lunedì 30 giugno 2008

Drogata e stuprata a Benevento "Una birra, poi 10 ore di black-out"

L'incontro con l'"amico" in un bar. Poi la ragazza si risveglia, nuda, nell'auto di lui
Ridotta in stato di incoscienza, forse con scopolamina versata nella birra.

BENEVENTO - Una ragazza di 20 anni, di Benevento, ha denunciato alla squadra mobile della Questura locale di essere rimasta vittima di violenza sessuale dopo essere stata ridotta in stato di incoscienza, probabilmente con quella che è nota come "droga dello stupro". La giovane ha raccontato agli agenti che la sera precedente era stata con un amico in piazzetta Vari in città, e che, dopo aver bevuto una birra servita in un boccale, presa in un bar dall'amico, ha iniziato a sentirsi male accusando, tra l'altro, crampi allo stomaco e conati di vomito: da quel momento ha detto di aver perso il controllo e di essere entrata in uno stato di completa incoscienza.

La ragazza si è ripresa il mattino seguente, dopo un buco di dieci ore: si è svegliata dolorante e completamente nuda nell'autovettura dell'amico con il quale era la sera prima. Alla ragazza, affidata alle cure del pronto soccorso dell'ospedale Fatebenefratelli, sono stati riscontrati segni conseguenti a una violenza carnale.

Sulla vicenda indaga la squadra mobile diretta dal vicequestore Giuseppe Moschella. Chiarito che la ragazza sia stata drogata, gli esami clinici dovranno stabilire il tipo di droga ma gli indizi portano a un tipo di stupefacente molto in voga in alcune discoteche romane: la scopolamina, un allucinogeno, liquido, trasparente, che fa perdere ogni inibizione e la memoria. In certi ambienti questa sostanza viene definita "la droga dello stupro".

Agli investigatori la studentessa avrebbe anche detto di avere subito violenza da parte di più persone: potrebbe essere vero oppure solo una sensazione, provocata dai ripetuti rapporti sessuali avuti con il 20enne, incensurato, beneventano ma frequentatore di "particolari ambienti romani", come vengono definiti dalla polizia. Il presunto stupratore è stato identificato ma non ancora fermato dalla polizia per essere interrogato e per fare piena luce sulla vicenda.
(28 giugno 2008)


fonte: repubblica.it

Cina, insabbiato l'omicidio-stupro proteste, bruciati edifici governativi

La vittima aveva solo 15 anni. Per la famiglia è stata violentata e uccisa
Il colpevole sarebbe il parente di un politico. La polizia dice che è stato un suicidio

PECHINO - Corre su internet, passando di blog in blog, la protesta che chiede giustizia per la morte di una ragazza cinese di quindici anni, stuprata e uccisa nel sud-ovest della Cina, dal parente di un politico locale. La foto del suo volto è diventata il simbolo di una rivolta che ieri ha messo a ferro e fuoco le strade della zona di Wengan, nella provincia di Guizhou e che ha portato diecimila persone in piazza. Una folla inferocita per il tentativo delle autorità di insabbiare il caso facendolo passare per un suicidio. I manifestanti indignati hanno dato alle fiamme commissariati, edifici governativi e auto della polizia. Negli scontri con le forze dell'ordine ci sono stati un morto, più di centocinquanta feriti e duecento arrestati, tra cui decine di studenti intervenuti per chiedere chiarezza sulla vicenda.

I disordini sono cominciati dopo la conclusione dell'inchiesta sulla morte della ragazza, trovata cadavere in un fiume. La sua famiglia afferma che è stata violentata prima di essere uccisa. Ma le autorità hanno tentato di archiviare il caso come suicidio. I forum locali sulla rete sostengono che l'autore della violenza e dell'omicidio è il parente di un alto dirigente politico della zona, che le autorità non hanno voluto incriminare. Sul web circolano anche immagini impressionanti delle manifestazioni, degli incidenti e degli edifici bruciati.

