sabato 12 gennaio 2008

Cos'è la Guerra

La Abc mostra la foto di un detenuto ex appartenente al partito Baath finito a percosse e lasciato morire nudo nelle proprie feci Torture, nuove foto accusano "Uomo ucciso a colpi di karate" Un soldato britannico rivela: "Ho partecipato ai maltrattamenti per paura degli altri soldati. Laggiù non ci sono più regole"

WASHINGTON - Nuove foto, altre accuse, testimonianze e rivelazioni. All'indomani del "mea culpa" - senza dimissioni - del segretario alla Difesa Usa Donald Rumsfeld, lo scandalo torture portato alla luce dal trapporto Tubaga sulle violenze nel carcere di Abu Ghraib sembra non avere fine.

La Abc ha mostrato la foto di un detenuto iracheno ridotto in fin di vita a colpi di karatè da marines della riserva che poi lo hanno lasciato morire nudo nelle proprie feci. Il caso sarebbe avvenuto in una prigione da campo gestita dai marines nel sud dell'Iraq, nei pressi di Nassiriya, campo White Horse.

Una fotografia mostra il corpo di Nadem Sadun Hatab, un ex funzionario del partito Baath di 52 anni, che morì nel centro di detenzione nel giugno scorso, dopo tre giorni di torture e di maltrattamenti. Hatab venne preso a calci nel petto e percosso a colpi di karatè e fu lasciato morire nudo nelle proprie feci.

Per la sua morte, sono indagati dei marines della riserva, che avrebbero dichiarato di avere ricevuto l'ordine di "ammorbidire" i prigionieri loro affidati in vista degli interrogatori. Il referto medico della morte di Hatab parla di omicidio per strangolamento, a causa della frattura di un osso della gola. L'uomo morì dopo un'agonia di ore.

L'inchiesta ha prosciolto il comandante del campo all'epoca, ma punta sul caporale William Scott Roy, un vice-sceriffo nello Stato di New York, e sul sergente Gary Pittman, pure dello Stato di New York. Roy avrebbe ammesso le sue responsabilità e avrebbe anche testimoniato contro Pitman, che avrebbe colpito Hatab quando l'uomo non eseguì i suoi ordini. Secondo fonti giudiziarie citate dalla Abc, al campo non c'erano interpreti e nessun marine parlava arabo.

Un caso che conferma l'ammissione fatta dallo stesso capo del Pentagono Rumsfeld che vi possono essere altri casi di abusi di detenuti iracheni.

Come pure la testimonianza, raccolta dalla tv britannica Itv, di un ex detenuto della prigione di Abu Ghraib, che racconta di avere visto una ragazzina di 12 anni spogliata e picchiata da personale militare del carcere. Il testimone della Itv è un giornalista della tv araba al Jazeera, che riferisce di essere stato anche lui sottoposto a maltrattamenti nel carcere, dove è stato rinchiuso per 54 giorni.

E ancora: un altro soldato britannico si è fatto avanti, contattando il Daily Mirror per denunciare gli abusi fatti regolarmente subire ai detenuti iracheni e le fotografie dei pestaggi, considerate da chi le scattava veri e propri 'trofei'. Il 'soldato D', così lo ha identificato il quotidiano che pubblica oggi la nuova testimonianza sulle torture, ha ammesso - dicendo ai suoi interlocutori di "non essere un angelo" - di aver preso parte ai maltrattamenti per paura di opporsi ai suoi commilitoni e sempre per paura non ha raccontato quanto accadeva alla polizia militare.

Il giornale pubblica una foto a piena pagina che sostiene di aver ricevuto dal 'soldato D' - in forza al Reggimento britannico già nell'occhio del ciclone per le precedenti accuse di coinvolgimento nello scandalo - e che ritrae un commilitone che fotografa un prigioniero legato e sanguinante all'interno di un veicolo militare.

