Un anno dopo, parla la madre della ragazza violentata in via Libia: «Mi auguro che tutte le donne che hanno subito violenza ricevano la stessa solidarietà che abbiamo ricevuto noi. Chi sopporta questi affronti non dovrebbe mai essere lasciato solo».
di Valerio Varesi
«È stato un periodo orribile, pieno di sofferenze, ma adesso sia io che mia figlia siamo molto sollevate, soprattutto per le manifestazioni di amicizia che ci sono state offerte». Un anno dopo, la madre della ragazza violentata in via Libia racconta il dolore e la rabbia di chi è stato oggetto di un sopruso. Ma la sua è anche la cronaca della lenta riemersione di una donna dall´angolo buio dove botte e umiliazione l´avevano spinta. «Mi auguro - riprende la madre - che tutte le donne che hanno subito violenza ricevano la stessa solidarietà che abbiamo ricevuto noi. Chi sopporta questi affronti non dovrebbe mai essere lasciato solo».
«Dopo lo stupro abbiamo vissuto venti giorni di incubo» continua la madre. «Mia figlia si svegliava di notte, era preda di crisi di panico, piena di paure, incapace di stare un´ora da sola. C´è voluto tutto il sostegno psicologico di una terapeuta che ci è stata indicata dalla 'Casa delle donne' per riuscire a risalire la china. Le donne vittime della violenza perdono la stima di sé, vengono prese da sensi di colpa e da insicurezza. Nel nostro caso, inoltre, si è aggiunta una campagna oltraggiosa su qualche blog organizzato dai sostenitori dei violentatori. Abbiamo letto cose orrende: lo stupro morale comincia dove finisce lo stupro fisico».
Poi i blog sono stati costretti a chiudere per il veemente intervento delle femministe di Cagliari, ma la ferita si è aggiunta a quelle della violenza. «Mia figlia aveva un occhio tumefatto per cui ho temuto moltissimo, il setto nasale rotto e la parziale sordità da un orecchio. Solo a luglio ha risolto i problemi fisici con un intervento che ha corretto le fratture al naso» spiega ancora la madre. «I violentatori hanno detto che mia figlia era caduta dalle scale. Beh - prosegue - a questo proposito vorrei chiedere al nostro sindaco, da cui tutti invocano legalità, di occuparsi di tante scale scivolosissime su cui reiteratamente continuano a cadere le donne della nostra città che si presentano al pronto soccorso con gli occhi pesti e il naso rotto».
Ma quand´è che la ragazza ha ricominciato a vivere? «Ci sono voluti circa tre mesi» racconta la madre. «È stato quando ha deciso di riprendere a studiare per il dottorato di ricerca e a progettare il futuro. Poi, a un certo punto, ha deciso di ritornare anche a ballare le danze etniche che sono la sua passione: ecco, a quel punto ho pensato che il peggio fosse alle spalle». Non del tutto. La ragazza è stata costretta a cambiare casa per sfuggire a spiacevoli incontri con gli amici dei suoi aggressori.
«Non abbiamo mai risposto alle provocazioni e agli insulti» riprende la madre. «Questa vicenda brutta ci ha permesso anche di conoscere gente meravigliosa come quella signora che ieri, giorno di udienza, avendo appreso la vicenda dal Tg1, si è recata in Tribunale e ha trovato una solerte impiegata che le ha indicato la procura di piazza Trento e Trieste. Io non la conoscevo, non l´avevo mai vista, ma si è presentata dicendomi solo che era lì per sostenere una buona causa».
(19 settembre 2007)
Fonte: repubblica.it
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