la sua ospitalità e creduto alle sue promesse. Solo dopo ha capito: quel ragazzo che in Italia lavorava come bracciante, con un regolare contratto di lavoro, ricostruisce ora la polizia, si è trasformato in un aguzzino. E per la giovane donna è cominciata un'odissea.
La sua prigione è diventata una vecchia casa diroccata, in una zona isolata, in aperta campagna. Le porte e le finestre erano sempre sbarrate. Scappare o più semplicemente chiedere aiuto, per lei, era impossibile.
"Il controllo sulla vittima - spiega Antonio Lauriola, dirigente del commissariato di Manfredonia - era sistematico, totale, senza alcuna via di fuga o speranza di liberazione". Per due anni, la giovane donna ha subito le violenze (anche sessuali) dell'uomo, le sue minacce. Per due anni, ha chiesto di poter lasciare il casolare. Anche quando, dopo un anno, la ragazza ha dato alla luce un bambino, l'uomo non ha cambiato atteggiamento.
Di giorno era un operaio irreprensibile, stimato dai suoi datori di lavoro, di notte, invece, un uomo irascibile, violento. Lei era costretta a dormire in una stanza, da sola. Lui, invece, in un'altra, insieme al figlio.
E' stato un caso, solo un colpo di fortuna, se la ventottenne, nei giorni scorsi, è riuscita a chiedere aiuto. Sylvester aveva dimenticato il cellulare nel casolare e la giovane lo ha usato per inviare un messaggio alla madre che vive in Polonia. Così la polizia polacca ha allertato quella italiana. E per la donna è stata la fine di un incubo. Gli agenti del commissariato hanno bussato alle porte del commissariato, presentandosi come veterinari dell'Asl. Volevano evitare ogni reazione da parte dell'uomo, il rischio di un suo tentativo di barricarsi in casa. E infatti lui, quando ha capito quello che stava accadendo, ha cercato di divincolarsi, di scappare, ma è stato bloccato ed arrestato.
La donna ed il figlio che era stato regolarmente dichiarato all'anagrafe erano in casa. Lei è molto provata psicologicamente e, raccontano gli agenti, desidera soltanto tornare nel suo paese. "Mi minacciava. "Se ti ribelli - mi diceva - farò male a nostro figlio"" ha raccontato la donna, costretta anche a farsi riprendere durante le scene di sesso, come dimostra il ritrovamento, nel casolare, di alcuni filmati.
(7 ottobre 2008)
Fonte: repubblica.it
lunedì 6 ottobre 2008
Opuscolo informativo sulla sessualità
Redatto dal gruppo Malefimmine e distribuito, tra gli altri, dal blog Femminismo a sud. L'opuscolo informa su quando come e perchè rivolgersi ad un consultorio, si rivolge alle femmine ma anche ai maschi.
Qui l’opuscolo.
Qui l’opuscolo.
domenica 28 settembre 2008
Stuprata dagli uomini e uccisa dallo Stato
Il 1° ottobre alle ore 9 presso il Tribunale dei Minori in Taranto vecchia, si tiene la prima udienza del processo contro i responsabili dello stupro di gruppo che subì Carmela , una ragazzina di 13 anni che il 15 aprile 2007 morì buttandosi dal balcone.
Il Movimento Femminista Proletario Rivoluzionario sarà presente al processo, perchè vogliamo che da questo processo esca la verità e per dare tutto il nostro sostegno al padre di Carmela, che trasformando il dolore in forza, ribellione, ha costituito un Comitato perchè Carmela e altre ragazzine, stuprate, violentate, uccise come lei, continuino a vivere.
Carmela aveva denunciato di essere stata violentata; e nessuno, né polizia, né magistrati, né assistenti sociali le avevano creduto o l’avevano presa sul serio.Ma le istituzioni avevano anche fatto di peggio. Hanno considerato Carmela «soggetto disturbato con capacità compromesse» e, quindi, poco credibile.
Invece di perseguire chi l’aveva violentata, hanno di fatto perseguito una bambina rinchiudendola in vari istituti in cui Carmela non voleva stare. E, come ha denunciato il padre, usando il metodo facile di «calmarla» con psicofarmaci.
Carmela aveva manifestato in vario modo la sua disperazione, ma per tutta risposta era stata classificata come "soggetto con problematiche psichiatriche". E questi stessi magistrati, psichiatri che hanno deciso per Carmela, contro Carmela, quando è morta, si sono detti «sorpresi».
Chi volevano coprire? Ragazzini, figli di papà, o di gente conosciuta a Taranto? Ora verrà fuori dal processo la verità? O si vorrà continuare ad infangare l’immagine di Carmela, della sua famiglia, uccidendola due volte?
Saremo anche noi là perché questo non accada.
Via: Il paese delle donne
venerdì 26 settembre 2008
Anna Göldi, l’ultima strega d’Europa
Anna Göldi, l’ultima strega condannata in Europa, fu decapitata in una piazza di Glarona, capoluogo del cantone svizzero che porta lo stesso nome, il 13 giugno 1782. Al momento della morte aveva 48 anni; mostrava in volto i segni di una vita difficile, e, soprattutto, quelli dei mesi trascorsi in prigione e delle torture subite. Eppure i cronisti dell’epoca parlano dei suoi capelli biondi, di una bellezza che ancora si intuiva, del suo fisico ben formato. Ricordano che era considerata una donna istruita e che aveva una personalità forte, non piegata dai colpi del destino. Con tutta probabilità fu proprio questa personalità a rovinarla, mettendola al centro di un processo, controverso già allora, in cui si mischiavano sesso e potere, e che in Svizzera non ha ancora finito di provocare polemiche.
A 225 anni di distanza dai fatti un giornalista, Walter Hauser, ha riaperto la vicenda recuperando gli atti del processo (oltre 700 pagine da cui però mancano parti fondamentali) e le testimonianze disponibili, soprattutto gli scritti di un pugno di commentatori che su alcune gazzette tedesche (in Svizzera la vicenda era stata sottoposta a una ferrea censura) avevano attaccato il procedimento nel nome della ragione e dell’Illuminismo. Il libro che ne è risultato, pubblicato nei mesi scorsi (Der Justizmord an Anna Göldi, «L’omicidio giudiziario di Anna Göldi», Limmat Verlag, Zurigo), si concludeva con una richiesta: quella di seguire l’esempio del Massachusetts, dove nel 2001 il governatore ha firmato un pubblico atto di riabilitazione delle donne bruciate nei roghi di Salem. All’appello si è però opposto, tra molte discussioni, il governo cantonale di Glarona: certo, dice la motivazione, la sentenza è un «errore», ma la responsabilità per le colpe della comunità di allora non possono ricadere sulle generazioni di oggi. Queste ultime, tutt’al più, possono cercare di trarre lezione dai fatti del passato. Da qui il contributo a un museo dedicato ad Anna Göldi, inaugurato giusto sabato scorso, a Mollis (dove Anna Göldi visse), nei cui locali sono documentate le tappe della sua vita e del processo. Motivazioni analoghe ha avuto lo stop alla riabilitazione da parte della chiesa evangelica cantonale, direttamente coinvolta visto che la condanna fu inflitta da un Tribunale protestante che si richiamava direttamente al riformatore Zwingli.
La fine di Anna Göldi inizia nel 1780, quando prende servizio come cameriera in casa di Johann Jakob Tschudi, esponente di una delle famiglie più in vista di Glarona e della comunità evangelica locale. Un anno più tardi, tra la donna di servizio e Anna Maria, la figlia di otto anni del padrone di casa, scoppia un litigio. Qualche giorno dopo la madre, secondo quanto riferirà più tardi, trova dei chiodi nella scodella del latte della piccola. L’evento si ripete. La colpevole viene individuata proprio in Anna, desiderosa di vendicarsi. Il licenziamento è immediato.
La storia potrebbe finire qui; e invece Anna si sente vittima di un’ingiustizia: denuncia al Camerarius, la più alta autorità insieme civile e religiosa del cantone (si chiama anche lui Johann Jakob Tschudi ed è omonimo e parente del precedente) l’illegittimità delle accuse. Poi torna nel suo paese di origine, nella zona di Zurigo. Intanto a Glarona le voci si susseguono: la più insistente è che la donna sia stata allontanata perché era l’amante del suo datore di lavoro. E in pochi giorni il pettegolezzo diventa per molti una verità assodata. Per Johann Jakob Tschudi lo scandalo potrebbe trasformarsi in un disastro. Solo qualche anno prima il puritano cantone ha approvato norme draconiane: ai colpevoli di immoralità sessuale è vietato ogni incarico, ogni ruolo pubblico. Mentre la marea del sospetto sta montando, la piccola Anna Maria si ammala: è soggetta a svenimenti, a crisi che, lette oggi, presentano i sintomi dell’attacco epilettico. Diciotto giorni dopo il licenziamento di Anna Göldi, secondo i familiari, inizia a vomitare chiodi. Quei chiodi, è l’accusa, sono stati seminati dalla perfida Anna con l’aiuto del maligno. Johann Jakob Tschudi si presenta alle autorità chiedendo l’arresto di Anna Göldi per avvelenamento e stregoneria.
È la relazione segreta tra padrone e serva la spiegazione di tutto? Gli indizi sono molti e le coincidenze anche: dagli atti, per esempio, mancano misteriosamente proprio tutte le parti dedicate ai rapporti tra i due. Peraltro, dopo l’arresto, Anna Göldi non parlerà mai di questo aspetto della vicenda. Il suo passato in ogni modo la condanna. Giovanissima, di famiglia povera, ha una relazione con un soldato di ventura e resta incinta. Partorisce, ma il figlio viene trovato morto nel letto accanto a lei.
Accusata di averlo ucciso viene esposta alla gogna e condannata a due anni di prigione. Più tardi entrerà a servizio nella casa degli Zwicky, un’altra famiglia tra le più in vista della zona. Con Melchior Zwicky, il figlio del padrone di casa, di 11 anni più giovane di lei, avrà un bambino. Melchior le rimarrà vicino per tutto il tempo del processo. Ad Anna non servirà. Arrestata in febbraio, confessa, sotto tortura, l’11 aprile: «È stato il diavolo a ispirarmi». Due giorni dopo ritratta, poi confessa di nuovo. La condanna arriva implacabile. Appena prima dell’esecuzione il Camerarius Tschudi parla soddisfatto alla folla: «Grazie a Dio la peccatrice sarà punita».
Fonte: il giornale
A 225 anni di distanza dai fatti un giornalista, Walter Hauser, ha riaperto la vicenda recuperando gli atti del processo (oltre 700 pagine da cui però mancano parti fondamentali) e le testimonianze disponibili, soprattutto gli scritti di un pugno di commentatori che su alcune gazzette tedesche (in Svizzera la vicenda era stata sottoposta a una ferrea censura) avevano attaccato il procedimento nel nome della ragione e dell’Illuminismo. Il libro che ne è risultato, pubblicato nei mesi scorsi (Der Justizmord an Anna Göldi, «L’omicidio giudiziario di Anna Göldi», Limmat Verlag, Zurigo), si concludeva con una richiesta: quella di seguire l’esempio del Massachusetts, dove nel 2001 il governatore ha firmato un pubblico atto di riabilitazione delle donne bruciate nei roghi di Salem. All’appello si è però opposto, tra molte discussioni, il governo cantonale di Glarona: certo, dice la motivazione, la sentenza è un «errore», ma la responsabilità per le colpe della comunità di allora non possono ricadere sulle generazioni di oggi. Queste ultime, tutt’al più, possono cercare di trarre lezione dai fatti del passato. Da qui il contributo a un museo dedicato ad Anna Göldi, inaugurato giusto sabato scorso, a Mollis (dove Anna Göldi visse), nei cui locali sono documentate le tappe della sua vita e del processo. Motivazioni analoghe ha avuto lo stop alla riabilitazione da parte della chiesa evangelica cantonale, direttamente coinvolta visto che la condanna fu inflitta da un Tribunale protestante che si richiamava direttamente al riformatore Zwingli.
La fine di Anna Göldi inizia nel 1780, quando prende servizio come cameriera in casa di Johann Jakob Tschudi, esponente di una delle famiglie più in vista di Glarona e della comunità evangelica locale. Un anno più tardi, tra la donna di servizio e Anna Maria, la figlia di otto anni del padrone di casa, scoppia un litigio. Qualche giorno dopo la madre, secondo quanto riferirà più tardi, trova dei chiodi nella scodella del latte della piccola. L’evento si ripete. La colpevole viene individuata proprio in Anna, desiderosa di vendicarsi. Il licenziamento è immediato.
La storia potrebbe finire qui; e invece Anna si sente vittima di un’ingiustizia: denuncia al Camerarius, la più alta autorità insieme civile e religiosa del cantone (si chiama anche lui Johann Jakob Tschudi ed è omonimo e parente del precedente) l’illegittimità delle accuse. Poi torna nel suo paese di origine, nella zona di Zurigo. Intanto a Glarona le voci si susseguono: la più insistente è che la donna sia stata allontanata perché era l’amante del suo datore di lavoro. E in pochi giorni il pettegolezzo diventa per molti una verità assodata. Per Johann Jakob Tschudi lo scandalo potrebbe trasformarsi in un disastro. Solo qualche anno prima il puritano cantone ha approvato norme draconiane: ai colpevoli di immoralità sessuale è vietato ogni incarico, ogni ruolo pubblico. Mentre la marea del sospetto sta montando, la piccola Anna Maria si ammala: è soggetta a svenimenti, a crisi che, lette oggi, presentano i sintomi dell’attacco epilettico. Diciotto giorni dopo il licenziamento di Anna Göldi, secondo i familiari, inizia a vomitare chiodi. Quei chiodi, è l’accusa, sono stati seminati dalla perfida Anna con l’aiuto del maligno. Johann Jakob Tschudi si presenta alle autorità chiedendo l’arresto di Anna Göldi per avvelenamento e stregoneria.
È la relazione segreta tra padrone e serva la spiegazione di tutto? Gli indizi sono molti e le coincidenze anche: dagli atti, per esempio, mancano misteriosamente proprio tutte le parti dedicate ai rapporti tra i due. Peraltro, dopo l’arresto, Anna Göldi non parlerà mai di questo aspetto della vicenda. Il suo passato in ogni modo la condanna. Giovanissima, di famiglia povera, ha una relazione con un soldato di ventura e resta incinta. Partorisce, ma il figlio viene trovato morto nel letto accanto a lei.
Accusata di averlo ucciso viene esposta alla gogna e condannata a due anni di prigione. Più tardi entrerà a servizio nella casa degli Zwicky, un’altra famiglia tra le più in vista della zona. Con Melchior Zwicky, il figlio del padrone di casa, di 11 anni più giovane di lei, avrà un bambino. Melchior le rimarrà vicino per tutto il tempo del processo. Ad Anna non servirà. Arrestata in febbraio, confessa, sotto tortura, l’11 aprile: «È stato il diavolo a ispirarmi». Due giorni dopo ritratta, poi confessa di nuovo. La condanna arriva implacabile. Appena prima dell’esecuzione il Camerarius Tschudi parla soddisfatto alla folla: «Grazie a Dio la peccatrice sarà punita».
Fonte: il giornale
giovedì 25 settembre 2008
Il Comune: “Via il manifesto con la donna nuda”
TORINO
La prima a stupirsi una volta aperto il giornale, e a battere i pugni sulla scrivania, è stata proprio l’assessore alle Pari opportunità Marta Levi: «Ma com’è possibile - è sbottata - che siano riusciti ad ottenere il patrocinio senza neppure farci vedere su che razza di manifesto sarebbe finito?». Poi è partito l’ordine di servizio, immediato: «Rimuovete subito quel poster». Ma non basta ancora: «E poi, come Comune chiederemo i danni a questi signori».
E’ durata poco più di 24 ore l’avventura urbana della sexy-affissione con il visto di approvazione del Comune di Torino. E’ bastato che ieri il consigliere dell’Italia dei Valori Giuseppe Sbriglio aprisse il caso a Palazzo Civico (appoggiato dalla presidente della commissione Pari opportunità Lucia Centillo) perché si arrivasse subito non solo alla soluzione di togliere quel manifesto che invitava a scoprire le bellezze delle circoscrizioni (utilizzando l’immagine di una brunetta ignuda) ma anche alla convocazione di una commissione ad hoc. «E poi rivedremo anche il meccanismo che permette la concessione del sigillo civico, perché - spiega ancora Sbriglio - non deve più accadere che il Comune apponga la sua firma su un’iniziativa senza prima averla debitamente visionata».
E ha poi aggiunto, Marta Levi, una volta conclusa la riunione dei capigruppo in cui è stata trattata la questione: «Sin dal 2002 il Comune, consapevole del fatto che spesso i contenuti delle campagne pubblicitarie non coincidono con i contenuti dei progetti, ha deliberato che chiunque ottenga la collaborazione o il patrocinio della Città per qualsivoglia iniziativa è tenuto a siglare una dichiarazione in cui si impegna a non diffondere comunicazioni pubblicitarie che esprimano messaggi lesivi della dignità delle persone».
E ha poi aggiunto: «Il firmatario riconosce inoltre al Comune la facoltà, nel caso in cui risultino disattesi gli impegni sottoscritti, di revocare il patrocinio e di tutelare, nelle forme che ritiene più opportune, la propria immagine». Secondo Marta Levi il manifesto che è stato affisso ieri dall’agenzia «ScopriTorino» è appunto offensivo e lesivo dell’immagine della donna ed in contrasto con l’impegno preso dai richiedenti all’atto della concessione del patrocinio. Ed ecco perché «il Comune si è già attivato per ottenerne l’immediata rimozione dagli spazi pubblici (che avverrà stamattina) e sta valutando la possibilità di rivalsa a tutela della propria immagine».
Voce fuori dal coro, contro il «bacchettonismo torinese» quella del presidente dell’associazione Adelaide Aglietta, Silvio Viale: «Un vento di moralismo braghettone circola per Torino - sbotta -, invece della trasparenza si vogliono mettere le mutande ai manifesti, invocando addirittura le pari opportunità». E conclude: «A quando si controlleranno le mostre sponsorizzate dal Comune per individuare i nudi dei quadri? E chi sarà incaricato di censurare le opere del prossimo Torino Film Festival?».
fonte:lastampa
La prima a stupirsi una volta aperto il giornale, e a battere i pugni sulla scrivania, è stata proprio l’assessore alle Pari opportunità Marta Levi: «Ma com’è possibile - è sbottata - che siano riusciti ad ottenere il patrocinio senza neppure farci vedere su che razza di manifesto sarebbe finito?». Poi è partito l’ordine di servizio, immediato: «Rimuovete subito quel poster». Ma non basta ancora: «E poi, come Comune chiederemo i danni a questi signori».
