martedì 3 maggio 2011

Pretty Baby



Oggi pomeriggio sfogliavo una rivista mentre ero in una comoda sala d'attesa.
Era un numero di "Grazia" al quale mancava la copertina e alcune pagine all'interno, lo sfoglio e leggiucchio, ci trovo la pubblicità di un altro "Grazia", dedicato alla moda per bambini, "Grazia Junior", la cosa mi fa trillare già un campanello ma vado avanti. Dopo poche pagine, per la seconda volta, viene pubblicizzata la versione "Junior" della rivista, questa volta mi soffermo sul viso della bimba in copertina, sembra triste, pallida sotto il fard rosa, una bambola di porcellana o plastica di altissima qualità, con un brutto cappello di paglia messo di sbieco. Fragile e sognante, melanconica. Penso che si tratta di una foto "morta", come quasi tutte le foto di bambini in posa per la moda. Bambini letargici. Adesso, nella testa, ho un immagine che non mi piace in più, giro pagina.
Ecco un servizio di moda, protagonista è una modella che in molte foto appare pallida e quasi confusa, una bambola sì, con addosso dei veli, esile, con una femminilità appena accennata, una bambina fragile e sognante, melanconica.
Praticamente la stessa idea di prima, sono immagini che ad uno sguardo poco attento si confondono, addirittura sono entrambe ricce.
Le foto col cellulare non rendono bene l'effetto di voltare pagina e trovare la bambina triste a seno nudo, con le labbra socchiuse in attesa.
Poche idee, pochi modi di rappresentare le donne, applicabili a tutte le età. Almeno l'accortenza di collocare distanti l'una dall'altra l'immagine di una bambina e quella di una modella che le somiglia, di un servizio che ne potenzia la distorsione.
Ma i servizi fotografici con bambini, essendo quelli bambini, non dovrebbero esprimere qualcosa di diverso dai servizi con gli adulti? Ovviamente ho visto solo la copertina di quella rivista.
Ma io sulle riviste vorrei vedere, nel caso, bambine e donne, non bambole, all'occorrenza invecchiate o svecchiate.



Anche Pedopornonecrofilia.

mercoledì 20 aprile 2011

Le donne? a casa - è l'Italia baby

Quella che segue, dopo il post, è la lettera scritta da Lorella Zanardo e Marina Terragni all'organizzazione internazionale di Expo 2015.

In un paese che tace sulle 50 donne uccise dall'inizio dell'anno ad oggi, che fa spallucce davanti al Gender gap, che si nutre di gossip e, soprattutto, sproloquia sulla libertà di vendersi per una poltrona in parlamento, di figli al testosterone, stupri meritati, assassine ecc. non sorprede questo rendez-vous di soli uomini. Mi ricorda quel manifesto della fondazione "Italiani nel mondo" che vedeva un gruppo di uomini in doppiopetto avanzare nel vuoto, gli italiani nel mondo ...c'era una volta in America. Machissimi, oh sì cosi dovevano sentirsi. Così deveno sentirsi a questo Expo 2015: Uomissimi.
Le donne? a casa, perbacco! Che vuoi che ne sappiano le donne di no profit, cultura, agroalimentare o salute! Uniche gonne ammesse: quelle dei preti.

La parità di genere? ..cos'è? non rompete ci sono cose più importanti a cui pensare!

La lettera:



Al Bureau International des Expositions di Parigi


e p. c

a Letizia Moratti, Commissaria Straordinaria Expo 2015

a Diana Bracco, Presidente Expo 2015

Gentili Signore, Gentili Signori,

apprendiamo con sorpresa che i 42 partecipanti ai 9 tavoli tematici per Expo 2015 sono tutti uomini, come da elenco che riportiamo in calce. Non un nome femminile, nemmeno per caso o per errore, tra quelli di tutti questi pur stimabilissimi signori. Questo male italiano -una politica machista, caparbiamente chiusa alla società femminile- è ormai noto in tutto il mondo, ma non si danno nemmeno timidi segni di guarigione.

Colpisce in particolare che il fatto che ai vertici di Expo 2015 siano state designate due donne, la Signora Moratti e la Signora Bracco,  ma nemmeno questo basti a produrre l’indispensabile cambiamento. Ci chiediamo peraltro come la Commissaria straordinaria e la Presidente non si siano rese conto della cosa, e se nella loro politica tengano conto del fatto di essere loro stesse donne.

In verità il machismo politico italiano è talmente consolidato da produrre una sostanziale cecità di fronte a episodi come questo. Nessuno se n’è accorto, né i vertici di Expo 2015, né i media che hanno riportato l’elenco dei partecipanti ai tavoli. Nel caso specifico di Expo 2015, la cosa può essere tradotta in questo modo: non vi è una sola donna a Milano e nel Paese che sia giudicata degna di partecipare a questo assise; paradossalmente i saperi e le competenze delle donne, nutrici del mondo, non sono ritenuti utili alla realizzazione di un Expo dedicato proprio al tema della Nutrizione del Pianeta.

Chiediamo ai responsabili del Bureau se in questo sconcertante episodio di cattiva organizzazione e nel fatto di escludere la grande competenza femminile in materia di nutrizione non intravedano una ragione per riconsiderare la candidatura di Milano a Expo 2015, e se non intendano cogliere l’occasione per sanzionare in modo efficace la classe politica del nostro Paese, vergognosamente sorda e cieca a fronte di una società sempre più femminile ma costretta a subirne l’arroganza e l’inefficacia.

Marina Terragni e Lorella Zanardo (seguono firme)

Qui l’elenco dei partecipanti ai tavoli tematici:

ACCOGLIENZA: Alessandro Rosso, Michele Perini, Antonio Intiglietta, Renato Borghi

INFRASTRUTTURE: Elio Catania, Claudio Artusi, Flavio Cattaneo, Claudio De Albertis

ENERGIA: Federico Falk, Giuliano Zuccoli, Umberto Quadrino, pietro Gnudi, Enrico Migliavacca

CREDITO: Corrado Passera, Massimo Ponzellini, Raffaele Jerusalmi, Francesco Micheli, Corrado Faissola, Bruno Ermolli

AGROALIMENTARE: Carlo Petrini, Giandomenico Auricchio, Paolo Cuccia, Giampiero Calzolari, Carlo Franciosi

SALUTE: Umberto Veronesi, Daniel Lepeyre, Silvio Garattini, Giuseppe Rotelli, Giancarlo Cesana, Massimo Ferlini

CULTURA: Piergaetano Marchetti, Sergio Escobar, Maurizio Costa, Stephane Lissner, Edoardo Valli

NON PROFIT: Giuseppe Guzzetti, don Colmegna, don Verzé, Marco Accornero

GIOVANI: Guido Jarach, Marco Alverà, Stefano Bianco

Vedi il post di Lorella Zanardo: Date Expo a un Paese civile

martedì 19 aprile 2011

'Così Striscia vuole farmi tacere'

Negli ultimi mesi Lorella Zanardo è stata attaccata da Striscia la notizia attraverso un "documentario" (al 90% un plagio de "Il corpo delle donne" solo con finalità manipolatorie) che aveva l'intento di screditare il suo prezioso lavoro (1, 2, 3, 4, 5), con una disparità di mezzi molto simile a quella tra una formica e un leone, e come se non bastasse anche attraverso una battaglia all'ultimo commento, da vincere per sfinimento dell'avversario, condotta da commentatori che trolleggiavano in tutti i blog critici verso Stiscia. Adesso esce fuori questa nuova storia.

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di Lara Crinò
La giornalista Barbie Latza NadeauLa giornalista Barbie Nadeau aveva scritto per 'Newsweek' un'inchiesta sull'immagine sessista proposta da Mediaset. Si è ritrovata con i poliziotti in casa e una denuncia per diffamazione: «Cercano di intimidire i corrispondenti stranieri in Italia»
(19 aprile 2011)
La giornalista Barbie Latza NadeauVive in Italia da quindici anni, e dice che lo considera "il posto migliore dove far crescere i figli". Aggiunge pure che la nostra società "è difficile da capire, ci sono così tante variabili" e che per uno straniero questa complessità è una sfida stimolante. Barbie Latza Nadeau è americana e scrive per 'Newsweek', uno dei magazine americani più prestigiosi, per la sua costola online 'The Daily Beast' e collabora con la CNN.

