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Un articolo che abbiamo tradotto a più mani, io, Claudia, con la supervisione di Lafra (ricordate che il gruppo traduzione di FaS è attivo e se volete partecipare iscrivetevi alla mailing list o potete scrivere a traduzioni[@]autistiche.org).
Grazie all’autrice dell’articolo, Melissa Gira Grant, che ci ha
autorizzate a tradurre e pubblicare il suo pezzo e grazie a tutte per lo
splendido lavoro militante e buona lettura!
>>>^^^<<<
Una alleanza infame tra femministe, polizia e conservatori danneggia le donne in nome della difesa dei loro diritti.
E’ un articolo pubblicato in inglese da Melissa Gira Grant. E tradotto in spagnolo qui (link).
Nella premessa a questa versione Melissa afferma: “Nonostante si basi
sulla situazione negli Stati Uniti, sono coinvolte istituzioni come
l’ONU e, cosa più interessante, la situazione in Spagna non è molto
diversa, sebbene la prostituzione non sia un reato. Tuttavia in alcune
città di fatto lo è dato che si applicano ordinanze cittadine: le
prostitute vengono multate con cifre che vanno dai 300 fino ai 3.000
euro. Dal momento che molte sono straniere la discriminazione è
tremenda, si esercita una violenza istituzionale. Perseguitate dalla
politica. Ciononostante sono permessi e tollerati impunemente i bordelli
dove non viene riconosciuto alcun diritto al lavoro e infine la
corrente femminista che sostiene l’abolizione della prostituzione,
infantilizza le donne non riconoscendo loro la capacità di assumere
rischi e di prendere decisioni, vittimizzandole.”
Il 30 agosto, una donna di 19 anni è stata arrestata in Ann Arbor
(Michigan) dopo che un potenziale cliente aveva chiamato la polizia per
denunciarla. Sosteneva che la donna avesse aumentato il prezzo dei suoi
servizi rispetto al primo contatto via internet. La polizia l’ha portata
via in manette.
Non c’è niente di particolarmente eccezionale in questa storia, apparsa per la prima volta sul sito AnnArbor.com.
Si tratta di uno delle decine di casi tra quelli che si possono trovare
ogni giorno nei rapporti di polizia e nei giornali locali di tutto il
paese, spesso accompagnati da immagini delle arrestate. Non vi è alcuna
organizzazione che difenda i diritti delle donne, che raccolga i dati
completi di quante persone vengono arrestate, processate, condannate e
incarcerate per accuse relative alla prostituzione. Ma i loro nomi e le
loro foto restano perennemente nei vari motori di ricerca, a prescindere
dal verdetto dei processi che le riguardano.
Le conseguenze di questi arresti possono distruggere le loro vite. In
Louisiana, alcune donne arrestate per prostituzione sono state
condannate ai sensi di una legge vecchia di 200 anni fa, che vieta i
“crimini contro-natura”. Tra queste persone condannate vi è un numero
sproporzionato di donne nere e donne transgender che sono schedate in
quello Stato nel Registro Pubblico tra i/le sex offenders. In Texas, il
terzo arresto per prostituzione viene automaticamente considerato un
crimine. Le prigioni femminili sono così sovraffollate che lo Stato sta
prendendo in considerazione di cambiare la legge per ridurre i costi. A
Chicago la polizia carica su internet la schedatura di tutte le persone
arrestate per adescamento, una campagna della vergogna pubblica che
stanno provando ad estendere agli uomini che comprano sesso. Ma i
ricercatori della DePaul University hanno scoperto che il 10% delle foto
sono di donne transessuali che sono state giudicate erroneamente di
sesso maschile e sono state arrestate come clienti. Una condanna per
prostituzione perseguiterà per sempre queste donne attraverso tutte le
pratiche burocratiche della loro vita: al momento di compilare un modulo
per chiedere lavoro, all’iscrivere i figli all’asilo nido, per
affittare un appartamento, chiedere un prestito, richiedere un
passaporto o un visto.
Non tutte le persone che svolgono lavoro sessuale sono donne, ma le
donne subiscono in modo sproporzionato lo stigma, la discriminazione e
la violenza contro le lavoratrici e i lavoratori del sesso. Il risultato
è che si tratta di una guerra contro le donne che è quasi
impercettibile, a meno che le persone non siano personalmente coinvolte
nel mercato del sesso. Questa guerra è guidata e diretta in gran parte
da altre donne: una coalizione di femministe, conservatori e anche
alcune attiviste per i diritti umani che sottomettono i lavoratori e le
lavoratrici del sesso alla povertà, alla violenza e al carcere, il tutto
in nome della difesa dei diritti delle donne.
