sabato 2 febbraio 2008

Diritto all’aborto, la nuova Europa racconta

La situazione dei diritti riproduttivi nei paesi dell’Europa centrale e orientale

Marta Marsili

La difesa dei diritti alla salute sessuale e riproduttiva, e più in particolare del diritto all’aborto, é occasione di imbarazzanti affermazioni, anche in sede europea. L’audizione pubblica della commissione per i diritti delle donne e la parità di genere del Parlamento europeo del 29 gennaio scorso ne ha offerto una prova concreta.

Tra le relatrici e i relatori invitati da Anna Zaborska, presidente della commissione, figuravano alcuni noti militanti del movimento per la vita, come l’americano Douglas de Sylva, dell’Instituto della famiglia cattolica e dei diritti umani di New York e Jana Tutkova, direttrice del Centre for Bioethical Reform di Praga.

La presenza di Wanda Nowicka, presidente della Federazione polacca delle donne e dei consultori familiari (Astra) é stata, nonostante tutto, l’occasione di fare il punto sulla situazione dei diritti riproduttivi nei paesi dell’Europa centrale e orientale.

Sebbene i diritti alla salute sessuale e riproduttiva non rientrino nelle materie di competenza comunitaria, un numero crescente di euro-parlamentari di diversi schieramenti portano avanti una guerra senza quartiere per far sì che essi siano definitivamente svuotati di contenuto.

Una grossa spinta in tal senso arriva da alcuni paesi recentemente entrati nell’Unione, la cui legislazione in materia negli ultimi anni ha fatto enormi passi indietro. «Siamo di fronte ad un vero e proprio gap tra la vecchia e la nuova Europa. - ha detto Wanda Nowicka - Prima della trasformazione politica e ecomomica che é seguita al crollo del Muro, buona parte dei diritti alla salute riproduttiva erano legali e di libero accesso in molti paesi dell’est. A partire dagli anni ’90, sono entrati a far parte delle agende politiche dei conservatori e dei fondamentalisti religiosi. Il sostegno della chiesa cattolica romana ai movimenti per il diritto alla vita, grazie anche all’incredibile appoggio finanziario, concettuale e logistico degli anti-abortisti statunitensi ha fatto il resto».

La legge votata nel 1993 dal parlamento polacco, ad esempio, ha ristretto l’accesso all’interruzione di gravidanza a pochi e gravi casi : rischio per la vita della madre, danni irreversibili all’embrione o quando sia frutto di un atto di violenza. Anche così, tuttavia, essa resta il costante bersaglio di chi spera di ottenere il totale e definitivo divieto. «Negli ultimi due anni la Lega delle famiglie, partito misogino e reazionario, (capeggiato dai fratelli Kaczynskyi ndr.) ha sferrato non pochi attacchi a questo diritto delle donne, culminati nella proposta di modifica costituzionale che iscrivesse la protezione della vita fin dal suo concepimento» ricorda la presidente di Astra. Una battaglia persa, fortunatamente, ma che é stata comunque appoggiata da una vasta maggioranza parlamentare.

«Nella pratica – sottolinea Wanda Nowicka - l’accesso all’aborto viene ostacolato e impedito anche in quei rari casi in cui la legge lo permette». La denuncia non é nuova: già nel 2005 la Commissione per i diritti umani delle Nazioni Unite (HRC) aveva espresso la sua inquietudine per quelle «restrizioni legali che costringono le donne a fare ricorso a praticanti disonesti a rischio della loro stessa vita». E la Corte europea per i diritti umani aveva espresso un parere simile condannando la Polonia a risarcire Alicja Tysiac, la cui domanda di IVG, introdotta per gravi ragioni di salute, era stata rifiutata provocandone la quasi cecità in seguito al parto.