"I cittadini erano molto arrabbiati per l'ingiustizia perpetrata dalle autorità locali", ha detto alla Reuters Huang, un funzionario locale. "Circa 10mila persone si sono radunate e hanno dato alle fiamme l'edificio che ospita la sede locale del partito, altri edifici pubblici e una ventina di macchine della polizia", ha detto Huang. Che ha spiegato che i manifestanti hanno persino tagliato i tubi dell'acqua in dotazione ai pompieri, per impedire che spegnessero il fuoco.

Secondo l'International Center for Human Rights and Democracy, che ha base a Hong Kong, l'escalation della violenza si è verificata quando centinaia di studenti si sono radunati di fronte al locale ufficio di pubblica sicurezza per chiedere giustizia sul caso della giovane. La polizia ha usato la forza per disperdere la folla.

Prima di cercare di insabbiare il delitto, le autorità hanno tentato anche di pagare i familiari della vittima. Il funzionario ha rivelato, infatti, che la famiglia ha respinto l'offerta, a titolo di risarcimento, di una somma equivalente a 300 euro, poi diventati 3.000 euro, da parte delle autorità. I dimostranti hanno fatto una colletta il cui ricavato servirà alla famiglia per denunciare le autorità locali e sostenere le spese legali.

(29 giugno 2008)
Fonte: repubblica.it

sabato 21 giugno 2008

Onu, il Consiglio di Sicurezza: lo stupro è come arma di guerra

I Quindici hanno approvato all'unanimità la risoluzione che prevede azioni repressive contro i responsabili delle violenze contro le donne. La soddisfazione di Human Rights Watch: "E' un atto storico" Rice preoccupata per il voto in Zimbabwe: "Elezioni non libere".

NEW YORK - Il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite condanna, nei termini più forti, l'uso dello stupro come arma di guerra, minacciando azioni repressive contro i responsabili delle violenze contro le donne. I Quindici, raccogliendo la proposta degli Stati Uniti, hanno approvato all'unanimità la risoluzione 1820, sponsorizzata da oltre 30 paesi tra cui l'Italia. I lavori del Consiglio sono stati presieduti dal segretario di Stato Usa Condoleezza Rice.

Il testo, minacciando indirettamente di portare i colpevoli di fronte alla Corte penale internazionale de L'Aja (Cpi), chiede "a tutte le parti coinvolte nei conflitti armati la cessazione completa e immediata della violenza sessuale contro i civili, con effetto immediato".

La risoluzione, definita dall'organizzazione non governativa Human Rights Watch un "atto storico", chiede al segretario generale dell'Onu Ban Ki-moon di preparare un rapporto (che verrà pubblicato entro dodici mesi dall'approvazione) per individuare "i conflitti armati dove la violenza sessuale è stata usata ampiamente o sistematicamente contro i civili".

A margine delle discussioni sulla risoluzione contro gli stupri in guerra, la Rice aveva partecipato anche ad una riunione informale sulla situazione in Zimbabwe, dove è stata espressa profonda preoccupazione per il prossimo ballottaggio presidenziale del 27 giugno. "Con le sue azioni il regime del presidente Robert Mugabe ha abbandonato ogni pretesa che le elezioni del 27 giugno potranno procedere in maniera equa e libera", aveva detto il segretario di Stato Usa.

Il Belgio ha chiesto che il Consiglio di Sicurezza si riunisca sullo Zimbabwe nei prossimi giorni. Ma l'ambasciatore Usa all'Onu Zalmay Khalilzad, in qualità di presidente di turno dei Quindici, ha detto che il Consiglio è diviso sulla richiesta del dibattito.

