mercoledì 12 dicembre 2012

Aborto: non importa ciò che scegli, non sei una persona cattiva

Mentre navigavo tra i tumblr sono capitata su questo post, scritto da una giovane donna che racconta del proprio aborto. Ha 23 anni studia per diventare assistente legale, è anche moglie e già madre di una bambina di due anni. Il suo scritto mi è sembrato interessante perchè è onesto e chiaro. Mi sembra anche una di quelle testimonianze che dimostrano quanto la presunta Sindrome post-aborto, non sia affatto una vera sindrome ma una questione del tutto personale. Il tumblr si chiama One at a time, la versione originale di questo scritto si trova a questo indirizzo t0ddlersteps.tumblr.com e in fondo a questo post.
Scusate se la traduzione non è perfetta.

ph google

La storia del mio aborto

Dunque, ho sentito un sacco di gente smerdare chi ha avuto un aborto. Mi piacerebbe molto mettere le cose in chiaro. Sono sposata, ho 23 anni, e ho una bambina di 2 anni. Due mesi fa, ho avuto un aborto. Ero di circa 6-7 settimane. Non me ne pento, e questo non fa di me una persona cattiva. Non voglio un altro bambino. Mio marito ed io non abbiamo fatto molta attenzione durante il sesso. L'ho scoperto [di essere incinta] il giorno in cui ho ripreso il college, riuscivo solo a piangere e piangere. Ho detto a mio marito che o lo facevo o mi sarei uccisa. Mi è stato di grande aiuto.

La procedura è stata difficile. Sono stata sveglia tutto il tempo. Mi hanno dato un solo calmante, quindi è stato incredibilmente doloroso. Il mio medico è stato gentile, molto premuroso. Accidentalmente ho visto il feto nell'ecografia (obbligatoria nella mia zona). Nemmeno in quel momento mi sono sentita in colpa. Un infermiera mi ha tenuto la mano durante la procedura, parlandomi della scuola, di mia figlia. L'unica parte della procedura che in realtà è stata dolorosa è stata quella dell'aspirazione, che però è durata solo ... direi circa 5 minuti. In seguito mi sono sentita molto depressa, per lungo tempo, a causa della fluttuazione ormonale, ma ancora non ho sentito nessun senso di colpa.

Dopo la procedura ho avuto dei crampi intensi per, forse, 10 o15 minuti, mio padre mi è venuto a prendere e sono tornata a casa, ho fatto un test per la scuola, sono andata a lezione, quella sera stessa ho ripreso la mia vita normalmente.

Sono così felice di aver potuto eseguire questa procedura, anche se mi costerà 300 dollari. Di tanto in tanto penso "e se?", sono certa che sia normale. Rimarrà con me per sempre, ma ho dovuto prendere questa decisione per me, per la mia famiglia, per lo studio in vista del lavoro e della mia futura carriera, per il nostro reddito, e anche per il potenziale bambino. Non potevo finanziariamente o mentalmente prendermi cura di un altro figlio in questo momento. E va bene così, perché io sono una buona madre con la figlia che ho già fatto.

Sono qui per ascoltare chiunque debba affrontare i dubbi sulla decisione di abortire, chiunque voglia seguire la via dell'adozione o voglia avere un figlio. Tutte queste opzioni sono difficili, e, in definitiva, solo tu puoi fare questa scelta per te. Non importa ciò che scegli, non sei una persona cattiva.


My Abortion Story

lunedì 10 dicembre 2012

Tea reading con Slavina a Napoli l'11 dicembre


Ore 19.00 alloSka Tea reading con Slavina a Napoli l'11 dicembre.

Slavina riporta a Napoli il suo libro di racconti erotici, per ragazze sole o male accompagnate.
108 pagine attraverso le quali scopriamo l'educazione sessuale e sentimentale di Selma: un po' della sua fica e del suo cuore.  Se questo fosse un mondo fatto per essere felici, i teneri, onesti ed eccitanti racconti di Slavina sbancherebbero le classifiche al posto delle merda-fanfiction di Twilight spacciate per eros, spacciate per desiderio femminile, spacciate per letteratura. E' per riequilibrare un po' le cose, allora, che domani si va allo Ska a parlare di erotismo e post-porno.

Altro qui.

sabato 8 dicembre 2012

Il cuore della notizia: la retorica sulla prostituzione

Statistical beauty – study
image sergioalbiac.com
I due articoli riportano la stessa storia, quella di una sex worker di Pescara, che lavora con il soprannome di Francesca. Francesca ha chiesto ai carabinieri la cortesia di proteggere la sua privacy, perché in famiglia nessuno è a conoscenza di questa attività, ma risponde ad alcune domande, raccontando qualcosa di sé.
Gli elementi del racconto riportato dagli articoli, però, lo rendono in questo caso abbastanza retorico: una madre, la crisi, le difficoltà economiche che spingono a scelte difficili e diversi comprimari uomini: il marito ignaro, i clienti ricchi, un losco fruttivendolo che spinge le donne alla prostituzione. Infatti lei è moglie di un imprenditore, entrambi abituati a un tenore di vita alto, subiti i colpi della crisi, sceglie di prostituirsi per far fronte a certi debiti e garantire ancora condizioni di vita agiate alla propria famiglia. Si organizza con delle foto, degli annunci su internet e un secondo numero di cellulare, solo per i clienti. Dice di non ricevere più di due clienti al giorno, che di solito si fa pagare sui 100 euro e che, a fine mese, riesce ad arrivare anche a 7000 euro. Non manca di alludere alla difficoltà di accettare se stessa in veste di prostituta, riferisce di essere stata da uno psicologo, ma oggi, dice, quasi non deve nemmeno toccarli i clienti, tutti uomini comunque facoltosi che spesso le chiedono di essere sottomessi. Francesca racconta anche che, come lei, ce ne sono tante di donne che guadagnano così.

Cerco di capire il cuore della notizia qual è: sarebbe che oggi a causa della crisi le donne, anche quelle perbene, sono costrette a prostituirsi per garantirsi la sopravvivenza.
A me sembra però che ci sia qualcosa di sbagliato, questa donna, stando al racconto riportanto negli articoli, non si garantisce la sopravvivenza, si è pagata dei debiti e il mutuo certo, ma 7000 euro al mese rappresentano un introito superiore a quello che, mediamente, possiamo considerare di sopravvivenza, considerando come standard la pensione minima di vecchiaia. Infatti Francesca ci dice che in famiglia hanno sempre avuto un tenore di vita alto e si prostituisce per continuare ad averlo. Quindi, di cosa parliamo? Un altro dato che nontorna è la difficoltà psicologica di questa donna, gli articoli cercanod i farci credere che sia una grande sofferenza questa, il rimando è chiaramente alla tragedia della prostituzione (molto simile alla tragedia dell’aborto). L’accenno alle sedute di psicoterapia è un dato che serve a chi scrive per sostenere la difficoltà di essere oggetto sessuale. La famosa scissione mente-corpo, che esiste ed è reale, certo, ma che evidentemente non appartiene a tutte le persone che fanno questo lavoro e non allo stesso modo, dato che a Francesca sono bastate poche sedute per ‘ricomporsi’, possiamo considerarla piuttosto resiliente, mi sembra. Anche perché asseconda una tendenza del mercato che le permette di guadagnare senza essere eccessivamente coinvolta fisicamente, la dominazione. In più Francesca ha una clientela che, in base a ciò che sappiamo, possiamo definire esclusiva: politici, imprenditori, uomini ricchi che spendono i loro soldi per farsi umiliare un po’. Potremmo ipotizzare una sorta di compensazione psicologica per tutte le parti in gioco?
Il cuore della notizia è quindi un altro e si trova tra le righe. La notizia è che dei carabinieri hanno fatto irruzione in un luogo di lavoro, dove si svolgono incontri di lavoro, tra persone adulte e consenzienti. Hanno portato via una donna che, nella difficile condizione in cui la mette la legge Merlin, deve chiedere per favore di non essere esposta al pubblico ludibrio, dato che invece di andare a pulire cessi per il necessario, ha pensato di fare un lavoro somatico, cioè scambiare prestazioni sessuali o comunque intime per guadagnare molto, e così è stato.
Francesca non è la straniera che arriva in Italia credendo di trovare lavoro come badante, ma finisce in mano alle mafie, lei ce lo dice chiaramente che pulire i culi ai vecchi non le piacerebbe, in fondo non sembra andarle troppo stretto questo lavoro, magari smetterà o continuerà, questo riguarda solo lei, riesce persino a conciliare con la famiglia.
Si tratta della costruzione di un’immaginario vittimizzante, anche dove è evidente la discordanza con il racconto. Nel discorso sulla prostituzione esiste una retorica molto simile a quella sull’aborto, per la quale alla strega corrisponde la puttana e alla donna distrutta dall’aborto corrisponde la vittima della prostituzione coatta. Fermo restando che esistono sia donne distrutte dall’aborto che vittime di prostituzione coatta.
Si tratta, poi, della ricattabilità (quella per cui puoi trovarti in una caserma o in un cie e ti stuprano) di chi risponde autonomamente alle domande della vita, in uno Stato repressivo, che non ha minimamente a cuore il benessere né delle donne né di altr* sogget*, perché qui non si tratta di decidere se Francesca poteva scegliere diversamente, se Francesca e la sua famiglia se la possono cavare con 1000 euro o con 500, quello è moralismo, qui si tratta di libertà di scelta.