«Il più grande ostacolo é costituito dai medici – insiste Wanda Nowicka - che, sempre più numerosi, si avvalgono della clausola di ’obiezione di coscienza’ prevista per legge, paralizzando così ospedali interi. Peccato che poi, nell’ombra, questi stessi non esistino a praticare aborti clandestini in costose strutture private». La Federazione dei consultori di Varsavia, infatti, calcola tra 80.000 e 200.000 gli aborti clandestini praticati ogni anno, contro le poche centinaia di interventi realizzati legalmente negli ospedali pubblici. La recente proposta di estendere il diritto all’obiezione di coscienza ai consultori costituisce, poi, un ulteriore allarme. «Sarebbe come dare il via libera legale alla filiera clandestina, con le conseguenze che conosciamo sulla vita e sulla salute delle donne».

Ma i diritti alla salute sessuale e riproduttiva, si potrebbe obiettare, non si riducono alla sola IVG. Ebbene, per quel che riguarda il diritto alla contraccezione, le cose vanno anche peggio. «In molti paesi dell’Europa centrale e orientale, un’adeguata contraccezione ha costi improponibili. In Russia e in Armenia, ad esempio, un trattamento anticoncezionale annuale costa più di un intervento di aborto terapeutico. Il risultato di queste scelte é sotto gli occhi di tutti: un incremento di gravidanze non desiderate e, quindi, di aborti clandestini, unico modo di risolvere il problema in uno Stato che non ammette altre possibilità legali».

Educazione sessuale, informazione, profilassi? Neanche a parlarne. «In Polonia, i programmi governativi sono sempre più influenzati dall’insegnamento cattolico che ne distorce i contenuti. Basta ricordare che le adolescenti ricevono informazioni sulla vita sessuale e riproduttiva all’interno di corsi di Educazione alla vita familiare e che le pratiche contraccettive illustrate fanno riferimento solo ai ’metodi naturali’, tacendo l’informazione necessaria a proteggere gli e le adolescenti da gravidanze non desiderate o dal rischio di contagio di malattie sessualmente trasmissibili, come l’hiv/aids».

La strada intrapresa dalla Polonia influenza pesantemente il dibattito politico dei paesi limitrofi. Nel 2007, un gruppo conservatore eletto nel parlamento lituano ha presentato una proposta di legge per restringere le condizioni dell’aborto legale, sull’esempio della legge polacca. Il parlamento ha accolto la proposta: la discussione e il voto sono previsti per la primavera di quest’anno.

La voglia di legiferare sul corpo delle donne ingaggia dunque una battaglia complessa che vede in difficoltà i movimenti femministi, lasciati soli dai partiti di sinistra che temono di perdere ulteriori consensi. «Sotto il comunismo – racconta Wanda Nowicka - il diritto all’aborto non era specificamente menzionato, semplicemente c’era, si faceva e il discorso finiva lì. Forse anche per questo non si era creato un dibattito intorno alla sua rivendicazione. Oggi é più che mai necessario tornare a politicizzare le donne e integrare i nuovi movimenti dell’Europa centrale e orientale a quelli dei paesi occidentali».

E l’Unione europea? Essa riconosce le pari opportunità come un principio fondamentale e come valore essenziale per la realizzazione della coesione sociale, l’eradicazione della povertà, l’obiettivo del pieno impiego e della crescita economica. E riconosce anche che esse non sono realizzabili senza il rispetto dei diritti alla salute sessuale e riproduttiva. Salvo poi incorporare il discorso su questi diritti nel sostegno alle politiche familiari, come si può osservare dalle linee-guida contenute nella recente Comunicazione della Commissione dal titolo Il futuro demografico dell’Europa: trasformare una sfida in un’opportunità.

«Nelle sue linee-guida, la Commissione non fa alcun esplicito riferimento al rispetto dei diritti riproduttivi - conclude Astra nel suo ultimo rapporto - a dispetto degli impegni presi a livello internazionale e di promuovere i diritti delle donne nei singoli Stati membri». Un posizionamento rischioso per il futuro delle pari opportunità in Europa.

Fonte: womenews.net

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