Disattivato Craigslist e nelle piazze
Una donna vestita color cachi da capo a piedi stava cercando di
raccogliere la scarsa dozzina di persone che stava facendo un picchetto
davanti agli uffici di New York del The Village Voice. Con gli occhi
protetti dal sole di giugno da un cappello da safari, Norma Ramos
indicava l’ingresso del settimanale alternativo con una mano, mentre con
l’altra teneva un cartello scritto a mano. Diceva, in lettere
volutamente irregolari: “La VERITA’ dietro backpage.com:. 2 MILIONI DI DOLLARI AL MESE per ospitare annunci di tratta sessuale”.
Ramos è la direttrice esecutiva della Coalizione contro la tratta
delle donne (CATW). Secondo il comunicato del portavoce del dipartimento
che la rappresenta, Ramos è in prima linea in “una delle questioni di
giustizia sociale più ignorate e tragiche tra quelle che interessano il
nostro mondo.” Si vanta del merito (con una certa esagerazione) di aver
fatto chiudere la lista dei “Servizi Erotici” di Craigslist, dove
chiunque con un indirizzo email poteva pubblicare un annuncio di offerta
di servizi sessuali per chiunque avesse una connessione internet. Dopo
la censura dei Servizi Erotici, che fece seguito ad anni di pressioni da
parte delle forze dell’ordine e dell’Associazione Nazionale dei
Procuratori Generali, molti/e tra i/le sex workers hanno scelto di
fruire dei servizi del principale concorrente di Craigslist, Backpage.com,
che ha visto aumentare vertiginosamente gli annunci relativi il sex
work. (Il sito, un tempo di proprietà di Media Village Voice, è stato
recentemente diviso dal vecchio giornale settimanale anch’esso di
proprietà della società, in parte a causa della controversia sul suo
contenuto).
La lotta di Ramos contro Craigslist, come la campagna contro Backpage
che seguì, ha reso più alti e inaccessibili i costi per alcun* sex
workers. Dopo che gli avversari utilizzarono i mezzi di comunicazione e
posero il problema alle audizioni del Congresso per legare in modo poco
chiaro Craigslist alla violenza e allo sfruttamento nel mercato del
sesso, Craigslist ha iniziato a fare pagare 5 dollari per un annuncio di
servizi erotici, sostenendo che i numeri delle carte di credito possono
aiutare la polizia a individuare gli inserzionisti che vengono
riconosciuti in quanto vittime. Per i/le sew workers che non possono
permettersi di spendere quella cifra, la scelta migliore da fare diventò
quella di correre rischi maggiori (fisici e legali) mentre tentavano di
lavorare per le strade. Tutto questo trambusto ha richiamato comunque
l’attenzione su entrambi i siti, dando alla polizia la scusa per
intraprendere azioni che porterebbero in prigione gli inserzionisti di
annunci su Craigslist e Backpage. Ora Ramos si sta agitando per ottenere
un bis di provvedimenti.
Due mesi prima della manifestazione all’ingresso del Voice, l’icona
femminista Gloria Steinem è stata al centro dell’attenzione per aver
preso parte ad un viaggio a scopo umanitario nei bordelli indiani
promosso dalla Fondazione NoVo, uno dei più grandi enti di beneficenza
privati per le donne degli Stati Uniti. Il denaro di NoVo è il denaro di
Warren Buffett: un miliardo di dollari, trasferito dal secondo uomo più
ricco d’America al figlio Peter, che presiede l’organizzazione con la
moglie, Jennifer. Steinem accompagnò Peter e Jennifer Buffett in un tour
nel Sonagachi, il più grande quartiere a luci rosse di Calcutta.