Da fas

sabato 1 dicembre 2012

Giornata Mondiale per la lotta all’AIDS 2012


Giornata mondiale per la lotta all’AIDS
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Negli utltimi anni le campagne di informazione sulla trasmissione dell’HIV sono state scarse e poco incisive, caratterizzate dalla censura e dall’omertà, dettate dalla doppia morale italica, riguardo la sessualità e la parola preservativo.
Recentemente ho partecipato all’iniziativa di LILA. Non ero molto convinta del comunicato con cui si chiedeva alle persone di donare, tramite sms, uno spicciolo. Non ero convinta per molti motivi. Perché l’AIDS alla fine ce lo becchiamo tutte e tutti, non solo le donne. Alla fine il preservativo, se lo mettono gli uomini, anche alcune donne, il preservativo femminile, certo, ma quante? Pochissime, perché costoso e perché c’è bisogno di quella confidenza con la propria vagina, che non tutte hanno, spesso nemmeno per una questione di età, ma per pudore e vergogna indotte verso se stesse. Non ero convinta del tutto ma, poiché tendo a cogliere tutte le occasioni, ho partecipato a modo mio.
C’è DUREX che fa promozione costante e, per quanto si possa essere critici verso le aziende, non si può che dire grazie a DUREX, almeno tu ce lo dici che dobbiamo usare i preservativi quando vogliamo amare, godere e stare bene. Su facebook c’è la nuova campagna DUREX-ANLAIDS.
Mentre il mondo religioso cattolico si distingue sempre per la propria incapacità di essere realmente vicino alle persone. Il ministero della salute dice che nel 2011 sono stati diagnosticati 5,8 nuovi casi di HIV positività ogni 100.000 residenti. L’incidenza più bassa è stata osservata in Calabria e quella più alta in Valle d’Aosta. Il 75% delle persone ammalate è di sesso maschile, con un aumento rispetto al 2001 del triplo rispetto alle persone di sesso femminile. In base a ciò continuo a pensare che indirizzare esclusivamente alle donne una campagna di sensibilizzazione e quindi di responsabilizzazione, non sia utile alla causa. Ma sempre Lila sostiene che le donne «hanno scarso potere di imporre il preservativo prima di un rapporto sessuale».
E’ vero, capita di frequente che non si riesca ad ottenere l’uso del condom, anche quando lo si chiede con insistenza.
Allora di più bisogna insistere con gli uomini: non siete immuni dalle malattie, ve le beccate pure voi.
Nel 2011 i rapporti sessuali non protetti sono stati il 78,8% delle volte la causa di infezione, il 45,6% delle volte si tratta di rapporti eterosessuali.
Qui il documento completo dell’Istituto superiore della sanità.
Quest’anno il Ministero della Sanità ha realizzato una nuova campagna per i media, intitolata ‘La trasmissione sarà interrotta il prima possibile’, che da oggi coprirà tutto il mese di dicembre e parte del 2013.
Si possono muovere diverse critiche allo spot, al modo in cui viene veicolato il messaggio, ma finalmente mostra e nomina il preservativo maschile anche se solo dopo l’intervento di LILA! Come riporta questo articolo.
Qui sotto ci sono dei video sull’uso del condom maschile…

…e di quello femminile.


Il modo migliore per avere rapporti sessuali orali, genitali e anali, e non ammalarsi è usare i preservativi. Se avete rapporti a rischio, cioè senza profilattici (preservativi o le dental dams per i rapporti orali bocca-vagina), e temete di aver contratto l’HIV o siete sieropositivi, fate il test dell’HIV.
Non vi fate scoraggiare da quelli che vi trattano male, può capitare che le donne, di tutte le età, subiscano un vero e proprio terzo grado da parte di chi effettua il test. Purtroppo questo paese non ci vuole libere né di amare né di curarci.
Abbiate cura di voi e nel dubbio fate il test dell’HIV.

Da fas

domenica 25 novembre 2012

Violenza sulle donne è, per me, tutto ciò che non ci permette di esprimerci come esseri umani liberi

Le donne, quelle nate femmine e no.
Pochi giorni fa ho scritto questi appunti sulla violenza di genere.
Ciò che oggi mi preme non sono i nomi delle vittime di femminicidio, non sono i casi di discriminazione sul lavoro, non sono i casi di stupro, non sono le pubblicità offensive, per la nostra intelligenza prima che, della nostra dignità. Ogni nostro blog tratta di questo. Oggi mi preoccupano le parole che restano tali, quelle che servono a muovere rabbia, che poi viene sedata dai manganelli. Parole alle quali non corrisponderà cambiamento.
Niente cortei di morte ammazzate per me oggi. Non li reggo più.
Io voglio che le cose cambino, non che ci ritroviamo l'anno prossimo a fare un'altra conta.
Abbiamo bisogno di cambiare la nostra cultura, radicalmente, dalle fondamenta.
L'educazione alla parità deve entrare nei programmi scolastici dalla prima infanzia.
L'educazione sessuale, fatta di informazioni necessarie a restare sani e ad esprimere i nostri corpi e nostri desideri naturali, deve entrare nelle scuole.
Abbiamo bisogno di reddito per non dover mai mettere nelle mani di nessuno la nostra vita.
Dipendere significa morire.
L'aborto dev'essere libero e garantito.
La contraccezione sempre disponibile.
Fuori gli obiettori dai nostri uteri.
La maternità dev'essere libera e garantita.
Tutte le tecniche per eliminare il dolore del parto e per procreare in sicurezza devono essere garantite.
Dobbiamo poterci spostare nel paese e fuori dal paese senza essere criminalizzate.
I CIE vanno chiusi immediatamente.
La prostituzione è un altro tipo di contratto che le donne fanno con gli uomini, la risposta speculare al contratto di matrimonio. Va depenalizzata e le prostitute vanno tutelate come si tutelano le mogli e i lavoratori.
Senza patriarcato e senza discriminazione non avremo bisogno di un contratto che medi il possesso delle nostre vite. Prima distruggeremo il patriarcato prima saremo liberi e libere di vivere i nostri affetti e di esprimere i nostri desideri.

L'AIED SUPPORTA LA GIORNATA INTERNAZIONALE CONTRO LA VIOLENZA SULLE DONNE

Ricevo e condivido

Il 25 novembre è la giornata internazionale contro la violenza sulle donne e l'AIED (Associazione Italiana per l'Educazione Demografica) esprimere pieno supporto all'iniziativa.

Nel mondo oltre 600 milioni di donne subiscono violenze fisiche e sessuali. Nel nostro Paese sono sette milioni le italiane, che almeno una volta nella vita, sono state vittime di violenze, per non parlare poi del fenomeno del femminicidio.

Si calcola, a questo proposito, che dall’inizio del corrente anno siano state uccise per mano del marito o ex marito, o dal partner o ex partner, oltre 100 donne.

La violenza sulle donne è un problema complesso, che ha radici profonde,  e non c’è epoca nella vita femminile che possa dirsi esente da questo rischio.