E’ durata poco più di 24 ore l’avventura urbana della sexy-affissione con il visto di approvazione del Comune di Torino. E’ bastato che ieri il consigliere dell’Italia dei Valori Giuseppe Sbriglio aprisse il caso a Palazzo Civico (appoggiato dalla presidente della commissione Pari opportunità Lucia Centillo) perché si arrivasse subito non solo alla soluzione di togliere quel manifesto che invitava a scoprire le bellezze delle circoscrizioni (utilizzando l’immagine di una brunetta ignuda) ma anche alla convocazione di una commissione ad hoc. «E poi rivedremo anche il meccanismo che permette la concessione del sigillo civico, perché - spiega ancora Sbriglio - non deve più accadere che il Comune apponga la sua firma su un’iniziativa senza prima averla debitamente visionata».
E ha poi aggiunto, Marta Levi, una volta conclusa la riunione dei capigruppo in cui è stata trattata la questione: «Sin dal 2002 il Comune, consapevole del fatto che spesso i contenuti delle campagne pubblicitarie non coincidono con i contenuti dei progetti, ha deliberato che chiunque ottenga la collaborazione o il patrocinio della Città per qualsivoglia iniziativa è tenuto a siglare una dichiarazione in cui si impegna a non diffondere comunicazioni pubblicitarie che esprimano messaggi lesivi della dignità delle persone».
E ha poi aggiunto: «Il firmatario riconosce inoltre al Comune la facoltà, nel caso in cui risultino disattesi gli impegni sottoscritti, di revocare il patrocinio e di tutelare, nelle forme che ritiene più opportune, la propria immagine». Secondo Marta Levi il manifesto che è stato affisso ieri dall’agenzia «ScopriTorino» è appunto offensivo e lesivo dell’immagine della donna ed in contrasto con l’impegno preso dai richiedenti all’atto della concessione del patrocinio. Ed ecco perché «il Comune si è già attivato per ottenerne l’immediata rimozione dagli spazi pubblici (che avverrà stamattina) e sta valutando la possibilità di rivalsa a tutela della propria immagine».
Voce fuori dal coro, contro il «bacchettonismo torinese» quella del presidente dell’associazione Adelaide Aglietta, Silvio Viale: «Un vento di moralismo braghettone circola per Torino - sbotta -, invece della trasparenza si vogliono mettere le mutande ai manifesti, invocando addirittura le pari opportunità». E conclude: «A quando si controlleranno le mostre sponsorizzate dal Comune per individuare i nudi dei quadri? E chi sarà incaricato di censurare le opere del prossimo Torino Film Festival?».
fonte:lastampa
mercoledì 24 settembre 2008
Una riflessione al femminile sui temi della forza e della ferocia. Tre esperienze diverse a contatto con la brutalità del Novecento
LA GUERRIERA - il mito greco e l´orrore nazista - simone weil
La filosofa francese espresse le sue idee in un saggio sull´Iliade, scritto a pochi mesi dall´occupazione tedesca di Parigi
Leggere l´opera di Omero l´aiutò: nel passato trovò principi e valori con cui rispondere all´angoscia del presente
Il culto della virilità non è solo una prerogativa di Hitler ma serpeggia nel fondo ideologico delle politiche e delle società dell´Occidente
NADIA FUSINI
Anni fa, Angela Putino, un´indimenticabile amica filosofa troppo presto scomparsa, scriveva: «Simone Weil è una donna e il significante che la presenta al mondo degli altri è precisamente quello di "donna", che la pone in un luogo che dice della sua esperienza come un esperire che non è di ognuno». A Simone Weil Angela ha dedicato negli anni un´attenzione fervida, incarnata in interventi orali e in libri, sì che è diventata il mio ponte verso Simone.
Io leggo Simone con Angela, mai senza di lei. Insieme ci eravamo più volte interrogate sulla violenza; se e come, essendo per noi donne un´esperienza di cui siamo spesso vittime, non si produca in noi per ciò stesso un pensiero differente. Che contrasta, fessura, scarta rispetto ai luoghi comuni, ai pregiudizi, alle convenzioni.
Chi si presenta al mondo vestita di quel significante che l´abbiglia di certi carismi e doni, sa che tra quei doni e carismi c´è la vulnerabilità. Nella donna, il genere umano si coglie nella sua propria nudità di preda. E´ un sentimento di sé che una donna conosce bene; a volte, ci gioca. E fa la preda; si atteggia, come la Lulù di Wedekind, a meravigliosa belva. Ma per lo più, subisce. E ha paura.
Spesso e volentieri una donna convive con un sentimento di sé, direi alla Jane Austen, di un gentil sesso debole, quanto a equipaggiamento fisico. La sua forza la depone come fosse un seme, o un uovo, altrove: la cova o la coltiva nella sopportazione di dolori che l´uomo non conosce. E´ lei a partorire la vita e sempre lei al capezzale di chi muore.
Al contrario, l´esercizio della forza è un compito da cui la cultura, la civiltà l´hanno assolta. Non le chiedevano, almeno nel passato, di combattere. Nella tradizione, se una donna andava in guerra era per curare i feriti. Ora è vero, ci sono donne - soldato, ma l´ipocrisia vuole che quegli eserciti siano al servizio non della guerra, ma della pace. Per lo più è ancora vero che se si tratta di violare, penetrare, è piuttosto l´uomo maschio chiamato a farlo. Lui si è specializzato nella performance. E nel gusto.
Proprio per questo, tanto più interessante risulta che nel cuore del secolo scorso tre donne diverse, lontane tra loro, si siano arrischiate in una riflessione sulla violenza di un´altezza abissale. Di queste tre donne - Simone Weil, Rachel Bespaloff, Hannah Arendt - vi racconterò.
Mi direte: non solo delle donne si sono interrogate in quegli anni su che cosa accadesse; anche degli uomini l´hanno fatto. E io risponderò che queste tre donne in particolare sono scese come palombare nelle tenebre del male assoluto, della violenza smisurata che segnò il cuore dei loro anni. Hitler e l´hitlerismo ponevano questioni alla mente, al cuore e alla carne, che queste tre donne seppero sostenere. Per dirlo con una bravissima studiosa di Simone Weil, Rita Fulco, seppero «corrispondere al limite». E cioè, rispondere di contraddizioni strazianti, che mettevano il pensiero di fronte all´impensabile.
Perché donne? Lo seppero fare, intendo dire, proprio perché donne? Risponderei di sì, e non per orgoglio femminista, ma perché mi torna alla mente una conversazione con un´amica psicoanalista argentina, Maria Elena Petrilli, in cui mi diceva come da parte delle bambine vi sia una precoce percezione del proprio corpo, tanto più misteriosa perché, al contrario dei maschi, non possono verificare in modo semplice e diretto l´integrità di organi interni, invisibili.
E´ per questo, mi chiedevo mentre la mia amica parlava, che il corpo per una donna non è mai mero oggetto, ma sempre vita? Per dirla con Husserl, mai Körper, sempre Leib? E cioè, essere vivente? Non è così, evidentemente, per un uomo maschio, se può violentare un corpo di donna. E se lo fa, e può farlo, è perché il corpo dell´«altro», evidentemente, non lo sente, né lo pensa come il ‘suo´.
Ma chi non percepisce l´altro come essere vivente, chi addirittura arriva a pensare che la violenza corrisponde a un fantasma di godimento, una specifica joussance, o volupté femminile; chi riesce a sottrarsi alla percezione dell´altro come di sé medesimo, chi non sperimenti in sé l´estraneo, è questo un uomo? «Sperimentazione dell´estraneo», chiama Simone Weil la facoltà che più le interessa. E si chiede: perché non si interroga sul proprio perverso piacere chi nell´altro si diverte a suscitare il grido di dolore? Finché non si avrà il coraggio di andare a ‘vedere´ lo spazio cieco in cui nasce questa violenza, insiste, non si comprenderà lo sfondo spettrale e cieco della violenza tout court. Ma chi può farlo? Non certo chi la violenza la esercita. Perché in chi provoca sventura c´è una voluta ignoranza della sofferenza che provoca. Ecco perché la violenza è cieca.
Non che Simone Weil non veda la complicità tra il fantasma della forza e l´attitudine alla sottomissione, il nodo che aggioga vittima e carnefice nella medesima anestesia del corpo e della mente. Simone anzi riconosce che il culto della Forza non è solo la tabe viriloide dell´hitlerismo, ma serpeggia nel fondo ideale e ideologico delle politiche e delle società d´Occidente.
Legge la sua drammatica potenza e tragica realtà nell´Iliade, che ribattezza «il poema della forza». E proprio prima di partire per New York, onde sfuggire alla persecuzione razzista, consegna alla rivista Cahiers du Sud il saggio sull´Iliade, che comparirà a Marsiglia nel gennaio 1941, a firma di Emile Novis, anagramma di Simone Weil.
Il saggio si apre con queste parole: «L´Iliade è il poema della forza. Il vero eroe, il vero argomento dell´Iliade è la forza». E continua: «la forza è ciò che rende chiunque le sia sottomesso una cosa». Sono affermazioni che risuonano nette come uno schiaffo, sonore, definitive. A conferma di una condanna, a cui la spinge il pacifismo radicale che la ispira. La forza, sia che la si possieda come Achille, sia che la si subisca come Ettore, distrugge. Sono paurose, insiste Simone, le visioni di violenza che si aprono nel poema omerico, dove l´essere coincide con l´essere-per-la-morte, dove è il pensiero della morte a dare agli eventi «il colore dell´eternità». La forza è l´ingiustizia, la forza è il male. Omero, né dalla parte dei Greci, né dalla parte dei Troiani, la descrive con amarezza e imparzialità.
Con la sconfitta della Francia nel 1940, l´occupazione di Parigi, e la montante barbarie nazista, inesorabile, tremenda, la storia imponeva non solo a Simone di alzare la guardia. Leggere il grande libro l´aiutò; in uno scrigno del passato trovò principi e valori con cui rispondere all´angoscia del presente. Lesse di come la violenza tenda all´annientamento della presenza umana, quanto la forza sia irreale, che cumulo di menzogne produca. La forza «de-realizza», comprese Simone: «la violenza stritola quelli che tocca», «uccidere è sempre uccidersi». Tra le pieghe del grande libro colse la visione dell´annullamento della presenza umana. Può forse il guerriero desiderare che l´altro viva? si chiese. Evidentemente no. Pure, per lei, era questo essere umani, l´unica forza a cui umanamente soccombere era quella di Amore; solo Amore fa guerra alla guerra - proclamò la «pensatrice guerriera».
Non era certo facile in quegli anni violenti trovare la forza di rinnegare ogni uso della forza ai fini della vita, proclamare la necessità dell´amore contro la necessità della forza. Di fronte all´ «irrealtà» che aveva in quegli anni il nome di Hitler l´idea di giustizia guidò l´«impolitica» Simone alla capriola finale: prese parte alla guerra, si fece per l´appunto «guerriera». Tornò dagli Stati Uniti a Londra, chiese di essere paracadutata oltre le linee nemiche. E alla fine, non potendo mettere fine alla battaglia, se la conficcò come una croce nel suo proprio cuore, e ne morì.
Fonte: ecologiasociale
La filosofa francese espresse le sue idee in un saggio sull´Iliade, scritto a pochi mesi dall´occupazione tedesca di Parigi
Leggere l´opera di Omero l´aiutò: nel passato trovò principi e valori con cui rispondere all´angoscia del presente
Il culto della virilità non è solo una prerogativa di Hitler ma serpeggia nel fondo ideologico delle politiche e delle società dell´Occidente
NADIA FUSINI
Anni fa, Angela Putino, un´indimenticabile amica filosofa troppo presto scomparsa, scriveva: «Simone Weil è una donna e il significante che la presenta al mondo degli altri è precisamente quello di "donna", che la pone in un luogo che dice della sua esperienza come un esperire che non è di ognuno». A Simone Weil Angela ha dedicato negli anni un´attenzione fervida, incarnata in interventi orali e in libri, sì che è diventata il mio ponte verso Simone.
Io leggo Simone con Angela, mai senza di lei. Insieme ci eravamo più volte interrogate sulla violenza; se e come, essendo per noi donne un´esperienza di cui siamo spesso vittime, non si produca in noi per ciò stesso un pensiero differente. Che contrasta, fessura, scarta rispetto ai luoghi comuni, ai pregiudizi, alle convenzioni.
Chi si presenta al mondo vestita di quel significante che l´abbiglia di certi carismi e doni, sa che tra quei doni e carismi c´è la vulnerabilità. Nella donna, il genere umano si coglie nella sua propria nudità di preda. E´ un sentimento di sé che una donna conosce bene; a volte, ci gioca. E fa la preda; si atteggia, come la Lulù di Wedekind, a meravigliosa belva. Ma per lo più, subisce. E ha paura.
Spesso e volentieri una donna convive con un sentimento di sé, direi alla Jane Austen, di un gentil sesso debole, quanto a equipaggiamento fisico. La sua forza la depone come fosse un seme, o un uovo, altrove: la cova o la coltiva nella sopportazione di dolori che l´uomo non conosce. E´ lei a partorire la vita e sempre lei al capezzale di chi muore.
Al contrario, l´esercizio della forza è un compito da cui la cultura, la civiltà l´hanno assolta. Non le chiedevano, almeno nel passato, di combattere. Nella tradizione, se una donna andava in guerra era per curare i feriti. Ora è vero, ci sono donne - soldato, ma l´ipocrisia vuole che quegli eserciti siano al servizio non della guerra, ma della pace. Per lo più è ancora vero che se si tratta di violare, penetrare, è piuttosto l´uomo maschio chiamato a farlo. Lui si è specializzato nella performance. E nel gusto.
Proprio per questo, tanto più interessante risulta che nel cuore del secolo scorso tre donne diverse, lontane tra loro, si siano arrischiate in una riflessione sulla violenza di un´altezza abissale. Di queste tre donne - Simone Weil, Rachel Bespaloff, Hannah Arendt - vi racconterò.
Mi direte: non solo delle donne si sono interrogate in quegli anni su che cosa accadesse; anche degli uomini l´hanno fatto. E io risponderò che queste tre donne in particolare sono scese come palombare nelle tenebre del male assoluto, della violenza smisurata che segnò il cuore dei loro anni. Hitler e l´hitlerismo ponevano questioni alla mente, al cuore e alla carne, che queste tre donne seppero sostenere. Per dirlo con una bravissima studiosa di Simone Weil, Rita Fulco, seppero «corrispondere al limite». E cioè, rispondere di contraddizioni strazianti, che mettevano il pensiero di fronte all´impensabile.
Perché donne? Lo seppero fare, intendo dire, proprio perché donne? Risponderei di sì, e non per orgoglio femminista, ma perché mi torna alla mente una conversazione con un´amica psicoanalista argentina, Maria Elena Petrilli, in cui mi diceva come da parte delle bambine vi sia una precoce percezione del proprio corpo, tanto più misteriosa perché, al contrario dei maschi, non possono verificare in modo semplice e diretto l´integrità di organi interni, invisibili.
E´ per questo, mi chiedevo mentre la mia amica parlava, che il corpo per una donna non è mai mero oggetto, ma sempre vita? Per dirla con Husserl, mai Körper, sempre Leib? E cioè, essere vivente? Non è così, evidentemente, per un uomo maschio, se può violentare un corpo di donna. E se lo fa, e può farlo, è perché il corpo dell´«altro», evidentemente, non lo sente, né lo pensa come il ‘suo´.
Ma chi non percepisce l´altro come essere vivente, chi addirittura arriva a pensare che la violenza corrisponde a un fantasma di godimento, una specifica joussance, o volupté femminile; chi riesce a sottrarsi alla percezione dell´altro come di sé medesimo, chi non sperimenti in sé l´estraneo, è questo un uomo? «Sperimentazione dell´estraneo», chiama Simone Weil la facoltà che più le interessa. E si chiede: perché non si interroga sul proprio perverso piacere chi nell´altro si diverte a suscitare il grido di dolore? Finché non si avrà il coraggio di andare a ‘vedere´ lo spazio cieco in cui nasce questa violenza, insiste, non si comprenderà lo sfondo spettrale e cieco della violenza tout court. Ma chi può farlo? Non certo chi la violenza la esercita. Perché in chi provoca sventura c´è una voluta ignoranza della sofferenza che provoca. Ecco perché la violenza è cieca.
Non che Simone Weil non veda la complicità tra il fantasma della forza e l´attitudine alla sottomissione, il nodo che aggioga vittima e carnefice nella medesima anestesia del corpo e della mente. Simone anzi riconosce che il culto della Forza non è solo la tabe viriloide dell´hitlerismo, ma serpeggia nel fondo ideale e ideologico delle politiche e delle società d´Occidente.
Legge la sua drammatica potenza e tragica realtà nell´Iliade, che ribattezza «il poema della forza». E proprio prima di partire per New York, onde sfuggire alla persecuzione razzista, consegna alla rivista Cahiers du Sud il saggio sull´Iliade, che comparirà a Marsiglia nel gennaio 1941, a firma di Emile Novis, anagramma di Simone Weil.
Il saggio si apre con queste parole: «L´Iliade è il poema della forza. Il vero eroe, il vero argomento dell´Iliade è la forza». E continua: «la forza è ciò che rende chiunque le sia sottomesso una cosa». Sono affermazioni che risuonano nette come uno schiaffo, sonore, definitive. A conferma di una condanna, a cui la spinge il pacifismo radicale che la ispira. La forza, sia che la si possieda come Achille, sia che la si subisca come Ettore, distrugge. Sono paurose, insiste Simone, le visioni di violenza che si aprono nel poema omerico, dove l´essere coincide con l´essere-per-la-morte, dove è il pensiero della morte a dare agli eventi «il colore dell´eternità». La forza è l´ingiustizia, la forza è il male. Omero, né dalla parte dei Greci, né dalla parte dei Troiani, la descrive con amarezza e imparzialità.
Con la sconfitta della Francia nel 1940, l´occupazione di Parigi, e la montante barbarie nazista, inesorabile, tremenda, la storia imponeva non solo a Simone di alzare la guardia. Leggere il grande libro l´aiutò; in uno scrigno del passato trovò principi e valori con cui rispondere all´angoscia del presente. Lesse di come la violenza tenda all´annientamento della presenza umana, quanto la forza sia irreale, che cumulo di menzogne produca. La forza «de-realizza», comprese Simone: «la violenza stritola quelli che tocca», «uccidere è sempre uccidersi». Tra le pieghe del grande libro colse la visione dell´annullamento della presenza umana. Può forse il guerriero desiderare che l´altro viva? si chiese. Evidentemente no. Pure, per lei, era questo essere umani, l´unica forza a cui umanamente soccombere era quella di Amore; solo Amore fa guerra alla guerra - proclamò la «pensatrice guerriera».