Ha seguito il caso dell'omicidio di Meredith Kirker e ha scritto un libro sul processo all'accusata Amanda Knox, dal titolo 'Angel Face: The True Story of Student Killer Amanda Knox'. E' una giornalista esperta, abituata più alla chiarezza delle testate anglosassoni che a bizantinismi dei nostri media. Eppure, per la prima volta da quando lavora, ha paura di quel che scrive.

Questo perché, come ha raccontato ieri online e oggi anche sul nuovo numero di Newsweek, una sera dello scorso febbraio un poliziotto ha bussato alla porta della sua casa romana. "Ero a casa da sola con i bambini" racconta "e sono rimasta sconcertata quando ho visto l'agente. Mi ha detto che dovevo andare alla stazione di polizia per qualcosa che aveva a che fare con ciò che avevo scritto per Newsweek su Mediaset e Silvio Berlusconi".

Il giorno dopo Barbie Nadeau si è recata alla polizia e ha scoperto di essere stata denunciata da 'Striscia la notizia' per diffamazione, a seguito di un suo articolo apparso a novembre 2010 su Newsweek dal titolo 'Italy's Women Problem'. Nella sua documentata inchiesta sulla sconfortante situazione delle donne italiane, lontane dalla parità in tutti gli ambiti, Nadeu notava che persino nel programma più visto del prime time italiano, 'Striscia la notizia', la rappresentazione femminile era affidata alle Veline. Signorine "con addosso un abito ornato di lustrini fornito di tanga e profondo scollo a V che arriva oltre l'ombelico" a cui i conduttori possono dire "Vai, girati, fatti dare un'occhiata" toccando loro il didietro. Dopo la denuncia, in accordo con 'Newsweek', la giornalista si è presa un avvocato che la difenderà. Ma qui ci spiega perché l'azione legale di Striscia non è, secondo lei, "una mera coincidenza".

Signora Nadeau, nel suo articolo esprimeva una critica al modo in cui le tv di Berlusconi e in particolare 'Striscia la notizia', rappresentano la donna. Un argomento che la stampa cavalca da anni. Come mai, secondo lei, da Mediaset è partita una denuncia?
A dire il vero nemmeno io me lo spiego fino in fondo. Posso solo fare delle supposizioni, e dirle che non credo nelle coincidenze. L''idea di avere una denuncia sulla testa mi mette profondamente a disagio. Considero 'Striscia' un programma intelligente e nel mio pezzo mi limitavo a mettere in luce una contraddizione. Ovvero che persino Striscia propaganda un'immagine che ritengo lesiva per la donna. La mia copertina di Newsweek ha ispirato a marzo un 'panel' di un convegno sulle donne a New York; hanno partecipato anche Emma Bonino e Violante Placido. Avevo appena avuto la notifica della denuncia e non ho voluto fare il nome di Striscia. Quindi, come vede, ha già funzionato su di me come una forma di intimidazione. Anche se ovviamente il mio giornale mi chiede di continuare a scrivere e seguire la questione.

Non pensa che denunciarla per diffamazione possa essere per Mediaset una 'misura preventiva' in vista dell'aprirsi del processo sul caso Ruby? Insomma un modo per alzare il tiro, mandando un messaggio ai corrispondenti stranieri in Italia in un momento particolarmente delicato per Berlusconi?
Parlare di Arcore, delle escort e di Ruby è dal punto di vista giornalistico ovviamente una miniera d'oro. Ma è una strada fin troppo facile, che in accordo con 'Newsweek' non ho mai seguito. Quel che mi interessa mostrare a un pubblico di lettori internazionali sono le contraddizioni della condizione femminile in questo paese. E come l'immagine femminile veicolata dai media e dalla pubblicità non possa che danneggiare la ricerca della parità lavorativa e sociale. Tutte queste cosce nude, questa esibizione di corpi manda un messaggio subliminale continuo all'uomo italiano: che le donne hanno a che fare con il sesso, che non sono una controparte seria e affidabile in politica o sul lavoro.

Fonte: http://espresso.repubblica.it/dettaglio/cosi-striscia-vuole-farmi-tacere/2149486

venerdì 15 aprile 2011

Decalogo Zero stereotipi

Zero stereotipi in comunicazione

1. La donna è una persona, non un oggetto. Se stai usando delle donne nella tua comunicazione, chiediti se la loro immagine potrebbe indurre a pensare il contrario.

2. Non basta “coprire” le donne per essere gender friendly. Occorre prima di tutto non svilirle con atteggiamenti, parole ed ogni altra forma di comunicazione che le dequalifichino o ne rimandino una visione stereotipata, svilente e maschilista.

3. Il corpo delle donne, anche scoperto, non è mai volgare e non è qualcosa di cui vergognarsi o da censurare. Semmai, lo è la sua mercificazione e il modo in cui esso viene utilizzato. Sfruttare il corpo di una donna (o peggio di una sua parte) ed usarlo come specchietto per le allodole per vendere è sempre discutibile.

4. Una comunicazione dalla parte delle donne dovrebbe proporre modelli estetici che non siano eccessivamente finti e irraggiungibili ma che tengano conto della conformazione naturale delle donne e, ove possibile, della sua diversità. Far sentire le donne inadeguate perché non corrispondenti ad un modello unico di bellezza (giovane, magra, sexy) non è esattamente un modo per stare dalla loro parte.

5. Evita gli stereotipi: la donna – oggetto sessuale è solo uno dei tanti stereotipi che creano pregiudizi. Anche la donna mamma chioccia/angelo del focolare o la donna in carriera fredda e scontrosa, ad esempio, lo sono. Anche per le bambine e i prodotti ad esse destinati è lo stesso (la bimba che pensa alla bellezza, che è già una piccola mammina casalinga o – cosa sempre più inquietante – che viene messa in pose ammicanti, piuttosto che il bimbo dedito all’avventura o alla guerra sono uno dei tanti esempi). Evita di usare gli stereotipi sia femminili che maschili nella tua comunicazione a meno che l’intento di critica nei loro confronti non sia più che evidente oppure affida questi ruoli ad entrambe i sessi.

6. Degradare gli uomini al posto delle (o insieme alle) donne non significa essere gender friendly, ma promuovere un finto paritarismo al ribasso che svilisce tutti, di cui le donne non hanno bisogno.

7. La sensualità e la sessualità sono cose bellissime, ma c’entrano con il prodotto e servizio che stai comunicando?

8. Ok, la sensualità c’entra con ciò che stai comunicando. Ricordati però che le donne non sono persone a disposizione di chi le guarda. Non indurre i destinatari della tua comunicazione a pensarlo dipingendole con atteggiamenti di eccessiva disponibilità sessuale.

9. Quando la comunicazione propone un’immagine d’amore (in tutte le sue forme) e le persone come soggetti e non come oggetti non significa che sia volgare. Ma se la tua comunicazione è rivolta agli adulti, assicurati che i circuiti nei quali la diffonderainon giungano agli sguardi dei più piccoli.

10. Sii coerente. Essere dalla parte delle donne vuol dire ragionare e comportarsi in termini paritari. E’ inutile essere gender friendly nella comunicazione se non lo si è anche nella vita di tutti i giorni, nel proprio lavoro e nelle proprie relazioni. Il rischio è quello di passare per ipocrita.

http://www.zerostereotipi.it/

Approfondimenti:

domenica 10 aprile 2011

Travaglio e l’attenuante della provocazione

[Il discorso che fa Travaglio nel video è paradossale, ma forse scegliere altri paradossi, che non suggeriscano femminicidi, sarebbe meglio.]
Da femminismo a sud



Travaglio non mi è simpatico. Giustizialista, di destra, ogni tanto dice delle cose per le quali meriterebbe pernacchie. Questa è una di quelle volte. Dal minuto 7.40 del video, Travaglio, con la solita ironia un po’ spocchiosa che VE lo fa amare, da quel pezzo di giornalista del “Fatto Quotidiano” (quello che ospita le perle misogine di Massimo Fini e non solo) che è, elenca le ragioni per cui ad un marito conviene sparare alla moglie invece che divorziare.