L'AIED  crede sia fondamentale intervenire nell'educazione fin dalla giovane età, insegnare il rispetto di genere, sensibilizzare e creare consapevolezza.

L'obiettivo dell'AIED è smontare gli stereotipi, ridiscutere l'immagine maschile e femminile così come oggi proposta, avviare appropriati programmi di educazione sessuale nelle scuole.
Infatti, se non si lavora con i giovani, sarà difficile smontare le dinamiche distruttive interne ed esterne che minano la possibilità di vivere la propria dimensione sessuale con soddisfazione e serenità, e creando una relazione costruttiva tra uomo e donna.

L’AIED di Roma invita le donne e gli uomini che afferiscono ai propri consultori ad aderire alla giornata internazionale contro la violenza sulle donne e dare la propria adesione all’APPELLO lanciato da NO MORE!, inviando un messaggio all’indirizzo convenzioneantiviolenza@gmail.com e partecipare al Blog
convenzioneantiviolenzanomore.blogspot.it

giovedì 22 novembre 2012

'C'è chi dice no, dalla leva all'aborto' a Bologna

Giovedì 29 novembre 2012 ore 18.30  

Questo libro parla di libertà. Libertà desiderata, ottenuta al prezzo della sua stessa negazione. Libertà violate nell’intimo delle nostre vite. Questo libro parla di coscienza. E di obiezione di coscienza. Parla di coloro che disobbedendo alla guerra hanno ottenuto il servizio civile. Parla di coloro che, invece, dell’obiezione di coscienza ne fanno un uso ipocrita e ingiusto, rendendola strumento per vietare le altrui libertà. Parla dei medici che si rifiutano di eseguire le interruzioni volontarie di gr
avidanza, non garantendo un servizio che per legge, la 194, dovrebbe essere sempre alla portata di ogni donna.
Questo libro parla di donne e uomini, e delle storie dei loro corpi. Per ricordare che dietro l’obiezione di coscienza ci sono cose ben più importanti, come i nostri diritti alla salute e all’autodeterminazione.

In Italia, complici il movimento per la vita e la morale cattolica dominante, le percentuali di ginecologi obiettori negli ospedali pubblici sono in pericoloso aumento. In alcune regioni, Puglia Campania Lazio Veneto, sfiorano punte dell’80\90%.
Eppure il punto della legge 194 non è diffondere la cultura della vita, ma garantire a noi tutte salute e libera a scelta a fronte di una decisione impegnativa, ma sempre personale, come la riproduzione.
Oggi le nostre libertà vanno difese dall’arroganza di chi crede di avere una morale valida per tutt@. Per questo vogliamo il movimento per la vita fuori dai consultori e gli obiettori fuori dagli ospedali pubblici.

Sarà presente l’autrice Chiara Lalli.

Chiara Lalli è autrice di “Libertà procreativa”, “Dilemmi della bioetica” , “Buoni genitori. Storie di mamme e di papà gay” e “C’è chi dice no. Dalla leva all’aborto. Come cambia l’obiezione di coscienza”.
Fonte: facebook

sabato 17 novembre 2012

Violenza di genere: la violenza degli uomini


“Trans Manicure” from the series Perceptual Beauty (photo and video works) © Michelle Marie Murphy 2011
Alcuni miei pensieri riguardanti la violenza degli uomini sulle donne, sono sparsi in diverse e-mail giunte in lista, li ho scritti in tempi diversi. Sono frammenti di una riflessione sempre in corso, che non pretende di essere né definitiva né risolutoria. Ovviamente per me esistono dei punti fermi, come esistono per altre persone, ma ho imparato che il punto fermo, centrale in un contesto, può collocarsi al margine dell’area attorno a un altro punto fermo, fino a creare un disegno molto grande e complesso. Mi sorprende non poco chi guarda a questi disegni parlando di semplificazioni, lo trovo errato. Dunque.
In una mail di luglio 2012, per spiegare in che modo la violenza sulle donne (la violenza di genere – che non è solo lo stupro o il femminicidio) riguarda tutti gli uomini, scrivevo:
Sono antirazzista, ma sono bianca e sono occidentale, pur non essendo direttamente razzista io non posso negare che, quando gli altri mi vedono accanto a una donna nera, “brillo” e lei no. E’ questo credo il discorso. Brillo perché ho una serie di risonanze falsamente “positive” agli occhi di una cultura razzista, mentre lei che è nera, invece, ha risonanze negative. Ora, anche se io non la discrimino, non posso non tenere conto del fatto che lei, rispetto a me, viene percepita, a prima vista, come una “zulù”, pure se è una docente universitaria di fisica, parla otto lingue e ha formulato una teoria che cambierà la scienza, mentre io tutte queste cose non le sono e non le faccio, però “brillo”. E non posso evitare di assumermi la responsabilità culturale (che determina anche la realtà sociale) di questa discriminazione razziale, per cui né io né lei veniamo percepite correttamente. Anche se io direttamente non la chiamo “negra”, quando qualcuno uguale a me (bianco occidentale) lo fa, riguarda anche me. Suppongo che questo sia il discorso anche per gli uomini e il maschilismo, quindi se qualcuno dice: gli italiani sono razzisti e devono fare i conti con questa realtà, certamente generalizza e comprende anche me che razzista cerco di non esserlo, ma condividendo la cultura italiana, mio malgrado perché in una cultura ci nasci per caso, anche io faccio parte di quella cultura e devo considerare quel razzismo. Poi i discorsi si articolano, ma non la sento una cosa tanto sbagliata o offensiva. Anche perché se io mi metto assieme a una persona di origini africane, indipendentemente da ciò che fa o è, verrò percepita come una persona “sporca”, che se la fa con le “bestie”.
Questo frammento a mio parere è ancora valido. Il parallelismo tra razzismo e maschilismo è molto chiaro. Io, bianca occidentale, sono immagine del razzismo, anche quando non agisco in modo razzista, e partecipo quindi alla cultura razzista. Allo stesso modo ogni uomo è immagine del maschilismo, anche quando non è maschilista, e partecipa alla cultura maschilista.
La violenza sulle donne (considero donne tutti i soggetti che in questa identità si riconoscono o vengono incasellate in questa identità) o la violenza di genere è un fatto culturale, legato ad una cultura patriarcale espressa dagli uomini  per lunghissimo tempo e ancora attivissima.
Questa è la riflessione ‘base’.
Domanda. Bisogna ribadire questa cosa, ogni volta che si tenta di parlare delle violenze agite dagli altri generi?
C’è chi ritiene necessario farlo, sembra che ci sia bisogno di un linguaggio esplicito, molto didascalico, per poter parlare di violenza attraverso un blog che raccoglie centinaia di post in cui la questione viene analizzata fino all’osso. In ragione del fatto che il patriarcato e il maschilismo si servono di ogni strumento per negare la violenza sulle donne. Può darsi che serva, forse c’è lungimiranza in questa posizione. Ma non dipende anche dal contesto? Non è necessario valutare, complessivamente, il luogo in cui una riflessione si trova, per capire che non si ‘ridimensiona’, ‘rivaluta’, ‘revisiona’ la violenza degli uomini sulle donne, trattando delle altre violenze che da quel sistema derivano? Se da quel sistema derivano?
Quando parlo di queste cose, non ho nessun timore di essere considerata ‘misandrica’, termine che mi fa addirittura sorridere, e che per me è paragonabile a ‘nazifemministe’, due minchionate. Diversamente le accuse di revisionismo e di maternalismo – o di non avere un’impostazione etica (come se esistesse un’unica etica) – mi offendono, offendono cioè la mia intelligenza. Ma fino a un certo punto, poi mando a quel paese chi mi offende ripetutamente e via, ma resta che il discorso è bloccato.
Non ho mai pensato che la violenza agita dagli uomini potesse essere scomparsa o messa in discussione, la disparità di potere economico, politico, sociale, culturale, degli uomini rispetto alle donne è ancora talmente grave che non ci si può confondere – ad esempio io guardo con grandissimo sospetto a tutti gli uomini che mi voglio salvare da me stessa -, nemmeno quando si tratta di parlare di un uomo che è stato preso a padellate dalla compagna, e merita di essere ascoltato, ho timori. Peraltro, è vero che le donne agiscono da ‘guardiane’ con le altre donne, ma non solo, ci sono donne che coscientemente, volontariamente, usano gli stessi strumenti degli uomini patriarcali, presi direttamente dall’arsenale del patriarcato, per dominare donne e uomini. Sono donne-uomo?
E’ connaturato al mio modo d’essere femminista (modo d’essere in costante centramento ovviamente) non essere contro i maschi, non ho bisogno di ribadirlo. Cioè tutto ciò che non ritorna sulla definizione di violenza degli uomini, non è in contrapposizione con essa. Non è un piacere o una cortesia che faccio al fallo guardare male l’espressione violenza maschile, la rifiuto come rifiuto la definizione di ‘mestieri femminili’, ‘attitudine femminile’ intesi come connaturati al mio sesso biologico. E’ una questione fondamentale, che fonda il mio pensiero, non attribuire alla biologia un ruolo determinante nelle dinamiche di genere. Perché quella impostazione, il maschio è cattivo per natura e la femmina buona (vittima) per natura, non solo mi ristabilisce un paradigma patriarcale, mi fa perdere ampie fette di riflessione che, invece, mi possono aiutare a capire come si sviluppa la violenza di genere e come posso contrastarla.
Il discorso sull’uomo, come soggetto culturale, è quindi diverso dal discorso sul maschio, deve essere chiaro. Perché serve a me, alla mia possibilità di capire, prima che al maschio. E non è vero che tra maschio e uomo non c’è confusione, la confusione, la deriva di questa confusione (o la finalità, dovuta ai fascismi che si trovano nella lotta alla violenza sulle donne e sui bambini) sono, per esempio, i metodi di castrazione per i pedofili sbandierati come soluzione a quel tipo di violenza – sia chiaro non sto mettendo sullo stesso piano la pedofilia femminile, che ha una casistica inferiore – perché, se il problema è nel maschio, nei suoi attributi, allora come me la spieghi la pedofilia nella femmina? Cosa castri alle donne, la clitoride?
La definizione di violenza di genere, quella dell’ONU (La violenza di genere è “uno dei meccanismi sociali decisivi che costringono le donne a una posizione subordinata agli uomini”), non parla appunto di maschi ma di uomini.
L’intervento di E. in lista è molto importante perché amplia il discorso e, in questo ampliamento, aggiungendo complessità, ci permette di guardare meglio una dinamica che, sebbene sia stata espressa per lungo tempo nella coppia eterosessuale, uomo-donna, perché era l’unica coppia possibile, evidentemente non è una sua esclusiva, ma appartiene a un sistema appunto, che si ricrea in continuazione e al quale si può partecipare a prescindere dal sesso biologico.
La violenza all’interno delle coppie lesbiche non sembra essere diversa, ci dice E., da quella nelle coppie etero. In una coppia lesbica il pene fisicamente non c’è.
Tra le altre cose, anche io penso che un concetto di coppia in cui l’esclusività sia colonna portante, dove cioè il possesso dell’altr* è fondamentale, rappresenti il luogo in cui questa dinamica maggiormente si espliciti. In base a ciò considero la cultura patriarcale, che avvantaggia sicuramente gli uomini (ma nel contempo toglie loro libertà), non esclusiva del maschio. Senza temere che questo mi metta in discussione la violenza degli uomini sulle donne.
Dato che oggi ci troviamo a confrontarci con altre forme di relazione e una pluralità di generi espressi a partire comunque da due soli sessi biologici, parlare di violenza maschile, fotografa sicuramente la realtà mediatica, funzionale ai discorsi autoritari, ma non la realtà tutta.
Chiunque assuma la posizione dell’uomo, nel sistema di dominio patriarcale, non agisce forse la stessa la violenza che, comunemente ed erroneamente, viene detta ‘maschile’, e colpisce chiunque assuma la posizione della donna (cioè di non-uomo)?
Questo non assolve nessuno, aggrava la posizione di tutt*.
Spero di avervi rassicurat* abbastanza.

