Perché non cada nel vuoto, perché non si dimentichi.
Storia di Andrea, “la trans di Termini” massacrata alla stazione -
La mattina del 29 luglio il suo corpo pieno di lividi e ferite è stato trovato abbandonato al binario 10.
Andrea aveva solo 28 anni. Sei giorni prima di morire ci aveva raccontato le sue paure e le sue speranze.
Nonostante tutto.
31 luglio 2013
Fonte
redattoresociale.itChissà a cosa pensava Andrea ogni notte prima di addormentarsi sopra
il suo cartone davanti alla stazione Termini di Roma. Forse pensava alla
famiglia in Colombia, a sua madre e a suo padre lasciati quattro anni
fa per trovare fortuna in Italia. Forse avrebbe voluto chiamarli, dirgli
che la vita non era esattamente come aveva sognato da bambino, quando
era ancora un maschio,
raccontargli delle botte prese, del braccio rimasto paralizzato, della gamba che si muove a fatica. O forse semplicemente sprofondava subito nel sonno. Era troppo stanca e delusa per pensare.
Certo, non immaginava di morire da sola, ammazzata a bastonate e
forse a coltellate nella stazione che era diventata la sua casa. Andrea
aveva solo 28 anni. La mattina del 29 luglio il suo corpo pieno di
lividi e ferite è stato trovato abbandonato al binario 10.
Tra i viaggiatori che ogni giorno correvano a prendere il treno alla stazione pochi facevano caso a lei. Per tutti era la trans di Termini, quella che passava le sue giornate lungo i binari o davanti all’ingresso della stazione
a raccogliere le cicche nei portacenere per racimolare un po’ di
tabacco. Un’altra disperata senza nome e senza storia che andava a
riempire le file del popolo dei senzatetto della stazione.
Non parlava con chiunque Andrea, non dava confidenza facilmente. La
maggior parte del tempo se ne stava seduta a fissare il vuoto. Oppure si
trascinava, un passo alla volta, stando attenta a non perdere
l’equilibrio, verso la pensilina dell’autobus 714 che l’avrebbe portata
alla mensa della Caritas di Colle Oppio a consumare il primo pasto della
giornata.
Quando capiva di potersi fidare, però, cambiava espressione, il suo
volto bruciato dal sole che dimostrava più anni di quelli che aveva, si
illuminava.
Così, sei giorni prima di morire ci ha raccontato la sua storia:
“La mia casa è Termini, dormo qui da quattro anni. La notte ho paura
che qualcuno mi metta le mani addosso”, ci aveva confidato. Andrea era
stata aggredita più volte, le avevano rubato il cellulare e il
passaporto. “A Ostia un ragazzo mi ha picchiata. Sono stata sette mesi
in coma”. Sul suo corpo era rimasto indelebile il ricordo di tutte le
botte e i soprusi subiti.
Avrebbe voluto trovare un lavoro ma sapeva che senza documenti, con
un braccio paralizzato e una gamba fuori uso, nessuno l’avrebbe mai
assunta. Forse è stata proprio la disperazione a spingerla in qualche
giro poco raccomandabile di droga o di prostituzione, come ipotizza la
polizia. Forse ha chiesto aiuto alle persone sbagliate.
Mentre sorrideva davanti alla telecamera e domandava ridendo se in video veniva bene, Andrea non pensava alla morte.
Non pensava di morire pochi giorni dopo con addosso la sua gonna rosa e
le sue scarpe da ginnastica. Lei pensava al futuro perché nonostante
tutto non aveva perso la speranza. “Vorrei incontrare un ragazzo con
tanti soldi che mi faccia lasciare la strada perché è troppa brutta”, ci
aveva detto. A ricordare il suo sorriso triste, la sua storia, la sua
vita, oggi ci sono solo due o tre senzatetto della stazione, i suoi
compagni di viaggio e nessun altro. (Maria Gabriella Lanza)
Fonte
redattoresociale.itQui l'intervista
video.