Chiaro che quello che dice lui non ha nulla a che vedere con la istigazione alla violenza praticata in modo reiterato un giorno si e uno no dai maschilisti che elencano persino i modi attraverso i quali un marito potrebbe persino far sparire il cadavere, ma ci chiediamo come mai il signor Travaglio, colui il quale parla di femmine soltanto se possono essere utili a sputtanare Berlusconi, abbia tirato fuori l’argomento così per caso.

Che non abbia mai dedicato un solo rigo alla lotta contro la violenza sulle donne lo sappiamo. Che Il Fatto Quotidiano abbia ospitato degli interventi che definiscono le donne delle megere invece è provato.

Travaglio sta forse per divorziare? Aderisce alla lobby maschilista che pur di non pagare gli alimenti alla moglie assumerebbe un mago che le facesse sparire e ricomparire in un universo parallelo?

La sua è una denuncia? Ci viene in aiuto? Sta dicendo che la legge italiana è una merda e che un uomo italiano è libero di scannare la moglie senza che poi accada nulla?

E noi siamo d’accordo. E’ vero che in Italia i mariti, soprattutto gli ex ammazzano perchè si liberano delle mogli, le massacrano, poi fanno due giorni di galera, forse nessuno, e poi si beccano perfino la pensione di reversibilità della moglie. Pretendono perfino che i giudici gli affidino i figli, così a loro potranno insegnare quanto è comodo scannare la moglie e poi camparci di rendita. Perchè si sa che per i figli l’esempio è la migliore lezione di vita.

Ma se è così che la pensi, caro Travaglio, allora dovresti spiegarla bene questa cosa perchè quello che tu hai detto fornisce una attenuante ad una lobby misogina che quelle mogli medita di ammazzarle davvero o all’altra lobby che invece ne discetta in senso “utilitaristico” come si trattasse di un argomento da salotto, tra folli scatenati che dichiarano di voler fare guerra alle donne e altri sessisti che dimenticano di essere nati di donna.

La devi spiegare perchè questo non è il tempo delle ambiguità e perchè la tua descrizione non ci ha fatto per niente ridere.

Sono #45 le vittime di violenza maschile per il 2011 e se si continua a dire che tanto agli assassini non succede niente senza che nessuno faccia nulla di alternativo, presto quella cifra raddoppierà e in definitiva non si tratta più di diffusione di notizie su una materia ma di istigazione alla violenza sulle donne.

Tra le #45 non contiamo la ragazzina di 13 anni lapidata da un diciassettenne. Lei è in coma e stranamente per “legge” non la possiamo definire morta ammazzata da un maschio violento. Dunque se un uomo che ammazza una donna non fa neppure un giorno di galera figuriamoci quale destino fantastico sarà riservato a questo diciassettenne. Gli pagheranno la crociera intorno al mondo di modo che possa lapidarne altre 1000.

Bisogna informare e controinformare. Se racconti di come è brutta la legge allora sprecati un pochino a parlare delle vittime invece di infilare la battuta misogina (il pagamento degli alimenti che è la leggenda dei tuoi colleghi maschilisti) tra un sorriso sarcastico e un ragionamento berluscadipendente.

Oppure dicci secondo il tuo parere che pena meriterebbe un uomo che ammazza la moglie. Dopodichè dicci perchè mai ancora in Italia esiste l’attenuante della “provocazione” che è solo una forma più ipocrita di giustificare il “delitto d’onore”.

Sostanzialmente, come hai detto tu, l’Italia fa schifo, per le donne lo è molto di più, e non ci sentiamo molto collaborate in termini culturali da quelli come te che sono così intenti a fare battaglie virili, l’uno contro l’altro armato, a far vedere chi ce l’ha più lungo.

Questo esercito di maschi che fanno bagni di folla come fosse viagra a noi non fa effetto neanche un po’. Ma sulle cose che dite non possiamo tacere.

Dunque, Travaglio, dicci: che cosa pensi sulla violenza maschile contro le donne?

Ps: alle donne, sorelle, compagne, NON SPOSATEVI!

mercoledì 6 aprile 2011

Giancarlo Magalli e l'istigazione al femminicidio

Secondo Giancarlo Magalli uccidere una donna che non ti ama più è lecito: " Io penso anche a quei poveri uomini, che lasciati dalla donna che amavano disperatamente cercano il chiarimento non per ammazzarla, ma per ricucire un rapporto e magari si sentono dire ‘io ti ho sempre tradito, perché tu sei uno scemo, impotente e mi fai schifo’ e in quel momento perdono la brocca e l’ammazzano. E vabbè, che gli vuoi di’? [...] esiste l’attenuante della provocazione... tante volte questo crinale si supera non perché uno è cattivo, ma perché te ce portano e quindi poi quello paga il suo debito, per carità… lo paga… però…”



Forse Magalli è tempo di lasciare spazio a uomini che pensano alle donne come a persone e non come a oggetti di proprietà, a suppellettili, a elettrodomestici che se non funzionano, se non rispondono ai tuoi comandi e desideri, "nel momento d'ira"(che "momento" non è, visto che anche un uomo dabbene come lei, che ha una moglie e una figlia, è capace a mente fredda di concepire questa metodica), fai a pezzi.


EDIT: Le scuse di Magalli tra i commenti al blog di Flavia Amabile "Mi rendo conto che quello che ho detto dalla Perego può essere sembrata una difesa di chi fa del male o uccide una persona alla fine di una storia d'amore, se provocato. Mi dispiace non essere riuscito ad essere chiaro, come in genere sono, e di non essere riuscito a chiarirmi, anche perchè assalito dalla virulenza della Boralevi. Il discorso era un altro: si discuteva del fatto se si può uccidere per amore. Sia io che li psichiatra eravamo d'accordo che non si può: uccidere è una cosa così terribile che si può fare solo per follia. Il mio discorso era volto solo a dire che qualunque uomo (ma anche una donna) normale può superare il crinale della follia e diventare un omicida se provocato. Il che non lo giustifica affatto, o meglio non giustifica l'atto di follia, ma aiuta a capire perchè la follia sia scattata. Mi dispiace essere stato poco chiaro, ma certamente non volevo nè giustificare nè difendere chi fa del male. Cordiali saluti. Giancarlo Magalli scritto da Giancarlo Magalli 6/4/2011 14:51" qui.



Mi sembra che comunque persista nella sua replica il concetto di provocazione.
Chissà cosa ne pensa Magalli di quest'uomo che ha massacrato di botte la moglie perché lei non voleva avere rapporti anali. Non lo amava abbastanza? Esprimere un'opinione contraria equivale a provocare?




Via Flavia Amabile, Femminismo a sud, Un altro genere di comunicazione
; di più: No alla violenza sulle donne, Bambini coraggiosi, Vita da streghe.

domenica 3 aprile 2011

MANIFESTO di Mia Engberg

1. Siamo belle come siamo. Al diavolo gli ideali di bellezza malati! Odiando profondamente se stesse, le donne consumano molta della loro energia e sviliscono la propria creatività. L’energia che potrebbe essere diretta all’esplorazione della nostra sessualità e del potere che abbiamo, viene prosciugata da diete e cosmetici. Non lasciare che i poteri commerciali controllino i tuoi bisogni e desideri.

2.
Difendi il diritto di essere arrapata. La sessualità maschile è considerata una forza della natura che va soddisfatta a tutti i costi. Quella delle donne viene accettata solo se si adatta ai bisogni dell’uomo. Sii arrapata a modo tuo.

3
.
Una brava ragazza è una ragazza cattiva. Ci hanno nutrite del cliché culturale per cui le donne sessualmente attive e indipendenti sono o pazze o lesbiche e quindi pazze. Vogliamo vedere e fare film in cui Betty Blue, Ophelia e Thelma & Louise alla fine non devono morire.

4.
Distruggi capitalismo e patriarcato. L’industria del porno è sessista perché viviamo in una società patriarcale e capitalista. Si arricchisce dei bisogni che la gente ha di sesso ed erotismo e nel farlo sfrutta le donne. Per combattere il pornosessismo devi distruggere capitalismo e patriarcato.