Non era certo facile in quegli anni violenti trovare la forza di rinnegare ogni uso della forza ai fini della vita, proclamare la necessità dell´amore contro la necessità della forza. Di fronte all´ «irrealtà» che aveva in quegli anni il nome di Hitler l´idea di giustizia guidò l´«impolitica» Simone alla capriola finale: prese parte alla guerra, si fece per l´appunto «guerriera». Tornò dagli Stati Uniti a Londra, chiese di essere paracadutata oltre le linee nemiche. E alla fine, non potendo mettere fine alla battaglia, se la conficcò come una croce nel suo proprio cuore, e ne morì.
Fonte: ecologiasociale
sabato 20 settembre 2008
Crimini noiosi
di Elena Stancanelli
Ci sono crimini noiosi. Talmente noiosi che non hai neanche voglia di leggerti tutto l'articolo. Leggi il titolo e volti pagina. Tra questi, il più noioso è lo stupro. Una giovane donna è stata violentata per una settimana dall'uomo che le aveva offerto lavoro come colf. Un'altra? Non c'è neanche la possibilità di una bella foto. Le donne violentate non si mettono sui giornali. Che faccia avrà questa colf non lo sapremo mai. Di solito gli articoli sugli stupri i giornali li presentano con una ragazza rannicchiata a terra, la testa nascosta dentro le braccia intrecciate sulle ginocchia. Le gambe nude, la maglietta strappata sulle spalle.
Sempre la stessa. Chissà chi è quella donna, la vittima per antonomasia.
Un'attrice? La figlia del fotografo che si è prestata a patto di non essere riconoscibile? Il fotogramma di un film degli anni settanta? Chiunque sia quella ragazza rannicchiata, rappresenta in maniera perfetta la maschera senza volto di un orrorifico carnevale, che ci sfila sotto gli
occhi ogni giorno. Ecco a voi lo stupro. Che può essere di due tipi: secco (l'uomo sconosciuto che si getta sulla sconosciuta) o subdolo (l'amico, il conoscente che approfitta di un varco e poi non si ferma più, ignorando il rifiuto). E basta. Che noia. Cambia la location, può cambiare il numero di
partecipanti, cambia soprattutto la percentuale di efferatezza. Ma la dinamica è sempre la stessa, da migliaia di anni. Niente a che vedere con l'omicidio, la rapina, l'epica della truffa. Per stuprare una donna, non serve neanche un piano. E quasi sempre non c'è premeditazione.
Lo stupro ha a che fare col sesso? Non mi sembra. Si tratta di rabbia.
Stuprano uomini senza donne, ma stuprano anche ragazzini giovani e belli, adulti che hanno già scopato ogni corpo possibile. Stuprano uomini di tutte le razze e di ogni età, stuprano i nostri padri e i nostri fratelli.. Non serve neanche un'arma per stuprare una donna. Basta la
rabbia.
Ma la rabbia non può essere estirpata. Una dose di rabbia e rancore è endemica tra uomini e donne. La questione è quindi come dirigere quella rabbia in una zona dove possa essere disinnescata, dove non diventi violenza. Nonostante si sbraiti il contrario per alimentare l'isteria
sulla sicurezza, in Italia da qualche anno sono diminuiti i delitti e sono diminuiti persino i furti. La criminalità recede ovunque. Tranne che sul corpo delle donne. Il numero degli stupri non cala. Perché? È vero: culture diverse si danno battaglia dentro i nostri confini.
L'immigrazione, imponente e repentina, ci costringe a ribadire ogni singola conquista, specie nei rapporti tra maschi e femmine. Ma a che tipo di cultura arcaica ed esecrabile dovrebbe ispirarsi una frase come questa: era ubriaca, voi che aveste fatto al posto nostro? Pronunciata da una
banda di ragazzini decerebrati alla polizia, dopo esser stati colti a violentare una coetanea. Io credo che sia la nostra. Che i conti ce li dobbiamo fare tra di noi. Non è strano che non sappiamo amarci, se non sappiamo concederci reciprocamente le stesse debolezze di coscienza, alcool droghe o innamoramenti fatali. Come possiamo far bene l'amore se non sappiamo usare la violenza, metterla in campo e poi giocarci? Siamo noi che non abbiamo ancora imparato a concederci le stesse opportunità e gli stessi diritti, per poi, dentro questo spazio di serenità, poter
tornare a essere maschi e femmine.
L'altro giorno ho visto su Italia 1 il concorso per Miss Maglietta Bagnata. Nella prova clou le ragazze dovevano saltare sul tappeto elastico, con la maglietta bagnata, per mostrare consistenza e autenticità delle tette. Uno spettacolo talmente degradante da indurre alla commozione. Come i cuccioli di cane abbandonati sul Raccordo. Ma il punto non è abolire Miss Maglietta Bagnata, o le Veline, o il presidente del Consiglio che deve ricorrere alle sue doti di playboy per convincere la
presidente finlandese. Il punto è creare quello spazio di serenità. Là dentro, possiamo poi permetterci qualunque imbecillità.
Purtroppo gli esseri umani sono tanti e non vogliono affatto l'uno il bene dell'altro, ma il proprio. Al massimo siamo in grado di preservare il branco, di non attaccare il fratello. Lo stupro è un crimine dell'uomo contro la donna, nonostante qualche folcloristico esempio contrario. Per
arginarlo, perché la sua incidenza prenda la stessa china discendente degli altri crimini commessi in Italia, serve che le donne siano più forti. Che abbiano maggiore rappresentanza politica, e rimettano in pari la bilancia. Non c'è un'altra soluzione. Pari oppurtunità e pari diritti
non possono essere ricontrattati ogni volta. Solo allora, quando avremo pari rappresentanza al Governo e nei ruoli chiave della società, e qualcuna di noi inventerà Mister Membro d'Oro (dove gli uomini salteranno su un tappeto elastico, con le mutande bagnate, per mostrare consistenza e
autenticità), solo allora, temo, gli stupri inizieranno a diminuire.
Fonte: ecologiasociale
Ci sono crimini noiosi. Talmente noiosi che non hai neanche voglia di leggerti tutto l'articolo. Leggi il titolo e volti pagina. Tra questi, il più noioso è lo stupro. Una giovane donna è stata violentata per una settimana dall'uomo che le aveva offerto lavoro come colf. Un'altra? Non c'è neanche la possibilità di una bella foto. Le donne violentate non si mettono sui giornali. Che faccia avrà questa colf non lo sapremo mai. Di solito gli articoli sugli stupri i giornali li presentano con una ragazza rannicchiata a terra, la testa nascosta dentro le braccia intrecciate sulle ginocchia. Le gambe nude, la maglietta strappata sulle spalle.
Sempre la stessa. Chissà chi è quella donna, la vittima per antonomasia.
Un'attrice? La figlia del fotografo che si è prestata a patto di non essere riconoscibile? Il fotogramma di un film degli anni settanta? Chiunque sia quella ragazza rannicchiata, rappresenta in maniera perfetta la maschera senza volto di un orrorifico carnevale, che ci sfila sotto gli
occhi ogni giorno. Ecco a voi lo stupro. Che può essere di due tipi: secco (l'uomo sconosciuto che si getta sulla sconosciuta) o subdolo (l'amico, il conoscente che approfitta di un varco e poi non si ferma più, ignorando il rifiuto). E basta. Che noia. Cambia la location, può cambiare il numero di
partecipanti, cambia soprattutto la percentuale di efferatezza. Ma la dinamica è sempre la stessa, da migliaia di anni. Niente a che vedere con l'omicidio, la rapina, l'epica della truffa. Per stuprare una donna, non serve neanche un piano. E quasi sempre non c'è premeditazione.
Lo stupro ha a che fare col sesso? Non mi sembra. Si tratta di rabbia.
Stuprano uomini senza donne, ma stuprano anche ragazzini giovani e belli, adulti che hanno già scopato ogni corpo possibile. Stuprano uomini di tutte le razze e di ogni età, stuprano i nostri padri e i nostri fratelli.. Non serve neanche un'arma per stuprare una donna. Basta la
rabbia.
Ma la rabbia non può essere estirpata. Una dose di rabbia e rancore è endemica tra uomini e donne. La questione è quindi come dirigere quella rabbia in una zona dove possa essere disinnescata, dove non diventi violenza. Nonostante si sbraiti il contrario per alimentare l'isteria
sulla sicurezza, in Italia da qualche anno sono diminuiti i delitti e sono diminuiti persino i furti. La criminalità recede ovunque. Tranne che sul corpo delle donne. Il numero degli stupri non cala. Perché? È vero: culture diverse si danno battaglia dentro i nostri confini.
L'immigrazione, imponente e repentina, ci costringe a ribadire ogni singola conquista, specie nei rapporti tra maschi e femmine. Ma a che tipo di cultura arcaica ed esecrabile dovrebbe ispirarsi una frase come questa: era ubriaca, voi che aveste fatto al posto nostro? Pronunciata da una
banda di ragazzini decerebrati alla polizia, dopo esser stati colti a violentare una coetanea. Io credo che sia la nostra. Che i conti ce li dobbiamo fare tra di noi. Non è strano che non sappiamo amarci, se non sappiamo concederci reciprocamente le stesse debolezze di coscienza, alcool droghe o innamoramenti fatali. Come possiamo far bene l'amore se non sappiamo usare la violenza, metterla in campo e poi giocarci? Siamo noi che non abbiamo ancora imparato a concederci le stesse opportunità e gli stessi diritti, per poi, dentro questo spazio di serenità, poter
tornare a essere maschi e femmine.
L'altro giorno ho visto su Italia 1 il concorso per Miss Maglietta Bagnata. Nella prova clou le ragazze dovevano saltare sul tappeto elastico, con la maglietta bagnata, per mostrare consistenza e autenticità delle tette. Uno spettacolo talmente degradante da indurre alla commozione. Come i cuccioli di cane abbandonati sul Raccordo. Ma il punto non è abolire Miss Maglietta Bagnata, o le Veline, o il presidente del Consiglio che deve ricorrere alle sue doti di playboy per convincere la
presidente finlandese. Il punto è creare quello spazio di serenità. Là dentro, possiamo poi permetterci qualunque imbecillità.
Purtroppo gli esseri umani sono tanti e non vogliono affatto l'uno il bene dell'altro, ma il proprio. Al massimo siamo in grado di preservare il branco, di non attaccare il fratello. Lo stupro è un crimine dell'uomo contro la donna, nonostante qualche folcloristico esempio contrario. Per
arginarlo, perché la sua incidenza prenda la stessa china discendente degli altri crimini commessi in Italia, serve che le donne siano più forti. Che abbiano maggiore rappresentanza politica, e rimettano in pari la bilancia. Non c'è un'altra soluzione. Pari oppurtunità e pari diritti
non possono essere ricontrattati ogni volta. Solo allora, quando avremo pari rappresentanza al Governo e nei ruoli chiave della società, e qualcuna di noi inventerà Mister Membro d'Oro (dove gli uomini salteranno su un tappeto elastico, con le mutande bagnate, per mostrare consistenza e
autenticità), solo allora, temo, gli stupri inizieranno a diminuire.
Fonte: ecologiasociale
Priebke ospite al concorso delle miss
L’ex Ss: volevo essere lì, l’invito è un atto umanitario
GALLINARO (Frosinone)— Il titolo di ragazza tam tam è già stato assegnato alla numero 15, in lacrime d’ordinanza stile Salsomaggiore. Sul tavolo a bordo piscina restano ancora le targhe per la ragazza sex appeal e per quella fotogenia. Le luci si abbassano, anche il tintinnio dei calici di prosecco scende di tono. E dietro le miss in costume sgambato, signore e signori, sul maxi schermo appare lui: Erik Priebke, presidente onorario della giuria di Star of the year, concorso per miss riservato alle bellezze della Ciociaria, età compresa tra 14 e 28 anni. Camicia bianca, poltrona di pelle e libreria sullo sfondo, uno sguardo che sembra pure allegro: «Mi avrebbe fatto piacere intervenire di persona—dice— e ringrazio gli organizzatori per l’invito che considero un atto umanitario». Sì, perché l’ex capitano delle Ss condannato all’ergastolo per la strage delle Fosse ardeatine, 335 persone ammazzate con un colpo in testa una dopo l’altra, doveva essere presente in carne ed ossa qui al Tramp's Hotel di Gallinaro. Ma il giudice di sorveglianza gli ha negato il permesso e lui non ha potuto lasciare gli arresti domiciliari di Roma.
Alla fine è spuntato qualche problema anche per il collegamento in diretta che magari gli avrebbe permesso di alzare la paletta con il voto dopo ogni (sculettante) passerella. Il messaggio registrato del presidente onorario Priebke dura un minuto appena. Giusto il tempo di ringraziare e di fare gli auguri alle aspiranti miss: «Un abbraccio e un bacio — dice accennando anche una benedizione con le mani—a tutte le giovani donne del concorso ». Un applauso e si procede con la scaletta.
L’idea è venuta a Claudio Marini, 35 anni di Frosinone. Uno che le ha provate tutte pur di raggiungere uno strapuntino di notorietà. L’anno scorso come presidente della giuria del suo concorso di bellezza «giunto ormai alla nona edizione» si era dovuto accontentare di Fabrizio Corona.
Quest’anno ha deciso di salire di gradazione. Gongola, infatti. In questo albergo della frontiera ciociara di solito arriva solo qualche comitiva tutto compreso (Pappardelle al cinghiale 6 euro, strozzapreti al cervo 5) per qualche gita nel Parco nazionale d’Abruzzo. Ieri sera, invece, è riuscito a trascinare un centinaio di persone e qualche vip di rincalzo, come Francesca Rettondini, i presunti divi tv di Uomini e donne Matteo Guerra e Valentina Riccardi, e Adriano Aragozzini, l’ex patron di Sanremo che ha tutta l’aria di non aver capito bene dove è finito. «Invitare Priebke — dice Marini — è un gesto di pacificazione. Io ammiro il popolo ebraico. Ma ormai sono passati 60 anni e Priebke ne ha più di 95. Che senso ha non permettergli di venire qui?». Magari si potrebbe chiedere alle miss. Chi è Priebke? «Boh». Il cielo però si è vendicato, prima della fine della serata diluvio universale e fuggi fuggi generale.
Lorenzo Salvia
Fonte: ecologiasociale
GALLINARO (Frosinone)— Il titolo di ragazza tam tam è già stato assegnato alla numero 15, in lacrime d’ordinanza stile Salsomaggiore. Sul tavolo a bordo piscina restano ancora le targhe per la ragazza sex appeal e per quella fotogenia. Le luci si abbassano, anche il tintinnio dei calici di prosecco scende di tono. E dietro le miss in costume sgambato, signore e signori, sul maxi schermo appare lui: Erik Priebke, presidente onorario della giuria di Star of the year, concorso per miss riservato alle bellezze della Ciociaria, età compresa tra 14 e 28 anni. Camicia bianca, poltrona di pelle e libreria sullo sfondo, uno sguardo che sembra pure allegro: «Mi avrebbe fatto piacere intervenire di persona—dice— e ringrazio gli organizzatori per l’invito che considero un atto umanitario». Sì, perché l’ex capitano delle Ss condannato all’ergastolo per la strage delle Fosse ardeatine, 335 persone ammazzate con un colpo in testa una dopo l’altra, doveva essere presente in carne ed ossa qui al Tramp's Hotel di Gallinaro. Ma il giudice di sorveglianza gli ha negato il permesso e lui non ha potuto lasciare gli arresti domiciliari di Roma.
Alla fine è spuntato qualche problema anche per il collegamento in diretta che magari gli avrebbe permesso di alzare la paletta con il voto dopo ogni (sculettante) passerella. Il messaggio registrato del presidente onorario Priebke dura un minuto appena. Giusto il tempo di ringraziare e di fare gli auguri alle aspiranti miss: «Un abbraccio e un bacio — dice accennando anche una benedizione con le mani—a tutte le giovani donne del concorso ». Un applauso e si procede con la scaletta.
L’idea è venuta a Claudio Marini, 35 anni di Frosinone. Uno che le ha provate tutte pur di raggiungere uno strapuntino di notorietà. L’anno scorso come presidente della giuria del suo concorso di bellezza «giunto ormai alla nona edizione» si era dovuto accontentare di Fabrizio Corona.
Quest’anno ha deciso di salire di gradazione. Gongola, infatti. In questo albergo della frontiera ciociara di solito arriva solo qualche comitiva tutto compreso (Pappardelle al cinghiale 6 euro, strozzapreti al cervo 5) per qualche gita nel Parco nazionale d’Abruzzo. Ieri sera, invece, è riuscito a trascinare un centinaio di persone e qualche vip di rincalzo, come Francesca Rettondini, i presunti divi tv di Uomini e donne Matteo Guerra e Valentina Riccardi, e Adriano Aragozzini, l’ex patron di Sanremo che ha tutta l’aria di non aver capito bene dove è finito. «Invitare Priebke — dice Marini — è un gesto di pacificazione. Io ammiro il popolo ebraico. Ma ormai sono passati 60 anni e Priebke ne ha più di 95. Che senso ha non permettergli di venire qui?». Magari si potrebbe chiedere alle miss. Chi è Priebke? «Boh». Il cielo però si è vendicato, prima della fine della serata diluvio universale e fuggi fuggi generale.
Lorenzo Salvia
Fonte: ecologiasociale
Torino, spara alla moglie e tenta suicidio nel bagagliaio il cadavere della figlia
Matteo Gliatta, 48enne dipendente delle Poste, soffriva da tempo di crisi depressive
Ricoverato in condizioni non gravi all'ospedale di Pinerolo è ora piantonato dai carabinieri
TORINO - Una tragedia familiare ha sconvolto stamane Luserna San Giovanni, un piccolo comune in provincia di Torino. Matteo Gliatta, 48 anni, dipendente delle Poste di Abbadia Alpina a Pinerolo, ha sparato alla moglie e poi ha rivolto l'arma contro di sé, tentando di uccidersi. Marito e moglie sono stati ricoverati in ospedale. L'uomo è grave. Il dramma, poco dopo: quando cioè gli inquirenti hanno scoperto il cadavere della figlia della coppia, una bambina di 8 anni, nel bagagliaio della loro automobile. La bimba è stata uccisa con un colpo di pistola alla testa.
Agghiacciante la ricostruzione dei fatti: Gliatta è andato a prendere la figlia a scuola, poco dopo l'inizio delle lezioni e ha convinto la mestra a farla uscire in anticipo. Una volta rimasti soli le ha sparato un colpo alla testa, ha messo il corpo nel bagagliaio dell'auto e poi è tornato e casa.