Steinem tornò dalla sua visita con una sorprendente proposta: ciò che
realmente avrebbe potuto portare beneficio alle donne che vi lavorano,
che il Telegraph Calcutta descriveva come “prostitute”, caratterizzate
dalla loro condizione di “schiavitù”, sarebbe mettere fine ai servizi
per la salute sessuale e ai programmi di educazione di genere nei
bordelli, servizi e programmi che erano stati riconosciuti dall’Agenzia
degli Stati Uniti per lo Sviluppo Internazionale come pratiche migliori
tra gli interventi di prevenzione dell’HIV / AIDS. Steinem descrisse le
donne che gestiscono questi programmi nel campo della salute e
dell’istruzione come “trafficanti” e quelli che le supportano come “la
lobby della tratta.”
Come siamo arrivati a questo punto in cui, in nome della “protezione”
delle donne o della garanzia dei loro “diritti”, le femministe sono
disposte a togliere il lavoro e l’assistenza sanitaria alle donne che
dicono di tutelare? Ramos, Steinem ed i/le loro alleati/e hanno
volutamente fuso il lavoro sessuale con la tratta a scopo sessuale, per
ragioni che convengono a loro e non per promuovere i diritti dei
lavoratori e delle lavoratrici del sesso. Il risultato è -o dovrebbe
essere- uno scandalo internazionale.
Come il lavoro sessuale è diventato “sfruttamento sessuale”
Le lotte femministe contro la prostituzione o la pornografia non sono
una novità. Però il femminismo contro il sex-work deriva da un percorso
più lungo, dai picchetti contro i giornalai degli anni settanta ai
presidi anti-porno nei campus universitari degli anni novanta. “La
pornografia è la teoria e lo stupro è la pratica”, scriveva l’autrice e
attivista femminista Robin Morgan nel 1980. Lei continua ad essere
ascoltata oggi, tramite lo show radiofonico D.C.’s 1580 AM nel Women’s
Media Center. “La prostituzione è uno stupro a pagamento”, afferma
Melissa Farley, che ha combattuto contro le sex workers a partire dagli
anni novanta e ora produce report per le organizzazioni abolizioniste
anti-prostituzione come Demand Abolition. Mentre prima queste donne si
concentravano sulle lotte per ottenere la fine della oggettificazione sessuale nei
media e nei quartieri a luci rosse, oggi, invece, stanno conducendo una
guerra globale che contrappone una classe di donne ad un’altra.
Una architetta di questo cambiamento è l’avvocata Jessica Neuwirth,
una delle fondatrici dell’organizzazione per i diritti delle donne
Equality Now. In una intervista del 2008 con la sociologa del Barnard
College Elizabeth Bernstein, Neuwirth descrisse il cambiamento come un
allontanamento da “una prima ondata di presa di coscienza dello
sfruttamento, che considerava già la pornografia e la prostituzione
quasi come una sorta di sfruttamento sessuale e commerciale delle donne.”
La riscrittura era necessaria, spiegò Bernstein nella rivista Theory
and Society, in quanto il divieto assoluto di pornografia e
prostituzione non fu popolare, e le femministe furono in disaccordo con i
loro alleati liberali, come l’American Civil Liberties Union (ACLU) .. “Sono state sconfitte dai tipi dell’ACLU“,
disse Neuwirth a Bernstein. “Ripensare queste questioni in termini di
‘tratta, traffico di donne’ all’estero come violazione degli impegni
internazionali in materia di diritti umani delle donne”, spiegò
Bernstein, “significa riuscire a vincere quelle stesse battaglie senza
trovare alcuna opposizione”.
Queste battaglie sono combattute ora in nome della lotta allo
“sfruttamento sessuale”, al “traffico sessuale” e alla “schiavitù
sessuale”. L’attivismo si è spostato nel campo del diritto
internazionale. Nel 2000, le femministe contro il sex-work cercarono di
presentare e introdurre la loro ridefinizione del sex-work nel
“Protocollo delle Nazioni Unite per prevenire, reprimere e punire la
tratta di persone, in particolare donne e bambini.”
