Sulla sentenza per lo stupro di Montalto di Castro, sulla lotta
delle donne, sul bambino di Rosy che sarà dato in adozione….ovvero
sull’antisessismo sessista.
E’ stata emessa la sentenza per gli otto ragazzi, all’epoca dei
fatti minorenni, rei confessi, che sei anni fa hanno stuprato in gruppo
una ragazza di quattordici anni in una pineta di Montalto di Castro a
margine di una festa di compleanno.
Il tribunale dei minori di Roma, presieduto da Debora Tripiccioni,
che lo scorso gennaio aveva sospeso il processo giunto al termine della
fase dibattimentale e nella quale il PM aveva chiesto quattro anni per
ciascuno dei ragazzi, ha decretato che gli stupratori saranno sottoposti
al regime della messa in prova per 24 mesi. Svolgeranno cioè lavori
socialmente utili due volte alla settimana e potranno continuare a
studiare e a lavorare e a condurre normalmente la loro vita.
Alla fine di questo periodo e in base al giudizio che sul loro
comportamento sarà dato dagli assistenti sociali e dal giudice delegato a
seguire i loro progressi, potranno anche ottenere la dichiarazione di
estinzione del reato loro contestato. Quello di violenza sessuale di
gruppo per aver stuprato a turno una loro coetanea.
Questo è quanto riportato in maniera scarna dai media ed è la fine
di una storia di grande violenza e non solo per quello che hanno fatto
alla ragazza i suoi coetanei, ma per quello che le ha fatto il paese in
cui abitava, Montalto di Castro, attraverso l’atteggiamento ipocrita e
sessista, minimizzando il tutto come “bravata”, dicendo che lei se l’è
cercata perché indossava la minigonna e attraverso il sindaco PD, zio di
uno degli otto, che si è dichiarato pronto a stanziare dei soldi per il
reinserimento dei ragazzi e neanche un euro per lei.
E’ stata costretta ad andare via dal paese, a vivere in un’altra
città, a prendere coscienza a soli quattordici anni dell’orrore di
questa società, di cui la sentenza dell’11 luglio scorso non è che
l’atto esemplare.
La così detta “giustizia” di questa
società non ci appartiene, né i suoi tribunali, né le sue carceri e non
ci appartiene chiedere condanne esemplari per nessuno, ma le sentenze
che i tribunali esprimono sono una cartina di tornasole della gerarchia
dei valori di questo sistema patriarcale e capitalista, della sua
struttura portante e dei suoi metri di giudizio:
-quindici anni di reclusione per “devastazione e saccheggio” a chi ha
manifestato al G8 di Genova nel 2001 e sei anni per chi ha manifestato
il 15 ottobre 2011 a Roma……
-tre anni e sei mesi per i poliziotti, tra cui anche una donna, che hanno ucciso Federico
Aldrovandi e nessuna condanna per chi ha ucciso Stefano Cucchi, Carlo Giuliani, Giuseppe Uva….
-mesi di galera per chi ruba al supermercato, venti anni per chi rapina una banca…..
La gerarchia di valori che esprime questo elenco significa che al
primo posto della pericolosità sociale sta chi manifesta dissenso
politico o semplicemente alterità nei confronti di questa società
perché basta solo la partecipazione ad una manifestazione per subire
pesanti condanne.
Sullo stesso piano c’è la tutela della proprietà privata. Anche un
paio di magliette rubate all’Oviesse sono costate ad una ragazza la
traduzione in cella di sicurezza nella caserma del Quadraro qui a Roma e
lo stupro di gruppo da parte di tre carabinieri e un vigile urbano ( a
proposito, che fine hanno fatto costoro? C’è uno straccio di processo o
non è dato sapere?).
Non parliamo, poi, se qualcuno/a osa rubare dei cibi , qualche
salame o qualche formaggio dagli scaffali di un supermercato. Le patrie
galere sono piene di gente detenuta per reati così.
Le istituzioni in divisa hanno una totale impunità, tanto che questo è
chiaramente un benefit per il loro “lavoro”, come qualcuna/o si ostina
ancora a chiamarlo, come per un impiegato sono i buoni pasto.
La società neoliberista ha annullato il valore della vita umana,
perché anche la vita degli individui è considerata una merce, ha senso
solo se può essere in qualche modo e fino a quando fornisce possibilità
di profitto.
Quindi, giù, giù, nella scala dei valori troviamo l‘uso di un corpo, il suo abuso , la sua eliminazione.
Perché questo nullo e/o bassissimo valore dell’essere umano che
impregna l’impostazione socio-economica della società dovrebbe trovare
una risposta diversa quando si tratta di una donna o della violenza che
subisce?
Il neoliberismo è la configurazione attuale del capitalismo e del
patriarcato e, come ogni configurazione ha i suoi modi particolari di
esprimersi.
Uno di questi è la strumentalizzazione della violenza sulle donne, sulle diversità e dei diritti umani.
Per cui, da una parte sbandiera attenzione e riprovazione nei
confronti di questi aspetti e approva convenzioni, come quella di
Istanbul, propone Task Force, spende parole e convegni, crea
associazioni, ma fondamentalmente, dall’altra, lo scopo è creare
controllo sociale, leggi securitarie, inasprimento delle pene e
strumenti di asservimento.
Così può militarizzare il territorio qui da noi e portare le guerre neocoloniali nel terzo mondo.
Mai vista una società tanto ipocrita e mistificante dove regna
l’antirazzismo razzista, l’antisessismo sessista, la carità pelosa e il
devastante “politicamente corretto”.
Il bambino di Rosy, la ragazza uccisa pochi giorni fa dal compagno a
casa dei genitori dove si era rifugiata, sarà dato in adozione perché i
nonni sono stati giudicati troppo poveri per mantenerlo. Anche la
povertà è una condanna. Se non sei capace di mantenere tuo nipote, vuol
dire che sei un inetto/a e ti sarà portato via. L’idea di dare del
denaro direttamente ai nonni perché possano mantenere il bambino viene
da questa società considerata “immorale”: non si danno dei soldi a chi
non è in grado di guadagnarseli.
Una società che sbandiera tanta attenzione ai minori da multare,
denunciare, privare della potestà chi viene sorpreso ad elemosinare con i
figli/e per strada e tanto violenta da recidere affetti e legami
familiari con una freddezza nazista.
Che cosa significa tutto questo per noi che vogliamo lottare contro la violenza maschile sulle donne?
Significa non farsi irretire dalle manifestazioni di attenzione del
potere, non farsi strumentalizzare, ribadire una distanza incolmabile.
La nostra liberazione passa attraverso l’autodifesa,
l’autorganizzazione, il rifiuto della delega, la presa in carico della
lotta, la creazione di luoghi di donne e di reti di donne in autonomia
consapevoli della necessità dell’uscita da questa società.
Le coordinamenta
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