Da fas

martedì 13 novembre 2012

Liberare le donne, per liberare gli uomini

Racconti di paternità. Sono sempre più frequenti, alcuni sereni, altri meno sereni. Se le esperienze non possono essere tutte uguali, una cosa accomuna spesso questi racconti e cioè la dimensione della scoperta. La scoperta di poter instaurare con figlie e figli relazioni di intimità, complicità e amore che con i propri padri o non ci sono state o sono state lacunose, la voglia di esprimere una maschilità diversa, che vuole viversi appieno l'esperienza della genitorialità, senza l'esclusione del materno, ma nella parità.

Per me è un mondo sconosciuto, che ascolto volentieri, perché sono convinta, come dice il titolo di questo post, il quale riprende la chiusa di uno scritto che più giù andrò a linkare, che liberare le donne dai ruoli imposti significhi liberare anche gli uomini dai loro, e che tutt* ci guadagneremo.

Tra ieri e oggi ho incrociato tre racconti  di paternità, oltre ad altri letti in passato, che hanno quello stupore della scoperta che tanto mi incuriosisce, forse non sono perfetti, forse c'è tanto da fare, soprattutto a livello culturale e sociale, ma sono molto interessanti.
Sono interessanti alla luce, soprattutto, di alcune immaginette che mi sono saltate sotto al naso in occasione delle elezioni americane, dove le donne hanno avuto un ruolo determinante. Sono quelle che vedete nel post, dal meme: Suffragette Madonna, prodotte dal movimento anti-suffragette. Si tratta di cartoline ad alta diffusione dal doppio messaggio: se le donne avranno il diritto di voto, uomini, vi dovrete occupare di cose che non vi competono e che sono inferiori, e donne lascete i vostri lavori per occuparvi di cose che non vi riguardano. Particolarmente esplicativa, in questo senso, è quella che dice: tutti lavorano ma la mamma, lei è una suffragetta, e il marito disperato, per questo mondo che si sta mettendo all'incontrario, aggiunge: io voglio votare, ma mia moglie non me lo lascia fare.
Servivano a spaventare gli uomini e a scoraggiare le donne che chiedevano il diritto al voto (una fondamentale conquista di parità, anche quando per scelta politica decidiamo di non votare), mostrando gli uomini come delle vittime di queste signore che mollavano figli e casa, i lavori di cura, intesi ovviamente come naturalmente femminili, per fare politica.
Rivendicare oggi quei ruoli, rivendicarli appoggiandosi alle conquiste e richieste di parità e libertà del movimento femminista, è un passo in avanti enorme, dal mio punto di vista. Laddove quei messaggi ieri servivano a demotivarci, oggi servono anche a sostenerci.

I racconti di paternità sorprese qui:

Essere padre, o la scoperta del sistema maschilista;

Ai padri, alle madri;
Appunti sparsi sulla (mia) paternità.




Donne, media e società


Sabato 24 novembre 2012 ore 18


YourMedia (www.yourmediaconsulting.ch) e Osservatorio europeo di giornalismo (http://it.ejo.ch/) sono lieti di presentare la serata pubblica "Donne, media e società"

Il tema della rappresentazione delle donne e dell'universo femminile attraverso i media e nella società è al centro del dibattito pubblico internazionale. In un mondo in cui i mezzi di comunicazione e di informazione ci accompagnano ormai 24 ore su 24 è fondamentale che i messaggi e le immagini che vengono trasmessi siano rappresentativi de
lla realtà femminile tutta e non solo di una parte.