Norma Ramos e i suoi alleati pretesero che il protocollo, la cui
finalità è definire formalmente la tratta nei programmi della ONU e
promuovere la collaborazione tra tutti gli stati membri della ONU col
fine di difendere i diritti delle persone che sono vittime di tratta,
definisse tutta la prostituzione come “tratta”. Secondo il libro “Sex
Slaves and Discourse Masters”, scritto nel 2010 da Jo Doezema,
accademica della Paulo Longo Research Initiative, le sex worker furono
supportate dal relatore speciale della ONU per la violenza contro le
donne, che rifiutò la equivalenza tra prostituzione e tratta. Anche le
lavoratrici sessuali si opposero alla proposta sostitutiva della CATW,
che descriveva la vendita di sesso come “sfruttamento sessuale”. CATW
intraprese una lotta sui media, cercando di screditare i suoi
oppositori, arrivando ad arruolare nella loro causa anche il senatore
Jesse Helm. La cosa funzionò. Il protocollo fu approvato ed è stato
firmato al momento da 117 paesi, definendo il sesso a pagamento come
“sfruttamento sessuale”. Il protocollo ha dato alle femministe la
copertura legale e morale per attaccare il lavoro sessuale sotto la
bandiera della lotta contro la tratta. “Questa gente ha avuto molto
successo usando il termine “sfruttamento sessuale” per sviluppare la
legge”, afferma Ann Jordan, antica direttrice del Programma di tratta di
esseri umani e lavoro forzato del Washington College of Law della
American University e avvocata che ha difeso i diritti delle vittime di
tratta. “Molte delle persone con cui parlano non le chiedono mai che
vogliono dire con questo”. Però, nonostante le oppositrici del lavoro
sessuale hanno ottenuto l’approvazione di leggi contro lo “sfruttamento
sessuale”, afferma Jordan, “ queste leggi non sono applicabili perché
nessuno sa cosa significhi”.
Nel fronte interno, le attiviste anti-prostituzione hanno ottenuto
una delle maggiori vittorie con la riautorizzazione nel 2055 della
Trafficking Victims Protection Act (TVPRA). La TVPRA ha stanziato 50
milioni di dollari affinché le agenzie che applicano la legge
“sviluppino e attivino programmi destinati a ridurre la domanda maschile
e a investigare e perseguitare gli acquirenti di servizi sessuali”.
Nonostante sia apparentemente destinata ad appoggiare le vittime di
tratta, la TVPRA stanzia denaro per le misure destinate a scoraggiare
gli uomini dall’acquisto di servizi sessuali, includendo attività legali
e paralegali come l’escorting, la pornografia, lo spogliarello e le
linee erotiche, e indagando le persone con cui si mettono in contatto.
Anche se quasi tutte le leggi relative alla prostituzione negli Stati
Uniti sono fatte a livello statale o municipale, ridefinire la tratta
come prostituzione fornisce una argomentazione per l’azione federale
contro il mercato del sesso.
Nel mentre, i legislatori di vari stati stanno rispondendo alle
domande delle attiviste femministe aumentando le pene rispetto la
prostituzione e dando priorità all’applicazione di queste leggi.
“Pensaci”, dice Jordan. “Se sei un politico a livello statale o
nazionale, e qualcuno viene e ti dice: “ci sono questi uomini orribili
che stanno trascinando queste innocenti piccole vergini, e tutto quello
che devi fare è dare denaro per applicare la legge’ non potranno negarti
nulla”. Intensificare l’applicazione della legge contro il vizio
permette ai legislatori di evitare passi troppo complicati che sono
necessari per appoggiare le persone che sono state vittime di tratta o
affrontare con intelligenza le politiche di immigrazione e lavoro che
portano le persone a immigrare illegalmente o accettare dubbiose offerte
di lavoro quando ci sono così poche opzioni legali disponibili”.
Fare fronte a problemi come questi, dice Jordan, “non ti permette di
andare là a dire che stai salvando schiave sessuali’”. Questo approccio
proibizionista significa che “non devi avere a che fare davvero con le
persone che stanno ai margini della società”.
Che succede quando le persone coinvolte nel mercato del sesso – le
persone per la cui protezione si presume siano state fatte queste leggi-
le rifiutano? Le attiviste antitratta spesso rispondono negando la loro
esistenza. Nella protesta contro Backpage di giugno, ho visto il gruppo
di Norma Ramos distribuire volantini ai passanti mettendoli in guardia
contro il termine stesso “sex-work”, una termine che “nasconde
completamente la violenza fisica, psicologica e sessuale che si infligge
alle persone prostituite”, nonostante debbano riconoscere che “è un
termine che le stesse donne usano e preferiscono al posto di
prostituzione”.
Se questo dibattito semantico sembrava un po curioso per essere
affrontato sui manifesti e i volantini, il suo proposito si comprendeva
andando cinque metri più in la nei paraggi, dove membri del Sex Workers
Outreach Project New York (SWOP-NYC), un gruppo di volontari che si
dedicano a migliorare la vita delle sex worker, facevano una contro
protesta silenziosa.