"Non ci sono regole laggiù. Ho visto trascinare l'uomo a forza nel blindato, pestarlo, prenderlo a calci e pugni, il tutto per un minuto circa di tempo". L'uomo ha raccontato che i suoi commilitoni scattavano fotografie per poi farle vedere agli amici a casa ma ha aggiunto che era poi stato impartito l'ordine di sbarazzarsene.
(8 maggio 2004)

Fonte: repubblica.it
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Il "Washington Post": in un cd tutte le sevizie sui prigionieri solo il commentatore radio Limbaugh ha provato a minimizzare Torture, mille foto contro il Pentagono
DAL nostro inviato VITTORIO ZUCCONI

WASHINGTON - Guardare se stessi diventare il nemico. Una nazione che si vuol credere l'incarnazione terrena del Bene relativo, contempla attonita la sequenza che ormai ogni giorno illumina la storica battuta del cartoon Pogo, l'idolo di Bush ragazzo: "Ho incontrato il nemico e il nemico siamo noi". Se è vero che già il Washington Post possiede un nuovo CD con mille immagini nuove e qualcuno sta già trattando per comperare video inediti, la legge implacabile della banalità del male che in guerra può trasformare ogni "onesto cittadino" in potenziale carnefice, sarebbe scattata anche questa volta. Una mela, due mele, quante mele marce? E se bacato fosse invece il frutteto?, si domanda una nazione che le foto hanno scosso dal proprio denial, dal rifiuto psicologico di accettare il trauma morale dell'Iraq.

C'è ancora, ma ormai è un residuo pallido nei più disperati, la speranza che sia tutta una montatura, un reality show. Racconta Howard Kurtz, critico dei mass media dentro il Washington Post, che il suo giornale, come il New York Times, come tutte le maggiori testate, "bucò" la prima serie di foto nella speranza che fossero uno di quei classici prodotti della propaganda che ogni guerra partorisce. Non venivano conferme, dal Pentagono, nonostante già tre inchieste insabbiate da mesi e denunce ignorate dalla Croce Rossa. Neppure la Cbs tv, che fece lo scoop, era riuscita ad avere verifiche dal Pentagono, che chiedeva soltanto di rinviare la trasmissione per "carità di patria".

La verità, confessano oggi direttori di giornale, è che non potevano credere alla stupidità (il senatore Jay Rockefeller la chiama "ignoranza") di un'amministrazione che aveva rimesso in funzione il monumento alla barbarie che era andata ad abbattere. "Se questa amministrazione Bush tanto mal consigliata dai neo conservatori avesse davvero capito qualcosa dell'Iraq - dice il moderatissimo senatore democratico Jay Rockefeller, erede della famiglia che donò il terreno sul quale sorge il Palazzo dell'Onu - avrebbe mandato immediatamente i bulldozer per radere al suolo Abu Ghraib".

Invece, nella scodella dei corn flakes, oggi l'America fa colazione da sei giorni con quella soldatessa con la cicca in bocca che si diverte a mimare la castrazione dei prigionieri, a portarli a spasso come cagnetti, mentre i colleghi maschi, nella loro ossessione-tentazione omofobica, li costringono a un'ammucchiata con sederi al vento. Neppure il pubblico della santa destra, quella che si indignava per le acrobazie onaniste tra Bill e Monica, riesce a razionalizzare la vergogna di essere diventati il nemico. Di avere fatto, come dicono Juan Cole, professore di studi mediorientali all'Università del Michigan e Mark Ginsburg, ex ambasciatore in paesi arabi, "il miglior spot propagandistico che Al Qaeda potesse sognare".

L'America della destra cristiana è anche l'America puritana e quel carcere era, prima che una "villa triste" di torture, chiaramente un bordello della violenza. "Queste cose accadono ogni giorno nelle nostre carceri, perché non sarebbero dovute accadere a Bagdad?", domanda un ex detenuto al Los Angeles Times. Ora mandano il comandante di Guantanamo in quel carcere? "La volpe a guardia delle galline", commenta il Seattle Times.