Perchè tutto questo accada di fatto non si può prescindere da un elemento importante: una maggiore presenza femminile nei ruoli e nelle posizioni chiave della società e dell'informazione.
Secondo lo studio condotto dall'International Women's Media Foundation "Global Report on the Status of Women in the News Media", il 73% delle posizioni manageriali ai livelli più alti, nei media, sono occupate dagli uomini e solo il 27% dalle donne. I giornalisti i maschi occupano i 2/3 delle posizioni nelle redazioni mentre solo il 36% sono occupate dalle donne.
Intervengono:
Giovanna Masoni Brenni - responsabile Dicastero Cultura - Città di Lugano
Maria Grazia Rabiolo - responsabile attualità e cultura della Rete Due RSI
Loredana Lipperini - scrittrice, conduttrice RAI Radio3, giornalista “La Repubblica”
Nelly Valsangiacomo - docente Università di Losanna, esperta di media audiovisivi
Modererà l'incontro Natascha Fioretti dell'Osservatorio europeo di giornalismo dell'Università della Svizzera italiana (USI) 
Fonte: facebook

lunedì 12 novembre 2012

"Femminili Visioni" Sguardi di uomini e donne sulle relazioni e sull'universo femminile


Domenica 25 novembre 2012
dalle 19.00 fino a 21.00

NEA - Piazza Bellini, 59 - Napoli
Domenica 25 Novembre è la giornata internazionale per l'eliminazione della violenza contro le donne.

L'Associazione Volontarie Telefono Rosa di Napoli da più di due anni sul territorio di Napoli e provincia è impegnata a fornire consulenza psicologica e legale alle donne che decidono di farsi supportare nel difficile e coraggioso percorso di emancipazione dalla violenza.

Si dedica, inoltre, alla formazione e alla promozione di iniziative volte alla sensibilizzazione intorno al tema della violenza di gene
re nella convinzione che gli interventi di carattere educativo e informativo siano indispensabili per scardinare gli stereotipi socio-culturali che alimentano le rappresentazioni del maschile e del femminile.

In linea con queste finalità nasce l'idea di promuovere e organizzare, in occasione del 25 novembre, l'evento "Femminili Visioni".

Abbiamo chiesto a sei fotografi professionisti di raccontare per noi la donna, le donne, la relazione d'amore.
Ci hanno risposto di sì e si sono messi al lavoro.

Sono uomini e donne che non usano solo la testa quando premono il pulsante della macchina per scattare, per fortuna si lasciano guidare anche dal cuore.

Tutto questo per quale motivo?

Offrire ai vostri occhi un'immagine diversa del femminile che non sia un corpo definito ed esibito secondo il criterio del richiamo sessuale.
Suggerire il mistero e la grazia dell'essere donna indipendentemente dall'età, dall'etnia, dalle fattezze fisiche.
Evocare il suono delicato del linguaggio d'amore che non conosce possessività, controllo e potere, ma scambio, rispetto, reciprocità, contatto, dialogo.

Abbiamo bisogno di nuove visioni, nuovi sguardi, nuove prospettive.
Abbiamo bisogno di imparare a vedere senza più soltanto guardare.

"Femminili Visioni" è il tentativo di andare oltre i modelli culturalmente imposti dai media alla ricerca della voce autentica delle donne e degli uomini che le amano.

I fotografi sono:
Diego Loffredo
Salvio Loffredo
Chiara Natale
Désirée Picone
Cinzia Signore
Marco Tramontano

Vi aspettiamo numerosi per ricevere il vostro appoggio morale, psicologico e materiale. Ne abbiamo bisogno! :)

Durante il corso della serata sarà possibile devolvere offerte libere all'associazione e acquistare le fotografie dei partecipanti il cui ricavato andrà a sostegno delle attività del Telefono Rosa di Napoli.

N.B. Si avvisano gli invitati che si può raggiungere il luogo dell'evento a partire dalle 19 e non oltre le 20 e 30. Grazie.

Special thanks to: Spazio Nea

lunedì 29 ottobre 2012

Contro l'AIDS con la testa e con il cuore

Un cuore per LILA
Fare sesso ci piace, fare l'amore è bello, l'intimità ci dà gioia, ma può trasformarsi in un incubo se non usiamo PRIMA la testa. Restare in salute è fondamentale per continuare a godere pienamente della vita!

Come si resta in salute?

Usando i preservativi.

A oggi sono l'unico mezzo che abbiamo per avere rapporti sessuali protetti, sia dalle malattie che dalle gravidanze (non l'unico per le gravidanze, ma forse il migliore).

Non vi fate convicere ad avere rapporti senza preservativi, perché passare il resto della propria vita ammalati/ammalate è una merda.

Nello spot che passa in tv Chiara racconta  la sua storia, è una storia vera e già da studentessa ne parlò facendosi chiamare Sofia, per non essere scoperta dai propri genitori.

Non c'è solo l'AIDS, ci sono anche altre malattie che si trasmettono con i rapporti sessuali.
Per rapporto sessuale si intendono tutti i contatti genitali - cioè quelli in cui entrano in contatto il pene e la vagina, o due peni o due vagine , e pure pene-ano - e pure tutti i contatti oro-genitali - cioè pene-bocca, vagina-bocca, ano-bocca.

Dice LILA: "Un terzo circa delle nuove infezioni da Hiv che si registrano ogni anno in Italia riguarda le donne. Delle dodici persone, una ogni due ore, che diventano sieropositive ogni giorno (la stima nazionale è di oltre 4mila nuove infezioni l'anno) quattro sono donne. Le donne non si informano, non sono informate, credono che l'Hiv non le riguardi. Perciò la Lila ha pensato al Progetto Donna e a questa campagna sms solidale. Storie come quella Chiara, raccontata nel nostro spot, non ci devono sorprendere."

Questa è la campagna che LILA sta facendo rivolta, in questo momento, in altri anche per gli uomini, alle donne: http://www.lila.it/it/ si chiama “Un Cuore per LILA“, la Lega Italiana Lotta contro l’Aids dura fino al 3 novembre. Raccoglie fondi per il Progetto “DONNA – Prevenzione al femminile”.

Ma se una donna non ci riflette su, può essere benissimo un uomo a farlo.

Non conta niente che non siano gli uomini a restare incinti quando non si usano i preservativi, maschi e femmine si ammalano allo stesso modo. La natura, Dio o la Dea, chi volete voi, ci ha fatto perfettamente uguali.

Usare i preservativi è un gesto di rispetto verso voi stessi e voi stesse, poi anche d'amore.

Non vedo campagne sui preservativi in televisione. Nessun adolescente viene informato o informata su come evitare di ammalarsi (e restare incinta).

Fatevi furbe e fatevi furbi usate i preservativi
.

domenica 28 ottobre 2012

Il problema non sono le tette

Tette, seni, mammelle, zinne, zizze, menne o come le chiamate voi? Non sono loro il problema dello spot della campagna Por Amor a Las Tetas di Lowe Porta, che invita gli uomini a suggerire alle compagne di fare prevenzione per il cancro al seno, attraverso periodiche mammografie.
Le sise o poppe sono parte del nostro corpo (raramente il cancro alla mammella colpisce pure il genere maschile). Noi ci abbiamo fatto la campagna una tetta per la vita per esempio, ed esiste pure un gruppo di discussione nato dal workshop desiderio, sessualità, politica del Feminist Blog Camp di Livorno che si chiama tettapower.
Lo spot non è sessista perché fa vedere i seni, il taglio esclusivo su quella parte del corpo non è pornografico, in fondo è una campagna sul cancro al seno e, anche se non racconta di tutte le tette del mondo, ma solo di un tipo, tondo, alto e sodo, il seno non è fuori luogo. Quello spot è sessista per la frase “Si tanto nos gustan, deberiamos cuidarlas” che tradotto all’italiano sarebbe “Se tanto ci piacciono, dovremmo prendercene cura”.
La domanda quindi è: se non piacciono agli uomini allora non si curano? Col cancro si può morire, senza un seno si sopravvive, certo si sta male, è traumatico, ma tra perdere un seno e morire?
Se l’intento era quello di spingere chi ci ama (ma solo gli uomini amano le donne?) a sensibilizzarci, paradossalmente la campagna potrebbe suggerire che se rischi di perdere un seno, quindi di non piacere, è meglio morire! E’ quella la parte sbagliata, non le tette. E’ uno spot calibrato sul sessismo dei sessisti.
Il motivo per cui tutti sembrano essere concentrati sui seni a me appare molto chiaro: questo è un paese sessuofobico, è facile che l’ago si sposti sul moralismo, reale o solo di facciata (molto furbo e sensazionalistico), se non lo fosse, invece di guardare al dito si sarebbe vista la luna.

Da fas


mercoledì 24 ottobre 2012

Sproloquiare sulle gravidanza dopo uno stupro: gaffe o strategia?


