Interloquivo con l’Aied su twitter, si parlava di violenza, a seguito della bella iniziativa #noviolenza promossa da loro in questi giorni. Così, sollecitata, ho lasciato questo commento sul loro blog:
La maggior parte degli interventi cita già tutte le cose che si potrebbero fare per arginare, almeno, i fenomeni di stalking e femminicidio, ma come dicevo su twitter, c’è qualcosa che io stessa ho appreso solo negli ultimi anni, cioè che la prima forma di violenza con la quale veniamo in contatto è quella che si trova nei nostri piatti fin da bambine/i, è da lì che apprendiamo la possibilità di sottomettere, usare e uccidere. Oggi, per me, non può esistere un discorso contro la violenza che non prenda in considerazione il legame che esite tra questa (dis)educazione alimentare incentrata sul dolore e sulla sottomissione, e quella che si esercita contro il più debole del gruppo, che chiamiamo bullismo, e contro le donne, che chiamiamo maschilismo, o contro gli stranieri e chi ha la pelle di colore diverso, che chiamiamo razzismo. Solo un discorso radicale, che parta dall’origine, può portare allo smantellamento del sistema, perché è il sistema intero di disvalori che va smantellato, altrimenti i corsi di educazione all’affettvità e le campagne contro il femminicidio intaccheranno sempre e solo la superficie delle cose.
La rimozione di quella violenza, grazie alle confezioni colorate nei supermercati, non è diversa dall’uso del corpo femminile erotizzato alla televisione, e la rezione di
maschilisti e sessisti alle denuncie del femminismo, l’attacco violento contro le donne, è incredibilmente simile a quello che si ottiene parlando pubblicamente della violenza contro gli animali. Non è casuale.
Lo specismo è una chiave di lettura del sessismo, come del razzismo, piuttosto rivelatrice.
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