Inorridisce Andrew Sullivan, profeta della sinistra diventata neo con dopo l'11 settembre, che si domanda ormai se i "Bushies", se questo gruppo dirigente, "sappiano che cosa demonio stanno facendo". Ci ha provato soltanto Rush Limbaugh, profeta radio della Vandea americana, a sostenere che in fondo è una festa da dormitorio un po' osé, come tra studenti ubriachi che devono "sfogarsi" dopo un esame. Ma è rimasto solo. Persino Bill O'Reilly, che guida il più seguito show sulla Fox News e aveva stigmatizzato noi europei per avere "esagerato" il caso, leggendo stralci anche di un commento da Repubblica, ammette la sconfitta terribile nella guerra delle immagini. "Se in quel carcere avessero anche abusato delle donne, nel reparto femminile, come sembra, il danno sarebbe irreparabile".

La gente, il mitico "animale collettivo" che deve metabolizzare anche questo effetto collaterale di una guerra gonfia di sottintesi religiosi e razziali, si riversa nei forum di internet e nelle lettere ai giornali per chiedere conto ai capi della vergogna. "Noi facevamo quello che ci dicevano di fare", si difende uno dei carcerieri, in una accorata lettera anonima. "Lo slogan centrale di Bush è integrità e responsabilità" scrive un lettore al San Francisco Examiner "qualcuno deve assumersi la responsabilità. Non è stato un caporale a decidere". I più vecchi ricordano l'incredulità che accompagnava le denunce dal Vietnam della "solita sinistra anti patriottica". Si spera nella "punizione dei colpevoli", formula salvifica della democrazia imbarazzata. "Ma fino a quale grado?", si domanda il generale Clark, "La democrazia si ferma ai marmittoni e risparmia i ministri?".

Neppure i più accaniti avversari della guerra oggi osano concedersi il piacere amaro del "ve l'avevamo detto", perché anche loro, come americani, sono oppressi dall'imbarazzo di scoprirsi moralmente nudi davanti al mondo. Anche il meno "bushista" qui deve pur credere che la guerra fosse sbagliata, ma che l'America rimanga giusta. "Se questa è la guerra del Bene, come può produrre tanto Male?", domandava la madre di un soldato al fronte, un'insegnante di scuola media, al candidato democratico John Kerry, ieri l'altro, spiegandogli di tenere ormai tutti i televisori spenti in casa, e il giornale del mattino intonso, "per non vedere". Per credere davvero al pentimento dell'America e alla sua "superiorità" democratica, tanti ormai chiedono la punizione non soltanto del soldato Ryan divenuto l'aguzzino Ryan, ma di qualche alto papavero a Washington, magari Rumsfeld. Ma Bush è sempre meno il comandante e sempre più il prigioniero del nemico che ha dentro casa.
(7 maggio 2004)

Fonte: repubblica.it
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Stupri, botte, acqua gelata: ecco le torture di Abu Ghraib
ROMA - Ecco alcuni stralci del testo e un riassunto di altre parti, del rapporto sulle torture e gli abusi commessi da militari Usa nei confronti di prigionieri iracheni nel carcere di Abu Ghraib scritto dal generale Antonio Taguba e completato, secondo il Pentagono, lo scorso 3 marzo.

"Fra l'ottobre e il dicembre 2003 nella struttura di detenzione di Abu Ghraib (Bccf) furono inflitti a diversi detenuti numerosi abusi sadici, clamorosi e sfacciatamente criminali. Gli abusi sistematici e illegali sui detenuti sono stati perpetrati da diversi membri della forza di polizia militare (la 372/a Compagnia di Polizia Militari, 320/o Battaglione, 800/a Brigata) nella sezione A-1 del carcere di Abu Ghraib (Bccf).