5.
Sconce quanto ci pare. Godi, decidi o lascia perdere. Di’ NO quando ti pare, per essere in grado di dire Sì quando vuoi TU.

6.
L’aborto legale e libero è un diritto umano! Tutti hanno il diritto al controllo del proprio corpo. Ogni anno milioni di donne subiscono gravidanze non volute e muoiono per aborti illegali. Fanculo la morale buona solo a predicare contro il controllo delle nascite e l’informazione sessuale.

7.
Combatti il vero nemico! La censura non può liberare la sessualità. Fintanto che le immagini sessuali sono tabù, l’immagine della sessualità delle donne non potrà cambiare. Non attaccate le donne perché mostrano il sesso. Attaccate il sessismo che cerca di controllare la nostra sessualità.

8.
Sii queer! Chi si oppone all’erotismo spesso è omofobico e spessissimo è transfobico. Noi non crediamo nella lotta tra i sessi ma nella lotta contro i sessi. Identificati col genere che vuoi e fai l’amore con chi ti pare. Sessualità è diversità.

9.
Usa protezioni. “I’m not saying go out an’ do it, but if you do, strap it up before you smack it up” [non dico di uscire e andare a scopare, ma se scopi, coprilo prima di fartelo sbattere dentro] Missy Elliot.

10.
Fai da te. L’erotismo è buono e ne abbiamo bisogno. Siamo fermamente convinte che sia possibile creare un’alternativa all’industria pornografia mainstream facendo i film sexy che ci piacciono”.

venerdì 1 aprile 2011

Vogue si ripensa?

Dopo che per anni la moda è stata accusata di essere la causa principale nei disturbi del comportamento alimentare per le ragazze di tutto il mondo, oggi il vero colpevole sembra essere Facebook (...)
Comincia così il post della direttrice di Vogue, Franca Sozzani, che introduce alla campagna contro l'anoressia intrapresa dalla rivista.
Leggi l'incipit e ti chiedi se ci fa o ci è.

Ipocrisia portami via
.

Uno scarica barile (non) senza confronti, deresponsabilizzasi quando si conosce benissimo la portata del proprio lavoro, un lavoro sull'immaginario, manipolatorio, pervasivo.
La colpa, dice poi, è delle famiglie.

E' indubbio che l'anoressia, come tutti i disturbi dell'alimentazione, abbia radici molto profonde, legate a dinamiche famigliari e fagilità soggettive. Così come è fuori di dubbio che il sistema della moda e l'informazione che ruota attorno alla moda abbiano una enorme responsabilità nella diffusione dei modelli estetici.

Il discorso non è portarsi all'estremo opposto, andare in giro col sacco di patate, ingrassare fino a stare male. E questo chi produce "moda" lo sa, perché non pecca di intelligenza, ma di onestà, quanto meno.

Vogue propone una petizione per promuovere la chiusura dei blog, profili gruppi e siti pro-ana, cioè pro-anoressia.

Cos'è allora questa petizione? Cosa rappresenta? Una tardiva presa di coscienza o solo un'ipocrita parata, una rivista di moda che presenta gallerie di donne scheletriche che fa una campagna contro l'anoressia, non è come quel marito che ti picchia dicendoti ti amo? Vogue si ripensa?

Allora via le pubblicità ed i servizi con donne scheletriche, che non rappresentano un tipo longilineo ma la fantomatica taglia zero, la gruccia umana che deve scoparire sotto l'abito. Via i continui riferimenti alla necessità d'essere magri per avere successo.

Intanto la rete continua ad essere il capro espiatorio perfetto, per tutti, ma la rete è fatta di persone, e quelle persone non vivono nel virtuale, ma fuori nel mondo ed è da quel mondo che raccolgono idee, frustrazioni, input e qui li riversano. Il loro corpo esiste nella realtà.

Ci vuole coerenza, responsabilità, etica. Mentre ciò che fa Vogue, ma non solo Vogue, è cavalcare l'onda, fino alla prossima corrente. Ma noi restiamo qui, il nostro corpo è qui e l'onda per noi non c'è, c'è la vita vera.

mercoledì 9 marzo 2011

Il sacrificio delle morte ammazzate perché gli uomini odiano le donne

L'INCHIESTA
Il sacrificio delle morte ammazzate
Perché gli uomini odiano le donne
La Casa delle donne ha svolto un'indagine sul femicidio in Italia. Nel solo 2010 le vittime sono state 127. Nel 23% dei casi, a uccidere è un ex compagno. E il più delle volte la tragedia si consuma in un luogo familiare
di GIULIA CERINO

UOMINI che odiano le donne. Oppure le amano troppo e quindi le ammazzano. Francesca Bova, 34 anni, madre di un bambino di 8 mesi. Jenny Dal Vecchio, 33 anni. Filomena Rotolo, 42 anni. Giovanna Piattelli, 59 anni, dirigente dell'ufficio istruzione e sport di Montecatini uccisa da Silvano Condotti, ex autista 55enne, perché ritenuta responsabile del suo licenziamento. E poi Atif Zineb, marocchina, 20 anni appena fatti ma già sposata. Da qualche mese voleva tornare in Marocco. E' morta prima. Anzi, è stata ammazzata il 25 febbraio dal marito. Quel giorno leggevamo di lei sulle pagine della cronaca veneta. Ma in tutto il 2010 abbiamo letto di tante altre donne: tre con meno di 18 anni, nove tra i 18 e i 25, ventuno tra i 26 e i 35, ventotto tra i 36 e i 45, trentaquattro tra i 46 e i 60, sedici tra i 61 e i 75 e sedici con più di 75 anni. Centoventisette in totale. Otto in più rispetto al 2009. Ma forse molte di più ancora perché spesso accade che i casi di donne scomparse si risolvano solo dopo due, tre, dieci giorni, mesi, anni con il ritrovamento di un cadavere che sulla stampa non fa più notizia.

Non c'è mimosa che tenga. La Casa delle donne 1 ha deciso di diffondere proprio oggi, 8 marzo, i risultati dell'indagine sul femicidio in Italia nel 2010. Per raccontare la storia di Elsa Bellotto, 45 anni, Daniela Mirza, romena 28 anni, Francesca Gattuso morta in un incidente stradale rivelatosi un delitto di genere ma anche quella di Simona Melchionda, 25 anni,
Silvana Scarlata e Anna Spiridigliotti. L'indagine è un'accurata rassegna di trafiletti e articoli di cronaca nera raccolti durante tutto l'anno passato. E' un'occasione per ricordarle tutte e 127 queste donne d'Italia uccise per mano degli uomini per motivi di genere.

Nel 23% dei casi, ad agire sono ex mariti, ex amanti, ex conviventi, ex partner. Il dato in sé contiene una costante e una novità rispetto alle ricerche degli anni precedenti. L'omicidio della moglie da parte del marito è sempre stato ricorrente. Ma quest'anno è l'ex ad aver ucciso di più. Tra il 2006 e il 2010 la percentuale e salito: dall'11 al 23%. Conoscenti e colleghi hanno agito 17 volte sul totale. I figli delle donne che nel 2010 hanno eliminato con la violenza le loro madri sono 14. Solo in un caso è stato un fratello ad ammazzare la sorella. Uomini ossessivi, malati, perseguitati. Assassini. Italiani nel 79% dei casi. Tra gli esecutori del 2010 ci sono solo un pakistano, un ucraino, un croato, un filippino, un bosniaco, un marocchino, un ecuadoregno, un rom, un romeno, un albanese, un argentino e un bulgaro. Gli altri, tutti uomini di casa nostra.