Sempre con una scusa ha convinto la moglie Lorella Magnano, 46 anni, a seguirlo fino a Luserna Alta, in una strada isolata dove le ha sparato e ha poi tentato di suicidarsi. Ferita a un polmone, la donna è ora ricoverata all'ospedale San Luigi di Orbassano, sempre in provincia di Torino.
L'uomo, che si è sparato alla testa, è invece piantonato all'ospedale di Pinerolo. Da tempo sofferente di crisi depressive è accusato di omicidio aggravato, tentato omicidio e porto d'armi abusivo.
A dare l'allarme è stata una passante che ha visto i corpi dei due coniugi riversi per strada in mezzo al bosco. La vettura in cui è stato trovato il cadavere della bambina, una station wagon nera, è la stessa con cui il padre era andato a prenderla a scuola.
Per il procuratore della Repubblica di Pinerolo, Giuseppe Amato "la dinamica dei fatti è ormai sufficientemente chiara, mentre stiamo ancora cercando di ricostruire i motivi che possono avere portato a questo gesto".
(18 settembre 2008)
Fonte: repubblica
Ricoverato in condizioni non gravi all'ospedale di Pinerolo è ora piantonato dai carabinieri
TORINO - Una tragedia familiare ha sconvolto stamane Luserna San Giovanni, un piccolo comune in provincia di Torino. Matteo Gliatta, 48 anni, dipendente delle Poste di Abbadia Alpina a Pinerolo, ha sparato alla moglie e poi ha rivolto l'arma contro di sé, tentando di uccidersi. Marito e moglie sono stati ricoverati in ospedale. L'uomo è grave. Il dramma, poco dopo: quando cioè gli inquirenti hanno scoperto il cadavere della figlia della coppia, una bambina di 8 anni, nel bagagliaio della loro automobile. La bimba è stata uccisa con un colpo di pistola alla testa.
Agghiacciante la ricostruzione dei fatti: Gliatta è andato a prendere la figlia a scuola, poco dopo l'inizio delle lezioni e ha convinto la mestra a farla uscire in anticipo. Una volta rimasti soli le ha sparato un colpo alla testa, ha messo il corpo nel bagagliaio dell'auto e poi è tornato e casa.
Sempre con una scusa ha convinto la moglie Lorella Magnano, 46 anni, a seguirlo fino a Luserna Alta, in una strada isolata dove le ha sparato e ha poi tentato di suicidarsi. Ferita a un polmone, la donna è ora ricoverata all'ospedale San Luigi di Orbassano, sempre in provincia di Torino.
L'uomo, che si è sparato alla testa, è invece piantonato all'ospedale di Pinerolo. Da tempo sofferente di crisi depressive è accusato di omicidio aggravato, tentato omicidio e porto d'armi abusivo.
A dare l'allarme è stata una passante che ha visto i corpi dei due coniugi riversi per strada in mezzo al bosco. La vettura in cui è stato trovato il cadavere della bambina, una station wagon nera, è la stessa con cui il padre era andato a prenderla a scuola.
Per il procuratore della Repubblica di Pinerolo, Giuseppe Amato "la dinamica dei fatti è ormai sufficientemente chiara, mentre stiamo ancora cercando di ricostruire i motivi che possono avere portato a questo gesto".
(18 settembre 2008)
Fonte: repubblica
Cassazione, condannato marito violento "Colpevole anche se provocato"
L'uomo dovrà pagare alla moglie un risarcimento di 25mila euro
Il giudice: "Le regole della civile convivenza devono essere sempre rispettate"
Cassazione, condannato marito violento
"Colpevole anche se provocato"
ROMA - La violenza ha sempre torto. Anche se a scatenarla è un atteggiamento palesemente provocatorio. Lo ha affermato oggi la Cassazione che ha condannato per maltrattamenti un uomo che aveva alzato le mani contro la moglie, protagonista a sua volta di comportamenti aggressivi nei confronti del marito.
L'uomo, che in prima istanza era stato assolto dal tribunale di Piacenza, è stato però ritenuto colpevole dalla Corte di appello di Bologna che lo ha condannato a versare 25mila euro di risarcimento alla moglie. Contro questo verdetto il marito ha fatto ricorso in Cassazione puntando il dito contro la mancanza di prova dei maltrattamenti. Ma senza successo.
Secondo il giudice, l'atteggiamento aggressivo della propria compagna può portare a un piccolo sconto di pena ma non può evitare la condanna. Nella sentenza si legge infatti che "il reato di maltrattamenti può evidenziarsi anche in un contesto familiare caratterizzato da forti tensioni, ascrivibili ad entrambi i protagonisti della vicenda, tra i quali viene a crearsi un clima di reciproca insofferenza e intollerabilità".
Per la Cassazione, "anche una tale situazione deve essere comunque gestita con equilibrio,nel rispetto delle regole di civile convivenza e della dignità fisica e morale della persona e - conclude - non legittima reazioni che insistono su condotte abitualmente proiettate all'aggressione, alla mortificazione e all'umiliazione della controparte".
(18 settembre 2008)
Fonte:repubblica
Il giudice: "Le regole della civile convivenza devono essere sempre rispettate"
Cassazione, condannato marito violento
"Colpevole anche se provocato"
ROMA - La violenza ha sempre torto. Anche se a scatenarla è un atteggiamento palesemente provocatorio. Lo ha affermato oggi la Cassazione che ha condannato per maltrattamenti un uomo che aveva alzato le mani contro la moglie, protagonista a sua volta di comportamenti aggressivi nei confronti del marito.
L'uomo, che in prima istanza era stato assolto dal tribunale di Piacenza, è stato però ritenuto colpevole dalla Corte di appello di Bologna che lo ha condannato a versare 25mila euro di risarcimento alla moglie. Contro questo verdetto il marito ha fatto ricorso in Cassazione puntando il dito contro la mancanza di prova dei maltrattamenti. Ma senza successo.
Secondo il giudice, l'atteggiamento aggressivo della propria compagna può portare a un piccolo sconto di pena ma non può evitare la condanna. Nella sentenza si legge infatti che "il reato di maltrattamenti può evidenziarsi anche in un contesto familiare caratterizzato da forti tensioni, ascrivibili ad entrambi i protagonisti della vicenda, tra i quali viene a crearsi un clima di reciproca insofferenza e intollerabilità".
Per la Cassazione, "anche una tale situazione deve essere comunque gestita con equilibrio,nel rispetto delle regole di civile convivenza e della dignità fisica e morale della persona e - conclude - non legittima reazioni che insistono su condotte abitualmente proiettate all'aggressione, alla mortificazione e all'umiliazione della controparte".
(18 settembre 2008)
Fonte:repubblica
venerdì 19 settembre 2008
Donna reclusa e stuprata dal padre in Polonia un nuovo caso Fritzl
La 21enne sarebbe stata segregata per 6 anni e avrebbe avuto 2 figli dal genitore
Il 45enne arrestato dopo un tentativo di fuga verso l'Italia. Rischia 15 anni di carcere
VARSAVIA - Un uomo di 45 anni è stato arrestato nella Polonia orientale, per avere sequestrato e abusato per sei anni di sua figlia, che ha oggi 21 anni, una vicenda che ricorda quella della "casa degli orrori" dell'austriaco Josef Fritzl.
Secondo quanto reso noto dalla polizia locale di Siemiatycze, la giovane, tenuta segregata in casa dal padre, avrebbe anche partorito nel 2005 e 2007 due bambini, lasciati in ospedale per l'adozione. I bambini potrebbero essere frutto della relazione incestuosa col genitore. La donna ha raccontato alla polizia che l'uomo l'aveva costretta ad abbandonarli, dopo averla accompagnata al parto. La figlia si era presentata la settimana scorsa alla polizia di Siematycze insieme alla madre, denunciando che il padre la violentava dall'età di 15 anni e le impediva di lasciare la casa. La giovane aveva lasciato la scuola a 14 anni. Subito dopo per lei era cominciato un inferno famigliare. Il padre aveva cominciato a violentarla, a legarla e a minacciarla con un coltello.
Dopo la denuncia, l'uomo è fuggito e, secondo l'agenzia France Press, voleva raggiungere l'Italia. La polizia tuttavia l'ha arrestato in una altra città polacca, Siedlce, nel centro del paese. Ora rischia una condanna a 15 anni per violenza sessuale e sequestro di persona. Al momento il tribunale gli ha inflitto un fermo di tre mesi. La figlia è ospite di alcuni famigliari e riceve assistenza psicologica.
La vicenda polacca richiama quella venuta alla luce quest'anno in Austria, nella cittadina di Amstetten. Un uomo di 73 anni, Josef Fritzl, aveva tenuto segregata la figlia per 24 anni in una cantina-prigione sotto casa, violentandola e facendole partorire sette figli.
(8 settembre 2008)
Fonte: Repubblica
Il 45enne arrestato dopo un tentativo di fuga verso l'Italia. Rischia 15 anni di carcere
VARSAVIA - Un uomo di 45 anni è stato arrestato nella Polonia orientale, per avere sequestrato e abusato per sei anni di sua figlia, che ha oggi 21 anni, una vicenda che ricorda quella della "casa degli orrori" dell'austriaco Josef Fritzl.
Secondo quanto reso noto dalla polizia locale di Siemiatycze, la giovane, tenuta segregata in casa dal padre, avrebbe anche partorito nel 2005 e 2007 due bambini, lasciati in ospedale per l'adozione. I bambini potrebbero essere frutto della relazione incestuosa col genitore. La donna ha raccontato alla polizia che l'uomo l'aveva costretta ad abbandonarli, dopo averla accompagnata al parto. La figlia si era presentata la settimana scorsa alla polizia di Siematycze insieme alla madre, denunciando che il padre la violentava dall'età di 15 anni e le impediva di lasciare la casa. La giovane aveva lasciato la scuola a 14 anni. Subito dopo per lei era cominciato un inferno famigliare. Il padre aveva cominciato a violentarla, a legarla e a minacciarla con un coltello.
Dopo la denuncia, l'uomo è fuggito e, secondo l'agenzia France Press, voleva raggiungere l'Italia. La polizia tuttavia l'ha arrestato in una altra città polacca, Siedlce, nel centro del paese. Ora rischia una condanna a 15 anni per violenza sessuale e sequestro di persona. Al momento il tribunale gli ha inflitto un fermo di tre mesi. La figlia è ospite di alcuni famigliari e riceve assistenza psicologica.
La vicenda polacca richiama quella venuta alla luce quest'anno in Austria, nella cittadina di Amstetten. Un uomo di 73 anni, Josef Fritzl, aveva tenuto segregata la figlia per 24 anni in una cantina-prigione sotto casa, violentandola e facendole partorire sette figli.
(8 settembre 2008)
Fonte: Repubblica
martedì 16 settembre 2008
Treviso, ragazza irregolare arrestata dopo aborto
ROMA –Immigrati irregolari a rischio anche negli ospedali. Oltre all’accesso alle cure è garantito per legge (articolo 35 del Testo unico sull’immigrazione) anche l’anonimato: le strutture sanitarie non possono cioè segnalare alle autorità gli immigrati irregolari che le utilizzano. Ora però proprio su questo aspetto arrivano alcuni segnali preoccupanti. Il primo episodio è avvenuto nei giorni scorsi a Treviso, dove una ragazza ghanese irregolare di 20 anni è stata arrestata in ospedale dopo aver subito un intervento di interruzione di gravidanza. La giovane sarebbe stata riconosciuta dai funzionari di polizia in servizio all'ospedale. Il provvedimento è stato convalidato dalla magistratura, che ha emesso nei confronti della ragazza, attualmente ospite di una casa famiglia, un ordine di allontanamento dall’Italia.
Sempre nel Nord-Est, l’affondo diretto è arrivato dal presidente della Provincia di Pordenone, Alessandro Ciriani (An-Pdl), che ha chiesto al ministro dell'Interno Maroni, di attivarsi perché gli ospedali possano segnalare i clandestini. “La norma che vieta di segnalare alle autorità i clandestini che utilizzano le strutture sanitarie - afferma Ciriani - è un'autentica vergogna”. Secondo Ciriani, “è giusto e doveroso assicurare a tutti le necessarie cure. Altra cosa, però, è garantire il diritto alla clandestinità, un principio - a suo parere - francamente inaccettabile”.
Sulla proposta di introdurre un obbligo di denuncia per i clandestini che si rivolgono al pronto soccorso è duro il giudizio di Salvatore Geraci, presidente della Simm, società italiana di medicina delle migrazioni: “Il rischio è quello della clandestinità sanitaria. Con effetti gravissimi non solo per i singoli, ma anche per la collettività. La norma che prevede il divieto di segnalare alle autorità di polizia un clandestino che viene curato è passata nel 1995, all’interno del decreto Dini, anche con i voti della Lega nord”.
Era contenuta, racconta Geraci, in un disegno di legge sponsorizzato dalle associazioni, ma firmato da di più di trecento parlamentari: “Quel principio fu introdotto perché si era deciso che era più importante garantire le cure sanitarie, a tutela del singolo, ma anche della collettività, che fare un utilizzo improprio degli ospedali.Un ospedale è un luogo di cura, non può essere usato per l’allontanamento e l’identificazione”. Secondo Geraci “quell’articolo ha dato ottimi risultati, dal punto di vista non solo assistenziale ma anche preventivo. Lo dimostra il fatto che già dal 1996-1997 diversi indicatori sanitari abbiano avuto un rapido miglioramento. Sono diminuiti, nella popolazione immigrata, il tasso di incidenza dell’Aids come quello della Tbc”.
Insomma “All’epoca fu fatta la scelta di tenere distinti sanità pubblica e ordine pubblico. E questo non solo per motivi di equità, ma anche economici. Perché garantire l’assistenza al livello appropriato fa risparmiare parecchi soldi allo Stato. Viceversa, associare la possibilità di farsi curare e il rischio di una denuncia, oltre a essere una scelta umanamente inadeguata, è un errore strategico gravissimo dal punto di vista della sanità pubblica. Non a caso negli Stati Uniti non fanno così. E la necessità di tenere distinti ordine pubblico e salute è stata più volte ribadita anche dall’Unione europea”. “Chi teme una denuncia si farà curare in modo clandestino. Avverrà, ancor prima che per l’aborto, per le donne incinte o che devono partorire, per le malattie infettive, gli infortuni sul lavoro, l’assistenza ai neonati. Il risultato sarà l’espulsione di queste persone, non dall’Italia ma dai servizi”.
Sul caso della ragazza arrestata a Treviso è intervenuta anche l’Aduc, l’associazione per i diritti degli utenti e dei consumatori. Quanto accaduto a Treviso, secondo l’associazione, crea un precedente molto pericoloso “perché le donne immigrate irregolari abortiranno clandestinamente, con tutto ciò che comporta per la salute individuale e pubblica; e perché, per esempio, se un clandestino ha una malattia infettiva e non si cura per paura di essere espulso, prima o poi infetterà qualcuno anche non clandestino e non immigrato”.
(c.r.)
(12 settembre 2008).
fonte: Repubblica Metropoli
Sempre nel Nord-Est, l’affondo diretto è arrivato dal presidente della Provincia di Pordenone, Alessandro Ciriani (An-Pdl), che ha chiesto al ministro dell'Interno Maroni, di attivarsi perché gli ospedali possano segnalare i clandestini. “La norma che vieta di segnalare alle autorità i clandestini che utilizzano le strutture sanitarie - afferma Ciriani - è un'autentica vergogna”. Secondo Ciriani, “è giusto e doveroso assicurare a tutti le necessarie cure. Altra cosa, però, è garantire il diritto alla clandestinità, un principio - a suo parere - francamente inaccettabile”.
Sulla proposta di introdurre un obbligo di denuncia per i clandestini che si rivolgono al pronto soccorso è duro il giudizio di Salvatore Geraci, presidente della Simm, società italiana di medicina delle migrazioni: “Il rischio è quello della clandestinità sanitaria. Con effetti gravissimi non solo per i singoli, ma anche per la collettività. La norma che prevede il divieto di segnalare alle autorità di polizia un clandestino che viene curato è passata nel 1995, all’interno del decreto Dini, anche con i voti della Lega nord”.
Era contenuta, racconta Geraci, in un disegno di legge sponsorizzato dalle associazioni, ma firmato da di più di trecento parlamentari: “Quel principio fu introdotto perché si era deciso che era più importante garantire le cure sanitarie, a tutela del singolo, ma anche della collettività, che fare un utilizzo improprio degli ospedali.Un ospedale è un luogo di cura, non può essere usato per l’allontanamento e l’identificazione”. Secondo Geraci “quell’articolo ha dato ottimi risultati, dal punto di vista non solo assistenziale ma anche preventivo. Lo dimostra il fatto che già dal 1996-1997 diversi indicatori sanitari abbiano avuto un rapido miglioramento. Sono diminuiti, nella popolazione immigrata, il tasso di incidenza dell’Aids come quello della Tbc”.
Insomma “All’epoca fu fatta la scelta di tenere distinti sanità pubblica e ordine pubblico. E questo non solo per motivi di equità, ma anche economici. Perché garantire l’assistenza al livello appropriato fa risparmiare parecchi soldi allo Stato. Viceversa, associare la possibilità di farsi curare e il rischio di una denuncia, oltre a essere una scelta umanamente inadeguata, è un errore strategico gravissimo dal punto di vista della sanità pubblica. Non a caso negli Stati Uniti non fanno così. E la necessità di tenere distinti ordine pubblico e salute è stata più volte ribadita anche dall’Unione europea”. “Chi teme una denuncia si farà curare in modo clandestino. Avverrà, ancor prima che per l’aborto, per le donne incinte o che devono partorire, per le malattie infettive, gli infortuni sul lavoro, l’assistenza ai neonati. Il risultato sarà l’espulsione di queste persone, non dall’Italia ma dai servizi”.
Sul caso della ragazza arrestata a Treviso è intervenuta anche l’Aduc, l’associazione per i diritti degli utenti e dei consumatori. Quanto accaduto a Treviso, secondo l’associazione, crea un precedente molto pericoloso “perché le donne immigrate irregolari abortiranno clandestinamente, con tutto ciò che comporta per la salute individuale e pubblica; e perché, per esempio, se un clandestino ha una malattia infettiva e non si cura per paura di essere espulso, prima o poi infetterà qualcuno anche non clandestino e non immigrato”.
(c.r.)
(12 settembre 2008).
fonte: Repubblica Metropoli
sabato 13 settembre 2008
Stop al femminicidio
Un lungo anno di iniziative politiche dell’UDI
Unione Donne in Italia Sedi di Catania, Gela, Lentini e Niscemi
25 novembre 2008 - 25 novembre 2009. Un lungo anno di iniziative politiche dell’UDI
“Stop al femminicidio” è una campagna di denuncia dell’UDI finalizzata ad affrontare il problema della violenza sulle donne con una prospettiva di genere.
