Riporto qui una storia raccontata da Chiara Lalli tra i commenti a questo post di Gekina, ripresa oggi da Loredana Lipperini, è agghiacciante. E' agghiacciante che delle persone di questa pasta, di così scarsa umanità, possano lavorare nella sanità, addirittura come anestesisti. Questa è coscienza?
“Anestesia di un obiettore?
Nell’estate del 2008 una donna entra nel reparto di Ostetricia e ginecologia del Niguarda di Milano per una interruzione di gravidanza: il feto è affetto da una grave patologia. È spaventata e sofferente, ma il peggio deve ancora arrivare (Paola D’Amico, Aborto, anestesista obiettore rifiuta di ridurre il dolore, Il Corriere della Sera, 17 luglio 2008, p. 23): “Il medico anestesista di turno, dichiarandosi obiettore di coscienza, si rifiuta di alleviare il dolore a una giovane donna ucraina, che ha subito un aborto terapeutico per malformazioni del feto. È accaduto nei giorni scorsi all’ospedale milanese Niguarda. La donna viene ricoverata e l’8 luglio entra in sala parto. È quasi alla 22esima settimana della sua prima gravidanza. Le vengono somministrati i farmaci per indurre il travaglio abortivo. Lei urla per il dolore. Soffre molto, chiede aiuto. Ma l’anestesista si fa da parte: il feto è ancora vivo. «Non posso somministrare analgesia, sono obiettore», si giustifica”.
L’articolo 9 prevede però l’esonero “dal compimento delle procedure e delle attività specificamente e necessariamente24 dirette a determinare l’interruzione della gravidanza, e non dall’assistenza antecedente e conseguente all’intervento”. La somministrazione di analgesici non è una procedura “specificamente e necessariamente diretta a determinare l’interruzione della gravidanza”. Se i fatti sono quelli riportati, l’aborto è stato effettuato ricorrendo all’induzione del travaglio (probabilmente per mezzo della somministrazione di prostaglandine), e riesce impossibile considerare l’analgesia come un anello causale del processo di espulsione del feto. La procedura standard per una revisione cavitaria uterina alla 22a settimana gestazionale segue la stessa procedura, sia che il feto sia vivo o che sia già morto. A somministrare i farmaci per indurre il travaglio abortivo è il ginecologo, mentre la somministrazione degli analgesici maggiori e degli anestetici, quando il ginecologo certifica che ve n’è l’indicazione, spetta all’anestesista. L’analgesia non può essere considerata una concausa dell’interruzione di gravidanza: gli analgesici somministrati per un aborto con feto vivo sono gli stessi che si somministrano per un aborto con feto già morto.
Forse l’anestesista ha pensato che l’analgesico potesse danneggiare direttamente il feto, causandone la morte? Non sembra verosimile. Viene in mente piuttosto che l’obiezione di coscienza sia stata usata come scusa per non sedare il dolore. Perché, forse, c’è dolore e dolore: uno legittimo e uno illegittimo che non merita sedazione. Considerando che in Italia il dolore è ancora e troppo spesso vissuto come un sopportabile effetto collaterale e non come un sintomo da trattare, è abbastanza verosimile che se a questo si aggiunge la convinzione che quel dolore te lo sei cercato (abortendo) e te lo meriti (abortendo), la conclusione è che te lo tieni. Tuttavia invocare l’obiezione di coscienza per una azione – sedare il dolore – che è difficile considerare immorale suscita perplessità. Quale valore può essere richiamato a favore della sofferenza? La domanda deve essere formulata in un contesto medico, e non meramente esistenziale e personale: in quest’ultimo ognuno può scegliere se e quanto soffrire, se considerare la sofferenza come un modo necessario per crescere, avvicinarsi a dio, espiare colpe vere o presunte. Ma in un contesto clinico, quale può essere il valore della sofferenza, a parte di quella iniziale che ci permette di capire che “qualcosa non va”?
A 22 settimane una interruzione di gravidanza è abbastanza dolorosa. Non si dimentichi che la decisione di interrompere una gravidanza per gravi malformazioni fetali è molto pesante emotivamente. L’ansia e il dolore della decisione possono esasperare il dolore fisico. Ma l’anestesista è obiettore di coscienza: secondo lui l’aborto è un male e lui non vuole immischiarsi. Ma non gli è stato chiesto di eseguire l’interruzione di gravidanza, ma di fare il suo lavoro: ridurre la sofferenza fisica dei pazienti. E lui si tira indietro. Ognuno può avere una personale considerazione morale della vicenda. Quella legale, però, sembra essere univoca e abbastanza chiara. L’anestesia non è in alcun modo “abortiva”.
La donna intanto urla per il dolore; il marito è infuriato, minaccia di portarla in un altro ospedale. È Maurizio Bini, primario di ostetricia, a intervenire facendo una iniezione di morfina alla donna. Bini chiederà al comitato bioetico dell’ospedale di esprimersi sulla vicenda: obiezione legittima o omissione di un atto dovuto? Nonostante gli sforzi per avere una risposta non mi è stato possibile sapere se e come ha risposto il comitato. Non è chiaro nemmeno se il comitato esiste o è solo un nome da invocare quando tira una brutta aria. “
“Anestesia di un obiettore?
