mercoledì 21 marzo 2012

Dove sono gli a-life in questi casi? Perché non protestano?

Cesareo negato, ora il bimbo rischia danni irreversibili 

La donna aveva già perso un figlio in grembo e un altro nato prematuro. L'accusa: «Implorava di sospendere il parto naturale»

Marco Accossato
torino
Per due volte aveva già cercato di diventare madre e per due volte aveva perso il figlio: uno ancora in grembo per una malformazione cardiaca, l’altro - prematuro - due giorni dopo la nascita. E ora che finalmente era riuscita a realizzare il suo sogno di maternità, ora che tutto sembrava andare come aveva sempre desiderato, la vita l’ha condannata ancora: Claudia Vracio, 32 anni, giovedì scorso ha dato alla luce un bimbo che durante il parto ha subìto un’asfissia.

Quali saranno le conseguenze della sofferenza cerebrale lo si saprà soltanto nelle prossime ore, perché il piccolo Andrea, da quando è venuto al mondo, è tenuto in ipotermia, una tecnica che nelle prime ore di vita abbassa la temperatura del corpo da 37 a 33 gradi per scongiurare col freddo danni permanenti mettendo «a riposo» i neuroni. La procura di Torino ha aperto un’inchiesta, dopo che il padre del piccolo ha denunciato l’ospedale Sant’Anna, centro di riferimento materno-infantile per eccellenza in Piemonte. «Claudia - racconta in lacrime la madre Veronica, presente in sala parto - non riusciva a spingere, malgrado i medici e le ostetriche le dicessero di farsi forza, di insistere. Più volte ha implorato che le venisse fatto un cesareo, invece le hanno prima bucato le membrane, poi indotto le contrazioni, continuando a insistere col parto naturale: “Tutte le donne chiedono il cesareo per non sentire dolore, signora...”».

Andrea è rimasto incastrato con le spalle a metà del suo percorso di uscita, e per cinque minuti il medico di turno ha tentato di «liberarlo», prima con una ventosa, poi afferrandolo con le mani. Cinque lunghissimi minuti, durante i quali Claudia gridava e la quantità di ossigeno al cervello del neonato è precipitata fino all’asfissia. Quattro ore di travaglio e di sala parto. Quella di Claudia era una gravidanza a rischio, con i due precedenti bimbi morti. E quand’è nato, Andrea pesava poco meno di 4 chili e 580 grammi. «Malgrado ciò - sostengono i parenti - nessuno ha ascoltato la sua richiesta: “Fatemi il cesareo, vi prego, fatemi il cesareo”...».

L’ospedale si difende: «Non c’era una sola ragione, dal punto di vista medico, per il cesareo», spiega il dottor Pietro Lombardo, che ha assistito la donna negli ultimi 50 minuti prima della nascita. «Anzi, nel momento in cui sono arrivato io in sala parto sarebbe stato ancor più rischioso», aggiunge. Claudia aveva scelto di essere seguita durante tutta la gravidanza da un ginecologo privato che ogni mese l’ha sottoposta a un’ecografia, «ma quel medico - accusa ora l’ospedale - non ci ha mai comunicato né che il bimbo fosse così grande, né che la signora avesse avuto due gravidanze precedenti finite tragicamente». Una vicenda complessa. Claudia, per le due gravidanze finite con la morte del feto e del neonato, era stata comunque seguita al Sant’Anna, e di lei c’era traccia sui computer. Che nessuno, evidentemente, la settimana scorsa ha consultato. «In ogni caso - specifica il dottor Lombardo - le ragioni per cui la signora era considerata “a rischio” erano ormai superate. Alla ventesima e alla trentunesima settimana le sono state fatte qui in ospedale due ecografie che hanno escluso cardiopatie del feto e hanno calcolato un peso assolutamente nella norma».

Anche la minaccia di parto pre-termine, «a questo punto, era scongiurata». Nessuno, guardando il pancione di Claudia, ha capito che il bimbo che aveva in grembo era così grosso. «La signora è alta un metro e 71, quella pancia sembrava proporzionata all’altezza», spiegano al Sant’Anna. Il problema, secondo i medici, non è stato il non fare il cesareo, «ma la distocia delle spalle, un evento raro per il quale il bimbo non fa una rotazione indispensabile per poter venire al mondo dopo che è uscita la testa». Un evento «che nel 50 per cento dei casi - sottolinea sempre il dottor Lombardo - capita con bambini che alla nascita pesano anche meno di 3 chili».

Mentre da un lato il ministero della Salute invita i medici a non esagerare col bisturi in sala parto, a Torino il marito e i genitori di Claudia chiedono invece perché non sia stato fatto un cesareo: «Se avessero ascoltato la richiesta di Claudia, Andrea ora sarebbe un bimbo perfettamente sano», dice il padre. Per provare a liberare il piccolo due ostetriche hanno premuto sulla pancia di Claudia tentando di spostare la spalla incastrata. Inutile: «Alla fine erano in sei, attorno a Claudia. Quando è nato Andrea non ha pianto, hanno dovuto massaggiarlo perché respirasse normalmente». Ora si spera soltanto che i cinque minuti senza ossigeno sufficiente al cervello non abbiano provocato danni troppo gravi. Danni irreparabili.

Fonte: http://www3.lastampa.it/torino/sezioni/cronaca/articolo/lstp/447153/

martedì 6 marzo 2012

I media, la strumentalizzazione delle questioni "femminili", NoTav, Stato ..e non solo