(20 giugno 2008)
Fonte: repubblica

lunedì 16 giugno 2008

DA CAPOTRENO INSULTI RAZZISTI E SCHIAFFI A DONNA GHANESE

PARMA - Un capotreno delle Ferrovie dello Stato, in servizio sul treno espresso 1920 Palermo-Milano, ha aggredito, insultato con frasi a sfondo razzista e ferito una passeggera cittadina del Ghana, regolarmente in Italia, residente a Palermo e diretta a Parma. L' uomo, residente a Bologna, è stato denunciato dalla Polizia Ferroviaria parmense per abuso d'ufficio, violenza privata, danneggiamento, ingiurie e percosse. L'uomo, alla fermata di Reggio Emilia, aveva cominciato ad insultare la donna perché con le valigie occupava lo spazio adiacente alle porte di ingresso. Poi, dopo averle chiesto il biglietto e visto che doveva scendere a Parma, le ha scaraventato una borsa giù dal treno fermo sul binario. Recuperata la valigia, la donna è comunque riuscita a risalire sul convoglio, appena in tempo prima che ripartisse verso Parma. A quel punto il capotreno le ha prima strappato di mano il biglietto, poi l'ha schiaffeggiata, strattonata ed insultata con frasi a sfondo razzista. Una volta arrivati a Parma la donna, in evidente stato di choc, è scesa dal treno e si è trovata di fronte gli agenti della Polfer. Confrontate le versioni del dipendente Fs (che cercava di attribuire le responsabilità alla passeggera) e della donna, gli agenti si sono insospettiti e sono risaliti ai nomi delle altre persone presenti sul convoglio per raccogliere nuove testimonianze. Queste hanno confermato la versione della vittima e alla fine è scattata la denuncia.

Il fatto è avvenuto lo scorso 14 maggio, ma è stato reso noto solo oggi dalle forze dell'ordine dopo un'attenta verifica delle dichiarazioni rilasciate dal capotreno, dalla donna e dai testimoni. La viaggiatrice aveva subito presentato denuncia alla Polfer, ma allo stesso modo il capotreno aveva imputato alla donna di avere dato in escandescenze in treno. Così gli investigatori hanno sentito vari testimoni per verificare le due versioni contrastanti. "Sporca negra", "schifosi, tornate in Africa", "Berlusconi finalmente vi rimanderà tutti a casa". Sono questi gli insulti che, secondo le testimonianze raccolte dagli agenti della Polizia Ferroviaria, il capotreno avrebbe più volte ripetuto alla cittadina ghanese. La donna, residente a Palermo, stava raggiungendo Parma per fare visita ad alcuni amici e, dopo alcuni giorni, è ritornata in Sicilia. Nella colluttazione con il capotreno la donna ha anche riportato una ferita ad una caviglia, ma non ha fatto ricorso alle cure dei medici. Sui fatti ora indaga la Procura di Reggio Emilia.

APERTA INCHIESTA INTERNA SU VICENDA CAPOTRENO - Sulla vicenda del capotreno denunciato dalla Polfer di Parma dopo l' aggressione e gli insulti razzisti a una viaggiatrice ghanese, il 14 maggio scorso, Trenitalia ha reso noto di avere aperto un'inchiesta interna subito dopo il fatto. "L' episodio - ha precisato - è a conoscenza dell' ufficio gestione del personale di Trenitalia in base a una segnalazione pervenuta da altro personale ferroviario in servizio sullo stesso treno. E' stata avviata un'inchiesta interna per appurare l'esatta dinamica dei fatti e dai risultati dipenderanno eventuali provvedimenti disciplinari, come prevede il contratto collettivo nazionale (si va da sanzioni pecuniarie al licenziamento)". Trenitalia ha sottolineato che "al momento non è stato ricevuto alcun atto ufficiale, come una denuncia da parte della signora o della Polfer. Ma se ci saranno nuovi elementi potranno condizionare l'esito dell'inchiesta interna".

fonte: ansa.it

sabato 14 giugno 2008

Viveva chiusa a chiave in una stanza fatiscente.

La donna, 47 anni, è stata liberata dai carabinieri a S. Maria di Capua Vetere
Arrestati madre 80enne, fratello e sorella Un figlio da una relazione amorosa
I familiari la segregano per 18 anni
Rintracciato in casa di uno zio il figlio della donna, 17 anni, che abitava nella stessa casa.