Segue un riassunto delle fattispecie elencate nel rapporto: "Inoltre - continua il testo del rapporto - diversi detenuti hanno descritto i seguenti abusi, che, date le circostanze, giudico credibili in base alla chiarezza delle affermazioni e le prove addotte a sostegno dai testimoni:"

- Rottura di lampade chimiche, il cui contenuto fosforico veniva versato sui prigionieri
- Minacce con pistole calibro 9 mm.
- Getti d'acqua fredda su detenuti nudi
- Percosse con manici di scopa o con una sedia
- Minacce di stupro ai danni di prigionieri maschi
- Sutura da parte di membri della polizia militare di ferite provocate facendo urtare con violenza il detenuto contro le pareti della cella
- Prigionieri sodomizzati con lampade chimiche o con manici di scopa
- Impiego di cani militari senza museruola per spaventare i detenuti, in un caso risultato in un morso - Pugni, schiaffi e calci ai prigionieri; pestoni sui piedi nudi
- Foto o riprese video di detenuti, uomini e donne, spogliati nudi, a volte in pose forzate umilianti e sessualmente esplicite
- Denudamento dei prigionieri, a volte lasciati spogliati anche per diversi giorni
- Obbligo per i detenuti maschi di indossare capi intimi femminili
- Obbligo per gruppi di detenuti maschi di masturbarsi mentre vengono ripresi
- Prigionieri obbligati a stendersi uno sull'altro in un mucchio sul quale i militari saltavano
- Prigionieri obbligati a stare in piedi su una cassetta, incappucciati con un sacchetto, con fili collegati a dita delle mani dei piedi e al pene, simulando la tortura dell'elettroskock
- Fotografie di militari mentre hanno rapporti sessuali con detenute
- Fotografie di prigionieri con catene e collari da cani attorno al collo
- Fotografie di prigionieri morti
- Le parole "sono uno stupratore" sulla gamba di un detenuto, fotografato nudo, accusato di aver violentato una 15/enne.

Il rapporto parla poi dei cosiddetti "detenuti fantasma", consegnati a varie strutture di detenzione amministrate dall' 800/a Brigata di polizia militare da altre agenzie governative Usa, "senza documentarlo".

Nel testo del rapporto infine si legge: "Queste conclusioni sono suffragate da confessioni scritte rilasciate da diversi indagati, da confessioni scritte rilasciate da detenuti e da dichiarazioni di testimoni".
(4 maggio 2004)

Fonte: repubblica.it
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L'accusa è del generale Janis Karpinski, capo del famigerato carcere dove i soldati Usa hanno torturato i detenuti iracheni. Iraq, torture ad Abu Ghraib
"Incoraggiate dai Servizi militari"
"Sono nauseata: vogliono far ricadere la responsabilità su di noi"
ROMA - Ci sarebbero i servizi segreti militari dietro le torture ai prigionieri iracheni nel carcere di Abu Ghraib che un servizio fotografico choc ha reso pubbliche al mondo intero. Lo sostiene il generale Janis Karpinski, comandante della 800/a brigata di polizia militare, comandante del sistema delle prigioni in Iraq, e degli stessi soldati responsabili delle torture nella famigerata prigione irachena sotto il cui controllo è la sezione di massima sicurezza del carcere.

Secondo la Karpinski, l'unico generale donna nelle forze armate Usa in Iraq (che ora rischia posto e carriera), sono stati gli 007 a "incoraggiare" i soldati Usa a tali comportamenti sui prigionieri. In un'intervista telefonica al New York Times - che ne riferisce sul suo sito internet - la Karpinski si è detta "nauseata" dalle fotografie che rivelano le torture inflitte ai detenuti, affermando di esserne venuta a conoscenza solo settimane dopo.

Parlando dalla sua casa del Sud Carolina - nei suoi primi commenti pubblici sulla vicenda - il generale Karpinski ha affermato che lo speciale blocco di massima sicurezza ad Abu Ghraib, noto come 1A, è sotto il diretto controllo di ufficiali dell'intelligence militare, non dei riservisti che lei comanda.

Nel definire "cattivi soggetti" meritevoli di punizione i militari coinvolti nelle torture, ha espresso i suoi sospetti che abbiano agito con l'incoraggiamento, se non agli ordini, di unità della intelligence militare che usavano per gli interrogatori quella sezione del carcere. Ha poi aggiunto che agenti della Cia spesso si univano agli interrogatori effettuati nella prigione.