Da http://medea.noblogs.org

Ogni volta che in questo paese il livello della conflittualità sociale cresce, fino a limiti che le istituzioni ritengono ingovernabili, non più incanalabili secondo un’ortopedia social-democratica del dissenso, la “questione femminile” viene strumentalmente agitata come una bandiera. Si tirano fuori da un cassetto chiuso a chiave “le donne”, si dà una sommaria spolverata alla categoria e improvvisamente  ci si ricorda di loro,  tentando di piegarle a svariati usi.
Come testa di turco per far cadere i governi ad esempio: la recente esperienza di Se Non Ora Quando è un caso eclatante e deprimente della strumentalizzazione di questioni che il femminismo radicale ha sempre preso sul serio ( la mercificazione dei corpi e della loro immagine, per esempio), volgarizzate e distorte, infine trasformate in un bolo inoffensivo e più digeribile per un’opinione pubblica ormai consumata dal  suo quotidiano consumare i media.  Istanze ormai rese irriconoscibili e prive di alcun riferimento pratico e teorico al femminismo radicale. Non a caso spuntava, nei cortei orchestrati da donne  embedded della buona borghesia illuminata (giornaliste, intellettuali, scrittrici, registe, attrici e cantanti), l’odiosa distinzione, da sempre bersaglio delle femministe, tra donne per bene e donne per male, puttane – le presunte odalische del Gran Sultano di Arcore – e sante del XXI secolo (le lavoriste indefesse che si sono “fatte da sole”). Può esserci un tradimento più grande e imperdonabile delle istanze femministe? No.
O meglio, ce n’è uno che del primo è l’altra faccia, il risvolto, l’ombra complementare. Entrambi si fondano sul medesimo presupposto: strumentalizzare, incanalare il dissenso e la conflittualità secondo forme neutrali e di fatto inoffensive. Anche a costo di compiere, sempre e di nuovo, un altro tradimento, storico, culturale, sociale. E qui arriviamo all’articolo di Sapegno sulle “donne della ValSusa” tradite…già, ma tradite da chi?
L’articolo citato è una specie di volgare prosopografia: una serie di “medaglioni”, di figure di donne tipizzate in un senso molto specifico.
Tali medaglioni hanno la funzione, di fatto, di ridurre la complessità delle differenze individuali e collettive del “femminile” e di astrarne, universalizzandole, alcune, che perdono poi ogni carattere di “differenza”. E diventano “pseudo-differenze”. Andiamo per gradi.
Da un lato ci sono le donne vecchie. Per il giornalista, (d’altronde non solo in quanto tale è un agente della mediatizzazione totale dei corpi, ma in più scrive su una testata per donne, dove articoli che ambiscono ad essere serie analisi socio-culturali si mescolano alle foto di moda e alle pubblicità degli anti-rughe) – è evidente dalla descrizione -  le vecchie hanno perso, come prescrive il buon senso comune, ogni attrattiva  sessuale. La menopausa le rende pacifiste de jure….Capelli grigi, stampella, gote rubiconde, sguardi bonari sotto rassicuranti e nonnesche palpebre cadenti. Maglioncini sformati e comodi. Alle vecchie, private di un corpo libidinale che d’altronde poco si presta alla spettacolarizzazione, resta pur sempre un corpo sociale cui si associano funzioni precise: possono arringare la folla come madri appena un poco incazzate (attenzione, non troppo perché l’età le ha rese sagge), preparare qualche the caldo, trasmettere i saperi femminei dell’arte culinaria. Vengono dunque ben assicurate al livello che chiamerei  del grand-maternage: rassicurazione e supervisione del lavoro “costruttivo” di cura svolto dalle giovani. Il livello di chi ha perso la capacità biologica di procreare. Poi ci sono le filles. Poiché dotate di quella capacità, a loro è assegnato invece il livello del maternage vero e proprio: loro si occupano di bambini, mentre i maschi discutono le strategie della lotta. Improvvisano asili volanti nelle piazze durante le manifestazioni, procurano giochi. Di mestiere, meglio ancora se fanno qualcosa di attinente, come la psicologa infantile.
Insomma, si occupano di quel lavoro di cura dal quale spesso nemmeno la partecipazione ad una lotta popolare  e quotidiana come quella contro il TAV riesce ad esentarle. A seguire la genealogia di Sapegno, dal (grand) maternage non ci si emancipa mai, anzi costituisce il proprio, l’essenza ineludibile della femminilità sana. Non ci sono donne non pacifiche. Le violente rappresentano un’anomalia del genere, un errore della specie. Qualcosa di cui il giornalista, più che renderlo oggetto di condanna morale, si stupisce. Perché per essenza la donna è legata alla Vita, e dunque non le sarebbero propri istinti distruttivi. Non sono, non devono essere necessarie troppe parole per smontare queste tesi obsolete e mistificanti.  Le donne hanno un forte rapporto con la violenza e  il conflitto. Da tempi immemori, se al confine storico e geografico tra Oriente e Occidente si situa il mito delle Amazzoni, la popolazione scita di sole donne che, per cavalcare e reggere l’arco in spalla più agevolmente, si mozzavano un seno ( da qui l’etimologia del nome in Erodoto, a- mastòs: senza seno). Erano bellicose, a volte violente, talora sanguinarie.
Anche la storia del femminismo in Occidente, per venire a tempi più recenti, sebbene lavata dal sangue da una storiografia maschile, è costellata di una violenza per nulla occasionale. Nei primi decenni del XX secolo le suffragette bruciavano case, spaccavano vetrine di negozi , assalivano fisicamente i membri del Parlamento, piazzavano ordigni esplosivi, facevano saltare per aria le cassette postali e tagliavano i fili del telegrafo. Spesso tali azioni “non democratiche” erano represse violentemente dallo Stato: erano incarcerate, sottoposte ad alimentazione forzata, picchiate. Il Parlamento degli Stati Uniti aveva persino emanato una legge speciale, detta Cat-and-Mouse, perché le si potesse imprigionare sempre e comunque. I prodromi del femminismo sono perciò profondamente contrassegnati dalla violenza: la violenza rivoluzionaria delle suffragette da un lato, quella di Stato dall’altro. Il fatto che la parola stessa “suffragetta” sia diventata, per l’uso comune, sinonimo di crocerossina appena un poco adirata, associata all’immagine di gentili fanciulle con abiti ingombranti che discutono di voto tra un the e un pasticcino, per hobby, annoiate da un pallido menage borghese,  con un tradimento totale dei fatti storici, è indicativo di quanto la mentalità di cui anche Sapegno è erede sia ancora profondamente radicata. Semplicemente si nega la realtà, si cancella la violenza e così facendo si neutralizza la femminilità, così come si è neutralizzato e, nello stesso movimento, mascolinizzato, il linguaggio. Ovviamente la violenza e la conflittualità, endogena e esogena, esogenerica e intragenerica, ha radici, ragioni, forme e manifestazioni differenti. L’iscrizione nel genere e nella classe, l’appartenenza ad un’epoca storica, ad una congiuntura sociale e geografica ne moltiplicano le differenziazioni, e l’argomento meriterebbe studi ed analisi approfonditi, ancora carenti proprio anche perché si è sempre privilegiata un’immagine femminile neutrale che ha profondamente lavorato, a livello culturale, per l’assoggettamento della donna nelle società patriarcali e per la produzione di corpi femminili in quanto corpi docili. I discorsi occidentali sulla femminilità non sono serviti che a privatizzare la donna, assegnandola alla famiglia come sfera separata dal sociale, campo di battaglie e rivoluzioni, teatro violento  riservato al maschio. Persino a livello simbolico la psicanalisi ha descritto la donna, per decenni, in termini di mancanza. Mancanza di fallo, invidia del pene, fantasiose storie sulla castrazione. Ma la castrazione – come hanno mostrato chiaramente Deleuze e Guattari, non è che questo taglio con cui il privato è stato tagliato via e fuori dal sociale, la riduzione psicologistica del politico, la trasformazione del desiderio da realtà capace di generare mondi in fantasma improduttivo.
Sappiamo dunque bene di cosa è erede la posizione di Sapegno. Ha una storia lunga come l’assoggettamento delle donne. Ma, poiché alla fin fine si tratta di donne, non è nemmeno il caso di farla troppo lunga: vengono tirate in ballo non per discutere il merito della questione (le ragioni della lotta NO TAV) quanto piuttosto per dissertare di effetti collaterali, di argomenti paralleli e residuali sulle modalità della lotta. Pacifiche o violente. E solo in modo strumentale, utilizzate per contribuire alla criminalizzazione del dissenso ormai da tempo in atto. Come cartine al tornasole per testare il grado di democraticità del movimento. Per confermare un altro tradimento storico: una volta usciti da regimi autoritari, monarchici o dittatoriali, entrate nel meraviglioso empireo democratico, nessun dissenso di fatto sarebbe più possibile, a meno, appunto, di esprimersi in modi “democratici”. E’ invece profondamente connaturata alle democrazie, la possibilità del tumulto. Storicamente, anzi, si dimentica, lo ricordava Illuminati pochi giorni fa, la produttività sul piano legislativo dei tumulti nella Roma repubblicana. Ma anche sorvolando su queste raffinatezze storiografiche, la liturgia democratica elude una questione fondamentale (sarà per questo che la immaginano femmina, la democrazia?): che ogni Stato nasce requisendo le giustizie particolari e le violenze individuali per dar vita ad un monopolio della violenza sul quale si fonda la sua stessa possibilità di esistere. La natura dello Stato è violenta perché lo è la sua origine. Ogni volta che sorge esso deve proteggere il proprio monopolio: quindi le conflittualità e il dissenso dal basso che non si esprimono attraverso rappresentanti istituzionali, o non solo, come nel caso del movimento NO TAV, vengono bollati come anti-democratici. Extra-statuali, che poi significa eversivi, altro termine che sui giornali ricorre spesso negli ultimi tempi come rischio concreto e attualissimo. Questi discorsi lavorano sempre su almeno due livelli: da un  lato, profondamente, tendono a cancellare, culturalmente, la memoria e la percezione che lo Stato è violento dalle sue origini;  infatti può, in quanto monopolista della forza, porre l’assolutezza delle leggi e poi sospenderle, nello stato di emergenza o di eccezione, con atti letteralmente illegali cioè contro le sue stesse leggi, cui conferisce però “forza di legge”, come negli Act del Parlamento USA post-11 Settembre, o come nella recente arbitraria trasformazione dell’area dello pseudo cantiere in sito di “interesse strategico”.
Dall’altro, ad un livello più quotidiano, servono a far dimenticare il quid delle lotte, ad allontanare i sospetti che certe decisioni invece che per l’interesse delle popolazioni siano prese in nome di interessi lobbistici e privati.
Ma proprio noi, in quanto donne,  conosciamo bene i meccanismi di rimozione culturale, sociale e politica, le castrazioni storiche con cui il Potere si perpetua, a prescindere dal tipo di governamentalità con cui, in ogni epoca, si caratterizza. Separazione dei ruoli, divisione del lavoro, incatenamento a questa o quell’essenza. Stranier*/autocton* (valsusin*). Santa/puttana. Cuoca/ guerrigliera.
E se fossimo tutto?