Se durante l’estate il senatore repubblicano Todd Akin aveva elaborato la sua teoria sullo ‘stupro legittimo’, secondo la quale: se resti incinta dopo uno stupro, non è vero stupro, perché se lo fosse, il tuo apparato riproduttivo si ‘chiuderebbe’ impedendo il concepimento – fatti un giro in una zona di guerra e poi ne riparliamo.
Adesso è un altro senatore del Tea Party, Richard Mourdock, a suggerire che una gravidanza dopo lo stupro è “volere di dio”. In pratica c’è un dio ‘fluido seminale’ che ha bisogno di torturare le donne per farle restare incinte. Torturare però non è il termine adatto, dato che se resti incinta non c’è stupro, ed è quella che si chiama la quadratura del cerchio.
Lo stupro non esiste e l’aborto non è concesso.
Oops – poi dicono – non intendevamo questo!
Inorridiamo ovviamente di fronte a queste dichiarazioni degne del@ più becer@ misogin@ e di Justin Bieber*, ma, dopo di ciò, ragioniamo. A me sorge il dubbio che non si tratti di cervelli completamente bacati, intendo quelli dei senatori. No, dato che manca veramente poco alle elezioni, l’occasione può servire al candidato repubblicano Mitt Romney (contrario all’aborto eccetto nei casi di stupro o incesto) per farsi bello con una parte di elettorato femminile, prendendo le distanze dal visionario Mourdock, e dall’altra di strizzare l’occhio all’ultimo momento, all’ultimo dei fanatici indeciso sul voto.
Insomma a me sembrerebbe una strategia che dà un colpo al cerchio e uno alla botte, e che, pur di riaccendere il dibattito sulla questione aborto e racimolare consensi, sacrifica senza remore teste e reputazioni.
D’altra parte stupro e aborto vengono utilizzati per orientare l’elettorato anche qui in Italia, il primo reclamando campagne securitarie e razziste, il secondo guerreggiando sulla nostra salute e coscienza, senza lasciare intentata nessuna strada, nemmeno quella della violazione della privacy (con le ispezioni negli ospedali e pubblicazione di nome e cognome delle protagoniste di aborti legalissimi, spacciati per illegali) o quella degli interventi speciali, per pratiche già consolidate, come il seppellimento dei feti nei cimiteri su richiesta delle famiglie.
 *Dichiarazione rilasciata a Rolling Stone: “Non credo nell’aborto”. Anche nel caso di stupro? “Uhm, penso che sia molto triste, ma tutto capita per una ragione. Non sono mai stato in questa posizione quindi non posso giudicare” (qui).
La Danae di Klimt è un felice suggerimento di Feminoska!

Da fas

mercoledì 10 ottobre 2012

Abortire tra gli obiettori presentazione alla libreria Treves di Napoli


L'11 ottobre 2012 alle 18,00 presso la Libreria Treves Piazza di piazza del Plebiscito, 12
verrà presentato il libro ABORTIRE TRA GLI OBIETTORI di Laura Fiore, ed. Tempesta.

Dal sito della casa editrice:
"Un tema difficile quello dell’aborto, un tema che coinvolge le coscienze delle persone. Una scelta, checché ne dicano gli oppositori, che coinvolge e sconvolge profondamente ogni singola donna “costretta” a questa scelta. Sì, costretta: per motivi economici, di salute di lei o del bambino, per una violenza subita oppure non è pronta in quel momento a essere genitore, a dare tutto quello di cui un figlio ha bisogno... Un percorso così difficile, tormentato e doloroso che la donna percorrendolo necessita e ha diritto solamente a essere aiutata, accudita, sostenuta, consolata e curata. Le convinzioni personali devono restare fuori per quello che sono, personali appunto. Come dice il Ginecologo e membro del Comitato Nazionale per la Bioetica Carlo Flamigni, in un’intervista “non si può costringere un medico a praticare aborti (se il suo credo non lo permette), ma costringerlo a cambiare mestiere sì, nessuno troverebbe normale che ci fosse un Testimone di Geova a fare trasfusioni...”
Laura Fiore 

nata a Napoli il 19 marzo 1969, dove vive . Studi artistici, di professione pittrice decoratrice (per non dire casalinga disoccupata seppur impegnata nel volontariato per le donne, ma non solo). Moglie da dieci anni e madre da otto, mancata madre della secondogenita da quasi quattro. Politicamente a sinistra, femminista, religiosamente agnostica e assolutamente anticlericale nelle proprie scelte personali (matrimonio civile, niente Prima Comunione né per se né per sua figlia, esonerata dalla religione cattolica a scuola fin da quella dell’infanzia).   "

Lo presentano

Elena Coccia
Vice Presidente del Consiglio Comunale di Napoli

Giuseppina Tommasielli
Assessora alle pari opportunità

Elisabetta Wurburger
Associazione 31 Ottobre

Rosanna Flacco
Ass. Exit-Italia

Modera
Giancarlo Nobile Coordinatore della Consulta napoletana per la laicità delle
Istituzioni

Sarà presente l’autrice

Componenti della Consulta napoletana per la laicità delle Istituzioni
Comitato Piero Gobetti, Cellula Coscioni Napoli, Comitato Provinciale Arcigay Antinoo, Ass. Radicali Napoli ‘Ernesto Rossi’, Ass. Exit Italia sez. Campania, Ass. Libera Uscita Napoli, Associazione Rosso Democratico, Ass. 31 Ottobre per una scuola laica e pluralista, Giuristi Democratici di Napoli.

CONSULTA NAPOLETANA PER LA LAICITA' DELLE ISTITUZIONI
Via Belsito, 41 89123 Napoli napolilaica@gmail.com

Il 18 ottobre all'Aquila - ci riguarda tutte!

CI RIGUARDA TUTTE
Il 12 febbraio 2012, in una discoteca di Pizzoli (L’Aquila), una giovane donna di 20 anni è stata stuprata e ridotta in fin di vita.
Accusato di questa aggressione e tentato omicidio è Francesco Tuccia, un militare in servizio all’Aquila per l’operazione  “Aquila sicura” partita dopo il terremoto.
La ragazza è stata ridotta in fin di vita e le sono state procurate lesioni gravissime e permanenti.
Il 18 ottobre all’Aquila si terrà la prima udienza del processo.
Quel giorno GIOVEDI’ 18 OTTOBRE alle ore 08.30 noi tutte saremo lì sotto il Tribunale de L’Aquila  a dire che:
CI RIGUARDA TUTTE
l’efferatezza e la viltà degli uomini che in una notte di febbraio hanno massacrato il corpo e la vita di una donna lasciata sul selciato a morire.
CI RIGUARDA TUTTE
il massacro del corpo e dei desideri di ogni donna, di ogni età condizione e luogo, che viene disprezzata, usata, maltrattata, percossa, uccisa, stuprata.
CI RIGUARDA TUTTE
l’uso che si fa dei nostri corpi in nome di una sicurezza che non ci tutela ma, anzi, ci usa per emettere leggi razziste e repressive.
Non ci stancheremo mai di dire che la violenza di certi uomini sulle donne non dipende dalla nazionalità/cultura/religione, né dalla classe sociale di appartenenza.
CI RIGUARDA TUTTE
perché non vogliamo più doverci difendere da padri, fidanzati, amici, vicini di casa, datori di lavoro, fratelli, zii, medici, maestri, militari….
Saremo lì in tante ad affermare la voglia e il diritto di autodeterminare le nostre vite.
GIOVEDI’ 18 OTTOBRE
presidio di donne
Ore 8:30 Tribunale de L’Aquila
Via dell’Industria snc, Nucleo Industriale di Bazzano
ss17
Centro Antiviolenza per le Donne – L’Aquila e Martedì Autogestito da Femministe e Lesbiche di Roma
Martedì Autogestito da Femministe e Lesbiche
tutti i martedì dalle 17.oo alle 23.oo su Radio Onda Rossa (87.9 fm)
via FAS 