L’UDI promuove una campagna nazionale per attirare l’attenzione delle istituzioni su quella che si delinea come una vera e propria emergenza, e la chiamerà “Stop al femminicidio”.
La parola Femminicidio è stata coniata a Ciudad Juarez, una città messicana ai confini con gli Stati Uniti, dove dal 1993 ad oggi sono state 413 donne sono state uccise e 600 sono scomparse. UDI ha fatto propria la parola "feminisidio" , l’ha tradotta in femminicidio, usandola nelle iniziative pubbliche, sugli striscioni, nei comunicati, tanto da diventare di uso comune.
Chiamare omicidi la morte di tante donne è un modo per camuffare le statistiche e far scomparire un fenomeno che è la causa prima di morte per le donne ovunque nel mondo.
Staffetta di donne contro la violenza l’UDI indice una Staffetta di donne contro la violenza che partirà il 25 Novembre 2008, giornata internazionale contro la violenza alle donne, e si chiuderà esattamente un anno dopo, sempre il 25 novembre. La staffetta partirà da Niscemi, dove è stata assassinata Lorena. E si chiuderà a Brescia, dove è stata sgozzata Hiina. Simbolo e testimone della Staffetta dell’Udi sarà un’anfora con due manici in modo che possa essere portata da due donne, a significare l’importanza della relazione per noi.
In ogni paese o città in cui la Staffetta passerà, le due donne che l’hanno avuta in consegna la consegneranno ad altre due, pubblicamente In ogni luogo dove la Staffetta passerà, le donne che si faranno carico del suo passaggio potranno imbastire iniziative pubbliche le più varie, seminari, dibattiti, mostre, proiezioni video, eccetera. Strada facendo, ogni donna potrà avvicinarsi e mettere nell’anfora un biglietto con i propri pensieri, denunce, parole o immagini. Parteciperanno alla staffetta tutte le donne, dell’UDI e non, che daranno la loro disponibilità a udinazionale@gmail.com entro il 30 settembre 2008
La Staffetta sarà organizzata solo da donne singole o associazioni di donne - sono escluse rappresentanze di partiti - deve essere un evento pubblico che ciascuna caratterizzerà come riterrà più opportuno e sarà autofinanziata. Il sito dell’Udi - www.udinazionale.org - a partire dal novembre 2008, seguirà passo dopo passo la Staffetta, dando il resoconto delle iniziative svolte e l’appuntamento per quelle successive.
La staffetta in Sicilia Attualmente il passaggio è previsto a : Niscemi, Lentini e Catania.
Come partecipare alla campagna in Sicilia Il gruppo “Stop femminicidio” comprende le tre UDI siciliane e tutte le donne che invieranno la loro adesione.
Contatti UDI Catania 3386940865 3477514904
Fonte: girodivite
Unione Donne in Italia Sedi di Catania, Gela, Lentini e Niscemi
25 novembre 2008 - 25 novembre 2009. Un lungo anno di iniziative politiche dell’UDI
“Stop al femminicidio” è una campagna di denuncia dell’UDI finalizzata ad affrontare il problema della violenza sulle donne con una prospettiva di genere.
L’UDI promuove una campagna nazionale per attirare l’attenzione delle istituzioni su quella che si delinea come una vera e propria emergenza, e la chiamerà “Stop al femminicidio”.
La parola Femminicidio è stata coniata a Ciudad Juarez, una città messicana ai confini con gli Stati Uniti, dove dal 1993 ad oggi sono state 413 donne sono state uccise e 600 sono scomparse. UDI ha fatto propria la parola "feminisidio" , l’ha tradotta in femminicidio, usandola nelle iniziative pubbliche, sugli striscioni, nei comunicati, tanto da diventare di uso comune.
Chiamare omicidi la morte di tante donne è un modo per camuffare le statistiche e far scomparire un fenomeno che è la causa prima di morte per le donne ovunque nel mondo.
Staffetta di donne contro la violenza l’UDI indice una Staffetta di donne contro la violenza che partirà il 25 Novembre 2008, giornata internazionale contro la violenza alle donne, e si chiuderà esattamente un anno dopo, sempre il 25 novembre. La staffetta partirà da Niscemi, dove è stata assassinata Lorena. E si chiuderà a Brescia, dove è stata sgozzata Hiina. Simbolo e testimone della Staffetta dell’Udi sarà un’anfora con due manici in modo che possa essere portata da due donne, a significare l’importanza della relazione per noi.
In ogni paese o città in cui la Staffetta passerà, le due donne che l’hanno avuta in consegna la consegneranno ad altre due, pubblicamente In ogni luogo dove la Staffetta passerà, le donne che si faranno carico del suo passaggio potranno imbastire iniziative pubbliche le più varie, seminari, dibattiti, mostre, proiezioni video, eccetera. Strada facendo, ogni donna potrà avvicinarsi e mettere nell’anfora un biglietto con i propri pensieri, denunce, parole o immagini. Parteciperanno alla staffetta tutte le donne, dell’UDI e non, che daranno la loro disponibilità a udinazionale@gmail.com entro il 30 settembre 2008
La Staffetta sarà organizzata solo da donne singole o associazioni di donne - sono escluse rappresentanze di partiti - deve essere un evento pubblico che ciascuna caratterizzerà come riterrà più opportuno e sarà autofinanziata. Il sito dell’Udi - www.udinazionale.org - a partire dal novembre 2008, seguirà passo dopo passo la Staffetta, dando il resoconto delle iniziative svolte e l’appuntamento per quelle successive.
La staffetta in Sicilia Attualmente il passaggio è previsto a : Niscemi, Lentini e Catania.
Come partecipare alla campagna in Sicilia Il gruppo “Stop femminicidio” comprende le tre UDI siciliane e tutte le donne che invieranno la loro adesione.
Contatti UDI Catania 3386940865 3477514904
Fonte: girodivite
mercoledì 10 settembre 2008
Pretende sesso da donna senza biglietto. Denunciato un capotreno di 53 anni
L'uomo avrebbe consumato il rapporto sul convoglio. Ora è stato sospeso in via cautelativa da Trenitalia
La vittima e' una ragazza nigeriana di 27 anni, regolare in Italia
BOLOGNA - Pensava di farla franca un capotreno che ha preteso una prestazione sessuale da una passeggera scoperta a viaggiare su un treno senza biglietto. Invece il 53enne di origine campana, ma residente a Milano, è stato denunciato dalla Polfer è sospeso dal lavoro in via cautelativa da Trenitalia.
L'AMPLESSO - Il fatto è successo lo scorso 21 agosto. La donna, una ragazza nigeriana di 27 anni regolare in Italia, stava viaggiando sul convoglio 9417, un Eurostar Milano-Lecce, quando nella tarda mattinata - transitando nella zona di Reggio Emilia - è incappata nel controllo del biglietto. Il dipendente di Trenitalia, quando ha capito che la giovane non aveva il tagliando, ha spiegato alla donna che se voleva evitare le conseguenze del mancato pagamento del biglietto poteva appartarsi con lui per una prestazione sessuale. Prestazione effettivamente consumata poco dopo - sempre stando al racconto della donna - in un locale appartato in uno scomparto nella parte posteriore del convoglio.
LA DENUNCIA - Dopo aver subito l'abuso, però, la donna ha subito avvisato il compagno (che viaggiava sullo stesso treno, ma separato da lei) che a sua volta ha chiamato con il telefono cellulare il 113. A quel punto - il treno era già a ridosso della stazione ferroviaria di Bologna - sono intervenuti gli uomini della Polfer del capoluogo emiliano. I poliziotti hanno raccolto i racconti di entrambi. Lui ha negato ogni addebito, lei invece ha fornito particolari precisi della vicenda. Alla fine la polizia ferroviaria ha denunciato l'uomo all'autorità giudiziaria per concussione sessuale. Sulla vicenda erano subito intervenute, il giorno dopo, le Ferrovie dello Stato, con una nota in cui spiegavano che il Gruppo, informato dell'episodio di «presunto tentativo di molestie sessuali» aveva «immediatamente avviato i necessari accertamenti per chiarire la dinamica dei fatti. Qualora fosse accertata la responsabilità del dipendente saranno adottati i provvedimenti disciplinari previsti». L'uomo è stato effettivamente sospeso in via cautelare per 60 giorni. In attesa che si completi l'accertamento dei fatti Trenitalia, alla luce degli elementi acquisiti, ha ritenuto opportuno applicare il provvedimento.
05 settembre 2008
Fonte:corriere.it
La vittima e' una ragazza nigeriana di 27 anni, regolare in Italia
BOLOGNA - Pensava di farla franca un capotreno che ha preteso una prestazione sessuale da una passeggera scoperta a viaggiare su un treno senza biglietto. Invece il 53enne di origine campana, ma residente a Milano, è stato denunciato dalla Polfer è sospeso dal lavoro in via cautelativa da Trenitalia.
L'AMPLESSO - Il fatto è successo lo scorso 21 agosto. La donna, una ragazza nigeriana di 27 anni regolare in Italia, stava viaggiando sul convoglio 9417, un Eurostar Milano-Lecce, quando nella tarda mattinata - transitando nella zona di Reggio Emilia - è incappata nel controllo del biglietto. Il dipendente di Trenitalia, quando ha capito che la giovane non aveva il tagliando, ha spiegato alla donna che se voleva evitare le conseguenze del mancato pagamento del biglietto poteva appartarsi con lui per una prestazione sessuale. Prestazione effettivamente consumata poco dopo - sempre stando al racconto della donna - in un locale appartato in uno scomparto nella parte posteriore del convoglio.
LA DENUNCIA - Dopo aver subito l'abuso, però, la donna ha subito avvisato il compagno (che viaggiava sullo stesso treno, ma separato da lei) che a sua volta ha chiamato con il telefono cellulare il 113. A quel punto - il treno era già a ridosso della stazione ferroviaria di Bologna - sono intervenuti gli uomini della Polfer del capoluogo emiliano. I poliziotti hanno raccolto i racconti di entrambi. Lui ha negato ogni addebito, lei invece ha fornito particolari precisi della vicenda. Alla fine la polizia ferroviaria ha denunciato l'uomo all'autorità giudiziaria per concussione sessuale. Sulla vicenda erano subito intervenute, il giorno dopo, le Ferrovie dello Stato, con una nota in cui spiegavano che il Gruppo, informato dell'episodio di «presunto tentativo di molestie sessuali» aveva «immediatamente avviato i necessari accertamenti per chiarire la dinamica dei fatti. Qualora fosse accertata la responsabilità del dipendente saranno adottati i provvedimenti disciplinari previsti». L'uomo è stato effettivamente sospeso in via cautelare per 60 giorni. In attesa che si completi l'accertamento dei fatti Trenitalia, alla luce degli elementi acquisiti, ha ritenuto opportuno applicare il provvedimento.
05 settembre 2008
Fonte:corriere.it
lunedì 8 settembre 2008
Pakistan, spose «ribelli» sepolte vive
Sospettato il fratello di un ministro provinciale del Baluchistan.
La tribù non approvava la scelta dei mariti. Tra le 5 vittime due teenager.
Sepolte vive il giorno delle nozze in Baluchistan, un giorno infuocato d'estate. Che bel nome, Baluchistan. Anche Mir Wah, il villaggio dove vivevano le ragazze, suona propizio (wah vuol dire acqua) per gli abitanti della più grande provincia pachistana modellata da deserti e montagne. In uno spicchio di mondo nascosto a Google Earth e ai diritti dell'individuo, tre studentesse avevano deciso di sposarsi e di scegliersi un marito contro la volontà della tribù, il potente clan degli Umrani.
Fauzia aveva 18 anni, un'amica 17, la più piccola 16. Quando sono arrivati i sette killer sul gippone con targa governativa, erano in una casa del villaggio di Baba Kot con una mamma e una zia (Fatima Umrani 45 anni, Jannat Bibi 38). Si preparavano a partire. Andavano a nozze. Le loro. Appuntamento in città, Usta Mohammad. Rito civile, cerimonia quasi clandestina. Fatima e le amiche teenager volevano sposare i ragazzi che amavano. Avevano chiesto il permesso alla jirga, l'assemblea degli anziani. Che aveva detto no. La punizione prima degli anelli. A guidare lo squadrone della morte — secondo le testimonianze raccolte da Asian Human Rights Commission (Ahrc) — Abdul Sattar Umrani, fratello del ministro delle Case del Baluchistan: Sadik Umrani, membro del Partito Popolare guidato dal vedovo di Benazir Bhutto, Asif Ali Zardari, che sabato a Islamabad potrebbe essere eletto Presidente dal Parlamento e dalle quattro Assemblee Provinciali.
Proprio ieri l'Assemblea del Baluchistan ha dato il suo prezioso appoggio a Zardari. Proprio ieri il ministro degli Interni di Islamabad ha detto di aver ordinato un'inchiesta che «nel giro di una settimana» faccia luce sulla morte delle spose di Mir Wah. Un'inchiesta che in sei settimane non era mai partita, indovinate perché. Il Pakistan balla sul burrone di una crisi mortale, i talebani alzano la testa, i cosiddetti «omicidi d'onore» (donne e uomini uccisi per adulterio, relazioni fuori dal matrimonio etc) sono faccenda quotidiana (mille all'anno) e quindi «non notizie». La prima denuncia sulle cinque donne sepolte vive, lanciata dalla Commissione asiatica per i diritti umani, è dell'11 agosto. Ma la polizia locale era riuscita ad insabbiare il caso (Umrani famiglia potente, il fratello del ministro, il partito Popolare). Ma poi pochi giorni fa Israr Ullah Zehri, senatore che rappresenta il Baluchistan, ha voluto esagerare: in Parlamento a Islamabad ha replicato alle denunce di alcune colleghe dicendo che la fine delle cinque donne di Mir Wah rientra nelle «legittime tradizioni secolari del Paese». Vergogna? «Solo chi indulge in comportamenti immorali — ha tuonato il senatore — dovrebbe avere paura». Molti parlamentari sono insorti gridando contro «questa barbarie», ma altri hanno detto che si tratta di «questioni interne al Baluchistan». Che nome luminoso, Baluchistan.
Luminoso e lontano. Eccole, le «questioni interne»: il fratello del ministro Umrani e i suoi sgherri portano le tre spose in una località desertica, Nau Abadi. Le picchiano, prima di fare fuoco. Sono ancora vive quando le gettano in una buca. La mamma e la zia dietro ai finestrini assistono alla sepoltura delle ragazze agonizzanti. Terra e pietre. Fatima e Bibi urlano ai killer-becchini di fermarsi. Quelli si indispettiscono e sotterrano pure loro. Come ha raccolto queste notizie la Asian Human Rights Commission? Non è difficile ricostruire i fatti, in un posto in cui i «delitti d'onore» sono un lavoretto «normale» di cui andar fieri. La polizia locale ieri ha annunciato l'arresto di cinque familiari delle vittime: «Li stiamo interrogando — ha detto un funzionario — per farci dire dove sono i corpi». Eh già. Almeno quello. Tre anni fa il fratello del ministro Umrani era stato coinvolto in un altro delitto. Un insegnante di scuola era passato a prendere in taxi la fidanzata. Anche loro andavano a sposarsi con rito civile. Un'auto li aveva bloccati e uccisi. Tutti e tre, compreso il tassista. Il primo sospettato, il fratello del ministro, l'aveva fatta franca.
Michele Farina
03 settembre 2008
Fonte: corriere.it
La tribù non approvava la scelta dei mariti. Tra le 5 vittime due teenager.
Sepolte vive il giorno delle nozze in Baluchistan, un giorno infuocato d'estate. Che bel nome, Baluchistan. Anche Mir Wah, il villaggio dove vivevano le ragazze, suona propizio (wah vuol dire acqua) per gli abitanti della più grande provincia pachistana modellata da deserti e montagne. In uno spicchio di mondo nascosto a Google Earth e ai diritti dell'individuo, tre studentesse avevano deciso di sposarsi e di scegliersi un marito contro la volontà della tribù, il potente clan degli Umrani.
Fauzia aveva 18 anni, un'amica 17, la più piccola 16. Quando sono arrivati i sette killer sul gippone con targa governativa, erano in una casa del villaggio di Baba Kot con una mamma e una zia (Fatima Umrani 45 anni, Jannat Bibi 38). Si preparavano a partire. Andavano a nozze. Le loro. Appuntamento in città, Usta Mohammad. Rito civile, cerimonia quasi clandestina. Fatima e le amiche teenager volevano sposare i ragazzi che amavano. Avevano chiesto il permesso alla jirga, l'assemblea degli anziani. Che aveva detto no. La punizione prima degli anelli. A guidare lo squadrone della morte — secondo le testimonianze raccolte da Asian Human Rights Commission (Ahrc) — Abdul Sattar Umrani, fratello del ministro delle Case del Baluchistan: Sadik Umrani, membro del Partito Popolare guidato dal vedovo di Benazir Bhutto, Asif Ali Zardari, che sabato a Islamabad potrebbe essere eletto Presidente dal Parlamento e dalle quattro Assemblee Provinciali.
Proprio ieri l'Assemblea del Baluchistan ha dato il suo prezioso appoggio a Zardari. Proprio ieri il ministro degli Interni di Islamabad ha detto di aver ordinato un'inchiesta che «nel giro di una settimana» faccia luce sulla morte delle spose di Mir Wah. Un'inchiesta che in sei settimane non era mai partita, indovinate perché. Il Pakistan balla sul burrone di una crisi mortale, i talebani alzano la testa, i cosiddetti «omicidi d'onore» (donne e uomini uccisi per adulterio, relazioni fuori dal matrimonio etc) sono faccenda quotidiana (mille all'anno) e quindi «non notizie». La prima denuncia sulle cinque donne sepolte vive, lanciata dalla Commissione asiatica per i diritti umani, è dell'11 agosto. Ma la polizia locale era riuscita ad insabbiare il caso (Umrani famiglia potente, il fratello del ministro, il partito Popolare). Ma poi pochi giorni fa Israr Ullah Zehri, senatore che rappresenta il Baluchistan, ha voluto esagerare: in Parlamento a Islamabad ha replicato alle denunce di alcune colleghe dicendo che la fine delle cinque donne di Mir Wah rientra nelle «legittime tradizioni secolari del Paese». Vergogna? «Solo chi indulge in comportamenti immorali — ha tuonato il senatore — dovrebbe avere paura». Molti parlamentari sono insorti gridando contro «questa barbarie», ma altri hanno detto che si tratta di «questioni interne al Baluchistan». Che nome luminoso, Baluchistan.