venerdì 24 febbraio 2012

La vera natura delle anatre

Un segnalazione.
In questo post intitolato Duck test, Lorenzo Gasparini fa una puntuale decostruzione del libro "Dentro e fuori CasaPound" scritto da Di Nunzio e Toscano spiegando, per chi non l'avesse ancora capito, cosa è un movimento fascista e come lo si riconosce.

sabato 18 febbraio 2012

Aggiunta del cognome materno al proprio nome: il doppio cognome

Stabilire una matrilinearità parallela alla patrilinearità è un diritto che dovremmo poter far valere. In attesa di una legge che permetta il doppio cognome alla nascita in Italia, come spiega il sito cognomematerno.it, dal 2000 possiamo fare richiesta al Ministero dell’Interno tramite la Prefettura, per l'aggiunta del cognome materno al nome della bambina o del bambino, dopo la registrazione all'anagrafe o da adulti, attraverso la modulistica per il cambio di cognome pagando un bollo da € 14,62. La modulistica per il cambio di cognome e l'aggiunta del cognome materno va corredata da una lettera in cui si specificano le motivazioni della richiesta, sul blog cognomematernoitalia.blogspot.com ne trovate alcuni esempi.

giovedì 2 febbraio 2012

La penalista: 'La sentenza sullo stupro è un passo indietro''

Sulla sentenza della Cassassione che non ritiene necessario il carcere cautelativo per gli stupratori di gruppo.

Parla l'avvocato del Telefono rosa Eugenia Scognamiglio a Repubblica: "La Corte di Cassazione ha interpretato in modo restrittivo una norma della Corte Costituzionale. Speriamo non passi il messaggio che chi compie questo genere di violenza vada incontro all'impunità''.


Di altro segno qui.

Cassazione: violenze di gruppo,carcere non obbligatorio

Tiziano Riverso

Non vi preoccupate, se stuprate in gruppo una ragazza, la Corte di Cassazione vi da tutto il tempo di:
1) far sparire le prove;
2) minacciare la ragazza e ottenere il ritiro della denuncia;
3) minacciare anche la sua famiglia e coinvolgere l'intero paese nell'azione intimidatoria (vedi Montalto di Castro qui qui qui);
4) uccidere la tipa e sbarazzarvi del corpo, poi tanto, coi tempi e con l'acume della giustizia italiana, potene andare a cena con uno dei tanti femminicida che è stato bravo o solo fortunato (perchè italiano), e mentre tutti cercano la moglie, chatta con amiche e trans.

Vedi anche FaS: Sentenza: se stupri in branco ti tocca una vacanza premio!


Cassazione: violenze di gruppo,carcere non obbligatorio

Una sentenza che farà - giustamente - discutere. Nei procedimenti per violenza sessuale di gruppo, il giudice non è più obbligato a disporre o a mantenere la custodia in carcere dell'indagato, ma può applicare misure cautelari alternative. Lo ha stabilito la Corte di Cassazione, dando un' interprestazione estensiva ad una sentenza della Corte Costituzionale del 2010.

In base a tale valutazione, la Cassazione ha annullato una ordinanza del Tribunale del riesame di Roma, che aveva confermato il carcere - ritenendo che fosse l'unica misura cautelare applicabile - per due giovani (difesi dagli avvocati Lucio Marziale, Nicola Ottaviani ed Eduardo Rotondi) accusati di violenza sessuale di gruppo nei confronti di una ragazza del frusinate e ha rinviato il fascicolo allo stesso giudice perché faccia una nuova valutazione, tenendo conto dell'interpretazione estensiva data dalla Suprema Corte alla sentenza n. 265 del 2010 della Corte Costituzionale.