Nell’estate del 2008 una donna entra nel reparto di Ostetricia e ginecologia del Niguarda di Milano per una interruzione di gravidanza: il feto è affetto da una grave patologia. È spaventata e sofferente, ma il peggio deve ancora arrivare (Paola D’Amico, Aborto, anestesista obiettore rifiuta di ridurre il dolore, Il Corriere della Sera, 17 luglio 2008, p. 23): “Il medico anestesista di turno, dichiarandosi obiettore di coscienza, si rifiuta di alleviare il dolore a una giovane donna ucraina, che ha subito un aborto terapeutico per malformazioni del feto. È accaduto nei giorni scorsi all’ospedale milanese Niguarda. La donna viene ricoverata e l’8 luglio entra in sala parto. È quasi alla 22esima settimana della sua prima gravidanza. Le vengono somministrati i farmaci per indurre il travaglio abortivo. Lei urla per il dolore. Soffre molto, chiede aiuto. Ma l’anestesista si fa da parte: il feto è ancora vivo. «Non posso somministrare analgesia, sono obiettore», si giustifica”.
L’articolo 9 prevede però l’esonero “dal compimento delle procedure e delle attività specificamente e necessariamente24 dirette a determinare l’interruzione della gravidanza, e non dall’assistenza antecedente e conseguente all’intervento”. La somministrazione di analgesici non è una procedura “specificamente e necessariamente diretta a determinare l’interruzione della gravidanza”. Se i fatti sono quelli riportati, l’aborto è stato effettuato ricorrendo all’induzione del travaglio (probabilmente per mezzo della somministrazione di prostaglandine), e riesce impossibile considerare l’analgesia come un anello causale del processo di espulsione del feto. La procedura standard per una revisione cavitaria uterina alla 22a settimana gestazionale segue la stessa procedura, sia che il feto sia vivo o che sia già morto. A somministrare i farmaci per indurre il travaglio abortivo è il ginecologo, mentre la somministrazione degli analgesici maggiori e degli anestetici, quando il ginecologo certifica che ve n’è l’indicazione, spetta all’anestesista. L’analgesia non può essere considerata una concausa dell’interruzione di gravidanza: gli analgesici somministrati per un aborto con feto vivo sono gli stessi che si somministrano per un aborto con feto già morto.
Forse l’anestesista ha pensato che l’analgesico potesse danneggiare direttamente il feto, causandone la morte? Non sembra verosimile. Viene in mente piuttosto che l’obiezione di coscienza sia stata usata come scusa per non sedare il dolore. Perché, forse, c’è dolore e dolore: uno legittimo e uno illegittimo che non merita sedazione. Considerando che in Italia il dolore è ancora e troppo spesso vissuto come un sopportabile effetto collaterale e non come un sintomo da trattare, è abbastanza verosimile che se a questo si aggiunge la convinzione che quel dolore te lo sei cercato (abortendo) e te lo meriti (abortendo), la conclusione è che te lo tieni. Tuttavia invocare l’obiezione di coscienza per una azione – sedare il dolore – che è difficile considerare immorale suscita perplessità. Quale valore può essere richiamato a favore della sofferenza? La domanda deve essere formulata in un contesto medico, e non meramente esistenziale e personale: in quest’ultimo ognuno può scegliere se e quanto soffrire, se considerare la sofferenza come un modo necessario per crescere, avvicinarsi a dio, espiare colpe vere o presunte. Ma in un contesto clinico, quale può essere il valore della sofferenza, a parte di quella iniziale che ci permette di capire che “qualcosa non va”?
A 22 settimane una interruzione di gravidanza è abbastanza dolorosa. Non si dimentichi che la decisione di interrompere una gravidanza per gravi malformazioni fetali è molto pesante emotivamente. L’ansia e il dolore della decisione possono esasperare il dolore fisico. Ma l’anestesista è obiettore di coscienza: secondo lui l’aborto è un male e lui non vuole immischiarsi. Ma non gli è stato chiesto di eseguire l’interruzione di gravidanza, ma di fare il suo lavoro: ridurre la sofferenza fisica dei pazienti. E lui si tira indietro. Ognuno può avere una personale considerazione morale della vicenda. Quella legale, però, sembra essere univoca e abbastanza chiara. L’anestesia non è in alcun modo “abortiva”.
La donna intanto urla per il dolore; il marito è infuriato, minaccia di portarla in un altro ospedale. È Maurizio Bini, primario di ostetricia, a intervenire facendo una iniezione di morfina alla donna. Bini chiederà al comitato bioetico dell’ospedale di esprimersi sulla vicenda: obiezione legittima o omissione di un atto dovuto? Nonostante gli sforzi per avere una risposta non mi è stato possibile sapere se e come ha risposto il comitato. Non è chiaro nemmeno se il comitato esiste o è solo un nome da invocare quando tira una brutta aria. “
2 commenti:
condivido!
questo anestesista andrebbe licenziato in tronco, ma trovo scandaloso che in tutto l'ospedale non si sia trovato un altro anestesista non dico "non obiettore" ma dotato di cervello e cuore.
Penso che qualunque cosa una donna incinta decide di fare va rispettata (sia che decida di tenerlo sia che decida di abortire sia che decida di farlo nascere e darlo in adozione) e le strutture statali devono dare la garanzia che la scelta, qualunque sia, sarà rispettata. In Italia c'è una vera e propria invasione di medici obiettori (persino per la contraccezione d'emergenza dove l'obiezione non è permessa) che non è più tollerabile: oggi chi si laurea in medicina e diventa ginecologo sa benissimo cosa prevede la legge quindi se è antiabortista non dovrebbe lavorare nelle strutture pubbliche
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