Luminoso e lontano. Eccole, le «questioni interne»: il fratello del ministro Umrani e i suoi sgherri portano le tre spose in una località desertica, Nau Abadi. Le picchiano, prima di fare fuoco. Sono ancora vive quando le gettano in una buca. La mamma e la zia dietro ai finestrini assistono alla sepoltura delle ragazze agonizzanti. Terra e pietre. Fatima e Bibi urlano ai killer-becchini di fermarsi. Quelli si indispettiscono e sotterrano pure loro. Come ha raccolto queste notizie la Asian Human Rights Commission? Non è difficile ricostruire i fatti, in un posto in cui i «delitti d'onore» sono un lavoretto «normale» di cui andar fieri. La polizia locale ieri ha annunciato l'arresto di cinque familiari delle vittime: «Li stiamo interrogando — ha detto un funzionario — per farci dire dove sono i corpi». Eh già. Almeno quello. Tre anni fa il fratello del ministro Umrani era stato coinvolto in un altro delitto. Un insegnante di scuola era passato a prendere in taxi la fidanzata. Anche loro andavano a sposarsi con rito civile. Un'auto li aveva bloccati e uccisi. Tutti e tre, compreso il tassista. Il primo sospettato, il fratello del ministro, l'aveva fatta franca.
Michele Farina
03 settembre 2008
Fonte: corriere.it
domenica 7 settembre 2008
Fano, uccisa entreneuse dell'Ecuador Arrestato il compagno, un italiano 42enne
Forse la gelosia all'origine della tragedia
L'uomo è ora piantonato in ospedale: dopo il delitto ha tentato il suicido lanciandosi sotto un tir
FANO (Pesaro Urbino) - Una ventiduenne dell'Ecuador, Sofia Varela Freire, è stata trovata uccisa in un appartamento di Rosciano di Fano (Pesaro Urbino). Il delitto risale alla notte scorsa. In Italia la ragazza aveva lavorato come badante ma anche come entreneuse in un locale notturno. Il compagno della vittima, Raffaele Caposiena, odontoiatra di 42 anni originario di Castel di Sangro (l'Aquila), è piantonato in ospedale. In serata a suo carico è stato spiccato un mandato di arresto per omicidio volontario aggravato dall'efferatezza: avrebbe ucciso a martellate la compagna ecuadoregna per poi tentare di togliersi la vita lanciandosi sotto un tir in autostrada.
LA DINAMICA - Stando alle prime risultanze investigative, la ragazza è stata assassinata con uno o più colpi di martello alla testa, sferrati con una violenza tale da sfondarle la scatola cranica. Quando venerdì mattina la donna delle pulizie ha scoperto il cadavere, Sofia Margarita era seduta, vestita, davanti alla tv accesa, sul divano dell'appartamento di Rosciano dove aveva convissuto con Caposiena, morta da ore. Nell'abitazione non c'erano segni di colluttazione: l'arma è già stata ritrovata e posta sotto sequestro dalla polizia, insieme a vari documenti ed altri elementi utili. Sarà l'autopsia, affidata dal pm Silvia Cecchi al prof. Giorgetti, a stabilire con precisione l'ora del decesso e la successione dei colpi, che hanno lasciato il viso della giovane quasi indenne. Il perito si avvarrà della consulenza di un biologo, ed eventualmente di un tossicologo. Quanto al movente del delitto, il quadro è ancora in via di composizione. Di certo la relazione fra la ragazza e un uomo di vent'anni più grande era diventata molto conflittuale. C'è chi dice che lei stava per lasciarlo, mentre altri ricordano che l'odontoiatra era particolarmente geloso e possessivo. Non ha ancora trovato conferma la voce che Caposiena, al momento unico indiziato, abbia lasciato un biglietto di spiegazioni nella Mercedes parcheggiata vicino a una piazzola di sosta dell'A14 prima di lanciarsi contro il primo tir in transito.
Fonte:ecologiasociale
L'uomo è ora piantonato in ospedale: dopo il delitto ha tentato il suicido lanciandosi sotto un tir
FANO (Pesaro Urbino) - Una ventiduenne dell'Ecuador, Sofia Varela Freire, è stata trovata uccisa in un appartamento di Rosciano di Fano (Pesaro Urbino). Il delitto risale alla notte scorsa. In Italia la ragazza aveva lavorato come badante ma anche come entreneuse in un locale notturno. Il compagno della vittima, Raffaele Caposiena, odontoiatra di 42 anni originario di Castel di Sangro (l'Aquila), è piantonato in ospedale. In serata a suo carico è stato spiccato un mandato di arresto per omicidio volontario aggravato dall'efferatezza: avrebbe ucciso a martellate la compagna ecuadoregna per poi tentare di togliersi la vita lanciandosi sotto un tir in autostrada.
LA DINAMICA - Stando alle prime risultanze investigative, la ragazza è stata assassinata con uno o più colpi di martello alla testa, sferrati con una violenza tale da sfondarle la scatola cranica. Quando venerdì mattina la donna delle pulizie ha scoperto il cadavere, Sofia Margarita era seduta, vestita, davanti alla tv accesa, sul divano dell'appartamento di Rosciano dove aveva convissuto con Caposiena, morta da ore. Nell'abitazione non c'erano segni di colluttazione: l'arma è già stata ritrovata e posta sotto sequestro dalla polizia, insieme a vari documenti ed altri elementi utili. Sarà l'autopsia, affidata dal pm Silvia Cecchi al prof. Giorgetti, a stabilire con precisione l'ora del decesso e la successione dei colpi, che hanno lasciato il viso della giovane quasi indenne. Il perito si avvarrà della consulenza di un biologo, ed eventualmente di un tossicologo. Quanto al movente del delitto, il quadro è ancora in via di composizione. Di certo la relazione fra la ragazza e un uomo di vent'anni più grande era diventata molto conflittuale. C'è chi dice che lei stava per lasciarlo, mentre altri ricordano che l'odontoiatra era particolarmente geloso e possessivo. Non ha ancora trovato conferma la voce che Caposiena, al momento unico indiziato, abbia lasciato un biglietto di spiegazioni nella Mercedes parcheggiata vicino a una piazzola di sosta dell'A14 prima di lanciarsi contro il primo tir in transito.
Fonte:ecologiasociale
sabato 6 settembre 2008
Spagna: Ministra Per La Parita', Nuova Legge Sull'Aborto Entro 2010
(ASCA-AFP) - Madrid, 4 set - La ministra spagnola per la Parita', Bibiana Aido, ha annunciato la composizione di un comitato di esperti incaricato di studiare nei prossimi sei mesi la riforma dell'attuale legge sull'aborto. Il comitato sara' composto da esperti in ginecologia, ostetricia e diritto penale e le conclusioni che ne deriveranno verranno passate al vaglio dal Congresso, che successivamente redigera' la legge. Tuttavia, secondo la ministra, sara' ''una nuova legge'', non una riforma dell'attuale normativa, e sara' ''la migliore possibile'' in quanto ''si distacchera' dal panorama internazionale''. La titolare del ministero spagnolo ha sottolineato che la nuova legge, che entrera' in vigore entro la fine del 2009 o inizio 2010, garantira' non solo la sicurezza giuridica di donne e medici, ma anche la parita' territoriale, in modo da evitare il sussistere di differenze nell'applicazione della legge a seconda della comunita' autonoma di appartenenza. ''Non e' possibile che una donna debba incontrare delle difficolta' se decide di abortire in Spagna'', ha aggiunto la Aido. L'aborto in Spagna esiste dal 1985, o meglio dal 1985 esiste una legge che lo depenalizza, ma solamente in tre casi: violenza carnale (fino alla dodicesima settimana di gestazione), malformazione fetale (fino alla ventiduesima) e grave rischio per la salute fisica e psichica della madre (senza limitazioni). Si tratta di una legge restrittiva, ma anche molto ambigua, tanto che l'aborto viene praticato con una certa facilita' nelle cliniche private, mentre e' praticamente impossibile realizzarlo negli ospedali pubblici (solo il 2 per cento, infatti, viene realizzato nelle strutture pubbliche). La polemica in Spagna e' ripartita nel dicembre scorso, quando veniva scoperta a Barcellona e Madrid una rete di cliniche che si sarebbero dedicate agli aborti illegali, ossia dopo la ventiduesima settimana di gestazione.
Fonte: yahoo
Fonte: yahoo
giovedì 4 settembre 2008
Detenuto stuprato, sintomo di intolleranza
CATANZARO. L’ennesimo grave episodio di stupro consumatosi nel carcere di Catanzaro ai danni di un detenuto, rappresenta ancora una volta sintomo di intolleranza e di odio nei confronti di un omosessuale, e suscita senso di profonda indignazione nella coscienza comune. È quanto sostengono, in una nota, l’associazione dell’Arcigay Eos Calabria ed il Centro Women’s Studies Milly Villa dell’Università della Calabria. La solidarietà nei confronti del giovane per la violenza subita e per le barbarie a cui è stato sottoposto in regime carcerario - è detto ancora nel comunicato - vuole andare ben oltre quelle parole, con un’azione tempestiva, incisiva e determinante volta al riscatto della sua identità violentata ed al rispetto delle sue condizioni di salute come quelle di tutte le altre persone che hanno avuto a che patire tali simili drammi. Secondo le due associazioni, crimini ed azioni di odio sono perpetuate continuamente e giornalmente nei confronti dei gruppi minoritari all’interno della nostra società. Un’ampia proporzione della nostra popolazione, e della popolazione mondiale, viene abusata, minacciata o assalita a causa della propria razza nazionalità gruppo etnico, religione o preferenza sessuale. La violenza nei confronti degli omosessuali, ovunque sia perpetuata, rappresenta un crimine di odio. Il fatto che poi tale violenza venga perpetuata all’interno delle strutture carcerarie rende la cosa estremamente più grave, essendo indice di una totale indifferenza, superficialità e di mancanza di interesse e da parte di chi quelle strutture le gestisce. Queste considerazioni hanno un’incidenza ancora di più amplificata. Ci sono categorie e luoghi per cui la sicurezza è un lusso. Ci attiveremo - conclude la nota - affinché vi sia uno specifico intervento legislativo per fermare non solo gli esecutori materiali dei crimini, ma anche tutti coloro che alimentano il retroterra culturale in cui si consumano delitti come questi, con particolare attenzione alla popolazione carceraria. Siamo pronti a costituirci parte civile in un eventuale processo contro coloro che si sono macchiati di questo ignobile delitto. (03-09-2008)
http://www.giornaledicalabria.it/index.php?section=news&idNotizia=123
http://www.giornaledicalabria.it/index.php?section=news&idNotizia=123
martedì 2 settembre 2008
«Sexy, magre ed obbedienti» La guida per tenersi stretto un uomo
Negli Stati Uniti va a ruba "The Re-education Of The Female". «Gli uomini comandano» sostiene l'autore
NEW YORK - «Ecco un piccolo segreto: gli uomini non chiedono nulla. Comandano». È questo il succo di un libro pubblicato negli Stati Uniti.
«The Re-education Of The Female» del debuttante Dante Moore è un saggio, pubblicato in 25 mila copie da Strebor Books, che spiega alle donne come tenersi strette il proprio compagno. E se una donna non obbedisce, ce ne sono almeno dieci dietro l'angolo pronte a farlo. Questa la tesi dello scrittore, che nonostante il nome e la saggezza profusa, non ha ancora trovato la sua Beatrice. Da un paio di anni, però, frequenta una ragazza, Khanequa Tuitt, che dopo aver sfogliato un paio di pagine avrebbe voluto insultarlo. Ma poi lo ha conosciuto ed ha sposato la sua teoria. Ora fa le pulizie di casa in abiti sexy.
MAGRE E SEXY - Moore, 33enne ingegnere informatico, consiglia alle sue lettrici di rimanere snelle. «Un esempio? - scrive l'autore - quando andate al supermercato, scegliete la cane o i frutti più brutti, rovinati, marci e puzzolenti? O no? Perché? Lo stesso accade con gli uomini quando vedono delle donne senza forma che sembrano dei baby elefanti». La missione di Moore, racchiusa in 176 pagine vendute a poco più di 10 euro, è quella di rieducare le donne, dando loro l'Abc per una buona relazione. E le basi sono tre: cibo, relax e, ovviamente, sesso. Nell'introduzione del saggio scrive: «Voglio esprimere la mia rabbia e frustrazione come uomo con le donne che credo che siano mal educate, mal informate e impreparate sulle loro responsabilità nel mantenimento di una relazione con un uomo di qualità».
LA RISPOSTA DI UNA FEMMINISTA - «Non ha mai trovato la donna giusta, non si è mai innamorato. Cosa fa di lui un esperto?» commenta Gilda Carle, femminista e terapista che cura un programma televisivo negli Stati Uniti. «Vorrei avere sul mio lettino da terapista le donne che lo hanno frequentato» ha detto la Carle al quotidiano britannico The Telegraph.
L'AUTORE - Dante Moore ha un figlio di 11 anni, nato da una relazione ormai terminata. L'autore ha detto di non aver mai incontrato il grande amore, perché fino a qualche anno fa era «una nuvola di testosterone», racconta al quotidiano americano Washington Post. Cresciuto in una famiglia di donne, la mamma, due sorelle, due zie e due cugine, Moore spiega che da piccolo la madre gli diceva di trattare le donne come regine, di accompagnarle a casa dopo scuola, di comprare regali. Dopo due anni di fallimenti, il cambio di strategia. Ha iniziato a dire di no, a mettere dei paletti, a comandare. E il telefono - assicura Moore al Washington Post - non ha smesso di squillare.
LA CANZONE - Nel 1981 il musicista comasco Marco Ferradini cantava: «Prendi una donna trattala male lasci che ti aspetti per ore. Fa sentire che è poco importante, dosa bene amore e crudeltà». Il brano è stato ripreso da Aldo, Giovanni e Giacomo in «Chiedimi se sono felice», con la battuta «fuori dal letto nessuna pietà», che invece Giacomo sbaglia in «fuori dal letto nessuno è perfetto».
Elisabetta Corsini
29 agosto 2008(ultima modifica: 30 agosto 2008)
Fonte: corriere.it
NEW YORK - «Ecco un piccolo segreto: gli uomini non chiedono nulla. Comandano». È questo il succo di un libro pubblicato negli Stati Uniti.
«The Re-education Of The Female» del debuttante Dante Moore è un saggio, pubblicato in 25 mila copie da Strebor Books, che spiega alle donne come tenersi strette il proprio compagno. E se una donna non obbedisce, ce ne sono almeno dieci dietro l'angolo pronte a farlo. Questa la tesi dello scrittore, che nonostante il nome e la saggezza profusa, non ha ancora trovato la sua Beatrice. Da un paio di anni, però, frequenta una ragazza, Khanequa Tuitt, che dopo aver sfogliato un paio di pagine avrebbe voluto insultarlo. Ma poi lo ha conosciuto ed ha sposato la sua teoria. Ora fa le pulizie di casa in abiti sexy.
MAGRE E SEXY - Moore, 33enne ingegnere informatico, consiglia alle sue lettrici di rimanere snelle. «Un esempio? - scrive l'autore - quando andate al supermercato, scegliete la cane o i frutti più brutti, rovinati, marci e puzzolenti? O no? Perché? Lo stesso accade con gli uomini quando vedono delle donne senza forma che sembrano dei baby elefanti». La missione di Moore, racchiusa in 176 pagine vendute a poco più di 10 euro, è quella di rieducare le donne, dando loro l'Abc per una buona relazione. E le basi sono tre: cibo, relax e, ovviamente, sesso. Nell'introduzione del saggio scrive: «Voglio esprimere la mia rabbia e frustrazione come uomo con le donne che credo che siano mal educate, mal informate e impreparate sulle loro responsabilità nel mantenimento di una relazione con un uomo di qualità».
LA RISPOSTA DI UNA FEMMINISTA - «Non ha mai trovato la donna giusta, non si è mai innamorato. Cosa fa di lui un esperto?» commenta Gilda Carle, femminista e terapista che cura un programma televisivo negli Stati Uniti. «Vorrei avere sul mio lettino da terapista le donne che lo hanno frequentato» ha detto la Carle al quotidiano britannico The Telegraph.
L'AUTORE - Dante Moore ha un figlio di 11 anni, nato da una relazione ormai terminata. L'autore ha detto di non aver mai incontrato il grande amore, perché fino a qualche anno fa era «una nuvola di testosterone», racconta al quotidiano americano Washington Post. Cresciuto in una famiglia di donne, la mamma, due sorelle, due zie e due cugine, Moore spiega che da piccolo la madre gli diceva di trattare le donne come regine, di accompagnarle a casa dopo scuola, di comprare regali. Dopo due anni di fallimenti, il cambio di strategia. Ha iniziato a dire di no, a mettere dei paletti, a comandare. E il telefono - assicura Moore al Washington Post - non ha smesso di squillare.
LA CANZONE - Nel 1981 il musicista comasco Marco Ferradini cantava: «Prendi una donna trattala male lasci che ti aspetti per ore. Fa sentire che è poco importante, dosa bene amore e crudeltà». Il brano è stato ripreso da Aldo, Giovanni e Giacomo in «Chiedimi se sono felice», con la battuta «fuori dal letto nessuna pietà», che invece Giacomo sbaglia in «fuori dal letto nessuno è perfetto».
Elisabetta Corsini
29 agosto 2008(ultima modifica: 30 agosto 2008)
Fonte: corriere.it
sabato 30 agosto 2008
Turista tedesca stuprata dal branco preso sedicenne figlio di un boss
Torre Annunziata, era con il fidanzato in tenda sulla spiaggia
La coppia aggredita da tre giovani. Sotto il tiro delle pistole hanno trascinato lei in auto e poi li hanno rapinati
torre annunziata - Cercavano denaro e telefonini. Per questo all´una di notte piombano su una spiaggetta terra di nessuno, sabbia vulcanica impregnata di abbandono e rifiuti. Sollevano di peso la tenda canadese sotto la quale dorme una coppia di turisti tedeschi, David e Sandra, di 27 e 25 anni, e li minacciano con due pistole. Ma quando pesano un così magro bottino, appena 50 euro, puntano i fari della moto sulla camicia da notte di Sandra. Gliela strappano: e il programma cambia. Per David e Sandra, studi in meteorologia per lui, psicologa lei, comincia un lungo incubo. Lo stupro, gli insulti, il terrore. Fino alla denuncia presentata in commissariato. E alle polemiche in ospedale, dove trovano «scarsa sensibilità, superficialità». Poi la corsa verso il primo aereo diretto in Germania, da Capodichino. «Addio Italia».
Un assalto choc. A 48 ore dallo stupro di Roma, un´aggressione che sembra troppo simile a quella consumata contro la coppia di olandesi per non immaginare un effetto emulazione. Ipotesi avallata anche dalla giovanissima età di uno degli aggressori, fermato ieri dalla polizia: 16 anni, figlio di un boss ergastolano della camorra.