CASERTA - Una relazione amorosa non gradita alla famiglia, da cui nasce un bambino. Così i parenti decidono di "punirla". La protagonista, Maria Monaco, oggi 47enne, con evidenti problemi psichici, è rimasta segregata per diciotto anni. Diciotto lunghi anni prima che la trovassero i carabinieri di Santa Maria Capua Vetere (Caserta), chiusa a chiave in una stanza fatiscente, in un vecchio edificio rurale. In condizioni igienico-sanitarie che i militari non hanno esitato a definire "indescrivibili". I carnefici, i suoi stessi familiari, sono stati arrestati. Si tratta della madre, Anna Rosa Golino, 80 anni, del fratello, Monaco Prisco, 45, agricoltore, e della sorella Michelina, 51, insegnante di scuola materna. Non è chiaro quanto e cosa sapesse il figlio di questa vicenda terribile. Il ragazzo, uno studente di 17 anni, frutto di quella relazione con un uomo rimasto sconosciuto, è stato rintracciato in casa di uno zio, ma viveva anche lui nella casa degli orrori.

L'hanno trovata al primo piano di quella casa colonica nel rione Sant'Andrea, lungo la strada che conduce alla statale Appia. In stato confusionale. In un degrado tale, che i carabinieri del capitano Carmine Rosciano non sono riusciti a trovare le parole per raccontarlo. Per lei l'orologio si era fermato a quel giorno di diciotto anni prima. Quando per una relazione con un uomo di cui non si è mai saputa l'identità, era rimasta incinta. Un grave peccato per le persone a lei vicine, che si tramutano nei suoi carcerieri. La imprigionano in quella stanza da cui lei non uscirà più.

Vivevano tutti lì, tutti nella stessa casa, come una vera famiglia. E quando sono entrate le forze dell'ordine, arrivate per una segnalazione anonima, a loro sembrava tutto normale. Hanno cominciato a capire la gravità della situazione solo dopo l'arresto del fratello e della sorella della donna, che si trovano ora nel carcere locale. La madre, per via dell'età, si trova agli arresti domiciliari. Le accuse vanno da sequestro di persona a maltrattamenti. I provvedimenti sono stati decisi dal sostituto procuratore del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, Antonio Ricci, che ha coordinato le indagini. Maria Monaco è stata portata nel reparto di psichiatria del policlinico di Napoli.

Gli interrogativi adesso avvolgono il ragazzo, uno studente di 17 anni, rintracciato in cassa di un parente a San'Andrea, che però viveva anche lui con la nonna e gli zii, e quindi era a conoscenza delle condizioni in cui viveva la madre. Nei suoi confronti non è stato emesso nessun provvedimento. Adesso gli inquirenti stanno cercando di rintracciare quel padre, rimasto sconosciuto per diciotto anni, perchè aiuti a sciogliere alcuni dei dubbi che gravano sull'intera vicenda. Il primo interrogativo che l'uomo potrebbe chiarire è se i problemi psichici della donna siano nati prima o dopo la sua prigionia.

(13 giugno 2008)

Fonte: repubblica

domenica 8 giugno 2008

Una madre coraggio nascosta dal velo

Da 10 anni a Milano a pulire case e uffici, abbandonata dal marito, tre figli. E il coraggio di denunciare lo stupratore di sua figlia e garantirle solidarietà
di Oriana Liso

Quando sua figlia, piangendo, le ha detto di sentirsi in colpa, di non capire se la scelta di abortire fosse quella giusta, le ha risposto: "Se vuoi tenere questo bambino non preoccuparti, ce la caveremo".

Gliel'ha detto in arabo, Maria, che gli ultimi 10 dei suoi 42 anni li ha passati a Milano, a pulire case e uffici, senza abbandonare la sua lingua né il foulard per coprire i capelli, ma cercando di dare ai suoi tre figli la consapevolezza che essere marocchini non vuol dire non poter crescere anche come italiani.