A partire dal 2009, con l'approvazione da parte del Parlamento della legge di contrasto alla violenza sessuale - nata sulla base di un diffuso allarme sociale legato alla recrudescenza di episodi di aggressioni alle donne - non era consentito al giudice (salvo che non vi fossero esigenze cautelari) di applicare, per i delitti di violenza sessuale e di atti sessuali con minorenni, misure cautelari inferiori al cacere carcere nel caso di gravi indizi di colpevolezza.

Investita della vicenda, la Corte Costituzionale, nell'estate del 2010, ha ritenuto la norma in contrasto con gli articoli 3 (uguaglianza davanti alla legge), 13 (libertà personale) e 27 (funzione della pena) della Costituzione e ha detto sì alle alternative al carcere «nell'ipotesi in cui siano acquisiti elementi specifici, in relazione al caso concreto, dai quali risulti che le esigenze cautelari possono essere soddisfate con altre misure».

Repubblica non ha capito niente oppure Repubblica ci marcia?

Titola così Repubblica.it Ivana, la donna dell'Ariston che fa indignare, e la domanda posta nel titolo di questo post, come si dice, sorge spontanea: Repubblica non ha capito niente oppure Repubblica ci marcia? Perchè non riesco a capire se, chi è pagato per scrivere su un media nazionale, non riesce a comprendere che la questione sorge in merito al linguaggio, alla rappresentazione umiliante del femminile e del maschile, e non perchè lì c'è Ivana, della quale non ci interessa molto, poteva essere pure Giovanna, Savannah, Giulia o Martina. Quindi sfugge che il problema del video di Sanremo non sono i protagonisti, ma il meccanismo per cui non si può fare televisione senza mettere in campo il vecchio teatrino della "bella scema" e del "satiro competente". La bassezza di questa rappresentazione esula dallo specifico di chi la incarna. Oppure se a Repubblica l'indignazione delle donne era utile solo in funzione antiberlusconiana e, adesso, se ne frega cavalcando lo stereotipo delle "donne contro donne"?

mercoledì 1 febbraio 2012

FEMEN, le ragioni del topless

Negli ultimi tempi si è molto sentito parlare del collettivo femminista ucraino FEMEN. Qualcun* si è certamente chiesto il motivo per cui utilizzano il topless per sensibilizzare il mondo sulle questioni femminili, sono loro stesse a spiegarlo con una nota facebook, all'interno di Femen - Italian Official Fanpage, che riporto qui integralmente e che ci racconta sinteticamente anche la nascita del collettivo.

Le ragioni del topless sono molteplici.
Mi dilungherò un pò a spiegartele ma credo che la questione non possa essere affrontata in poche parole.

FEMEN nacque nel 2008 dall'incontro delle fondatrici Inna e Anna che, stanche dei soprusi cui erano soggette al lavoro, si incontravano periodicamente a discutere. Il 'circolo' si espanse fino ad arrivare ad un cospicuo gruppo di ragazze il cui range d'età oscillava tra i 20 ed i 30 -come si può ben immaginare, la fascia d'età in cui, giunte nel mondo del lavoro o in quello universitario, le giovani donne si trovavano ad affrontare una realtà ben poco disponibile alle loro idee e ad i loro sogni.
E' necessario altresì contestualizzare il tutto nella società ucraina. Non mi allungherò sulla storia della politica ma di certo devi concepire che la giovane repubblica ucraina non ha ancora definito un assetto sociale stabile e soffre della povertà e della mancanza di lavoro che i paesi dell'ex Urss conoscono bene. Le giovani donne, vuoi anche per ignoranza, non hanno grandi disponibilità - come noi in Italia - a discapito delle poche che,magari, inseguono un sogno diverso.
E' il caso di Inna, per esempio, che lavorava -dopo esser diventata giornalista - presso il ministero.
Lei fu estromessa da questo incarico quando FEMEN divenne conosciuto e famoso e - addirittura - temibile.

Questo scatenò una reazione immediata e le ragazze decisero che fosse giunta l'ora non solo di discutere ma anche e soprattutto di manifestare. Le prime manifestazioni furono quasi schernite dalla stampa locale ed ignorate da chiunque altro. Così scelsero il topless.

Eccoci dunque ai punti chiave:

1 ) il topless rappresenta una via forte d'espressione : richiama l'attenzione della stampa ed è certo inusuale. Le ragazze volevano che FEMEN non si restrigesse a poche studentesse universitarie ma che fosse almeno capito anche da altri : la visibilità era dunque cruciale perchè il movimento acquisisse una voce.

2) abbiamo parlato della libertà e delle restrizioni sofferte e denunciate dalle FEMEN. Una delle campagne che più le anima è lo sfruttamento sessuale - considerato, in Ucraina, quasi come una vita obbligata al di fuori del matrimonio. Nello sfruttamento sessuale è chiaro che le donne sono soggette alla perdita della libertà circa l'uso del proprio corpo. Il topless significò dunque l'appropriazione di questa libertà e la rivendicazione del corpo quale tesoro del solo individuo che lo vive. Violarlo era violare l'individuo.
Usarlo per una manifestazione dava il significato dell'unità inscindibile tra corpo e spirito : non si può combattere qualcosa senza metterci tutto il proprio se.

3) Tutto il movimento si basa sul concetto di equità e affermazione della libertà personale : il primo diritto inviolabile dell'uomo è quello di potersi esprimere. FEMEN vuole dimostrare - ed in questo riesce più che bene,sono convinta - che un'idea rimane intoccabile ed inviolabile a prescindere dalla maniera in cui è esposta. Il rispetto per le opinioni altrui, la considerazione, devono essere un valore irriunciabile e non possono essere sminuiti dal fatto che il pudore/l'ignoranza/la chiusura/la morale si indignino di fronte alla fonte di tale idea.
E' una forma di razzismo rifiutare il prossimo dal suo aspetto.

Molti si sono sentiti offesi dalla scelta e questo è assolutamente comprensibile : la nudità, per quanto sia sciocco considerarla un tabù, può essere comunque ''lesiva'' per un pubblico di bambini, ad esempio. A prescindere dal fatto che i bambini vedano sesso ovunque e che quindi non siano toccati dalla naturalezza di un seno, è giusto tenere in considerazione questi aspetti. Ma quello che i falsi indignati non capiscono (che gli ipocriti non capiscono e che i repressi attaccano) è che FEMEN vuole essere una provocazione e, come tale, deve superare la linea di confine tra ciò che è permesso e ciò che dovrebbe esserlo così da dimostrare quanto mal posta questa sia.

Se sapremo condividere le idee di FEMEN e sorridere della genuinità dei loro intenti, avremo fatto un grande passo avanti nell'apertura della nostra mente. Altrimenti loro andranno avanti anche senza di noi.

Giù Le Mani Dai Consultori

Riporto dal sito stesso.

Il Consultorio è uno spazio fondamentale per la prevenzione e la salute delle donne. Gli spazi del Consultorio di via Casilina 711, e quelli di tutti i consultori, non si toccano.

