Di Assange -e del resto di tutta Wikileaks- le informazioni che riceviamo sono per lo più fonti giornalistiche, interviste a terzi smontate e rimontante per cercare di ricostruire una storia coerente. È difficile, da un processo del genere, scindere ciò che è costruito ad arte dai media e ciò che invece succede realmente.
Assange era fastidioso, come personaggio, ben prima che venissimo a conoscenza della denuncia nei suoi confronti da parte delle due donne svedesi. Era fastidioso perché era evidentemente un personaggio e non una persona, costruito ad arte come un protagonista di un film cyberpunk, con un aspetto che sembrava selezionato da un casting. Di nuovo, noi non sappiamo se Assange esiste davvero, o se altro non è che un effetto di marketing virale.
Nel migliore dei casi, Assange è uno strumento di Wikileaks per ottenere, attraverso una sovra-esposizione mediatica, il “massimo effetto politico”. Presentato perché rimanga sui riflettori per focalizzare l’attenzione e permettere alle informazioni di diffondersi, e che ci rimanga abbastanza a lungo da non sparire senza creare scandalo a livello planetario. Un meccanismo non nuovo e non semplice di difesa da un potere che vuole controllare lo spazio mediatico.
Wikileaks è sotto attacco, un attacco coordinato e parzialmente efficace. Stanno facendo terra bruciata, letteralmente, attorno ai loro server, alle loro fonti finanziarie, alla loro rete di sostegno. L’esposizione mediatica che le “rivelazioni” di Wikileaks stanno avendo fa il paio con la reazione istituzionale, durissima, nei confronti del progetto, dell’idea e delle persone che lo animano.
A questo punto entra in gioco la denuncia per molestie. Che è stata inserita in questo meccanismo perché funzionale a screditare e sviare l’attenzione. Ciò non vuol dire che sia una montatura, ma che senza dubbio è stata usata come una montatura. Tutto ciò avviene in un contesto culturale in cui le accuse di stupri e le molestie, se rivolte verso un bianco rigidamente eteronormato e non straniero, hanno come diretta conseguenza la criminalizzazione e la messa al banco degli accusati di quelle che sono, potenzialmente, le vittime. E questo caso non fa eccezione.
In rete troviamo fior fiore di disamina di chi sono, cosa fanno, cosa hanno fatto, queste due donne. Cosa pensano, gli è piaciuto, non gli è piaciuto. La reazione maschilista è talmente un meccanismo automatico di difesa che è riuscita ad affiancarsi al tentativo di screditare Assange. La stessa confusione creata sul reato commesso, la leggenda sul fatto che esista un reato in svezia chiamato “sex by surprise”, l’accento posto sul fatto che una delle due donne fosse (omioddio!) femminista, e quest’immaginario confuso di una Svezia quale “stato femminista” con leggi “assurde”, è il segnale che la macchina del fango non sta funzionando in una sola direzione.
In tutto ciò c’è qualcuno che, consciamente o inconsciamente, sta cercando di far passare le accuse per molestie e stupro verso Assange come metafora dell’attacco che poteri occulti ben più potenti del fantomatico complotto femminista internazionale stanno portando avanti verso Wikileaks. Qualcuno pensa o vuole che si pensi che difendere Wikileaks non vuol dire replicare l’informazione, diffonderla, creare mirror, sostenere economicamente o attaccare chi sta cercando di accerchiarli, ma difendere Assange dall’accusa di due donne, usando tutti gli strumenti che la cultura maschilista ci mette a disposizione.
Se passa questa metafora, se si realizza la sovrapposizione tra questi due fenomeni, allora avremo perso entrambe le battaglie. Avremmo perso una battaglia per la libertà di informazione, e a causa dell’ennesima manipolazione del corpo delle donne. Sia che le due donne, a cui comunque va la nostra solidarietà ed il massimo sostegno per il linciaggio mediatico che anche loro stanno subendo, ottengano il riconoscimento che non sono delle “bugiarde” che inventano accuse. Sia che le accuse si rivelino infondate e Assange ne esca pulito ed immacolato, pronto per diventare un nuovo santino dei falsabusisti.
Per questo riportiamo l’intervento di reginazabo, perché si contrappone al tentativo di screditare Assange senza per questo contribuire a legittimare la visibile e pervadente misoginia che esiste anche nel mondo degli attivisti digitali.
Sul corpo delle donne, con perfetto tempismo
Chi si ricorda della storia di Sacco e Vanzetti? E di quella di Massimo Carlotto o di Marco Dimitri? In alcuni casi quelle imputazioni costruite ad arte sono state fatali, in altri solo permanentemente devastanti. L’effetto, in tutti i casi, è stato di mettere fuori gioco persone sgradite, con prove costruite ad arte e, dove possibile, con coperture mediatiche architettate alla perfezione.