I membri di SWOP — tra i quali vi sono ex sex worker e altr* ancora
in attività — salutavano i newyorkesi a passeggio per Greenwich Village
con sorrisi e volantini, invitandoli ad appoggiare le persone che hanno
una autentica esperienza dell’industria del sesso. Quel giorno la
polizia ordinò ai membri del SWOP di non avvicinarsi di un passo alla
gente di Ramos. Non dettero lo stesso ordine a Ramos.
Femministe, poliziotti e conservatori
Un articolo nel numero di agosto di Marie Claire segue Andrea Powell,
direttrice esecutivo di Free Aware Inspired Restored (FAIR) Girls,
mentre “setaccia” Backpage alla ricerca di annunci con contenuti
sessuali pubblicati per o da minori: “Indossando un auricolare e
cercando il suo iPhone con la custodia di Kate Spade di colore rosa e
nero per chiamare un agente della polizia locale, Powell dice con
urgenza, “dobbiamo informarla adesso”. Però quando la polizia iniziò le
indagini contro l’inserzionista, il racconto continua, “disse che era
una donna adulta, e non volle l’aiuto di nessuno”. Alcune attiviste
considerano che chiamare la polizia per “salvare” le persone dal mercato
del sesso sia un intervento positivo e a favore dei diritti umani. Non
contano le loro vittorie per il numero di persone che aiutano, ma per il
numero di persone che sono detenute. Questi metodi sono parte di un
movimento che Elizabeth Bernstein chiama “femminismo carcerario”; Janet
Halley, professoressa di diritto ad Harvard, lo chiama “femminismo
governativo” . In altri tempi, le femministe mossero una potente critica
al sistema giudiziario penale, però le loro argomentazioni sono svanite
via via che hanno conseguito potere dentro il sistema. Non è un caso
che abbiano trovato come alleati in questo percorso i conservatori.
Nel definire il lavoro nel “mondo del sesso” come questione di uomini
cattivi che fanno cose cattive a giovani donne schiavizzate, le
attiviste antiprostituzione si sono auto-dipinte come liberatrici e non
come ammonitrici, mentre hanno reso il loro messaggio più attraente alla
fascia conservatrice della società che un tempo non si fidava di loro.
La conservatrice Heritage Foundation ha fatto propria la lotta alla
“tratta sessuale”, anche se più che altro per attaccare
l’amministrazione Obama e le nazioni unite per non avvalersi di una
legislazione ancora più severa. La Protect Innocence Initiative, una
coalizione dell’organizzazione antiprostituzione Shared Hope
International, e la American Center for Law & Justice (la
controparte di destra della ACLU), ha fatto una presentazione su Values Voters Summit
a Washington lo scorso settembre, promuovendo le 40 leggi che grazie
alla sua capacità persuasiva ha fatto approvare ai legislatori dei vari
stati a partire del dicembre 2011. Il titolo: “Potete proteggere i
vostri bambini dall’industria del sesso?” La direttrice del Shared Hope
International, la ex-congresista Linda Smith (rappresentante dello stato
di Washington), spiegava al congresso dei Values Voters che dovrebbero “porre questa questione al posto giusto” accanto alla causa antiabortista.
Donna M. Hughes, professoressa di studi sulla donna dell’Università
di Rhode Island che lodò George W. Bush per “aver posto la lotta contro
il commercio sessuale mondiale alla pari con la campagna per la
democrazia in Iraq e la guerra al terrorismo”, è di nuovo vicina ai
conservatori con il coro contro il lavoro sessuale. Hughes battè sul suo
particolare tema dei “diritti delle donne” in appoggio alle guerre di
Iraq ed Afganistan in un op-ed
del Washington Post nel 2004, scritto in collaborazione con la
femminista della seconda ora Phyllis Chesler, nel quale il duo criticava
le femministe per non rendersi conto che i conservatori “potrebbero
essere, su certi temi, migliori alleati di quelli che erano stati i
membri della sinistra liberale”.