Maria e sua figlia Anna — che ovviamente hanno altri nomi, perché sono vittime da proteggere, in questa storia — sono state descritte da chi ha seguito il loro caso come due donne coraggio. "È degno di nota il valore civile della madre della persona offesa», scrive il gip Fabrizio D'Arcangelo nell'ordinanza di custodia cautelare del trentenne che ha violentato Anna, Gaetano Calicchi. Gli investigatori vanno oltre, sottolineando «il coraggio e la dignità di questa madre che in un colpo solo ha smentito i pregiudizi che spesso gravano sugli immigrati e sugli islamici".

Una mamma musulmana, rimasta sola a Milano dopo che suo marito, perso il lavoro, ha fatto ritorno in Marocco e le ha delegato educazione e sostentamento dei figli; una ragazzina di tredici anni che si sente in colpa per essersi fidata, per non aver capito che quel ragazzo — italiano, educato, presentatole da una compagna di scuola — era in realtà l'orco cattivo.

C'è molta emancipazione, in questa storia: da una cultura che di solito non dà molta voce alle donne, da una realtà di periferia come quella del Gratosoglio dove avere la pelle olivastra è già un motivo per essere guardati con sospetto, da un retaggio antico per cui una violenza e una conseguente gravidanza vanno tenute segrete, non raccontate alla polizia.


Anche dalla religione, perché Maria è una musulmana osservante e praticante, che non è diversa da quella cattolica, in tema di aborto. Invece è bastato che, a marzo, Maria si accorgesse che sua figlia non aveva avuto le mestruazioni; ha ricollegato i silenzi strani della sua bambina, certi suoi momenti di tristezza.

E ha deciso: con la figlia, è andata nel consultorio familiare di zona, ha parlato con una psicologa, ha fatto visitare la ragazzina. La confessione di quel segreto pesante, di quella mattina di violenza, è arrivata a poco a poco, perché Anna aveva bene in mente quello che Gaetano le aveva detto, dopo averla violentata: "Questo è il nostro segreto, non devi parlarne con nessuno".

È stata durissima, per una tredicenne che è fisicamente e psicologicamente poco più di una bambina — come raccontano gli investigatori — spiegare quello che le era successo. A sua madre, prima di tutto: perché Maria ha sempre tenuto molto alla sua educazione, è sempre stata attenta ai suoi voti a scuola, alle sue amicizie, alla sua crescita.

Alla sua come a quella del fratello maggiore, che ha sedici anni, e del più piccolo, di due anni più giovane di sua sorella. Cresciuti, mandati a scuola, educati, grazie al lavoro duro della mamma che con meno di mille euro al mese mantiene tre figli, paga l'affitto, e chissà se non deve spedire anche qualcosa a chi è rimasto a casa, in Marocco.

Ci ha messo del tempo, Anna, per raccontare alla mamma di averle mentito, di aver seguito quel ragazzo a casa, una mattina che a scuola non c'era lezione per una manifestazione, di aver creduto che davvero volesse farle conoscere sua madre e suo fratello.

Di non essere riuscita a respingere quell'attacco — che, raccontano gli operatori dei centri antiviolenza, è una delle reazioni più comuni nelle vittime: la colpa è mia che non sono riuscita ad evitarlo — e di aver poi mantenuto il segreto con tutti.

Quando i medici e gli assistenti sociali del consultorio hanno prospettato alle due donne la possibilità di sporgere denuncia — cosa che altri genitori, con figlie violentate dalla stessa persona, non hanno voluto fare — Maria non ci ha pensato di volte.
Da quel momento, per settimane, Anna è diventata tecnicamente una "parte offesa": è stata sentita dagli agenti della quarta sezione, quella che si occupa di reati contro i soggetti deboli, e anche dal pm Antonio Sangermano, che è rimasto colpito — anche lui — dalla determinazione e dal coraggio di questa mamma.