NO alla medicalizzazione dei Consultori.
NO al loro trasferimento nelle ASL.
La ASL RMC vuole dismettere due importanti Consultori romani, quello di via Casilina 711 e quello di via Spencer. Invitiamo tutte e tutti a intervenire, aderire e firmare gli appelli.

IL CONSULTORIO DI VIA CASILINA 711 NON SI TOCCA!
IL CONSULTORIO DI VIA SPENCER DEVE RESTARE DOV'E'!

La ASL RMC vuole dismettere due Consultori, quello di via Casilina e quello di via Spencer, per trasferirli in locali ancora più piccoli e in una zona in cui il Consultorio c’è già.

La notizia è arrivata improvvisamente: tutto è stato deciso in modo poco trasparente, quasi di nascosto, senza informare chi il Consultorio lo vive ogni giorno e ci lavora.

Dei punti di riferimento fondamentali per migliaia di donne scomparirebbero dietro poco credibili quanto imbarazzanti argomentazioni: risparmiare su luce e gas. Ancora una volta, chi amministra la ASL, Regione Lazio in primis, si dichiara pronto a risparmiare sulla pelle di donne che non hanno altri spazi nel quartiere fuorché i Consultori di zona.

Il consultorio è uno spazio fondamentale per la prevenzione e la salute nelle diverse fasi della vita delle donne. Secondo la legge, devono essere uno ogni ventimila abitanti e, nel nostro distretto, sono sottodimensionati. Invece di potenziarli, la ASL RMC decide di ridurne ulteriormente gli spazi, penalizzandoli e snaturandoli, come già ha tentato di fare la giunta Polverini con una proposta di legge che ci riporta indietro di quarant’anni nella conquista dei diritti delle donne.

Chiediamo che gli spazi del Consultorio di via Casilina 711 non si tocchino e il presidio resti dov’è.

Consapevoli del fatto che, da anni, l’asilo ospitato nella stessa struttura ha necessità di più spazi, chiediamo che gli attuali spazi del Consultorio vengano ceduti all’asilo e il Consultorio venga dislocato negli spazi liberi e inutilizzati che si trovano nello stesso edificio.

Non accettiamo la medicalizzazione del Consultorio attraverso il suo trasferimento nella ASL.

Vogliamo Consultori laici, pubblici, gratuiti.

Vogliamo che i Consultori siano luoghi dove le donne possano trovare accoglienza e professionalità.

Vogliamo più Consultori, più spazi e più soldi per gestirli, perché possano funzionare ancora meglio e perché operatori e operatrici possano svolgere il loro lavoro con tempi, spazi e modalità più adeguate.


Puoi firmare su carta presso:

  • Bottega del Commercio Equo, via Macerata 54
  • Consultorio piazza dei Condottireri, presso lo sportello antiviolenza gestito dall'ass. D.A.L.I.A., tutti i lunedì dalle 15.00-18.00
  • Consultorio via Casilina 711
  • Erboristeria Arca Verde, piazza dei Condottieri 2
  • Libreria del Corsaro, via Macerata 46
  • Libreria l'Eternauta, via Gentile da Mogliano 184
  • Tuba, Bazar delle Donne, via del Pigneto 19

Se vuoi contribuire raccogliendo firme in cartaceo:

manda una mail a giulemanidaiconsultori@gmail.com e ti invieremo i moduli per la raccolta delle firme. A firme raccolte, ricontattaci. Grazie!

Fonte: http://giulemanidaiconsultori.blogspot.com

Separati e divorziati a rischio povertà: le donne più vulnerabili degli uomini

Di cosa parlano quelli che strillano all'emergenza povertà per i padri separati? Perché di certo tutte le persone colpite dalla povertà e dal disagio hanno diritto ad essere aiutate, ma che finalità hanno quelli che gonfiano ad arte le statistiche?

Giovedì, 4 marzo 2010 - 13:20:00

Nonostante negli ultimi tempi si senta parlare sempre più spesso di padri separati come nuovi poveri, in Italia sono ancora le donne separate o divorziate, più degli uomini, a soffrire le difficoltà economiche, specie se con figli a carico e con lo spettro della disoccupazione alle spalle. È il quadro che emerge dal più recente rapporto Caritas-Zancan su povertà ed esclusione sociale in Italia, uno studio realizzato su un campione di 80 mila persone delle 600 mila che in tutt’Italia si rivolgono ai centri d’ascolto delle Caritas diocesane. Anche se di poco, infatti, sono più le donne divorziate o separate degli uomini a rivolgersi ai centri di ascolto Caritas. Tra gli italiani che hanno chiesto aiuto, infatti le donne sono il 19,2%, mentre gli uomini il 16,1%.

“Tutto sommato non c’è grossa differenza di incidenza – ha spiegato Walter Nanni, da anni impegnato nello studio dei fenomeni di povertà, marginalità e disagio per l'Ufficio studi della Caritas -. Da una parte ci sono molte donne separate che continuano a stare in famiglia con i bambini e si rivolgono alla Caritas per indigenza economica, mentre tra gli uomini ci sono più situazioni di separati o divorziati tra i senza dimora. Più o meno le situazioni si equivalgono”.

Il divario tra uomini e donne aumenta se si va a estrapolare il dato delle persone con figli a carico. Anche in questo caso sono le donne a fare più fatica. “Nel momento in cui vado a vedere se vivono con i propri figli minorenni – ha aggiunto Nanni -, l’8,5% delle donne che si rivolgono alla Caritas sono donne separate o divorziate con figli a carico nel nucleo, mentre gli uomini in questa situazione sono l’1,8%. A livello assoluto gli uomini in questa condizione sono proprio pochi, un dato così scarso dovuto anche al campione che non conviene neanche darlo”. Tuttavia, spiega Nanni, il quadro d'insieme non è allarmante. “Complessivamente su cento utenti italiani che in un anno si rivolgono alla Caritas per chiedere aiuto in questa situazione di divorziati separatati con minori a carico rappresenta il 5,5%. Per noi è una presenza debole ma che penalizza maggiormente le donne”.