giovedì 4 ottobre 2012

#Save194 e #Apply194 al II Feminist Blog Camp


ManInfesti del Mpv a Livorno

Il workshop ‘Save194 e Apply194’ di venerdì 28, è stato più un’assemblea autogestita che un ‘seminario’ frontale, questo sviluppo ha favorito decisamente lo scambio di esperienze tra collettivi e singole, provenienti da diverse regioni d’Italia, ed è servito a tutt* per chiarire, definitivamente, che l’attacco alla legge 194 è totale, ed è portato avanti attraverso l’introduzione dei Movimenti per la vita (di chi?) nelle strutture di cura della salute femminile, attraverso strumenti quali leggi e regolamenti speciali. Un attacco nazionale declinato a livello locale attraverso approcci più o meno ‘morbidi’, che generano comunque in tutti i luoghi il risultato di bloccare l’accesso all’intervento di i.v.g., sia attraverso l’assenza di medici e personale che operino praticamente sia attraverso lunghe liste di attesa, con grave danno per la salute delle donne e delle famiglie, per le quali l’aborto è sempre una necessità.
Ricordando a tutt* che la salute non è da intendersi unicamente con l’assenza di una malattia, ma con il benessere complessivo della persona, registriamo che il benessere complessivo della donna non è evidentemente preoccupazione del Servizio Sanitario Nazionale, che non lo è certamente di quelle associazioni e persone che hanno come loro unica finalità impedire nell’immediato l’aborto, attraverso pratiche dissuasorie, terroristiche e violente, che non lo è certamente di nessuna parte politica.
Il ricorso all’aborto clandestino, che in alcune realtà, come quella campana, non è mai cessato del tutto, nel prossimo futuro diverrà anche per le donne italiane, come lo è già per molte donne immigrate, una scelta obbligata.
L’aborto non è l’unico punto problematico, come hanno riferito altre compagne e come ben sappiamo, il primo problema per le donne, di tutte le età, che attraversano e abitano il territorio italiano è l’accesso alla contraccezione di emergenza: pillola del giorno dopo e pillola dei cinque giorni dopo. Entrambe criminalizzate e oggetto di costante disinformazione, da parte di quegli stessi soggetti che impediscono l’accesso all’intervento di i.v.g., adducendo pretestuose obiezioni ideologiche.
Attraverso diverse testimonianze siamo venute a conoscenza del fatto che il prezzo della contraccezione di emergenza può variare dall’assoluta gratuicità ai trentaquattro euro, escluso il pagamento del tiket, il cui costo varia ulteriormente da regione a regione.
La disinformazione sulla contraccezione, anche non di emergenza, è favorita dalla difficoltà, se non dall’impossibilità, di realizzare corsi di educazione alla salute sessuale, che veicolino informazioni chiare e precise su come evitare gravidanze indesiderate e come evitare di contrarre malattie sessualmente trasmissibili e no.
Il quadro complessivo è quello di un blocco totale finalizzato al respingimento di ogni autonomia riproduttiva e di ogni libertà sessuale delle donne italiane e non italiane, agendo una violenza di genere, di razza e di classe.
Il progetto di una rete che operi a livello nazionale, già in parte testata durante la campagna Save194 e Apply194, favorite dal monitoraggio del progetto Obiezione respinta, rete che informi e contrasti in modo diffuso le politiche fasciste di cui siamo oggetto, sembra essere per tutte la strada migliore da percorrere. Tenendo presente che ogni territorio è diverso, ma che la lotta è comune.

Da fas

martedì 11 settembre 2012

I nostri no alla zona destinata all’esercizio della prostituzione

Ricevo e condivido il comunicato dell'UDI di Napoli

La proposta del sindaco De Magistris, nelle numerose interviste rilasciate da lui stesso, circa la creazione di luoghi nei quali esercitare la prostituzione è l’ultima nel corpo di un dibattito sorto in seguito alla chiusura, alla fine degli anni 50 del secolo passato, dei bordelli, case nelle quali migliaia di donne vivevano segregate per esercitare la prostituzione. Lo Stato regolava attraverso licenze l’attività, controllava la qualità della prestazione con visite mediche obbligatorie sulle sole donne, traeva profitto da ogni singola “prestazione”. Con la legge 75 del 1958 (detta legge Merlin) lo Stato Italiano pose fine alla sua attività di sfruttamento.

Da allora la prostituzione non è un reato, ma lo è lo sfruttamento delle persone che a qualsiasi titolo la esercitato.

La legge 75 avrebbe dovuto essere una pietra miliare, l’inizio di una nuova civiltà segnata dall’impegno pubblico nella lotta alla più terribile delle schiavitù ancora tollerate.

La prostituzione non è un reato, se rappresenta la libera scelta di una persona. È consapevolezza diffusa e fondata che il numero preponderante delle prestazioni sessuali a pagamento, non corrisponde affatto a transazioni libere e liberamente scelte, ma avviene nell’ambito di contesti criminali dove reclutano donne e una minima parte di uomini in modo schiavistico, usando ricatti, vessazioni e violenze fisiche.

Usare indistintamente il termine prostituzione per tutti i soggetti ai quali i clienti si rivolgono per ottenere prestazioni sessuali, è illusorio ed è una deliberata mistificazione sulla natura criminale e criminogena di un fenomeno strettamente legato alla perpetrazione di alti reati.

La legge 75 si è risolta con la sola chiusura dei bordelli, e da allora gli uomini al potere si sono tenuti ben lontani dall’affrontare il fenomeno criminale che caratterizza lo sfruttamento sessuale, ed anzi è più che mai vivo il desiderio di riorganizzare un servizio per la tutela dei consumatori di sesso a pagamento.

La schiavitù sessuale, cruenta e no, viene ancora vissuta come la risposta necessaria ad un presunto diritto degli uomini a soddisfare la loro eccitazione a qualunque costo. Infondo l’uomo in questa concezione viene considerato portatore di un apparato idraulico da scaricare ciclicamente.

La legge Merlin a distanza di oltre cinquant’anni è rimasta l’unico segno di una diversa concezione delle relazioni sessuali uomo- donna , e a distanza di oltre cinquant’anni lo stato ancora non ha fatto i conti con la propria identità rispetto al rapporto tra generi diversi.

Tutte le proposte che vogliono regolamentare, controllare e circoscrivere la cosiddetta prostituzione, in sostanza, ne affermano la necessari età. Lo Stato rinuncia ad affrontare un crimine e un’ingiustizia proclamando la presunta impossibilità a porre fine ad un fenomeno che come le mafie, di cui il fenomeno è parte, può finire a patto che lo Stato non si arrenda.

La non conoscenza e la confusione dei termini, la propaganda politica rappresentano la sostanza di un attacco ad una legge fondamentale nell’affermazione dei diritti delle donne. Con l’enorme ritardo di oltre cinquant’anni va fatto quello per cui la legge 75 ha posto le basi.
---
Per discuterne assieme UDI e cittadin* l'appuntamento è il 25 settembre alle ore 16 presso la sala Pignatiello di palazzo San Giacomo, III piano, Napoli.

lunedì 3 settembre 2012

Ma il cacciatore non era l’uomo?

Scusate la battuta, subito smentita da questo:

La ghigliottina è un atto d’amore. È una passione intensissima che nasce tra cittadini e aristocratici, e che si appaga solo nel possederli pienamente e totalmente. Io ghigliottino soltanto quando sono certa che la mia lama è mortale. Non ho mai ferito gli aristocratici, e non voglio far loro del male
Ama, dunque uccide. Mi ricorda qualcosa.
C’è tanto da dire. Lo faccio con una finta/intervista che ho rivolto ad una me stessa immaginaria. Buona lettura!
>>^^^<<
La cittadina Serbilla Serpente, della città di Napoli, fondata dai greci, tanti palazzi storici e splendido mare, comprensivo di isole, porti e vista mozzafiato sulla città, è una ghigliottinatrice passionale. La ghigliottina ce l’ha nel sangue fin da quando era bambina, ed è stata fra le prime ghigliottinatrici donna in Campania, quando usare la ghigliottina era per eccellenza una «cosa da maschi». Tra i suoi trofei: conti, marchesi, principi della chiesa, duchi, e maestosi esemplari di principi cadetti, seconde figlie senza dote e infanti spagnoli. «Anche quindici nobili in una stagione», racconta. «Che poi ho imbalsamato, e li ammiro tutti i giorni».
Oggi, primo giorno di esecuzioni, allieterà i concittadini napoletani.
Serbilla, quando le è nata la passione per la ghigliottina? Com’è che una donna, risaputamente solidale ed empatica, decide di fare la ghigliottinatrice?
«Ce l’ho sempre avuta nel sangue. Nella casa di campagna di Poggioreale (oggi nota come casa circondariale), dove trascorrevo le estati da bambina, avevamo una galleria di lame antiche e di trofei di caccia all’aristocratico. Soprattutto c’era un conte affascinante: io ero attratta da questo conte. A vent’anni ho fatto un patto di sangue, e con il mio compagno boia ho cominciato ad andare alle esecuzioni regolarmente».
Quale è stato il primo trofeo che ha portato a casa?
«Per anni ho mozzato teste solo con il coltello da cucina da ferma e dopo aver narcotizzato con una freccetta avvelenata il nobile di pasaggio sulla via secondaria. La mia prima conquista sono state delle duchessine, in Polonia. Ero emozionatissima: è uscita la scolaresca dal collegio, e sono riuscita a fare il doppio, cioè ad abbatterne due insieme. Una sensazione meravigliosa».
Donna e ghigliottinatrice: nell’immaginario collettivo il boia è uomo per eccellenza. Come si concilia la lama con la femminilità?
«Nella vita ho sempre vissuto passioni forti, anche contrastanti. Non ho mai rinunciato all’esser pienamente donna, coltivando la femminilità, anche un po’ civettuola. Facevo la tarantella, suonavo il tamburello. Nello stesso tempo, ero un maschiaccio, con un carattere forte, e giocavo alla giustizia sommaria con i miei cugini. Quando ho iniziato io a tagliare teste, a fine anni Ottanta del Settecento, eravamo in pochissime, ma non ho mai sopportato preferenze o cortesie di sorta».
Cosa prova quando vede la nobiltà, prende fiato e taglia?
«È una forma di liberazione, è l’adrenalina compressa che ha sfogo. Il cuore batte forte e l’emozione è al massimo. L’esecuzione infatti ha tutta una preparazione e un’attesa, che ha il suo compimento quando si coglie la nobiltà alla sprovvista. È la stessa sensazione di quando ci si innamora. Quando vado a decapitare dei principi della Chiesa, passano anche diversi giorni in cui l’osservo, l’ammiro, lo sogno. C’è come una sorta di corteggiamento, fino a che diventa tuo per sempre. Io taglio infatti solo quando sono certa che la mia lama è mortale. Io non ho mai ferito gli aristocratici, e non voglio far loro del male».
Non c’è contraddizione nel dire che si vuol bene agli umani ghigliottinandoli e uccidendoli?
«Un antico filosofo diceva: se tu uccidi ciò che ami, e ami ciò che uccidi, non domandarti il perché: questo è l’amore. Per me è una storia d’amore, infatti, oltre che di giustizialismo, tra me e l’aristocratico, che si appaga nel momento in cui è tuo per sempre. Così è per tutti i boia».
Ha mai avuto rimorsi o sensi di colpa per aver abbattuto un aristocratico?
«No, perché non c’è crudeltà. È un atto d’amore. Io non abbatto tanto per abbattere, per far numero, per collezionare trofei. Lo faccio perché nasce una passione intensissima tra me e l’aristocratico da giustiziare. Del resto io imbalsamavo tutti gli aristocratici abbattuti, finché poi non sapevo più dove metterli. Mi prendevano in giro perché ho imbalsamato anche una marchesina quattrenne, e non si usa fra i tagliatori perché non ha il trofeo. E invece l’ho imbalsamata vicino al suo papà, perché si facciano compagnia, e si parlino… Su ogni lama sbrecciata metto un’etichetta con il giorno e l’aristocratico abbattuto».
Boia, ma l’aristocrazia la imbalsama soltanto, o la mangia anche.
«Certo che la mangio. È il completamento di questa storia d’amore. Si ama così tanto da farla proprio, da possederla. Nessun altro te la potrà più portare via».
Cos’è che le dà più gioia: l’ammirazione dell’aristocratico e l’attesa, l’abbattimento o il cucinarlo e mangiarlo?
«Direi che è proprio il momento, dopo che hai ghigliottinato, del sapere che l’hai tagliato di netto, che l’hai preso senza deturpare la carne. Io poi lo rimiro, prendo tra le mani la sua testa, l’accarezzo, arrivo fino a baciarlo, in certi casi lacrimo di gioia».
Non guarda mai gli occhi dell’aristocratico ucciso? Non la lasciano turbata? C’è chi è impressionato anche dal vedere un cardinale malato che chiede il non accanimento terapeutico.
«Ma è diverso. Quello è tremendo. Gli aristocratici vanno rispettati, curati, tenuti bene. La ghigliottina è un’altra cosa. Soffrirei se lo ferissi, ma io taglio quando sono certa che è a colpo sicuro».
Ma i ghigliottinatori amano veramente gli aristocratici?
«Certo, basta vedere come rispettano il loro ambiente, curano i palazzi storici, dove si portano i turisti paganti.
Chi le ha insegnato a tagliare?
«Per tantissimi anni ho tagliato con il coltello del pane, e con il miracol blade. Lì è una questione di pratica: più tagli, più impari. Bisogna superare l’esame. Ho dovuto fare dei tagli con un coltello da frutta, non avendo fatto il militare».
Qual è stato il bottino più ricco di una stagione?
«Se parliamo di sangue blu purissimo, è stato il primo anno. Ce l’ho messa tutta, mi sono dedicata molto, e sono riuscita a completare una quota che avevo in Austria, dove mi reco spesso a cacciare».
Cioè, quanti capi?
«Quindici, tra conti, duchi e principi».
Tra le conquiste fatta, qual è quella di cui è più orgogliosa?
«Senza dubbio i principi di casa Savoia. È una cosa inebriante. Bisogna provarlo: con gli avvicinamenti, i tre passi con le pattine, le uniche che permettono di avvicinarsi senza che se ne accorga, anche se durante le trasmissioni televisive sono distratti e non sentono i rumori. E poi aspettare che riprenda il campo per fare altri tre passi con le pattine. Un corteggiamento complicato, ma molto suggestivo».
Quali altre specie caccia?
«Beh, qualche volta i notabili locali. Ricordo un anno, con una arena di canto spettacolare, come l’arena flegrea, e a maggio c’era ancora tantissima neve. Ne ho contati una quindicina, tra maschi e femmine. Ce n’erano due che lottavano fra loro per contendersi l’argenteria, che giravano attorno alla credenza. Insomma, uno spettacolo unico».
Come è avvenuta la scelta della preda da ghigliottinare?
«Punto al più maturo, quello più fatto. Non sparo ai giovanissimi».
È così anche per il secondo genito?
«No, quello non va all’arena di canto. È singolo, sta su un motorino dove passa la notte a fare scippi. Man mano che arriva l’alba si comincia a guardare nei parcheggi, per scoprire dove può essere, finché lo si intravvede e si lancia la fune o il frisbie per colpirlo alla nuca».
Quali altre specie caccia?
«Per anni ho cacciato le eredi delle aristocrazie nordeuropee in vacanza al circolo polare artico. Un’esperienza unica, in tenda, arrivando in area con i cani in una apposita stiva pressurizzata. Poi, una volta sul posto, con l’elicottero o dei piccoli idrovolanti si veniva portati in cima ad una montagna. Ci calavano in mezzo a queste montagne, con le radiotrasmittenti, e poi si cacciava. Dormivamo su pelli diHohenstaufen».
Altri nobili?
«In Istria e in Croazia sono andata a caccia di aristocratici di sangue misto».
Ha mai fatto bracconaggio?
«No, ma penso che la trasgressione faccia un po’ parte della vita. E qualche volta bisogna concedersi un pizzico di trasgressione».
Lei sa che i boia sono spesso contestati. Cosa risponderebbe a chi chiede che la ghigliottina venga proibita?
«Dico che purtroppo non hanno avuto la possibilità di staccare la testa a un nobile e di capire cos’è effettivamente la ghigliottina. Capisco che possono avere questo tipo di reazione, ma solo perché non sanno cos’è la giustizia».
Da fas

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