Di montature giudiziarie e infangamenti politici il mondo è pieno, quello dei servizi segreti si suppone lo sia particolarmente. Ma poniamo anche che nel nostro caso questa regola non valga e che il personaggio scomodo del giorno, Julian Assange, assuma effettivamente comportamenti prevaricatori nei confronti delle donne. Quel che è successo è noto, ma di fatto contro di lui non esistono accuse formali: contro Assange è stato emesso un mandato di cattura internazionale per sottoporlo a un interrogatorio. Eppure in questi giorni di “accuse di stupro” nei suoi confronti parlano tutti: giornali, blog e televisioni. C’è un caso di sesso non consensuale, che il diritto svedese considera stupro, ma nonostante tutto sia ancora da verificare, e perfino da formalizzare, una parola magica come “stupro” (al pari di “pedofilia”, “satanismo” e quant’altro) non può non far gola a scribacchini vari. Nelle sale dei bottoni queste cose le sanno bene.
Gonfiare le parole, tradurre una fattispecie giuridica esistente solo in Svezia (“sex by surprise”) con il termine “stupro” è una strategia lessicale che possiamo riconoscere anche nel nostro quotidiano. Le parole sono importanti, e spesso, come nel caso dell’aggettivo “clandestino“, fanno da apripista a manovre politiche sempre più repressive.
Ma poniamo, comunque, che Julian Assange, oltre a essere un genio dell’hacking, non solo informatico, sia, come molti hacker purtroppo sono, anche un misogino irrispettoso, che costringe donne fino a quel momento consenzienti a non usare il profilattico durante la penetrazione. Ebbene, questa non è una notizia di ieri, o della settimana scorsa: è una notizia risalente allo scorso agosto, quando Assange ha dichiarato di temere un complotto ai suoi danni.
E puntuale come un orologio made in U.S.A., il mandato d’arresto internazionale è arrivato subito dopo la pubblicazione su Wikileaks di 250mila dispacci telegrafici che ha messo a nudo le comunicazioni informali di tutta la diplomazia statunitense. Che i media coprano la notizia della denuncia svedese solo ora, con tanto di accurate sviste traduttive, mi pare lineare. I media cavalcano sempre l’onda dell’attualità, e ci provano tanto più gusto se mentre si godono la cavalcata possono schiacciare e travolgere i corpi delle donne.
Corpi di donne morte, scintillanti corpi di veline, ministre in tacchi a spillo, donne in coma, bambine uccise, giovani stuprate. La presenza di uno stupro è come la pedofilia: basta nominarlo e tutti ficcano la testa sotto la sabbia. Non sarebbe la prima volta: come fa notare una lettera di Katrin Axelsson di Women Against Rape al Guardian, questa tattica è già stata utilizzata, negli Stati Uniti del sud, per giustificare il linciaggio di afroamericani. Anche in Italia questa tattica viene usata per scatenare ondate di xenofobia, che non è un approccio molto differente in fatto di repressione del dissenso potenziale ed effettivo.
L’uso mediatico che si fa del corpo delle donne dovrebbe farci rizzare le orecchie, farci alzare il livello d’attenzione sul caso di Julian Assange, che anche fosse un maschilista incallito, ha comunque messo in piedi un meccanismo potenzialmente virale e rivoluzionario, perché capace di indebolire tutte le comunicazioni segrete che sono poi i fili tirati di guerre fredde e calde, manovre e intrallazzi vari. Quei fili tirati oggi sono un po’ più deboli grazie a Wikileaks e a Julian Assange, e un colpo di coda ci sarà. L’esito di questa vendetta potrebbe cambiare molte cose in Internet, a partire da come interpreteremo il concetto di libertà d’espressione navigando in rete.
A livello giuridico la procedura che ha portato all’arresto di Assange non fa una piega: Assange non è stato rapito, e non è scomparso, per fortuna. Tutta la questione sta venendo affrontata in maniera legale, e alcuni potrebbero dedurne che quindi anche il resto sia improntato alla massima correttezza. Ma con le montature funziona proprio così: si mette in piedi qualcosa di vero per poter far credere che anche tutto il resto lo sia. Se però si considera che Assange è stato arrestato nonostante un’accusa nei suoi confronti non sia ancora stata formalizzata, mentre in Svezia il 90 per cento delle denunce di stupro non arriva mai neanche in tribunale, qualcosa non torna.
Di fronte a queste stranezze, credo che stavolta sia il caso di mettere da parte il dibattito sulle false accuse di stupro e contrapporsi invece alla lapidazione mediatica del terrorista stupratore, e magari scoprire anche perché, come ha detto Assange, “Diffondere informazioni riservate è un atto intrinsecamente antiautoritario. Si tratta di un atto intrinsecamente anarchico”.
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