Alle sex workers è destinata la parte peggiore dell’attenzione di
questa coalizione ad usare la legge per proteggere i diritti delle
donne. L’aumento delle pene per “tratta sessuale” appoggiata da gruppi
come la National Organization for Women New York (NOW-NYC) e la Chicago
Alliance Against Sexual Exploitation (CAASE) ha condotto a grosse
operazioni di polizia, ad esempio una retata nel gennaio del 2012 a New
York, che portò all’arresto, secondo il rapporto, di “200 clienti” e la
confisca di molti loro veicoli prima di contestargli l’accusa. Chiedere
alla polizia di proteggere le donne “perseguitando i clienti” non
esclude, per le lavoratrici del sesso, di essere detenute. Uno studio
del 2012 sui delitti relazionati alla prostituzione a Chicago condotto
dal Chicago Reporter scoprì che di 1266 condanne degli ultimi quattro
anni, il 97% delle imputazioni erano contro le lavoratrici del sesso,
con un incremento del 68% tra il 2008 e il 2011. Durante gli stessi anni
CAASE fece cartello per Safe Children Act, legge destinata a finire con
gli arresti di coloro che sono descritti come “persone che si
prostituiscono” e perseguire “coloro che fanno la tratta” e gli
acquirenti, attraverso intercettazioni telefoniche e trappole.
Dall’approvazione di questa legge nel 2010, solo tre acquirenti sono
stati accusati di questo delitto. Queste manovre appoggiate dalle
femministe e dai titolisti dei giornali sottomettono delle giovani donne
all’umiliazione del carcere, dei procedimenti legali e delle tracce che
rimangono negli archivi della polizia, a volte per il resto della loro
vita. “E’ affascinante come donne che si definiscono femministe” abbiano
tanta voglia di usare così la Legge”, dice Ann Jordan. Appoggiare
l’applicazione delle leggi antiprostituzione richiede il ricorso alla
forza di “tutte quelle istituzioni che da sempre hanno oppresso le
donne”. Come avvocata nominata nel Sex Workers Project nel Urban Justice
Center, Melissa Broudo si occupa delle conseguenze delle retate dello
scorso inverno a New York. Broudo è una dei pochi avvocati che lavorano
per ritirare le sentenze contro persone vittime della tratta e che sono
state condannate per prostituzione. “La cosa più difficile che dobbiamo
fare”, dice Broudo, “è provare a rappresentare individui che non si
rifanno al modello. Non sono delle bimbe di 12 anni, o qualunque altro
stereotipo. Gli uomini possono essere vittime della tratta, e di fatto
lo sono. Donne anziane possono essere vittime. Ho clienti che fanno
parte di ogni tipo diverso di categoria, che però non rispecchiano la
descrizione convenzionale di donne vittime della tratta”. La descrizione
troppo semplificata di quello che è la tratta può avere conseguenze
devastanti per quelli che ne sono vittima. “Durante l’appello prima
della dichiarazione di colpa del sopravvivente”, dice Broudo “vedo
un’ostacolo legale se si tratta di qualcuno che non è una donna, una
transessuale o un minore di età. E non dovrebbe essere così”. Broudo
concede che “è necessario che la gente comprenda che esista la tratta”.
Però aggiunge che “saperlo non è sufficiente, e le campagne di
sensibilizzazione possono avere conseguenze negative. Quando qualcuno
come Nicholas Kristof (giornalista del New York Times) scrive un
articolo sostenendo che bisogna chiudere Backpage o applaudendo le
operazioni di polizia, crea l’immagine che la risposta sia repressione e
castigo, e quindi la gente pensa che sia necessario arrestare più
gente, e questo è incredibilmente controproducente. Sfortunatamente la
conseguenza è che sempre vengono arrestate le lavoratrici del sesso
indipendentemente dal fatto che siano state o meno forzate a svolgere
lavoro sessuale”.
Le lavoratrici sessuali attiviste da tempo hanno espresso questa
preoccupazione, non per proteggere l’industria del sesso (come dicono le
attiviste antiprostituzione) ma per proteggere loro stesse dalla
violenza della detenzione e dalla violenza dovuta allo stigma sociale e
alla discriminazione in generale. I difensori, sia uomini che donne, dei
diritti delle lavoratrici del sesso vogliono porre fine a questi
arresti, invece le femministe, che dovrebbero essere loro alleate
naturali, premono per averne di più.