«Bella», è la parola d´ordine degli stupratori. Una parola ossessiva, l´unica che Sandra, bionda, slanciata, occhi chiari ormai devastati dallo choc e dalla rabbia, ricordi in italiano durante la sua lunga deposizione.
È appena passata l´una di notte quando comincia l´incubo: i due dormono sotto la tenda, la zanzariera abbassata, il rumore del mare. «Ci eravamo fermati lì - spiega Sandra agli inquirenti, quasi ad anticipare la domanda - perché tornavamo da un centro commerciale di Pompei, che dista pochi chilometri. Abbiamo attraversato queste stradine che costeggiano il mare da un lato e le ferrovie dall´altro. Quando siamo arrivati non era così desolato, c´era una spiaggetta nera con altre coppiette in auto, ci sembrava romantico. E difatti ci siamo addormentati guardando il mare». Ma il film dell´orrore è dietro l´angolo.
Racconta Sandra: «Durante la notte abbiamo sentito il nostro cagnolino, che non stava in tenda con noi, ma nella cuccia dentro la nostra auto parcheggiata lì accanto, che abbaiava forte. Ci siamo sporti. C´erano tre ragazzi che picchiavano con la pistola contro i vetri dell´auto». Dopo pochi minuti, la banda si accorge della tenda e la solleva. David e Sandra sono soli, in pigiama, di fronte ai carnefici. Offrono il denaro, il telefonino. Ma non basta. Uno di loro tocca la donna, un altro punta una delle due pistole sulla tempia di David. «Ehi - grida lei - Non fateci del male, vi diamo anche l´auto, tutto». Non serve. I tre minacciano David per quaranta minuti, rinchiuso sotto la tenda, con una pistola sulla tempia: immobilizzato. E abusano di lei. Per ben cinque volte.
La costringono ad obbedire con un´altra arma puntata sui lunghi capelli. Uno per volta, i tre stupratori entrano in auto con lei. Ogni fa la sua richiesta, la violenta a suo modo. Prima un giro completo del gruppo, mentre Sandra piange e cerca di divincolarsi. Ma ogni volta che ci riprova, la gang si riunisce con le due pistole sopra la faccia del suo fidanzato. Quando tutti e tre i carnefici vengono soddisfatti, Sandra scappa fuori dell´auto con le poche forze che restano. Ma si sbaglia, non è finita.
Il primo la riafferra per i capelli. La riporta dentro. Ricomincia un altro giro. Le gridano un´altra parola che le resta impressa: lingua. Fino a quando Sandra sviene. E i balordi forse si spaventano e scappano.
La Procura di Torre Annunziata coordina l´inchiesta, il vertice Diego Marmo, il vice Raffaele Marino. In manette finisce subito Luigi S., 16 anni, rampollo di una famiglia di camorra legata al defunto padrino Gionta. L´adolescente viene bloccato sull´uscio della chiesa dove suo fratello maggiore sta per sposarsi. Addosso ha una pistola, nascosta nel calzino. «Io non so niente, di quale aggressione parlate?». È muto sui complici. Ma i due turisti lo riconoscono come uno dei responsabili. Prima in foto, poi - dolorosamente - dal vivo, attraverso il vetro all´americana del commissariato di Torre Annunziata. David e Sandra partono in serata. Alle spalle, si lasciano quell´Italia che dovevano girare per due mesi. E anche il cadavere del loro cagnolino: trovato più tardi quasi sgozzato, sulla spiaggia dello stupro.
CONCHITA SANNINO
Fonte:repubblica.it
La coppia aggredita da tre giovani. Sotto il tiro delle pistole hanno trascinato lei in auto e poi li hanno rapinati
torre annunziata - Cercavano denaro e telefonini. Per questo all´una di notte piombano su una spiaggetta terra di nessuno, sabbia vulcanica impregnata di abbandono e rifiuti. Sollevano di peso la tenda canadese sotto la quale dorme una coppia di turisti tedeschi, David e Sandra, di 27 e 25 anni, e li minacciano con due pistole. Ma quando pesano un così magro bottino, appena 50 euro, puntano i fari della moto sulla camicia da notte di Sandra. Gliela strappano: e il programma cambia. Per David e Sandra, studi in meteorologia per lui, psicologa lei, comincia un lungo incubo. Lo stupro, gli insulti, il terrore. Fino alla denuncia presentata in commissariato. E alle polemiche in ospedale, dove trovano «scarsa sensibilità, superficialità». Poi la corsa verso il primo aereo diretto in Germania, da Capodichino. «Addio Italia».
Un assalto choc. A 48 ore dallo stupro di Roma, un´aggressione che sembra troppo simile a quella consumata contro la coppia di olandesi per non immaginare un effetto emulazione. Ipotesi avallata anche dalla giovanissima età di uno degli aggressori, fermato ieri dalla polizia: 16 anni, figlio di un boss ergastolano della camorra.
«Bella», è la parola d´ordine degli stupratori. Una parola ossessiva, l´unica che Sandra, bionda, slanciata, occhi chiari ormai devastati dallo choc e dalla rabbia, ricordi in italiano durante la sua lunga deposizione.
È appena passata l´una di notte quando comincia l´incubo: i due dormono sotto la tenda, la zanzariera abbassata, il rumore del mare. «Ci eravamo fermati lì - spiega Sandra agli inquirenti, quasi ad anticipare la domanda - perché tornavamo da un centro commerciale di Pompei, che dista pochi chilometri. Abbiamo attraversato queste stradine che costeggiano il mare da un lato e le ferrovie dall´altro. Quando siamo arrivati non era così desolato, c´era una spiaggetta nera con altre coppiette in auto, ci sembrava romantico. E difatti ci siamo addormentati guardando il mare». Ma il film dell´orrore è dietro l´angolo.
Racconta Sandra: «Durante la notte abbiamo sentito il nostro cagnolino, che non stava in tenda con noi, ma nella cuccia dentro la nostra auto parcheggiata lì accanto, che abbaiava forte. Ci siamo sporti. C´erano tre ragazzi che picchiavano con la pistola contro i vetri dell´auto». Dopo pochi minuti, la banda si accorge della tenda e la solleva. David e Sandra sono soli, in pigiama, di fronte ai carnefici. Offrono il denaro, il telefonino. Ma non basta. Uno di loro tocca la donna, un altro punta una delle due pistole sulla tempia di David. «Ehi - grida lei - Non fateci del male, vi diamo anche l´auto, tutto». Non serve. I tre minacciano David per quaranta minuti, rinchiuso sotto la tenda, con una pistola sulla tempia: immobilizzato. E abusano di lei. Per ben cinque volte.
La costringono ad obbedire con un´altra arma puntata sui lunghi capelli. Uno per volta, i tre stupratori entrano in auto con lei. Ogni fa la sua richiesta, la violenta a suo modo. Prima un giro completo del gruppo, mentre Sandra piange e cerca di divincolarsi. Ma ogni volta che ci riprova, la gang si riunisce con le due pistole sopra la faccia del suo fidanzato. Quando tutti e tre i carnefici vengono soddisfatti, Sandra scappa fuori dell´auto con le poche forze che restano. Ma si sbaglia, non è finita.
Il primo la riafferra per i capelli. La riporta dentro. Ricomincia un altro giro. Le gridano un´altra parola che le resta impressa: lingua. Fino a quando Sandra sviene. E i balordi forse si spaventano e scappano.
La Procura di Torre Annunziata coordina l´inchiesta, il vertice Diego Marmo, il vice Raffaele Marino. In manette finisce subito Luigi S., 16 anni, rampollo di una famiglia di camorra legata al defunto padrino Gionta. L´adolescente viene bloccato sull´uscio della chiesa dove suo fratello maggiore sta per sposarsi. Addosso ha una pistola, nascosta nel calzino. «Io non so niente, di quale aggressione parlate?». È muto sui complici. Ma i due turisti lo riconoscono come uno dei responsabili. Prima in foto, poi - dolorosamente - dal vivo, attraverso il vetro all´americana del commissariato di Torre Annunziata. David e Sandra partono in serata. Alle spalle, si lasciano quell´Italia che dovevano girare per due mesi. E anche il cadavere del loro cagnolino: trovato più tardi quasi sgozzato, sulla spiaggia dello stupro.
CONCHITA SANNINO
Fonte:repubblica.it
Giovane turista israeliana violentata nel Catanzarese
La giovane, in vacanza con il fidanzato, aggredita e picchiata da due uomini
Dopo la discoteca sarebbe stata condotta dai due in un capannone
CATANZARO - Una ragazza israeliana di 19 anni è stata violentata da due giovani a Catanzaro, dopo una nottata trascorsa in discoteca. La ragazza è stata trovata in stato confusionale dagli agenti di una volante nella zona di Germaneto, alle porte del capoluogo, e ha raccontato di essere stata aggredita, picchiata e violentata. La turista, però, non ha saputo fornire indicazioni né sugli aggressori, né sull'auto a bordo della quale i due l'avrebbero fatta salire.
Le indagini sull'episodio sono condotte dalla squadra mobile di Catanzaro. La ragazza è in vacanza a Montepaone insieme al fidanzato, un ragazzo italo-argentino, col quale vive a Londra. Secondo quanto è emerso dalle prime indagini, dopo essere stati a cena il ragazzo è tornato in albergo a dormire mentre la ragazza è andata in una discoteca di Pietragrande, dove è rimasta sino alle 5 del mattino.
Verso le 6.30 un operaio ha telefonato al 113 dicendo di avere visto una ragazza in stato confusionale che camminava sulla strada provinciale di Germaneto. Agli agenti giunti sul posto, la ragazza ha fornito un racconto confuso di quanto sarebbe successo. La giovane ha raccontato ai poliziotti, che due giovani, che avrebbe conosciuto in discoteca, le hanno offerto un passaggio sino all'albergo, ma poi l'avrebbero aggredita in un capannone alla periferia di Catanzaro.
Quando è stata trovata dagli agenti, poco lontano dal capannone, aveva graffi, lividi e leggere ferite su varie parti del corpo. E' stata accompagnata in ospedale, dove è stata curata e sottoposta agli accertamenti per verificare se ha effettivamente subito violenza. Dovrebbe guarire in quattro giorni per alcune contusioni sull'avambraccio. Dagli esami fatti, non è risultato che la turista fosse sotto l'effetto di sostanze stupefacenti. La polizia ha disposto accertamenti anche sui vestiti indossati dalla ragazza israeliana, nel tentativo di individuare eventuali tracce biologiche.
L'israeliana conoscerebbe bene la Calabria, al punto che era stata fermata nel corso dell'estate dai carabinieri della Compagnia di Soverato, che l'avevano identificata nel corso di alcuni controlli. Ai militari dell'Arma, la giovane aveva dichiarato di essere domiciliata a Siderno, un centro del reggino.
(28 agosto 2008)
Fonte:repubblica.it
Dopo la discoteca sarebbe stata condotta dai due in un capannone
CATANZARO - Una ragazza israeliana di 19 anni è stata violentata da due giovani a Catanzaro, dopo una nottata trascorsa in discoteca. La ragazza è stata trovata in stato confusionale dagli agenti di una volante nella zona di Germaneto, alle porte del capoluogo, e ha raccontato di essere stata aggredita, picchiata e violentata. La turista, però, non ha saputo fornire indicazioni né sugli aggressori, né sull'auto a bordo della quale i due l'avrebbero fatta salire.
Le indagini sull'episodio sono condotte dalla squadra mobile di Catanzaro. La ragazza è in vacanza a Montepaone insieme al fidanzato, un ragazzo italo-argentino, col quale vive a Londra. Secondo quanto è emerso dalle prime indagini, dopo essere stati a cena il ragazzo è tornato in albergo a dormire mentre la ragazza è andata in una discoteca di Pietragrande, dove è rimasta sino alle 5 del mattino.
Verso le 6.30 un operaio ha telefonato al 113 dicendo di avere visto una ragazza in stato confusionale che camminava sulla strada provinciale di Germaneto. Agli agenti giunti sul posto, la ragazza ha fornito un racconto confuso di quanto sarebbe successo. La giovane ha raccontato ai poliziotti, che due giovani, che avrebbe conosciuto in discoteca, le hanno offerto un passaggio sino all'albergo, ma poi l'avrebbero aggredita in un capannone alla periferia di Catanzaro.
Quando è stata trovata dagli agenti, poco lontano dal capannone, aveva graffi, lividi e leggere ferite su varie parti del corpo. E' stata accompagnata in ospedale, dove è stata curata e sottoposta agli accertamenti per verificare se ha effettivamente subito violenza. Dovrebbe guarire in quattro giorni per alcune contusioni sull'avambraccio. Dagli esami fatti, non è risultato che la turista fosse sotto l'effetto di sostanze stupefacenti. La polizia ha disposto accertamenti anche sui vestiti indossati dalla ragazza israeliana, nel tentativo di individuare eventuali tracce biologiche.
L'israeliana conoscerebbe bene la Calabria, al punto che era stata fermata nel corso dell'estate dai carabinieri della Compagnia di Soverato, che l'avevano identificata nel corso di alcuni controlli. Ai militari dell'Arma, la giovane aveva dichiarato di essere domiciliata a Siderno, un centro del reggino.
(28 agosto 2008)
Fonte:repubblica.it
giovedì 28 agosto 2008
Dopo l' orrore un altro choc in ospedale per i medici non avevo subito violenza
NAPOLI - Non solo l' inferno della violenza subita dal branco sulla spiaggia di Rovigliano. Quando entra nel pronto soccorso del San Leonardo di Castellammare di Stabia, Sandra è agitata, ancora sotto choc. Si trova in un paese straniero, vive attimi tragici, è appena uscita da un incubo e ancora non è fuori del tutto. Si aspetta di ricevere cure e adeguato sostegno psicologico, vista la delicatezza del momento. Arriva in ambulanza accompagnata anche dalla polizia che ha raccolto la sua prima denuncia. Viene soccorsa e visitata dai medici del 118: trenta giorni di prognosi per lesioni ed escoriazioni. Tuttavia i sanitari non riscontrano i segni della violenza, ne mancano le tracce. La ragazza insiste, al giudizio di chi l' ha visitata contrappone la propria disperazione: «Eppure mi hanno violentato». All' uscita dall' ospedale Sandra ribadisce quanto ha detto fino ad allora, e lancia accuse pesanti: «Sono stati superficiali. Mi hanno trattato con troppa leggerezza. Ora voglio solo andarmene, ripartire, tornare a casa». Parole che si abbattono come macigni sulla struttura ospedaliera. Nella tragedia, anche l' idea di un possibile errore del presidio sanitario di Castellammare. Gennaro D' Auria, direttore generale dell' Azienda sanitaria locale Napoli 5, a poche ore dalle accuse della ragazza, annuncia: «è stata aperta un' inchiesta interna. Se qualche medico ha sbagliato, pagherà. Se dovesse essersi verificata qualche disattenzione, verrà accertato. Qualsiasi carenza sotto il profilo dell' assistenza psicologica sarà perseguita. Due commissari sono già al lavoro». Tempi stretti per le indagini: «Nelle prossime ore saremo in grado di stabilire cosa è accaduto». Arturo Fomez, responsabile medico del pronto soccorso, respinge ogni accusa di superficialità: «Il medico del 118 ha riscontrato una sindrome ansiosa depressiva. La ragazza inoltre aveva un trauma alla caviglia sinistra». Sandra viene trasferita al secondo piano dell' ospedale per la visita ginecologica. Sono le 3.20 di domenica notte. «Accuse infondate contro i miei colleghi. La violenza carnale avrebbe lasciato segni», dice Fomez. Invece non ne vengono riscontrati né annotati sul referto consegnato alla polizia. C' è comunque un fatto che confermerebbe quanto raccontato dalla giovane psicologa: il ginecologo del San Leonardo ritiene di dover prescrivere alla ragazza la pillola del giorno dopo. E propone alla paziente il ricovero per ulteriori accertamenti il giorno seguente alla violenza da lei denunciata. Ma Sandra rifiuta e firma per le dimissioni. Uno dei casi in cui il referto medico definisce anche il reato del quale saranno accusati gli indagati. «Potrebbe trattarsi semplicemente di uno sfogo, e sarebbe del tutto comprensibile - commenta il direttore della Asl D' Auria - in un momento come quello può esserci una forma di rimozione. Ma non possiamo escludere niente. Anche se l' ospedale recentemente, in altri casi, si è distinto per la rapidità dei soccorsi». Sorge il dubbio che possano esserci state difficoltà di comunicazione dovute alla lingua: Sandra non parla italiano. Ma i ginecologi negano anche questa eventualità: «Conoscevamo la sua lingua. Abbiamo comunicato in tedesco». - LUIGI CARBONE
Fonte: repubblica.it
Fonte: repubblica.it
mercoledì 27 agosto 2008
60 milioni di spose bambine
Hanno tra gli 8 e i 14 anni
Lo scorso aprile, in Yemen, una bambina di 8 anni di nome Nojoud si presentò da sola in tribunale, dicendo che era stata costretta dal padre a sposare un uomo trentenne che l’aveva picchiata e forzata ad avere rapporti sessuali. Ci sono 60 milioni di «spose bambine » nel mondo, secondo le Nazioni Unite. Il giorno delle nozze arriva in genere tra i 12 e i 14 anni, a volte anche prima. Il marito è spesso un uomo più anziano, mai incontrato prima. Ad aprile Nojoud ha chiesto e ottenuto il divorzio. Ma per la maggior parte delle piccole spose come lei non c’è via d’uscita.
CLASSIFICA
L’organizzazione americana International Center for Research on Women (Icrw) ha compilato una «Top 20» dei Paesi in cui i matrimoni di minorenni sono più diffusi: il Niger è al primo posto (il 76,6% delle spose hanno meno di 18 anni), seguito da Ciad, Bangladesh, Mali, Guinea, Repubblica centrafricana, Nepal, Mozambico, Uganda, Burkina Faso, India, Etiopia, Liberia, Yemen, Camerun, Eritrea, Malawi, Nicaragua, Nigeria, Zambia. La «classifica » è basata su questionari standardizzati che non sono però disponibili per tutti i Paesi. Resta fuori dalle statistiche, ad esempio, gran parte del Medio Oriente.