Maschi che nella maggior parte dei casi hanno tra i 36 e i 60 anni e annientano per un motivo: impedire che si affermi la volontà femminile. Evitare che sia lei, una donna, a porre fine alla relazione affettiva. La separazione è infatti causa del 19% dei femicidi avvenuto in Italia. Seguono nella stessa percentuale la conflittualità e il cosiddetto 'raptus' (12 e 13%). Poi ci sono le ragioni economiche, i problemi psichici, la gelosia (10% dei casi) o il rifiuto di lei di fare l'amore (2%). L'atto di uccidere arriva sempre alla fine. Prima di impugnare l'arma, di solito, si scatenano violenze domestiche, minacce, discussioni che lasciano pensare al peggio. Subito dopo, invece, il 29% degli uomini si suicida o tenta di farlo. Il 24% confessa il delitto mentre nel 20% dei casi nascondono tutto, vergognandosi come cani, e dannandosi senza potersi redimere. Altri fuggono. Abbandonano la zona del crimine: la casa.

Gli uomini che odiano le donne non uccidono per strada. Il 70% delle regine di questo 8 marzo 2011 è stato massacrato in un luogo familiare, senza nemmeno avere il tempo per rendersene conto. Il 25% degli uomini ha agito tra le mura domestiche: nello stesso luogo dove aveva appena finito di fare l'amore, mangiare, guardare la televisione o lavarsi i denti guardandosi, l'un l'altro, allo stesso specchio. Spesso il femicidio avviene a casa di lei (36%) o nell'appartamento dei parenti (9%). In cucina magari. Usando un'arma da taglio (26%) o un'arma da fuoco (31%). Alcuni uomini le soffocano (25%). Poi, c'è anche chi sfoga la propria frustrazione ammazzandole di botte (7%), prendendole a calci, a pugni. Sbattendole per terra.

Su 127, 61 sono morte al nord, 25 al centro, 23 al sud e 12 nelle isole. Le vittime sono quasi tutte donne italiane (78%). Otto le romene, tre le albanesi, due le polacche, le brasiliane e le filippine. Tutte morte in Italia, questa terra straniera.

(08 marzo 2011)

http://www.repubblica.it/cronaca/2011/03/08/news/donne_uccise-13323727/

martedì 8 marzo 2011

8 Marzo: Giornata internazionale della Donna

È ormai tradizione che l’8 marzo si celebri la “Giornata internazionale della donna o Festa della donna“, eppure moltissime sono, ancora oggi, le donne che non si riconoscono in questa tradizione. Per alcune, infatti, questa giornata rappresenta solo una concessione straordinaria di libertà in una quotidianità repressiva, se poi si considera la concomitanza per il 2011 con il Carnevale, il parallelismo è bell’ e servito.
Quest’anno grazie alla eco della manifestazione “Se non ora quando?”, dello spezzone critico degli “Ombrellini rossi” e dei movimenti di donne, assieme al rinnovato interesse dei media per le questioni di genere, la Giornata internazionale della donna assume un significato nuovo, che però si collega perfettamente alla sua vera origine.

La storia della Giornata internazionale della donna.

La storia di questa importante giornata è alquanto complessa e dibattuta, Marisa Ombra membro dell’UDI, Unione Donne in Italia e Grande Ufficiale della Repubblica, pubblicò nel 1987 assieme a Tilde Capomazza il primo libro sulla storia dell’8 marzo intitolato appunto: ”Storie, miti e riti della giornata internazionale della donna” per la casa editrice Utopia, facendo chiarezza sull’origine della celebrazione che non va fatta risalire né all’incendio alla fabbrica Cotton del 1908 a New York, fabbrica inesistente ed evento confuso con il vero incendio della fabbrica Trianglené del 25 marzo 1911, durante il quale morirono 146 operai, tra i quali la maggior parte però erano donne ebree e italiane immigrate; né alla repressione nel sangue dello sciopero delle operaie tessili a New York l’8 marzo 1857, anch’esso evento leggendario.
In realtà a seguito di una lunga gestazione e numerosi tentativi d’istituzione di una generica “Giornata della donna”, la Seconda Conferenza Internazionale delle donne comuniste, che si tenne a Mosca nell’ambito della Terza Internazionale, adottò la data dell’ 8 marzo per la “Giornata Internazionale dell’Operaia” in ricordo della prima manifestazione delle operaie di Vyborg, in Russia, manifestazione che diede l’avvio alla rivoluzione di febbraio, avvenuta l’ 8 marzo del 1817 (23 febbraio per il calendario russo).
Ad introdurre la Giornata in Italia fu il Partito comunista nel 1922, ma la festa fu sospesa durante la Seconda Guerra mondiale, ed è proprio nel Secondo dopoguerra che comincia ad essere elaborato il mito delle operaie bruciate nella fabbrica, mito che trova ampio spazio sulla stampa e nell’immaginario collettivo.
La manifestazione con il nome di Giornata internazionale della donna fu reintrodotta grazie al neonato UDI, Unione Donne in Italia, l’8 marzo 1945 e dall’anno successivo venne associato ad essa il fiore della mimosa. A partire dagli anni ’70 con la nascita del Movimento femminista, l’8 marzo riprese vigore nelle rivendicazioni dei diritti delle donne e dal 1977 fu adottata come giornata simbolo anche dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite.
Una storia avvincente tra falsi storici e verità, che per certi versi presenta ancora punti oscuri, riguardanti soprattutto la circolazione delle leggende ad essa collegate, come spiega ancora Marisa Ombra in un’intervista del 2009: “Ci possono essere molte ragioni, una delle più importanti risiede nel fascino, nella potenza del mito, peccato però che il mito non impegna a niente e soprattutto nasconde la verità e la sua complessità, e per noi donne sapere che prima di noi ci sono state figure straordinarie di donne, ci sono stati movimenti che hanno affrontato la derisione, rischi, vere e proprie battaglie è molto importante, lo è per tutti evidentemente, ma per noi donne molto di più perché dalla storia siamo state espulse per secoli”. Un’origine quindi di lotta per la giustizia e partecipazione civile.

L’oggi.
Pur essendo accertata l’origine della festa della manifestazione del 1917, quest’anno molti adottano la data dell’incendio del 1911 e festeggiano il centenario della manifestazione.
Quest’anno il Parlamento europeo ha celebrato la ricorrenza con un seminario di grande attualità intitolato “Ruolo delle donne nella leadership politica, tra rappresentazione e rappresentanza”, nella consapevolezza che, se pure la presenza delle donne nella vita politica ed economica dei paesi europei non è nulla, esse raramente si trovano in posizioni apicali. In Italia le donne costituiscono il 60% dei laureati, ma solo il 47% di esse trova lavoro, e solo il 23,3% di queste laureate si trova nel management delle aziende pubbliche e private. Di fatto il nostro paese si colloca al 74° posto (preceduto da Botswana, Vietnam, Ghana e Romania) del Global Gender Gap Report del World Economic Forum, il quale misura il divario di opportunità tra donne e uomini in 134 Paesi, registrando in questo modo lo scarto tra la parità normativa e la parità sostanziale tra donne e uomini.
L’UDI, Unione donne in Italia, terminerà proprio l’8 marzo la sua campagna nazionale “Immagini amiche”, campagna nata per contrastare con una azione politica puntuale, organizzata e condivisa, le immagini lesive e gli stereotipi femminili ovunque, non solo nella pubblicità.
A Roma l’Osservatorio del Mediterraneo organizza presso il Museo di Roma in Trastevere il convegno “Da Ipazia a Rita Levi-Montalcini – Donne, Scienza e Sapere nel Mediterraneo” dove interverranno Marco Scurria, Souad Sbai e Paola Fornasiero.
Anche al Quirinale la Giornata internazionale della donna verrà celebrata con una cerimonia intitolata “150 anni: donne per un’Italia migliore” durante la quale il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, conferirà le onorificenze dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana dedicate alla creatività delle donne, per mettere in evidenza il loro contributo nei diversi campi del sapere e della creatività nel nostro Paese. L’attrice Anna Bonaiuto leggerà dei brani tratti da scritti di donne che hanno partecipato al Risorgimento.

Mentre le donne della Resistenza verranno ricordate dall’ ANPI in numerose città italiane.