Karpinski ha spiegato di aver deciso di parlare perché ritiene che i comandanti militari stiano cercando di addossare esclusivamente a lei e ai suoi soldati la responsabilità di quanto avvenuto nella prigione, per non coinvolgere ufficiali dell'intelligence ancora operativi in Iraq.

"Noi siamo spendibili - ha detto riferendosi all'atteggiamento dei militari nei confronti dei riservisti - Perché dovrebbero volere che il biasimo cada su gente in servizio attivo? Vogliono che la colpa cada sulla polizia militare, sperando che tutto passi". "Beh - ha proseguito - non passerà così".

Il generale ha aggiunto che gli ufficiali dell'intelligence militare entravano e uscivano dal blocco di massima sicurezza "24 ore su 24", spesso per scortare i detenuti a un centro di interrogatori all'esterno del carcere, e per riportarli in prigione: "Erano lì alle 2 del mattino, ed erano lì alle quattro del pomeriggio". Non era certo un lavoro da impiegati, "dalle 9 alle 17", il loro, ha commentato.
(2 maggio 2004)

Fonte: repubblica.it
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Dopo le foto choc dal carcere di Abu Gharib, le inchieste Usa su torture compiute in Iraq e Afghanistan dai soldati americani "Morti 25 detenuti per torture" Il Congresso convoca Rumsfeld Il segretario alla Difesa si difende: "Non abbiamo insabbiato" Ted Kennedy: "Temo che siamo solo all'inizio"
NEW YORK - Trentacinque casi di tortura hanno portato alla morte di 25 detenuti tra Iraq e Afghanistan. E' lo scioccante bilancio fornito dai comandi americani ai giornalisti del Pentagono.
Il dato sui casi di tortura e sui morti è il frutto delle inchieste condotte a partire da dicembre nei due paesi.

Il generale Donald Ryder, responsabile dell'applicazione delle pene nel sistema penitenziario militare, ha precisato che i morti comprendono due presunti omicidi di prigionieri da parte di soldati, l'uccisione di un detenuto che tentava di scappare e dieci altri casi che sono al centro di un'inchiesta.

Ryder ha precisato che l'origine di 12 altri casi di morte tra i prigionieri resta al momento indeterminata.

Casi di torture in Afghanistan erano stati denunciati oggi dal senatore repubblicano John Warner, presidente della commissione Forze Armate del Senato, che oggi, dopo un'audizione con i generali a Capitol Hill, ha rivelato che "ci sono stati episodi del genere anche in Afghanistan. Non ci hanno detto tutto - ha continuato - ma ci hanno fatto capire che erano isolati e limitati nel numero".

Lo scandalo torture sta sconvolgendo il Congresso. I senatori hanno convocato Rumsfeld a rapporto "appena possibile". Uscendo dal briefing con il generale William Casey, vice capo di stato maggiore dell'Esercito, il senatore democratico Ted Kennedy ha detto di temere che gli abusi finora noti siano "l'inizio piuttosto che la fine" delle accuse di tortura. E a lui ha fatto eco il senatore repubblicano John McCain, lui stesso prigioniero di guerra per oltre cinque anni in Vietnam: "Siamo stati tenuti all'oscuro fino a oggi".

Un errore di valutazione che adesso il Dipartimento di Stato sta pagando assai caro. La diplomazia Usa sta cercando di contenere il danno mondiale che le foto degli abusi hanno provocato nel mondo arabo. Per gli Stati Uniti l'imbarazzo è colossale tanto da indurre Powell a rinviare la pubblicazione del rapporto sullo stato dei diritti umani nel mondo previsto inizialmente per domani.

In Iraq intanto i comandi americani hanno vietato l'uso di cappucci per i prigionieri: ad Abu Ghraib non vengono usati già da oltre un mese mentre quattro giorni fa la pratica è stata estesa al resto del paese. E' una delle misure prese nell'ambito di una revisione delle pratiche di detenzione ordinata dal generale Geoffrey Miller, l'ex comandante della base-prigione di Guantanamo, spedito adesso a Bagdad per fronteggiare la crisi.
(4 maggio 2004)

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