A peggiorare la situazione, in alcuni casi, anche l’assenza o la perdita del lavoro da parte del genitore divorziato o separato con figlio a carico. Sono disoccupate il 4,8% delle donne separate con figlio a carico, mentre il dato per gli uomini è più basso e non raggiunge l’1%. Il dato evidenzia come, nella maggior parte dei casi, le persone divorziate o separate con figli a carico che si rivolgono ai centri d’ascolto “comunque hanno un lavoro ma si rivolgono alla Caritas per diversi motivi. Tuttavia il lavoro non dovrebbe mancare nella situazione di divorziati o separati e con figli a carico”. Leggermente diversa la situazione degli stranieri presenti in Italia che si sono rivolti ai centri d’ascolto Caritas. “Solo l’1,6% di coloro che si rivolgono a noi sono separati e divorziati con figli a carico. Su 100 stranieri che vengono in Caritas solo lo 0,4% è un papà separato con figlio minorenne. Per le donne il dato è 2,5%: più alto perché c’è tutto il fenomeno delle badanti e delle donne dell’Est Europa divorziate o separate e che spesso portano con sé i propri figli”.

martedì 31 gennaio 2012

Sanremo: Appello al Direttore Generale della RAI, Lorenza Lei

Quello che segue è l'appello da sottoscrivere per farsi sentire sull'umiliante messaggio veicolato dal servizio del Tg1 che trattava della "donna di Sanremo", elaborato da Associazionepulitzer.
Per firmare l'appello clicca qui

Donne e Media: Appello al Direttore Generale della RAI, Lorenza Lei
Gentile Direttrice generale della RAI Lorenza Lei,
Le scriviamo per il Suo ruolo istituzionale di Direttore generale dalla RAI ma, ancora prima e soprattutto, in qualità di Donna.
Il 25 gennaio 2012 al TG1 delle 20.00 è stato trasmesso un servizio giornalistico offensivo e umiliante nei confronti di tutte le donne italiane e dei cittadini che pagano il canone per ricevere un servizio pubblico. Stiamo parlando del servizio realizzato dal giornalista Vincenzo Mollica dal titolo “La donna dell’Ariston” nel quale Gianni Morandi e Rocco Papaleo presentano Ivana Mrazova, la valletta della prossima edizione del Festival di Sanremo. Nel vederlo - è inserito in calce alla presente - si renderà conto che si tratta non solo di un pessimo esempio di informazione televisiva, ma di un vero e proprio schiaffo alla dignità delle donne.
Come in un film che abbiamo già rivisto tante volte, e che siamo stanchi di vedere, la ragazza bella, giovane, straniera e inesperta, come una stupida bambolina viene rimbalzata tra i due uomini affermati, che le dicono che cosa deve fare e che cosa deve dire. Una bella marionetta senza testa che per muoversi e parlare ha bisogno di due abili burattinai che hanno tre volte la sua età.
Noi sottoscritti firmatari chiediamo, come "risarcimento di immagine":
Che Lei prenda pubblicamente posizione contro questo umiliante servizio prodotto dalla sua azienda e che il TG1 delle 20.00 offra uno spazio adeguato ai giornalisti che lo hanno realizzato ed ai due conduttori per scusarsi pubblicamente con le donne italiane;
Che vengano immediatamente poste in essere tutte le iniziative necessarie perchè vengano rispettati standard giornalistici degni di un servizio pubblico, nel pieno rispetto dell’immagine e del ruolo della donna.
In mancanza, ferma la nostra azione presso tutti i media atta ad ottenere quanto sopra, annunciamo sin d’ora che ci attiveremo presso tutte le sedi competenti, inclusa la Commissione Parlamentare di Vigilanza Rai, al fine di ottenere una adeguata risposta.
Per firmare l'appello clicca qui

venerdì 27 gennaio 2012

Alle belle statuine. Sanremo | Sanscemo

Condividevo quasto pomeriggio una riflessione sul servizio di presentazione della modella che "affiancherà" i conduttori del festival, realizzato da Vincenzo Mollica per il Tg1, questo:



Hanno preso una ragazza che evidentemente non capisce bene l'italiano, e dunque ha bisogno che le si spieghino le cose come ad una bambina - eh come si sentono forti questi maschioni, ma basterebbe riflettere sul fatto che "aiutare" qualcuno che si è volutamente messo in una condizione di disagio o inferiorità, non è poi così da valorosi. Alla modella, che si chiama Ivana Mrazova, suggeriscono quello che deve dire come si fa con un grazioso pappagallino. Gianni Morandi che le dice: "Un bacio a tutti gli italiani" e lei prontamente obbedisce, questo è il gioco della televisione, non può fare altrimenti, probabilmente questo contratto per Sanremo è importante per la sua carriera, una vetrina, non meno di come può esserlo per una giovane cantante. Poi la mostra come si fa con una bella statua, un ornamento, l'arredamento all'ultima moda. Quell'altro che mentre le suggerisce cosa dire la spoglia, per far vedere meglio le grazie e poi la condivide, ma simbolicamente eh, con tutti gli spettatori - con chi? Con me Papaleo? - facendosi dare un bacino, è tutto ino."Eh, già è una cosa" dice, sì Rocco, poi si vede se riusciamo ad ottenere qualcosina in più da questa.. sorrisoni.
Leggo, a distanza di alcune ore, di non essere l'unica ad aver provato avvilimento e vergogna per loro, per la modella, per noi. Qui, qui, qui, ci sono altre persone piuttosto arrabbiate. Perchè da tre anni - almeno e in modo massiccio - a questa parte discutiamo di immaginario collettivo, di corpo delle donne, di stereotipi e questioni di genere ogni giorno e la televisione di servizio pubblico, pagata con i soldi dei cittadini e delle cittadine, non può permettersi di usare questo linguaggio sessista e umiliante per raccontare le donne, se questo è il meglio che Sanremo sa fare, allora sarebbe meglio chiudesse, senza toccare la musica.

BOICOTTA OMSA! - gli appuntamenti

Riprendo da Sguardi sui Generis

Domani 28 gennaio 2012

Torino: ritrovo alle 11.30 davanti al Golden Point di via Garibaldi 43 per permettere a tutt* la partecipazione al corteo No Tav delle 14.30

Bologna: appuntamento alle 16.15 davanti al Golden Point di via Indipendenza 8/c

Palermo: dalle ore 16 presidio e volantinaggio al Teatro Massimo

Aosta: ritrovo di fronte al Golden Point di via De Tillier

Urbino: Infopoint al mercato cittadino

Napoli: ritrovo alle ore 10 al Golden Point di via Roma

Salerno: ore 16 al Golden Point di Corso Vittorio Emanuele II

Torre Annunziata: ore 16 al Megaton di via Gino Alfani

lunedì 23 gennaio 2012

Educazione sessuale

Si potrebbe tentare una metafora dell'atteggiamento di alcuni reazionari, dai metodi oltranzisti, paragonandoli a pietre che giacciono in mezzo al fiume degli eventi, se gli eventi e la storia potessero essere paragonati ad un fiume. Più sono grosse, queste pietre, e meno si spostano in avanti, maggiormente cercano di arrestare il flusso, il cambiamento, si accordano ad altre pietre per formare barriere che arrestino il naturale corso del fiume, dighe che determinano bacini, sacche di arretratezza, pantani. Ma l'acqua non può essere fermata a lungo e, per quanto la pietra possa sembrare resistente, col tempo si corrode e si sbriciola.
Bisogna quindi scegliere se essere pietre o acqua.