Il MiBAC, Ministero per i Beni e le Attività Culturali, anche quest’anno ha previsto l’ingresso gratuito per tutte le donne nei siti culturali statali, musei, aree archeologiche, biblioteche ed archivi, attraverso il claim “Cosa sarebbe l’arte senza le donne?”, ironicamente rappresentato nella locandina con un uomo barbuto nei panni di una dama, ci ricorda il ruolo centrale di muse ispiratrici che le donne hanno rivestito nell’arte di tutti i tempi, ma non solo le donne sono state rappresentate, esse stesse sono state artiste di grande valore e genio come Artemisia Gentileschi, Isabella d’Este in Italia, Isabella Stewart Gardner negli Stati Uniti d’America, questo per citare solo i nomi delle più famose.

Risulta impossibile elencare tutte le manifestazioni organizzate da associazioni e collettivi nelle varie città italiane: dai concerti ai flash mob, dagli eventi teatrali ai cortei, da Torino a Catania sarà un 8 marzo all’insegna dell’impegno e dell’azione, per le donne tutte italiane e straniere, basterà uscire di casa e andare a vedere cosa succede per sentirsi parte della Giornata internazionale delle donne.

Per conoscere i siti culturali aperti gratuitamente alle donne l’otto marzo è possibile visitare il sito internet del MiBAC all’indirizzo www.beniculturali.it.


Fonte: http://www.universy.it/2011/03/8-marzo-giornata-internazionale-della-donna/

Giornata internazionale della donna

Per chi avesse ancora qualche dubbio l'origine della giornata internazionale della donna non è nell'incendio della fantomatica Cotton e nemmeno nel leggendario sciopero sanguinoso delle operaie newyorkesi.

L'8 marzo 1917 delle operaie di Vyborg, una città della Russia europea, fecero una manifestazione che diede l'avvio alla rivoluzione di febbraio (8 marzo è nel calendario russo il 23 febbraio), è questa la ricorrenza che si festeggia.

Un'origine vitale, di lotta e consapevolezza civile.
Vi auguro una meravigliosa Giornata internazionale della donna.

Marginalia.
La verità sull'8 marzo La Repubblica.

domenica 6 marzo 2011

LA VIOLENZA SULLE DONNE...NON è UNO SCHERZO!

Un evento aspettando l'8 marzo a Napoli da:Riprendiamoci la notte




IL 7 MARZO VIENI A "PASSEGGIO" CON NOI!
VOGLIAMO RI-SCRIVERE LA CITTA' CON LE NOSTRE PAROLE, RACCONTARCI E NON FARCI RACCONTARE, PRENDERCI UN MOMENTO DI SOCIALITA' TRA DONNE, FEMMINISTE E LESBICHE

...INCONTRIAMOCI ALLE 20:30 (A CALATA TRINITAì MAGG. FUORI ALLO SKA) ...TU PORTA CARTA, DISEGNI, COLORI, TRUCCO, VINO E ...na manat e curiandol!
NOI CI METTIAMO LA COLLA E TUTTO QUELLO CHE SERVE PER LASCIARE I NOSTRI MESSAGGI X LA CITTA'.
ATTRAVERSEREMO LE STRADE DI NAPOLI...INDECOROSE E LIBERE!!!

DIVENTIAMO NERVOSE SE NON SIAMO INDECOROSE!!!
LA LOTTA NON E' CAZZEGGIO PER QUESTO CE NE ANDIAMO A PASSEGGIO !!
SOLO I NOSTRI CORPI SENZA GUARDIANI,
CONTROLLORI,MORALIZZATORI !!
FANTASIA ,SOCIALIATA',LIBERTA' I NOSTRI DIRITTI L'UNICO SFARZO L'OTTO TUTTI I GIORNI NON SOLO A MARZO!!

Riprendiamoci la notte, la città, la socialità…e tutto quello che vorrebbero toglierci!!!!

Ogni anno...l’8 marzo. Nei locali tornano gli spogliarellisti, sulle scrivanie fioriscono le mimose, le donne si scambiano gli “auguri”, le mamme non fanno le pulizie, nei ristoranti si preparano menù speciali,… ma intanto:

-nel 2010 sono state 127, il 6,7% in più rispetto all’anno precedente, le donne uccise in Italia. La maggior parte delle vittime sono donne italiane (78%), così come la maggior parte degli uomini che le hanno uccise (79%). Nella stragrande maggioranza dei casi si tratta di mariti (22%), compagni, conviventi (9%) o ex (23%), ma anche figli (11%) e padri (2%);

- sempre in riferimento all’Italia, fra il 10 e il 13% della popolazione femminile vive in una condizione di povertà estrema, il 40% di queste donne ha un’età compresa fra i 19 e i 24 anni. La crisi spedisce le donne nel ghetto: oltre 104.000 donne sono state tagliate fuori dall’industria negli ultimi 24 mesi. Il 54% dei lavoratori subordinati sono donne: a loro sono delegate mansioni sempre più marginali nell’organizzazione del lavoro e sono le prime ad essere espulse dai processi produttivi. Stato, famiglia e società scaricano sulle donne i costi principali della crisi;

-il 59% dei ginecologi italiani attivi in strutture che effettuano l’interruzione volontaria di gravidanza (IVG) è obiettore di coscienza. Questo significa che ci sono medici che, con presunti “scrupoli di coscienza” (salvo poi trovarceli nelle strutture private a fare le stesse cose!), negano di fatto ad una donna il diritto di decidere liberamente del proprio corpo interrompendo, se crede, una gravidanza indesiderata, gratuitamente e nelle strutture pubbliche. Obiettori possono dichiararsi anche infermieri, anestesisti, barellieri, fino al punto di bloccare completamente un reparto ospedaliero, rischiando anche di mettere in pericolo la vita della paziente. Oggi la questione diventa ancora più preoccupante, visto che l’obiezione rischia di estendersi anche all’ordine dei farmacisti rispetto alla vendita della “pillola del giorno dopo”;

-tutte le leggi e i provvedimenti approvati di recente (accordo Marchionne, legge Gelmini, misure anti-crisi, tagli ai servizi sociali..) rappresentano per le donne un doppio attacco alla propria autonomia e libertà. Venendo a mancare tutti quei servizi di cui il pubblico dovrebbe farsi carico le donne sono costrette a svolgere il ruolo di ammortizzatore sociale, venendo di fatto richiuse in casa!

- il corpo della donna è oramai ridotto ad un vuoto contenitore. Usato nudo e provocante per riempire manifesti pubblicitari di ogni tipo di prodotto, umiliato e svilito come merce di scambio, riempito come incubatrice perché “generatore di vita”, anche se chi si spende tanto per difenderla, la vita, di quella delle donne prima di tutto non si interessa poi molto.

E intanto ci dicono che noi siamo l’altra metà del cielo, una componente fondamentale della società, il perno della famiglia, il soggetto da proteggere e tutelare. Riferendosi ad una nostra presunta debolezza, sui nostri corpi e sulle nostre scelte si costruiscono, nostro malgrado, leggi speciali, pacchetti sicurezza, mostri alieni (come i migranti) da sconfiggere per rendere le strade (e quindi le nostre vite) più sicure. Riempiono le città di esercito, polizia e carabinieri, rendendo i nostri cammini ancora più impervi senza di fatto risolvere il problema. Le violenze di ogni tipo che una donna può subire passeggiando di notte in una città non saranno certo superati da più controllo e repressione! Ci vogliono spaventate, ci hanno tolto il piacere di vivere liberamente la notte senza un “valido accompagnatore” che ci protegga. Ma noi NON ABBIAMO PAURA! Rivendichiamo ancora una volta il diritto di passeggiare libere anche di notte…e lo facciamo anche quest’anno!


le donne del SE NON -SEMPRE- QUANDO???!!!