La denuncia, le indagini. E la scelta più difficile: abortire o far diventare sua figlia una mamma bambina. Maria ha lasciato la scelta ad Anna, assicurandole che l'avrebbe sostenuta in ogni caso. Anna ha scelto, poi è tornata a scuola e — quasi — alla sua vita di sempre. In più ci saranno gli incontri con lo psicologo e l'assistente sociale, che dovranno aiutarla, se è mai possibile, a dimenticare quella mattina.

fonte: repubblica

sabato 7 giugno 2008

Stupro alla minorenne immigrata il Comune sarà parte civile

Dopo 24 ore ore Palazzo Marino supera l'imbarazzo. De Corato: "Nessuna condiscendenza sulle violenze sessuali"
di Oriana Liso

"Nessuna condiscendenza per chi commette questi reati barbari, tanto più se le vittime sono minorenni". A più di ventiquattrore dall'arresto di Gaetano Calicchio, il 30enne accusato di aver violentato e messo incinta una ragazzina marocchina di 13 anni, anche il Comune prende posizione.

Lo fa il vicesindaco e assessore alla Sicurezza Riccardo De Corato, annunciando: "Il Comune chiederà di costituirsi parte civile nel processo, richiesta che si andrà ad aggiungere agli altri nove casi di violenza sessuale avvenuti negli ultimi due mesi a Milano".

Aveva destato perplessità il silenzio di Palazzo Marino su una vicenda così grave, con una ragazzina stuprata a febbraio e due coetanee già violentate dallo stesso soggetto. Ieri il vicesindaco ha precisato: "Se dovessimo essere ammessi come parti civili, chiederemo ai responsabili degli stupri un risarcimento per i danni materiali e per quelli all'immagine della città, lesa da questi episodi esecrabili".

Ieri è stato anche il giorno dell'interrogatorio a San Vittore del presunto violentatore, arrestato nella sua casa di via Costantino Baroni: ma il gip Fabrizio D'Arcangelo è rimasto in carcere per pochissimo tempo, perché Calicchio si è avvalso della facoltà di non rispondere.

Sulla sua abitudine a cercare le sue vittime davanti alle scuole del Gratosoglio le indagini vanno avanti. E gli investigatori della squadra mobile lanciano un appello: se altre ragazzine sono state molestate da Calicchio si facciano avanti, e i genitori non esitino a rivolgersi alla polizia.

Padre Eugenio, parroco della chiesa di Santa Maria Madre della Chiesa, spera che non si diffonda la psicosi: "È giusto parlarne, e con gli educatori dell'oratorio abbiamo deciso che affronteremo l'argomento con i giovani che vengono da noi. Spero però che la paura non crei ulteriori tensioni in un quartiere già così problematico".


Al Gratosoglio, ieri mattina, ci è andato anche Mario Borghezio, europarlamentare leghista, con tanto di megafono. "Siamo qui per esprimere solidarietà e vicinanza alla bambina e alla sua famiglia, e per dimostrare che la Lega è contro tutte le violenze, peggio ancora se compiute da un italiano che deve subire una sanzione anche più severa", ha spiegato.

Altra reazione dalle istituzioni è arrivata da Mariolina Moioli, assessore alla Famiglia, Scuola e Politiche sociali, che ha respinto le accuse di usare due pesi e due misure nei casi di stupri di italiani su straniere o di stranieri su italiane: "Il Comune lavora quotidianamente al fianco delle donne che subiscono violenza, con circa 400mila euro l'anno di risorse finanziarie, con nuovi servizi come l'accoglienza per le donne sole; in più, il sindaco Moratti, nel pacchetto sicurezza, ha chiesto l'inasprimento delle pene per chi commette il reato di stupro e ha voluto destinare parte del suo stipendio alle attività di sostegno alle donne vittime di violenza".

Donne che, secondo i dati dei centri antiviolenza della città, hanno sempre più il coraggio di denunciare. Spiega la ginecologa Alessandra Kustermann: "Dal primo gennaio abbiamo raccolto 156 casi di violenza contro gli 81 del 2004: il 54,5 per cento delle vittime sono straniere (e il 22 per cento ha meno di 13 anni), mentre gli autori delle violenze sono soprattutto italiani, la metà delle volte familiari o conoscenti. L'aumento di denunce ci fa sperare di riuscire a infrangere il silenzio della violenza".

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