Tre miniguide alla sessualità:

Guida sulla sessualità delle donne lesbiche, etero, bisessuali – tradotta in italiano;
Opuscolo informativo sulla sessualità;
Kidz' sex page - mw4k.

sabato 21 gennaio 2012

Appello per un'azione di Solidarietà Concreta

Da Sguardi sui Generis

Dal 2010 ormai prosegue la vertenza delle operaie dello stabilimento della Omsa di Faenza, minacciate di perdere il lavoro per una delocalizzazione della produzione che nulla ha a che vedere con la crisi e tutto ha a che fare con il profitto; la vigilia di Capodanno il gruppo GoldenLady ha comunicato alle 239 lavoratrici ancora occupate che il 12 marzo 2012, alla fine della cassa integrazione, saranno licenziate.
La perdita di qualsiasi scrupolo da parte dell'azienda ha sollevato la giusta  indignazione di molti/e, decis* a solidarizzare con la lotta di queste lavoratrici. Da tempo è partita una campagna di boicottaggio dei prodotti del gruppo che, anche grazie ai social media, sta raggiungendo un notevole livello di diffusione.
Come donne, collettivi e realtà autorganizzate vogliamo diffondere un appello per un'iniziativa congiunta in tutte le città italiane Sabato 28 Gennaio.
Con volantinaggi, striscioni, musica, presidi, flash mob ed ogni altro strumento utile, proponiamo una giornata di informazione e boicottaggio attivo di fronte ai punti vendita del gruppo GoldenLady (Golden Point).
Nel pieno dei saldi, quando all'azienda farebbe gola vendere il più possibile, vogliamo stare nelle strade per ricordare a chi pensa solo al proprio profitto che le scelte di produzione non possono passare sopra le nostre vite.
Diffondiamo questo appello a tutte le realtà organizzate, femministe e non, e alle singole persone che desiderano impegnarsi per dimostrare solidarietà concreta a questa lotta.

Piuttosto che vestire sfruttamento, 
le calze ce le disegneremo sul corpo!

Lavoratrici OMSA
Laboratorio Sguardi Sui Generis (Torino)
Mujeres Libres (Bologna)
Le De’Genere (http://de-genere.blogspot.com/)
Femminismo A Sud (femminismo-a-sud.noblogs.org)
Xxd - Rivista di varia donnità (xxdonne.net)
Sconfinamenti (Napoli)
Folpette femministe, antifasciste, antimilitariste - Padova
Minerva Jones & Ginevra (minervajones.blogspot.com)
Centro Sociale Askatasuna (Torino)
Collettivo Universitario Autonomo Torino (cuatorino.org)
Altraagricoltura nord-est Padova
Lavoratrici Slai Cobas
Un altro genere di comunicazione
Lavoratrici, disoccupate di Taranto - Slai cobas
Movimento Femminista Proletario Rivoluzionario
Sud de-genere (http://suddegenere.wordpress.com/)
Francesca Sanzo (www.francescasanzo.net)
Vincenza Perilli (marginaliavincenzaperilli.blogspot.com/)
Valentina S. (http://www.consumabili.blogspot.com/)
Franca Treccarichi
Roberta Galeano
Laura Cima
Ferdinanda Vigliani
Melina Caudo
Nicoletta Dosio (Movimento NO TAV)
Antonio Caprari
Frida Alberti
Tiziana Musto
Micol Cavuoto
Claudia Adami

Per adesioni: sguardisuigeneris@gmail.com

martedì 17 gennaio 2012

Come segnalare a facebook i bug dovuti a malfunzionamento o manomissione delle pagine

A questo link c'è il modulo per inviare a facebook le segnalazioni sul malfunzionamento o la manomissione delle sue pagine. Come avevo già spiegato qui, in merito al bug sulla falsa pagina contro la violenza sulle donne,
un tipico malfunzionamento si riscontra sul tasto "segnala" che dovrebbe servire a segnalare i contenuti inappropriati, spesso capita di poter cliccare all'infinito il tasto senza che il sistema ci comunichi che "abbiamo già segnalato" oppure, possiamo segnalare infinitamente, nonostante esca l'avviso "grazie per la segnalazione". Questo non significa che evviva, possiamo segnalare quanto vogliamo, significa anzi che la nostra segnalazione NON E' STATA REGISTRATA, poichè dal vostro computer può partire una sola segnalazione al giorno.
Cliccando sul link vi comparirà questo modulo:


In "oggetto" segnalate il tipo di bug, ad esempio "segnalazione non registrata", poi il nome della pagina, la url, che trovate nella barra degli indirizzi (se avete una connessione protetta avrete l'https, dovete togliere la s), poi decrivete il tipo di bug: "Non vengono registrate le segnalazioni a questa pagina, credo sia stata manomessa" e, se riuscite a farlo, fate uno screenshot della pagina.

P.S.
Se ci sono degli errori nel post ditemelo nei commenti :-)

domenica 15 gennaio 2012

Conferenza sulla presentua sindrome di alienazione parentale - P.A.S.



Ordine dei Medici di Firenze
via Giulio Cesare Vanini n. 15 – sala convegni
11 febbraio 2012
La "presunta" sindrome di alienazione parentale - P.A.S.

ORE 9.00 - SALUTI DI APERTURA
Antonio Panti - Presidente dell'Ordine dei Medici di Firenze
Sandra Vannoni - Presidente dell'Ordine degli Psicologi della Toscana
Maurizio De Martino - Ordinario di Pediatria, Direttore Dipartimento Pediatria AOU Meyer
Renzo Guerrini - Ordinario di Neuropsichiatria Infantile, Firenze
Elena Zazzeri - Presidente della Camera Minorile, Firenze

ORE 9.30
La PAS strumento giuridico utilizzato contro i diritti delle donne e dei bambini
Girolamo Andrea Coffari, Avvocato, Presidente Nazionale del Movimento per l’Infanzia
La PAS - junk scienze - come è stata demolita dal mondo accademico e psichiatrico all’estero
Andrea Mazzeo, Psichiatra CSM
La Pas modello e prototipo di Violenza di Genere: i dati scientifici ed i rischi emergenti,
l’inattendibilità ed il pregiudizio

Maria Serenella Pignotti, Pediatra Neonatologo, Medico-legale

ORE 11.00 - TAVOLA ROTONDA

moderatore Dott.ssa Mariella Immacolato, Medico-legale

Anna Anglani, Neuropsichiatra – Giudice onorario Tribunale per i Minorenni di Firenze
Stefano Calamandrei, Psichiatra ASF, psicoterapeuta, psicoanalista SPI
Francesca Ceroni, Magistrato destinato all'Ufficio del Massimario presso la Corte di Cassazione
Luigi Grimaldi, Presidente sez. Famiglia Corte d'Appello Firenze
Giovanna Losapio, Docente di Psicologia, Facoltà di Scienze della formazione, Firenze
Stefania Losi, Pediatra, Gruppo Gaia, AOU Meyer
Ersilia Menesini, Professore di Psicologia dello Sviluppo, Firenze
Monica Pierattelli, Pediatra di famiglia, Firenze
Salvatore Palazzo, Presidente sezione famiglia Tribunale di Firenze
Elena Urso, Ricercatrice Diritto privato comparato Università di Firenze
in attesa di conferma:
Massimo Floquet, Procuratore capo presso il Tribunale per i Minorenni di Firenze
Ferdinando Prodromo, Presidente Tribunale per i Minorenni di Firenze

