domenica 8 giugno 2008

Una madre coraggio nascosta dal velo

Da 10 anni a Milano a pulire case e uffici, abbandonata dal marito, tre figli. E il coraggio di denunciare lo stupratore di sua figlia e garantirle solidarietà
di Oriana Liso

Quando sua figlia, piangendo, le ha detto di sentirsi in colpa, di non capire se la scelta di abortire fosse quella giusta, le ha risposto: "Se vuoi tenere questo bambino non preoccuparti, ce la caveremo".

Gliel'ha detto in arabo, Maria, che gli ultimi 10 dei suoi 42 anni li ha passati a Milano, a pulire case e uffici, senza abbandonare la sua lingua né il foulard per coprire i capelli, ma cercando di dare ai suoi tre figli la consapevolezza che essere marocchini non vuol dire non poter crescere anche come italiani.

Maria e sua figlia Anna — che ovviamente hanno altri nomi, perché sono vittime da proteggere, in questa storia — sono state descritte da chi ha seguito il loro caso come due donne coraggio. "È degno di nota il valore civile della madre della persona offesa», scrive il gip Fabrizio D'Arcangelo nell'ordinanza di custodia cautelare del trentenne che ha violentato Anna, Gaetano Calicchi. Gli investigatori vanno oltre, sottolineando «il coraggio e la dignità di questa madre che in un colpo solo ha smentito i pregiudizi che spesso gravano sugli immigrati e sugli islamici".

Una mamma musulmana, rimasta sola a Milano dopo che suo marito, perso il lavoro, ha fatto ritorno in Marocco e le ha delegato educazione e sostentamento dei figli; una ragazzina di tredici anni che si sente in colpa per essersi fidata, per non aver capito che quel ragazzo — italiano, educato, presentatole da una compagna di scuola — era in realtà l'orco cattivo.

C'è molta emancipazione, in questa storia: da una cultura che di solito non dà molta voce alle donne, da una realtà di periferia come quella del Gratosoglio dove avere la pelle olivastra è già un motivo per essere guardati con sospetto, da un retaggio antico per cui una violenza e una conseguente gravidanza vanno tenute segrete, non raccontate alla polizia.


Anche dalla religione, perché Maria è una musulmana osservante e praticante, che non è diversa da quella cattolica, in tema di aborto. Invece è bastato che, a marzo, Maria si accorgesse che sua figlia non aveva avuto le mestruazioni; ha ricollegato i silenzi strani della sua bambina, certi suoi momenti di tristezza.

E ha deciso: con la figlia, è andata nel consultorio familiare di zona, ha parlato con una psicologa, ha fatto visitare la ragazzina. La confessione di quel segreto pesante, di quella mattina di violenza, è arrivata a poco a poco, perché Anna aveva bene in mente quello che Gaetano le aveva detto, dopo averla violentata: "Questo è il nostro segreto, non devi parlarne con nessuno".

È stata durissima, per una tredicenne che è fisicamente e psicologicamente poco più di una bambina — come raccontano gli investigatori — spiegare quello che le era successo. A sua madre, prima di tutto: perché Maria ha sempre tenuto molto alla sua educazione, è sempre stata attenta ai suoi voti a scuola, alle sue amicizie, alla sua crescita.

Alla sua come a quella del fratello maggiore, che ha sedici anni, e del più piccolo, di due anni più giovane di sua sorella. Cresciuti, mandati a scuola, educati, grazie al lavoro duro della mamma che con meno di mille euro al mese mantiene tre figli, paga l'affitto, e chissà se non deve spedire anche qualcosa a chi è rimasto a casa, in Marocco.

Ci ha messo del tempo, Anna, per raccontare alla mamma di averle mentito, di aver seguito quel ragazzo a casa, una mattina che a scuola non c'era lezione per una manifestazione, di aver creduto che davvero volesse farle conoscere sua madre e suo fratello.

Di non essere riuscita a respingere quell'attacco — che, raccontano gli operatori dei centri antiviolenza, è una delle reazioni più comuni nelle vittime: la colpa è mia che non sono riuscita ad evitarlo — e di aver poi mantenuto il segreto con tutti.

Quando i medici e gli assistenti sociali del consultorio hanno prospettato alle due donne la possibilità di sporgere denuncia — cosa che altri genitori, con figlie violentate dalla stessa persona, non hanno voluto fare — Maria non ci ha pensato di volte.
Da quel momento, per settimane, Anna è diventata tecnicamente una "parte offesa": è stata sentita dagli agenti della quarta sezione, quella che si occupa di reati contro i soggetti deboli, e anche dal pm Antonio Sangermano, che è rimasto colpito — anche lui — dalla determinazione e dal coraggio di questa mamma.

La denuncia, le indagini. E la scelta più difficile: abortire o far diventare sua figlia una mamma bambina. Maria ha lasciato la scelta ad Anna, assicurandole che l'avrebbe sostenuta in ogni caso. Anna ha scelto, poi è tornata a scuola e — quasi — alla sua vita di sempre. In più ci saranno gli incontri con lo psicologo e l'assistente sociale, che dovranno aiutarla, se è mai possibile, a dimenticare quella mattina.

fonte: repubblica

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