Sacco di ossa su Gilgo Beach
Tra il 2010 e il 2011 i resti di dieci persone, molte delle quali
identificate come sex worker, furono ritrovati a Gilgo Beach a Long
Island. Le lavoratrici sessuali di New York, insieme a membri del SWOP,
risposero mettendosi in contatto con le famiglie delle vittime,
prendendo parte alle veglie e dandosi aiuto reciproco. Reti come queste
sono forti tra le lavoratrici sessuali, che non possono fidarsi della
polizia, dei tribunali o di altre istituzioni a cui possono far
riferimento la maggior parte delle persone nel momento del bisogno.
La risposta di NOW-NYC a questi omicidi, arrivò attraverso una lettere della sua presidenta, Sonia Ossorio, al New York Daily News.
All’interno del contesto della campagna di NOW per aumentare i
controlli e le retate contro il lavoro sessuale, Ossorio si lamentava
che il giornale stesse agendo in maniera non corretta pubblicando una
colonna nella quale si poneva in questione quale fosse il beneficio
pubblico nel mantenere nell’illegalità la prostituzione. Concludeva la
sua lettera riferendosi alle donne assassinate che “finirono come sacchi
di ossa a Gilgo Beach”.
Per Ossorio la morte di queste donne era una giustificazione della
proibizione, al posto di un richiamo all’attenzione sui pericoli che la
proibizione crea. Non è il lavoro sessuale che espone le sex worker alla
violenza; è la nostra predisposizione ad abbandonare le lavoratrici
sessuali alla violenza nello sforzo di controllare la loro condotta.
La proibizione rende la prostituzione più pericolosa, spingendola
nella clandestinità e spogliando i/le sex worker di protezione legale.
La lotta intorno a questa politica è molto più che una tensione tra
diverse generazioni del femminismo. Si tratta di un matrimonio infame
del femminismo con il potere del conservatorismo e della polizia, quel
potere contro cui molte femministe dicono di essere.
I/le difensori dei/delle sex-worker stanno facendo qualche progresso
nel chiedere conto di questa allenza. Nel 2011, per la prima volta, sex
worker attivist* parteciparono alla Universal Periodic Review of Human
Rights (UPR) organizzata dalle Nazioni Unite, una revisione dei dati sui
diritti umani di tutti gli stati membri che si realizza ogni quattro
anni. Inoltre fu il primo anno che questi dati del governo degli Stati
Uniti in materia di diritti umani erano oggetto di revisione da parte
delle Nazioni Unite.
L’attivista Darby Hickey, una donna transessuale coinvolta nel commercio
del sesso e che attualmente è analista nel Best Practices Policy
Project, che difende i diritti dei/delle sex-worker, partecipò alla
valutazione delle Nazioni Unite. I suoi risultati rinforzano quello che
i/le sex-worker dicono da decenni. Le lavoratrici sessuali degli USA
sono soggette alla discriminazione e la violenza non solamente a causa
del loro lavoro, ma anche per le forme attraverso cui le istituzioni le
escludono e le danneggiano. Gli Stati Uniti firmarono le raccomandazioni
della Universal Periodic Review che dicono che “nessuno dovrebbe essere
vittima di violenza o discriminazione nell’accesso ai servizi pubblici a
causa del suo orientamento sessuale o la sua condizione di persona che
pratica la prostituzione”.
“Ora vedremo che faranno con tali raccomandazioni”, dice Hickey, “e
che passi faranno per risolvere la violenza che deriva dall’applicazione
della legge e la violenza sistemica”. “Quando si tratta di
criminalizzazione e sistema carcerario”, afferma Hickey, “esiste il
riconoscimento generale che stiamo andando nella direzione sbagliata,
con la gente che dice ‘incarcerate più persone, aumentate le pene’”.
“Come la guerra contro le droghe è per molti versi una guerra contro la
gente di colore”, afferma Hickey, “la guerra contro la prostituzione è
una guerra contro le lavoratrici sessuali”.
Se chiamiamo gli attacchi contro i diritti riproduttivi e sessuali una
“guerra contro le donne”, parleremo quindi di una guerra contro le donne
che fa veri prigionieri e vittime. E’ una guerra contro le donne
coinvolte nel lavoro sessuale, portata avanti da donne che non
vacilleranno nell’usare i cadaveri dei loro oppositori e delle loro
oppositrici come argomento politico ma che si rifiutano di ascoltarle
quando sono ancora vive e stanno lottando.
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