Segreteria Organizzativa

Dott.ssa Maria Serenella Pignotti, TIN, AOU Meyer
Avv. Girolamo Andrea Coffari, viale dei Mille n. 55 Firenze
E' gradita l'iscrizione al seguente indirizzo e-mail: m.pignotti@meyer.it

venerdì 13 gennaio 2012

No alle mutilazioni genitali, nel senso che non se ne deve parlare (secondo facebook)

Ieri su facebook anche io ho condiviso un link intitolato "La privazione del piacere", relativo al post sull'infibulazione scritto Mary di "Un altro genere di comunicazione". Lo avevo messo escludendo l'anteprima delle immagini, perchè molto dure e non trovavo giusto aggredire chi legge la mia bacheca con quell'orrore, anche se quell'orrore accade ogni giorno, accade a migliaia di bambine anche in Italia, preferivo che ognun* scegliesse se andare a vedere o no. Beh nonostante ciò facebook mi ha cancellato il link, lo ha cancellato a tutte le persone che lo avevano postato. Ma stranamente non cancella le pagine omofobe, razziste, sessiste e antifemministe che delirano quotidianamente, facendo disinformazione e discorsi d'odio.
Ho cercato di postare il link adesso ma lo segnala come spam!
Il blog sul quale si trova l'articolo, intitolato "La privazione del piacere" è  all' url http://comunicazionedigenere.wordpress.com/
Attenzione la url è comunicazione di genere [punto] wordpress [punto] com
Non fatevi ingannare dai siti fake.
Lo scopo è sempre quello: spingere fuori dai circuiti di condivisione delle informazioni le donne.

Della cancellazione ho scoperto grazie a Vita da streghe.

martedì 10 gennaio 2012

Sono come gli zombie: hanno un unico pensiero

Immagine tratta da The walking dead | fonte google

Rileggevo le storie che Loredana Lipperini sta postanto sul suo blog, poi ne leggevo altre trovate in rete, da giornali, blog, e riflettevo sulle mie personali esperienze, sia di vita che di confronto con alcuni esponenti del "movimento per la vita". Allora, sovrastata da questo dolore che sanno provocare, che sanno infliggerti queste persone, nel disprezzo della tua umanità, non ho potuto fare a meno di pensare che sono come gli zombie.
Se il vampiro rappresenta la seduzione - e molte altre cose -, lo zombie rappresenta solo la morte che infligge altra morte, divorandoti vivo, nient'altro. Lo sguardo assente, nessuna emozione. Nello zombie c'è un unico movimento, che è quello verso la morte, nessuna sensibilità, nessuna capacità di ragionare, nessuna compassione, nessun rispetto, niente di niente. Avete mai visto Dead SetThe walking dead? - per citare solo gli ultimi due prodotti sul tema. Certi "avvocati della vita senza condizioni", come amano definirsi, certi "protettori di angeli", certi "feti-cisti", questi "movimenti per la vita", hanno la stessa sensibilità degli zombie, mossi da un unico istinto, mangiare il prossimo, non guardano in faccia a niente e nessuno, le donne e le loro famiglie non esistono, devono morderti e ti infettano col loro senso di morte, perchè lo zombie è infetto, ha un morbo che tiene attiva una sola parte del cervello, quella che spinge una donna o un uomo o un gruppo su un'altra donna, che sia madre, figlia, sorella o sconosciuta, e gliela fa mordere coi giudizi assoluti, le condanne, con i mille ostacoli frapposti tra lei ed il possesso della propria salute e della propria vita - non importa che vita sia, non importa lei chi sia e quale sia la sua storia personale. 
Sono zombie quelli che credono di difendere la vita facendo tutto questo alle donne.

Storie di vita e di amore, per se e per gli altri:
STORIA DI VIOLA;
STORIA DI ROBERTA;
STORIA DI MANUELA;
STORIE DI VITA E DI MORTE ;
STORIA DI SILVANA;
STORIA DI VALENTINA;
LA STORIA DI MARIA;
IL DIRITTO ALL’INGENUITA’: TESTIMONIANZA;
PICCOLE STORIE IGNOBILI

lunedì 9 gennaio 2012

Tu conosci l'AIED?

L’AIED è un'associazione di ispirazione laica e democratica. Suoi principali scopi sono: diffondere il concetto ed il costume della procreazione libera e responsabile; stimolare la crescita culturale e sociale in materia di sessualità; promuovere e sostenere iniziative rivolte a migliorare la qualità della vita ed a tutelare la salute della persona umana, a livello sia individuale che collettivo; impegnarsi a sviluppare una nuova cultura della maternità e della nascita, con particolare attenzione anche alle varie problematiche poste dalla procreazione umana assistita e dalla bioetica; combattere ogni discriminazione tra uomo e donna nel lavoro, nella famiglia, nella società, ed ogni forma di violenza sessuale e di violenza sui minori, fornendo assistenza e tutela -anche legale- alle persone che ne siano vittime; promuovere e realizzare attività di formazione e di aggiornamento professionale sulle tematiche dell’educazione sessuale del personale docente delle Scuole e degli Istituti di istruzione di ogni ordine e grado, promuovendo altresì corsi di educazione sessuale per alunni e genitori; incoraggiare ed attuare studi e ricerche sociali e scientifiche, finalizzati ad affrontare ed approfondire le tematiche proprie dell’AIED, come quelle demografiche, eventualmente in collaborazione anche con le Università locali; esercitare un’azione di stimolo e di controllo sulle strutture pubbliche, perché venga attuato ciò che le leggi prevedono in tema di contraccezione, aborto, informazione sessuale ed andrologica, prevenzione socio-sanitaria, rispetto del diverso e delle minoranze (omosessualità), proponendo integrazioni e modifiche nei casi di normative inadeguate.
E' bene sapere che in base al proprio Statuto, l’AIED non persegue scopi commerciali e non ha fini di lucro, essa non fa discriminazione di carattere razziale, religioso, sociale o politico, che opera attraverso i suoi organi nazionali (Congresso nazionale, Consiglio nazionale, Presidente nazionale, Esecutivo nazionale) e le Sezioni, ed agisce in collaborazione con altre associazioni, comitati, enti pubblici e privati, italiani ed esteri, le cui finalità non siano in contrasto con quelle dell’AIED.

Una sede AIED è in quasi ogni regione d'Italia, lo si può verificare qui. Esse gestiscono consultori privati, laici, e danno informazioni sulla contraccezione e la salute.

Fonte: AIED

Vedi anche: Conosci Laiga?

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