Domani alle 20.30 - martedì alle 0.00
street
calata trinità maggiore (oddò sta o SKA)
Napoli, Italy

venerdì 18 febbraio 2011

Pinar Selek: nuovamente accusata

Continua in Turchia la persecuzione giuridico-politica di Pinar Selek

La 12 ° Corte d’Assise di Istanbul il 9 febbraio 2010, dopo aver rivalutato tutte le prove, ha ritenuto, per la terza volta nell’arco di 13 anni (come già nel 2006 e nel 2008 ), Pinar Selek la sociologa militante per i diritti umani turca, innocente per l’attentato al Bazaar delle spezie di Istanbul del 9 luglio 1998.
Residente ormai da alcuni anni a Berlino, in Germania, Pinar non era presente al processo, ma erano lì per lei 30 avvocati e numerosi osservatori internazionali.
Sembrava dunque che la giustizia avesse fatto il suo corso per la fondatrice di Amargi, che il caso si fosse risolto nel migliore dei modi, l’accusa di terrorismo doveva essere cancellata e Pinar avrebbe dovuto ritrovare, dopo lunghi anni trascorsi nell’incertezza sul proprio destino, la tranquillità che le sarebbe spettata di diritto, ma pochi giorni dopo, come apprendiamo dal sito ufficiale della leader femminista, anti-militarista e pacifista (http://pinarselek.fr), il Procuratore della Repubblica, con una manovra degna del più kafkiano dei processi, ha fatto ancora appello contro la decisione di assoluzione generando in questo modo un nuovo procedimento di riesame alla Corte di cassazione turca. Dunque Pinar si ritrova per l’ennesima volta ad essere accusata, senza alcuna prova, dello stesso identico crimine.
Come è stato ribadito in aula da Ayhan Erdogan, uno dei suoi avvocati, tramite una video simulazione, lo scoppio al mercato delle spezie di Istanbul, che fece 7 vittime e 127 feriti, fu causato dall’esplosione accidentale di una bombola del gas, mentre il presunto complice dichiarò successivamente di essere stato costretto, sotto tortura, ad indicare nell’attivista e studiosa l’attentatrice, in più le accuse di terrorismo vennero mosse a Pinar solo dopo l’incarcerazione, motivata dai presunti sospetti di collaborazione con il Pkk (Partito dei lavoratori del Kurdistan), incarcerazione che aveva all’origine come unico scopo l’estorsione, tramite tortura, dei nomi delle persone con le quali aveva parlato per il suo studio sociologico sui processi di pace e sulle condizioni dei belligeranti durante la guerra civile tra Turchia e Kurdistan. Pur essendo quelle accuse rivelatesi, in seguito,fasulle la sociologa militante femminista rimase in carcere per più di due anni.
Già in precedenza la stessa Selek aveva richiesto l’intervento della Corte Europea per i Diritti dell’Uomo, in quanto i processi a suo carico non erano stati equi.
Come si evince dal comunicato ufficiale diramato dal Comitato di sostegno internazionale a Pinar Selek e riportato dall’associazione Amargi, questo nuovo procedimento palesa una volontà persecutoria nei confronti della studiosa, un accanimento che nulla ha più di giuridico, ma ha molto del complotto politico ai fini dell’annientamento personale di una voce libera.

Fonte: http://www.universy.it/2011/02/pinar-selek-nuovamente-accusata/

giovedì 10 febbraio 2011

Assoluzione definitiva per Pinar Selek

Sospettata di terrorismo per 13 anni, la sociologa e attivista turca Pinar Selek è stata definitivamente scagionata il 9 febbraio 2011. Accusata di essere l’artefice di un attentato dinamitardo al mercato, fu processata e condannata

E’ stata assolta ieri, 9 febbraio 2011, dal tribunale di Istanbul, Pinar Selek, la sociologa e attivista turca processata con l’accusa di essere l’artefice di un attentato dinamitardo al mercato della stessa Istanbul 13 anni fa.
Sospettata di terrorismo per 13 anni, Pinar Selek è stata definitivamente scagionata.
Chi è Pinar Selek?
Sociologa, scrittrice, femminista-antimilitarista e attivista per la pace, Pınar Selek è nata ad Istanbul nel 1971. Diplomata al liceo francese Notre Dame di Sion, consegue la laurea in Sociologia all’Università Mimar Sinan. Comincia ad interessarsi molto presto della marginalizzazione all’interno della società turca di transessuali, bambini di strada e prostitute, creando un Laboratorio degli Artisti della Strada che ha permesso l’integrazione di moltissimi soggetti disagiati nella società.
Dal 1996 comincia ad occuparsi di minoranze etniche, Belge Publishing pubblica la sua traduzione-selezione “Ya Basta-Artık Yeter” un lavoro dedicato ai movimenti indigeni del Messico, mentre dal 2001 la sua tesi di master, intitolata “Maschere, Cavalieri, Gacias, via Ülker: un luogo di emarginazione” viene pubblicata in più edizioni. Nello stesso 2001 fonda la Cooperativa di donne Amargi organizzando incontri a Diyarbakır, Istanbul, Batman e Konya, ne dirige ed edita l’omonima rivista. Dal 2008 è co-fondatrice della prima libreria femminista della Turchia, chiamata sempre Amargi, coordinando il gruppo di lettura scrittura “ Quali porte aprono le nostre esperienze ?”.

L’accusa di terrorismo, la persecuzione e l’assoluzione.

La sua ricerca sociologica sugli effetti del conflitto armato tra Turchia e Kurdistan e sulle relative possibilità di conciliazione nel 1998 la rende vittima di un complotto politico-giudiziario. Sospettata di essere parte del PKK, il clandestino Partito dei Lavoratori del Kurdistan, gruppo armato attivo nel sudest della Turchia, viene arrestata e torturata allo scopo di ottenere i nomi di tutti quelli che ha intervistato per il suo studio, successivamente sarà accusata di essere l’artefice dell’attentato dinamitardo del 9 luglio 1998 al Bazaar delle Spezie di Istanbul che causò 7 vittime e 127 feriti, ma durante il processo si scoprirà che la tragedia fu causata dallo scoppio accidentale di una bombola di gas e che la confessione al suo presunto complice era stata estorta con la tortura.
Pinar rimarrà comunque in carcere per due anni e mezzo.
Nel 2000 viene rilasciata e nel 2006 dopo un processo durato cinque anni viene assolta ma nonostante ciò continua a pesare su di lei l’etichetta di terrorista. Negli anni successivi si difende con la scrittura, la sua battaglia, sostenuta dal movimento femminista e dai gruppi pacifisti e antimilitaristi diventa un simbolo di giustizia, resistenza e libertà. Già nel 2004 aveva pubblicato“Barışamadık” (Non siamo riusciti a riconciliarci) un saggio sulle lotte per la pace della Turchia moderna, nel 2008 esce “Sürüne Sürüne Erkeklik” (Una vita da cani: mascolinità) uno scritto sulla virilità nel contesto del servizio militare. Nello stesso anno scrive un libro di racconti intitolato “Su Damlası” (Goccia di acqua). Innumerevoli sono le sue partecipazioni a conferenze, seminari, pubblicazioni su riviste scientifiche e di divulgazione, al centro della sua ricerca e passione sempre gli emarginati, i conflitti e la lotta contro ogni forma di violenza. Nel 2006 la Cassazione riapre il processo e chiede per Pinar l’ergastolo, ma il tribunale nel 2008 la riconosce innocente per la seconda volta. Nel 2009 il 9° Dipartimento Penale della Corte d’Appello di Istanbul riapre il caso, sempre con la stessa accusa, e Pinar si trova per la terza volta a rischiare ben 36 anni di carcere, ma l’Assemblea Penale Generale respinge l’obiezione del procuratore capo e invia la causa alla 12° Corte dei crimini aggravati di Istanbul, che in passato aveva dato l’assoluzione. Finalmente la corte d’Assise di Istanbul il 9 febbraio 2011 ”ha rifiutato di seguire il parere della Corte di Cassazione e ha mantenuto la sua decisione di assolvere la giovane donna”, queste le parole di Bayram Belen, l’avvocato della sociologa.
Numerosi intellettuali e attivisti turchi, tra cui Yasar Kemal e Oram Phamuk, ed internazionali parlamentari europei e tedeschi, nonché dalla Fondazione Heinrich Boell e dal Centro Internazionale Curdo PEN, hanno espresso in questi anni la loro solidarietà verso Pinar Selek, la quale vive ormai in Germania dove lavora attivamente. Negli ultimi tempi attivissima è stata anche la rete, con una petizione e un appello a favore di Pinar, la quale, in una recente intervista radiofonica ha parlato dell’azione costante delle femministe e dei pacifisti turchi contro gli autoritarismi, dell’oppressione molto forte che nel suo paese di origine si esercita sulle donne e dell’altrettanto forte resistenza del Movimento femminista turco che da 25 anni è il secondo movimento più forte e dinamico dopo quello curdo, con un’attività capillare di informazione e protesta che influenza i partiti. Proprio questo militarismo l’ha resa il capro espiatorio del potere spaventato dalla rivoluzione sociale in corso che oppone resistenza alla violenza e alle discriminazioni.

