E’ partita ufficialmente oggi la campagna promossa dalla Consulta di Bioetica Onlus “Il buon medico non obietta”, alla quale avevamo già accennato qui.
Il buon medico è colui o colei che davanti alle necessità della paziente fa il suo bene e non oppone un veto alla sua libertà di scelta, non assume atteggiamenti paternalistici, impositivi ed evangelici, non usa un mezzo coercitivo, come l’obiezione, per fare carriera all’interno degli ospedali o per evitare un intervento che ritiene “noioso”.
Il buon medico è colui o colei che non giudica la sessualità delle pazienti, non marcia contro il diritto alla salute e non fa disinformazione.
Questo qui è lo spot prodotto dall’Associazione SCOSSE che promuove la campagna.Il buon medico è colui o colei che davanti alle necessità della paziente fa il suo bene e non oppone un veto alla sua libertà di scelta, non assume atteggiamenti paternalistici, impositivi ed evangelici, non usa un mezzo coercitivo, come l’obiezione, per fare carriera all’interno degli ospedali o per evitare un intervento che ritiene “noioso”.
Il buon medico è colui o colei che non giudica la sessualità delle pazienti, non marcia contro il diritto alla salute e non fa disinformazione.
Aied e Associazione Coscioni hanno formulato alcune richieste pratiche:
- Bandi finalizzati all’assegnazione delle ore previste per l’IVG a medici non obiettori;
- Albi regionali pubblici di medici che abbiano sollevato obiezione di coscienza;
- Possibilità per le strutture ospedaliere che forniscono il servizio di IVG di avvalersi di medici gettonati per sopperire alle carenze di medici non obiettori laddove non si riesca a garantire un equilibrato bilanciamento fra i medici strutturati obiettori e non obiettori.
Si chiede la piena applicazione della legge, si chiede di regolamentare l’obiezione, perché l’art.9 della Legge194/78
é obsoleto. Non è coscienza imporre a una donna in stato di necessità
una gravidanza, senza tener conto della sua vita, delle sue scelte, del
suo stato di salute.
La libertà di coscienza la si può
esercitare a monte, scegliendo un’altra facoltà, o vivendola nel proprio
privato, mentre si rispettano le scelte personali e di salute delle
pazienti.
Abortire in modo legale e sicuro è un
diritto ma l’80% dei medici in Italia è obiettore, quelli che non lo
sono, aiutando le donne a essere sane e consapevoli, si fanno carico di
tutto il lavoro subendo spesso un ambiente ostile.
Raccontiamo quanto sia difficile dover
interrompere una gravidanza voluta e cercata, o accettata quando
capitata per caso, con addosso il fiato dei no-choice, dei fanatici del
feto, dei fascisti, di quanto sia doloroso trovarsi di fronte alla
disumanità e alla violenza di questa falsa obiezione di coscienza.
Quanta retorica abbiamo trovato nei discorsi dei fanatici dell’embrione?
C’è chi lucra sul dolore delle donne e ha
tutto l’interesse a colpevolizzarci, perché ha trovato nella colpa un
mezzo per esercitare il proprio potere, chi fa questo non è un buon
medico, non aiuta la vita e non vuole bene alle donne.
Sappiatelo: l’aborto può essere un’esperienza non traumatica, io l’ho visto tante volte, soprattutto se attorno abbiamo persone che ci rispettano e si prendono cura di noi, senza giudicarci. C’è un gran bisogno di racconti che facciano luce su questo aspetto: l’interruzione di gravidanza può essere un evento tra gli altri, collocarsi nella nostra vita tra quelli non traumatici, non c’è bisogno di vergognarsi per questo o di chiedersi: sono sbagliata perché non voglio un figlio? Sono meno donna delle altre? Se oggi abortisco, domani non sarò una buona madre?
Quante narrazioni diverse conoscete? Mi viene in mente solo un racconto di Maeve Binchy in cui la protagonista si sposta dall’Irlanda a Londra per abortire, qui Violetta Bellocchio tenta un interessante ricapitolazione dello storytelling sull’aborto, e invita a raccontare dei buoni medici. Normalmente tendiamo a non raccontare le esperienze che hanno un basso impatto sulla nostra emotività, perché in quei casi non abbiamo bisogno di elaborare il dolore, ma le nostre storie possono essere di aiuto a chi teme inferni, stigma sociale e traumi irreparabili (ho letto documenti dei presunti centri di aiuto alla vita dove ci sono donne che dicono ad altre donne che si “sfracelleranno” dopo un aborto).
Bisogna sostenere le donne che vivono con angoscia e dolore questa
scelta, ma anche demistificare l’interruzione di gravidanza: il
terrorismo è solo uno dei modi per controllarci.Sappiatelo: l’aborto può essere un’esperienza non traumatica, io l’ho visto tante volte, soprattutto se attorno abbiamo persone che ci rispettano e si prendono cura di noi, senza giudicarci. C’è un gran bisogno di racconti che facciano luce su questo aspetto: l’interruzione di gravidanza può essere un evento tra gli altri, collocarsi nella nostra vita tra quelli non traumatici, non c’è bisogno di vergognarsi per questo o di chiedersi: sono sbagliata perché non voglio un figlio? Sono meno donna delle altre? Se oggi abortisco, domani non sarò una buona madre?
Quante narrazioni diverse conoscete? Mi viene in mente solo un racconto di Maeve Binchy in cui la protagonista si sposta dall’Irlanda a Londra per abortire, qui Violetta Bellocchio tenta un interessante ricapitolazione dello storytelling sull’aborto, e invita a raccontare dei buoni medici. Normalmente tendiamo a non raccontare le esperienze che hanno un basso impatto sulla nostra emotività, perché in quei casi non abbiamo bisogno di elaborare il dolore, ma le nostre storie possono essere di aiuto a chi teme inferni, stigma sociale e traumi irreparabili (ho letto documenti dei presunti centri di aiuto alla vita dove ci sono donne che dicono ad altre donne che si “sfracelleranno” dopo un aborto).
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Da fas
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