POVERTÀ
I Paesi della Top 20 sono i più poveri del mondo. In Niger e Mali, rispettivamente il 75% e il 91% della popolazione vive con meno di 2 dollari al giorno. Le spose bambine vengono dalle famiglie più povere in questi Paesi. Spesso i genitori ritengono di non avere altra scelta. «Sono viste come un peso», spiega al Corriere Saranga Jain, ricercatrice dell’Icrw. Nutrirle, vestirle e istruirle costa troppo. E c’è un forte incentivo economico a darle in spose presto. «Nei Paesi in cui vige la pratica della dote (Sud Asia e specialmente India), la famiglia dello sposo è disposta ad accettarne una più ridotta se la ragazza è giovane — dice Jain —. Così i genitori danno in spose le figlie da bambine per pagare di meno. E c’è un incentivo anche in alcuni Paesi africani nei quali sono i genitori della bambina a ricevere un pagamento: più è giovane, più alto è il prezzo». Uno studio condotto in Afghanistan (mancano dati standardizzati ma si ritiene che il 52% delle spose siano bambine) mostra che questi matrimoni vengono praticati anche per sanare debiti o ottenere, in cambio, una moglie per un figlio maschio. «La maggior parte dei genitori non vuole fare del male alle figlie», dice la fotografa americana Stephanie Sinclair, che ha conosciuto tante di queste bambine in Afghanistan, Nepal, Etiopia. «Pensano di proteggerle facendole sposare quando sono vergini: è molto importante in queste società. Ho però incontrato anche una donna che non sembrava dare molto valore alla figlia. "Perché nutrire una mucca che non è tua?", mi rispose quando le chiesi perché, dopo averla promessa in sposa, non la faceva più andare a scuola».
IL MARITO
Le minorenni tendono ad essere date in moglie a uomini molto più vecchi di loro. In Africa centrale e occidentale, un terzo delle bambine spose dichiarano che i mariti hanno almeno 11 anni più di loro. In tutti i Paesi della Top 20 ci sono poi casi in cui la differenza d’età è di decenni: anche 70 anni. Come si spiega? Quando c’è un «prezzo per la sposa», occorrono anni di lavoro perché un uomo possa permettersene una giovane. Nelle unioni poligame, inoltre, man mano che il marito invecchia le nuove mogli sono sempre più giovani. «Uomini più anziani tendono a scegliere ragazze molto più giovani per far sesso — aggiunge Jain—anche perché è più probabile che non abbiano l’Hiv e malattie sessualmente trasmesse o per via di superstizioni secondo cui le vergini possono curare l’Aids; e perché saranno fertili più a lungo».
CONSEGUENZE
Le spose bambine si vedono negare la possibilità di studiare e di lavorare: continuano così ad alimentare il ciclo di povertà da cui provengono. Non possono lasciare il marito perché non hanno i soldi per restituire la dote, e il divorzio è spesso considerato inaccettabile. Il problema non è solo il matrimonio precoce, ma anche il parto precoce. La morte di parto è 5 volte più probabile per le bambine al di sotto dei 15 anni che per le ventenni, secondo l’agenzia per la popolazione dell’Onu (Unfpa). Il rischio di morte del feto è del 73% maggiore che per le ventenni. Non essendo le bambine fisicamente pronte alla gravidanza, le complicazioni sono frequenti: 2 milioni di donne sono affette da fistole vescico- vaginali o retto-vaginali, in seguito a lacerazioni prodotte dalla pressione della testa del feto. Le fistole causano incontinenza. «Le ragazze vengono ostracizzate dai loro mariti e dalla comunità — spiega la dottoressa Nawal Nour, direttrice del Centro per la salute delle donne africane di Boston —. L’odore di urina che proviene dalla fistola è così forte che le ragazze sono piene di vergogna. Sono scansate, abbandonate, sole». Nell’Africa sub-sahariana, inoltre, diversi studi mostrano che le ragazze sposate hanno più probabilità di contrarre l’Aids rispetto a ragazze single e sessualmente attive: perdono la verginità con mariti malati e non hanno il potere di negarsi o chiedere loro di usare il preservativo.
LA LEGGE
Dal 1948 l’Onu e altre agenzie internazionali tentano di fermare i matrimoni di minorenni. Tra gli strumenti più importanti: la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, la Convenzione sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione contro le donne e la Convenzione sui diritti del bambino. L’Unicef definisce ogni matrimonio di minorenni un’unione forzata, perché i bambini non hanno l’età per acconsentirvi in modo «pieno e libero». Quasi tutti i Paesi della Top 20 hanno fissato un’età minima per il matrimonio, molti a 18 anni. Ma la legge non viene rispettata. A volte mancano le risorse, altre volte la volontà politica. Spesso vi sono spinte al cambiamento dall’interno, ma anche resistenza. In Yemen, dove la legge non stabilisce con chiarezza un’età minima, alcuni leader religiosi e tribali criticano la pratica delle spose bambine, ma altri la appoggiano e ricordano che anche il Profeta Maometto sposò Aisha quando lei era una bimba. In Etiopia, secondo il Times di Londra, nonostante la Chiesa ortodossa si dica contraria, alcuni preti continuano a celebrarli. «Sposiamo le ragazze così giovani per assicurarci che siano vergini—ha detto uno di loro al giornale —. Se fossero più grandi, qualcuno potrebbe averle stuprate». «La religione in alcuni casi può essere un fattore—spiega Kathleen Selvaggio, ricercatrice dell’Icrw —. Ma i matrimoni di bambine non sono legati a nessuna fede in modo specifico. Sono parte della cultura, tra i cristiani come tra i musulmani ». Quella delle spose bambine è una tradizione antica, radicata. La soluzione? Per l’Icrw l’unica via è alleviare la povertà, istruire le bambine e collaborare con i leader locali per cambiare le norme sociali.
Viviana Mazza
Fonte:corriere.it
Lo scorso aprile, in Yemen, una bambina di 8 anni di nome Nojoud si presentò da sola in tribunale, dicendo che era stata costretta dal padre a sposare un uomo trentenne che l’aveva picchiata e forzata ad avere rapporti sessuali. Ci sono 60 milioni di «spose bambine » nel mondo, secondo le Nazioni Unite. Il giorno delle nozze arriva in genere tra i 12 e i 14 anni, a volte anche prima. Il marito è spesso un uomo più anziano, mai incontrato prima. Ad aprile Nojoud ha chiesto e ottenuto il divorzio. Ma per la maggior parte delle piccole spose come lei non c’è via d’uscita.
CLASSIFICA
L’organizzazione americana International Center for Research on Women (Icrw) ha compilato una «Top 20» dei Paesi in cui i matrimoni di minorenni sono più diffusi: il Niger è al primo posto (il 76,6% delle spose hanno meno di 18 anni), seguito da Ciad, Bangladesh, Mali, Guinea, Repubblica centrafricana, Nepal, Mozambico, Uganda, Burkina Faso, India, Etiopia, Liberia, Yemen, Camerun, Eritrea, Malawi, Nicaragua, Nigeria, Zambia. La «classifica » è basata su questionari standardizzati che non sono però disponibili per tutti i Paesi. Resta fuori dalle statistiche, ad esempio, gran parte del Medio Oriente.
POVERTÀ
I Paesi della Top 20 sono i più poveri del mondo. In Niger e Mali, rispettivamente il 75% e il 91% della popolazione vive con meno di 2 dollari al giorno. Le spose bambine vengono dalle famiglie più povere in questi Paesi. Spesso i genitori ritengono di non avere altra scelta. «Sono viste come un peso», spiega al Corriere Saranga Jain, ricercatrice dell’Icrw. Nutrirle, vestirle e istruirle costa troppo. E c’è un forte incentivo economico a darle in spose presto. «Nei Paesi in cui vige la pratica della dote (Sud Asia e specialmente India), la famiglia dello sposo è disposta ad accettarne una più ridotta se la ragazza è giovane — dice Jain —. Così i genitori danno in spose le figlie da bambine per pagare di meno. E c’è un incentivo anche in alcuni Paesi africani nei quali sono i genitori della bambina a ricevere un pagamento: più è giovane, più alto è il prezzo». Uno studio condotto in Afghanistan (mancano dati standardizzati ma si ritiene che il 52% delle spose siano bambine) mostra che questi matrimoni vengono praticati anche per sanare debiti o ottenere, in cambio, una moglie per un figlio maschio. «La maggior parte dei genitori non vuole fare del male alle figlie», dice la fotografa americana Stephanie Sinclair, che ha conosciuto tante di queste bambine in Afghanistan, Nepal, Etiopia. «Pensano di proteggerle facendole sposare quando sono vergini: è molto importante in queste società. Ho però incontrato anche una donna che non sembrava dare molto valore alla figlia. "Perché nutrire una mucca che non è tua?", mi rispose quando le chiesi perché, dopo averla promessa in sposa, non la faceva più andare a scuola».
IL MARITO
Le minorenni tendono ad essere date in moglie a uomini molto più vecchi di loro. In Africa centrale e occidentale, un terzo delle bambine spose dichiarano che i mariti hanno almeno 11 anni più di loro. In tutti i Paesi della Top 20 ci sono poi casi in cui la differenza d’età è di decenni: anche 70 anni. Come si spiega? Quando c’è un «prezzo per la sposa», occorrono anni di lavoro perché un uomo possa permettersene una giovane. Nelle unioni poligame, inoltre, man mano che il marito invecchia le nuove mogli sono sempre più giovani. «Uomini più anziani tendono a scegliere ragazze molto più giovani per far sesso — aggiunge Jain—anche perché è più probabile che non abbiano l’Hiv e malattie sessualmente trasmesse o per via di superstizioni secondo cui le vergini possono curare l’Aids; e perché saranno fertili più a lungo».
CONSEGUENZE
Le spose bambine si vedono negare la possibilità di studiare e di lavorare: continuano così ad alimentare il ciclo di povertà da cui provengono. Non possono lasciare il marito perché non hanno i soldi per restituire la dote, e il divorzio è spesso considerato inaccettabile. Il problema non è solo il matrimonio precoce, ma anche il parto precoce. La morte di parto è 5 volte più probabile per le bambine al di sotto dei 15 anni che per le ventenni, secondo l’agenzia per la popolazione dell’Onu (Unfpa). Il rischio di morte del feto è del 73% maggiore che per le ventenni. Non essendo le bambine fisicamente pronte alla gravidanza, le complicazioni sono frequenti: 2 milioni di donne sono affette da fistole vescico- vaginali o retto-vaginali, in seguito a lacerazioni prodotte dalla pressione della testa del feto. Le fistole causano incontinenza. «Le ragazze vengono ostracizzate dai loro mariti e dalla comunità — spiega la dottoressa Nawal Nour, direttrice del Centro per la salute delle donne africane di Boston —. L’odore di urina che proviene dalla fistola è così forte che le ragazze sono piene di vergogna. Sono scansate, abbandonate, sole». Nell’Africa sub-sahariana, inoltre, diversi studi mostrano che le ragazze sposate hanno più probabilità di contrarre l’Aids rispetto a ragazze single e sessualmente attive: perdono la verginità con mariti malati e non hanno il potere di negarsi o chiedere loro di usare il preservativo.
LA LEGGE
Dal 1948 l’Onu e altre agenzie internazionali tentano di fermare i matrimoni di minorenni. Tra gli strumenti più importanti: la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, la Convenzione sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione contro le donne e la Convenzione sui diritti del bambino. L’Unicef definisce ogni matrimonio di minorenni un’unione forzata, perché i bambini non hanno l’età per acconsentirvi in modo «pieno e libero». Quasi tutti i Paesi della Top 20 hanno fissato un’età minima per il matrimonio, molti a 18 anni. Ma la legge non viene rispettata. A volte mancano le risorse, altre volte la volontà politica. Spesso vi sono spinte al cambiamento dall’interno, ma anche resistenza. In Yemen, dove la legge non stabilisce con chiarezza un’età minima, alcuni leader religiosi e tribali criticano la pratica delle spose bambine, ma altri la appoggiano e ricordano che anche il Profeta Maometto sposò Aisha quando lei era una bimba. In Etiopia, secondo il Times di Londra, nonostante la Chiesa ortodossa si dica contraria, alcuni preti continuano a celebrarli. «Sposiamo le ragazze così giovani per assicurarci che siano vergini—ha detto uno di loro al giornale —. Se fossero più grandi, qualcuno potrebbe averle stuprate». «La religione in alcuni casi può essere un fattore—spiega Kathleen Selvaggio, ricercatrice dell’Icrw —. Ma i matrimoni di bambine non sono legati a nessuna fede in modo specifico. Sono parte della cultura, tra i cristiani come tra i musulmani ». Quella delle spose bambine è una tradizione antica, radicata. La soluzione? Per l’Icrw l’unica via è alleviare la povertà, istruire le bambine e collaborare con i leader locali per cambiare le norme sociali.
Viviana Mazza
Fonte:corriere.it
Le donne nel mirino
MARINO NIOLA
Due rapinatori sorprendono nel sonno una coppia di turisti olandesi. Li derubano di tutto. E in più violentano la donna. Doppio bottino, doppia violenza. Perché una aritmetica sociale barbarica e premoderna assegna sempre alle donne una quota maggiore di sofferenza.
Una violenza nella violenza. Che al trauma dell´aggressione aggiunge un surplus di dolore. Quasi un debito, una quota fissa che una cultura tribale e ripugnante esige dal secondo sesso ogni volta che se ne presenta l´occasione. Un "pizzo" in natura che la violenza dei maschi impone con regolarità impunita. E spesso anche inavvertita. Come se l´aggressione sessuale fosse in fondo solo un peccato veniale. C´è ancora chi fa fatica a considerarla un reato. Come se l´altra metà del cielo avesse sempre qualcosa da farsi perdonare. Perfino quando è vittima. Ecco perché quella sulle donne viene troppo spesso percepita come una violenza light. Coperta da un alone di complicità deresponsabilizzante che la rende più leggera, ne occulta l´orrore dietro una pseudo-cultura fatta di luoghi comuni, di banalità, di stereotipi duri a morire, di pregiudizi che hanno radici profonde nel maschilismo che ancora circola carsicamente nelle vene della nostra società.
La storia delle donne è fin troppo piena di esempi. Che sia per strada o tra le pareti domestiche. Che l´aggressore sia uno sconosciuto o abbia il volto familiare di un parente. Che l´orrore le colga di sorpresa o le attenda regolarmente come per un appuntamento cui non possono sottrarsi. Che sia un connazionale o uno straniero come nel caso della vittima di ieri, la ragione profonda è sempre la stessa. È l´idea che le donne non siano veramente eguali. Che sono quasi colpevoli delle loro sacrosante conquiste. Al punto da scambiare troppo spesso la loro libertà, frutto di un trentennio di battaglie pubbliche e private, per una disinvolta disponibilità. O per una mancanza di tutela maschile che le rende facili, e legittime prede.
Come dire che le donne sono costrette ad una libertà vigilata. È inutile nasconderselo. Il nostro corpo sociale non è ancora del tutto emancipato da questa cultura tribale e ripugnante dalla quale nessuno può chiamarsi fuori. Perché pesa come un´ombra nera che non si può esorcizzare attribuendola come marchio esclusivo a tradizioni etniche o religiose lontane. La tenebra è anche nostra. Non dimentichiamo che fino al 1981 il delitto d´onore veniva contemplato dal nostro codice penale come attenuante. Non dimentichiamo le violenze che le donne, spesso ragazzine, subiscono in famiglia. Non dimentichiamo la diffidenza ostile che circonda le vittime degli stupri. Come dire che il medioevo maschilista è appena alle nostre spalle ma sentiamo ancora il suo vento malefico pronto a risollevarsi per soffiare su di noi.
Certo oggi il problema è ancor più grave perché a complicare le cose c´è la coabitazione con culture, tradizioni e religioni che relegano la donna in un´incivile sudditanza e quasi automaticamente legittimano la violenza su quelle che non si adeguano ai modelli tradizionali. È una ragione in più per vigilare. E vedere riflesse negli altri anche le nostre colpe.
Fonte: repubblica.it
Due rapinatori sorprendono nel sonno una coppia di turisti olandesi. Li derubano di tutto. E in più violentano la donna. Doppio bottino, doppia violenza. Perché una aritmetica sociale barbarica e premoderna assegna sempre alle donne una quota maggiore di sofferenza.
Una violenza nella violenza. Che al trauma dell´aggressione aggiunge un surplus di dolore. Quasi un debito, una quota fissa che una cultura tribale e ripugnante esige dal secondo sesso ogni volta che se ne presenta l´occasione. Un "pizzo" in natura che la violenza dei maschi impone con regolarità impunita. E spesso anche inavvertita. Come se l´aggressione sessuale fosse in fondo solo un peccato veniale. C´è ancora chi fa fatica a considerarla un reato. Come se l´altra metà del cielo avesse sempre qualcosa da farsi perdonare. Perfino quando è vittima. Ecco perché quella sulle donne viene troppo spesso percepita come una violenza light. Coperta da un alone di complicità deresponsabilizzante che la rende più leggera, ne occulta l´orrore dietro una pseudo-cultura fatta di luoghi comuni, di banalità, di stereotipi duri a morire, di pregiudizi che hanno radici profonde nel maschilismo che ancora circola carsicamente nelle vene della nostra società.
La storia delle donne è fin troppo piena di esempi. Che sia per strada o tra le pareti domestiche. Che l´aggressore sia uno sconosciuto o abbia il volto familiare di un parente. Che l´orrore le colga di sorpresa o le attenda regolarmente come per un appuntamento cui non possono sottrarsi. Che sia un connazionale o uno straniero come nel caso della vittima di ieri, la ragione profonda è sempre la stessa. È l´idea che le donne non siano veramente eguali. Che sono quasi colpevoli delle loro sacrosante conquiste. Al punto da scambiare troppo spesso la loro libertà, frutto di un trentennio di battaglie pubbliche e private, per una disinvolta disponibilità. O per una mancanza di tutela maschile che le rende facili, e legittime prede.
Come dire che le donne sono costrette ad una libertà vigilata. È inutile nasconderselo. Il nostro corpo sociale non è ancora del tutto emancipato da questa cultura tribale e ripugnante dalla quale nessuno può chiamarsi fuori. Perché pesa come un´ombra nera che non si può esorcizzare attribuendola come marchio esclusivo a tradizioni etniche o religiose lontane. La tenebra è anche nostra. Non dimentichiamo che fino al 1981 il delitto d´onore veniva contemplato dal nostro codice penale come attenuante. Non dimentichiamo le violenze che le donne, spesso ragazzine, subiscono in famiglia. Non dimentichiamo la diffidenza ostile che circonda le vittime degli stupri. Come dire che il medioevo maschilista è appena alle nostre spalle ma sentiamo ancora il suo vento malefico pronto a risollevarsi per soffiare su di noi.
Certo oggi il problema è ancor più grave perché a complicare le cose c´è la coabitazione con culture, tradizioni e religioni che relegano la donna in un´incivile sudditanza e quasi automaticamente legittimano la violenza su quelle che non si adeguano ai modelli tradizionali. È una ragione in più per vigilare. E vedere riflesse negli altri anche le nostre colpe.
Fonte: repubblica.it
Iscriviti a:
Post (Atom)