Fonte: http://www.universy.it/2011/02/assoluzione-definitiva-per-pinar-selek/

NOI VOGLIAMO TUTTO

Ombrelli rossi per i diritti di tutte le donne

Siamo donne, uomini, femministe, sex workers, disertori del patriarcato.
Viviamo sulla nostra pelle l’assenza di diritti, la precarietà, la mancanza di prospettive.
Vogliamo futuro. Vogliamo respirare. Vogliamo poter scegliere.

Siamo tutt* egualmente consapevoli dell’esistenza di regole economiche che favoriscono i ricchi e massacrano chiunque altr@.
Siamo in vendita.

Sono in vendita le nostre braccia, le nostre vite, la nostra testa, i nostri corpi.
Chi prova ad autodeterminare la propria vita diventa oggetto di repressione. Perché a pochi piace un mondo di soggetti liberi.

Si preferisce invece una società di operai, badanti, schiave, precarie, disoccupati, lavoratrici del sesso, alla mercé del primo manager pronto a cancellare diritti, reddito, casa, lavoro.

Nelle società decadenti, quelle in cui nessuno sa proporre una alternativa, chi ha poca fantasia ottiene potere attraverso iniziative autoritarie.


Perseguitare gli stranieri per fare finta di difendere la sicurezza economica degli italiani.
Perseguitare i gay e le lesbiche per fare finta di difendere il sacro valore della famiglia.
Perseguitare le donne per fare finta di difendere la continuità della specie, per fare finta di difenderne la dignità, il corpo, la vita.
Perseguitare chiunque esprima un libero pensiero per fare finta di difendere i potenti che governano.

Le vittime vengono descritte come carnefici. I carnefici si autodescrivono in quanto vittime.

Le donne lo sanno. Accade ogni giorno. In ogni luogo in cui un uomo uccide una donna mentre i media sono attenti a definirne la nazionalità o a giustificarlo affinché non si sappia che la violenza in famiglia è la prima ragione di morte violenta per tutte le donne.

Accade negli angoli bui in cui sono costrette le sex workers. Relegate nelle periferie fredde e insicure, da ordinanze di sindaci sceriffi armati a salvaguardia del decoro e della moralità. Ed è in quegli angoli che spesso le sex workers perdono la vita, mentre i media ignorano queste morti e nei titoli pronunciano chiara la parola “prostituta” e omettono di specificare che l’assassino è un cliente.

Accade alle straniere, lavoratrici del sesso, badanti, costrette ad obbedire ad un padrone, un uomo o lo Stato, per evitare di essere rinchiuse in un C.I.E.

Noi non ci riconosciamo nelle omissioni, nei moralismi, nelle bugie di chi consegna i nostri corpi autodeterminati allo Stato, alla nazione, in nome di una dignità che nessuno ci riconosce mai quando diciamo che non abbiamo patria, nazione, perché non abbiamo certezze economiche, prospettive di studio, libertà di scelta.

Noi non ci riconosciamo nella chiamata alle armi per una caccia alle streghe animata da misoginia e omertà a protezione dei veri responsabili del disastro italiano.

Non riuscirete a metterci le une contro le altre perché chi usa la guerra tra poveri in qualunque battaglia crea separazione sociale per dare credito a chi su quella separazione specula.

Vale per quelli che istigano la guerra tra stranieri e italiani.
Vale per quelle che istigano la separazione tra donne perbene e donne permale.

Scendiamo in piazza anche per dirvi questo.

Perché noi non vogliamo essere usat*.
Perché noi vogliamo di più.
Perché noi vogliamo tutto.

Femminismo a Sud
Comitato per i diritti delle prostitute

Per adesioni: femminismoasud@inventati.org oppure ombrellirossi@grrlz.net

martedì 8 febbraio 2011

Il mio 13 febbraio

Il mio 13 febbraio sarà contro la corruzione, contro l'illegalità, contro lo scambio di favori, ci sarò con un ombrellino rosso e un bel vestito. Ci sarò perché l'attenzione che si dà alle donne non è per le donne, ma per rimarcare e confermare ruoli e divisioni sociali, materiali e simboliche, pubbliche e private, mentre dal 1 gennaio ad oggi ci sono state già 19 vittime di femminicidio, e due bambine sparite nel nulla. Ci sarò perchè la mia dignità viene danneggiata da un governo che non risconosco come legittimo, perchè lede i miei diritti di cittadina. Ci sarò contro un potere che dispone dei corpi e delle vite di altre donne a piacimento e senza limiti.

domenica 6 febbraio 2011

DIFFONDIAMO QUESTA LETTERA PER CHIEDERE COERENZA ALLE TESTATE CHE DIFENDONO LA DIGNITA' DELLE DONNE




Lettera per tutti quei quotidiani settimanali e mensili che sposano le battaglie delle e per le donne ma di fatto continuano a sfruttare l'immagine femminile per richimare l'attenzione del pubblico maschile.


La lettera di Giorgia Vezzoli, Francesca Sanzo, Lorenza Garbolino:

Siamo grate/i alla vostra testata per la visibilità data alla reazione di tutti noi e delle donne in particolare. Tuttavia, se davvero vogliamo che questo impegno abbia delle conseguenze reali, occorre avere il coraggio di fare delle scelte editoriali coerenti.

A parte pochissime testate, tutta la galassia mediatica - compresi i giornali femminili - non gioca quasi mai a favore delle donne. Dai contenuti alle pubblicità, alle innumerevoli incongruenze.

Se da una parte si cavalca l'indignazione delle donne facendosi paladini della loro dignità, dall'altra ci si comporta come chi la calpesta, continuando a pubblicare corpi di donne per la svendita, fotogallery inutili, video terrificanti senza informare, riflettere, analizzare. Quale sarebbe la coerenza editoriale?

Gli scandali sessuali sono anche il prodotto di una sottocultura diffusa negli ultimi anni proprio dai media, che hanno basato una parte considerevole dei contenuti usando corpi di donne.

Le conseguenze di questa sottocultura le paghiamo noi, nella nostra vita quotidiana.

ISTRUZIONI:

- Copincollate la lettera
- Pubblicatela come nota fb taggando le pagine de La Repubblica, l'Unità e delle testate che desiderate
(oppure mettetela fra i commenti dei post delle loro pagine Fb)

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Iniziativa della Campagna IO NON CI STO agli stereotipi:
http://vitadastreghe.blogspot.com/2010/05/io-non-ci-sto_10.html

(Foto dell'evento by http://www.valgraphicart.blogspot.com/)


Fonte:http://www.facebook.com/event.php?eid=165696433477984

sabato 5 febbraio 2011

DONNE CULTURE MIGRAZIONI E POTERE

DONNE CULTURE MIGRAZIONI E POTERE
Presentazione e discussione di dati di ricerca sulla condizione di donne migranti in Campania e nel bacino mediterraneo

Introduce :
Caterina Arcidiacono – Dottorato di Studi di Genere, Università Federico II
Il diritto dell'Unione Europea sull'uguaglianza fra uomo e donna
Christine Breuer Ferrari – Università di Lione
Genere e diritti nel Maghreb
Najlaa Mahboubi - Dottorato di Studi di Genere, Università Federico II
Migranti e diritti nella prospettiva della psicologia della liberazione
Garcia Manolo - Università di Sevilla
Subordinazione femminile e strategie di resistenza
Filomena Tuccillo - Dottorato di Studi di Genere, Università Federico II
Infermiere e immigrate: due realtà a confronto
Anna Bocchino – Ospedale Virgin Macarena, Sevilla

Palazzo Isveimer, Università Federico II
Via C. Cortese 9
17 febbraio 2011 ore 15.00

Fonte: http://www.news.unina.it/pdf/9875.pdf

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